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MAUSOLEO DEI MARCII

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A settant’anni dall’apertura degli scavi che portarono alla scoperta della tomba di San Pietro e degli splendidi edifici sepolcrali della necropoli, sono stati completati i restauri del Mausoleo PHI o “dei Marci” della necropoli situata sotto la Basilica.

I lavori di recupero, finanziati dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra attraverso il Festival, rientrano in un ampio programma iniziato nel 1998 con meticolose ricerche preventive, di carattere storico, scientifico e microbiologico per approfondire la conoscenza sia storica che ambientale del sito e per individuare la migliore strategia conservativa da adottare. 

Come diceva Leon Battista Alberti “l’efficacia di rimedi dipende dalla conoscenza che si ha delle malattie”. È emerso così che i mali della necropoli erano causati essenzialmente da sbalzi microclimatici e da fenomeni di natura microbiologica. 

Si è quindi decisa la chiusura delle singole tombe, la realizzazione di opere di coibentazione, la predisposizione di depuratori d’aria e di porte ad apertura automatica disposte lungo il percorso di visita e, infine, la costante manutenzione del tutto.

Alla vigilia del Giubileo del 2000 erano state restaurate le tombe dell’area occidentale e della parte centrale degli scavi. Successivamente la Fondazione ha finanziato interventi d’urgenza nei Mausolei Z, O e G e, nel 2007, è stato eseguito il restauro del Mausoleo H o “dei Valeri”.



QUANDO L'ARTE PAGA

La strategia della fondazione è quella di destinare gli introiti del Festival per il recupero archeologico. Per questo è stata organizzata la X edizione della rassegna musicale che ospiterà: 

- i Wiener Philharmoniker diretti da Georges Prêtre, in programma a Roma dal 26 al 30 ottobre e il 5 e il 6 novembre, è stata presentata da: 

- il cardinale Angelo Comastri, presidente della Fabbrica di S. Pietro e presidente onorario della Fondazione, assieme a:

- Hans Albert Courtial, presidente generale della Fondazione, 

- Pablo Colini direttore del Coro della Filarmonica Romana, 

- Pietro Zander, della direzione scientifica dei lavori per la Fabbrica 

- Roberto Novelli, direttore generale Promoroma.

IL SARCOFAGO DEI MARCI

LA GENS MARCIA

La gens Marcia è una gens romana di antichissima origine sabina, da annoverarsi tra le cento gentes  originarie ricordate dallo storico Tito Livio. Il suo nome deriva dal nome della divinità sabina Mavors o Mamers, Dio dei giardini, latinizzato nel Dio romano Mars, cioè Marte. Di questa gens si hanno notizie in epoca regia, in epoca repubblicana e in epoca imperiale.

Il personaggio più importante ed antico di questa gens è Anco Marzio (o "Marcio"), il IV re di Roma, il cui praenomen Ancus ne denota l'origine Sabina, mentre il nomen Marcius riporta ad una gens di condizione plebea, anche se la sua origine fu certamente patrizia.
Sembra infatti che vi sarebbe un rapporto di parentela tra Anco Marzio e Numa Pompilio, poiché entrambi erano di nobile stirpe sabina, e vennero rappresentati insieme sulle facce dei denarii fatti coniare dalla gens Marcia.

IL SARCOFAGO DEI MARCI
In particolare, secondo il Pallottino, Anco Marcio sarebbe nipote di Numa, in quanto figlio di sua figlia Pompilia e di un esponente sconosciuto della gens Marcia.

Ebbero una branca patrizia che usò il cognomen Rex, reclamando la discendenza da re Ancus Marcius, il personaggio più importante ed antico di questa gens, il IV re di Roma.

Ancus era il praenomen (di chiara origine sabina), Marcius il nomen vero e proprio, indicante l'appartenenza alla gens Marcia.

Il nomen Marcius in età storica si riferisce ad una gens di condizione plebea, anche se la sua origine fu certamente patrizia.


Secondo alcuni studiosi, infatti, vi sarebbe un rapporto di parentela tra Anco Marzio e Numa Pompilio, poiché entrambi erano di nobile stirpe sabina, e vennero rappresentati insieme sulle facce dei denarii fatti coniare dalla gens Marcia. Secondo il Pallottino, Anco Marcio sarebbe nipote di Numa, in quanto figlio di sua figlia Pompilia e di un esponente sconosciuto della gens Marcia.

 La gens Marcia fu, indubbiamente, una famiglia di primaria importanza nella storia di Roma; i suoi membri ricoprirono spesso le varie magistrature durante tutta l’età repubblicana e ascesero al consolato per ben 21 volte. La famiglia di Marcia fu poi connessa agli oppositori dell'imperatore Nerone. Nel 65 d.c. dopo il fallimento della congiura di Pisone la sua famiglia cadde in disgrazia presso Nerone.

Il suo membro più illustre fu però Gaio Marcio Coriolano, chiamato da altri Gneo Martio Coriolano.




ALBERTO ANGELA

"La Zona Vaticana nel I secolo era molto ambita dai nobili romani, che qui creavano i loro horti, i ‘giardini di campagna’. Tra i famosi quelli di Agrippina Maggiore, ereditati dal figlio, l’imperatore Caligola, nella valle a sinistra dell’attuale Basilica. In questi giardini Caligola aveva costruito il suo circo che poi venne risistemato da Nerone. Il famoso luogo in cui diede il via alla grande persecuzione cristiana che durò per i successivi due secoli.

Il principio della degna sepoltura, caro ai Romani, venne comunque rispettato. Così le spoglie dei cristiani uccisi venivano comunque consegnate ai familiari, per essere seppelliti. Come successe a Pietro, sepolto sul colle Vaticano. un’area funebre cominciò a prendere corpo e a crescere in dimensione e prestigio
."



LA NECROPOLI MARCIANA

Ecco spiegata la Necropoli. In prevalenza pagana, anche se non mancano sepolture cristiane databili tra il I e il IV secolo, fino ad allora simili per rituali ed usanze. Una serie di 24 locali adibiti a sepolcri collettivi, a una decina di metri sotto la Basilica, conservati in maniera eccellente. 

Quando nei IV secolo Costantino ordinò la costruzione di una prima antica Basilica, non fece distruggere le tombe, ma spianò il terreno su esse, utilizzandole come fondamenta per la nuova struttura, costruendo un basamento sorretto da grandi piloni collegati da archi, che passavano sopra le tombe senza danneggiarle.

Però non fu per concessione di Costantino che le tombe si salvarono, bensì per l'usanza tutta romana di edificare sempre sopra l'edificato. I Romani non perdevano nè tempo nè soldi per radere al suolo ciò che distruggevano per poi caricarselo e portarlo in una discarica posta chissà dove.


I romani abbattevano ciò che era facile abbattere, per il resto riempivano le mura preesistenti di calcinacci e terra, riedificando sopra l'edificato. Non a caso esiste a Roma il Monte dei Cocci che accoglie tutti i cocci (i pezzi) delle anfore rotte durante lo stoccaggio di queste sulle navi che transitavano sul Tevere.

Questa è la ragione per cui Roma antica giace nelle Roma moderna a una profondità che va da un minimo di sei metri a una media di 12 - 15 metri, il tutto dato dai residui dei precedenti edifici. E dobbiamo a ciò se abbiamo potuto scavare e ancora scaveremo il sottosuolo di Roma per riportare alla luce le sue meravigliose vestigia.



ROMA - Meravigliose pitture di ispirazione fluviale, decorazioni su fondo cinabro che rappresentano una sintesi straordinaria della teologia pagana di 18 secoli fa, un sarcofago monumentale in marmo di grande raffinatezza: e' il Mausoleo dei Marci, la grande tomba appena restaurata nella Necropoli vaticana.

Presentato oggi alla stampa, il complesso intervento e' stato finanziato dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra (la stessa che produce il Festival Internazionale di Musica e Arte sacra, in svolgimento dal 26 ottobre al 6 novembre) e ha richiesto ''uno sforzo economico importante, a sei zeri'', ha detto il presidente Hans Albert Courtial.


In sette mesi, ha aggiunto il direttore dei lavori per la Fabbrica di San Pietro Pietro Zander, le pareti del Mausoleo dei Marci sono state ripulite dai sali e dalle formazioni fungine che coprivano come un velo bianco la pellicola pittorica, in molti punti rialzata. La tomba sarà aperta la pubblico, accessibile con visite guidate per piccoli gruppi come per le altre vestigia della vasta Necropoli che si dipana a 9-11 metri sotto la Basilica di San Pietro

Di proprietà della famiglia dei Marci, questo mausoleo è uno dei più significativi e interessanti di tutta la Necropoli, con pitture “a fresco” e  “a secco” eseguite su un fondo rosso cinabro. Vi si riconoscono scene mitologiche, figure di pavoni, ghirlande di fiori, uccelli, teste di medusa, anatre, nereidi, mostri marini e silani nimbati.


Il titolo della tomba indica il nome dei proprietari di un grande sarcofago trovato lì; secondo l'iscrizione, è stata collocata nella necropoli vaticana dai proprietari mentre erano ancora in vita: "Q. Marcius Hermes Sibi e Marciae Thrasonidi dignissimae coniugi vivis posuit" (Marcius Hermes stesso e Marcia Thrasonidi, la sua moglie più devota, ancora viva , mettilo qui ") è inciso sul davanti della copertina, dove un bassorilievo raffigura due persone morte circondate da geni funerari.

Il sarcofago, scolpito con eccellente grazia, è uno dei migliori scoperti nella necropoli vaticana. Rappresenta in pieno rilievo da sinistra a destra: una menade, Dionisio con un giovane satiro e un fauno ai suoi piedi; un satiro con il dio Bacco da bambino.

Sulle pareti ci sono diversi soggetti della mitologia greca; sulla parete ovest, a sinistra dell'ingresso, è ancora visibile un dipinto di pavone. Sulla parete sud sono due nicchie per cineraria. Sulla parete esterna, a sinistra dell'ingresso, si trovano i resti di un piccolo mosaico romano.


Il percorso di visita parte sotto la navata centrale di San Pietro, sulla parte orientale e si sviluppa lungo un vicolo. Sul lato ovest, sotto l’altare maggiore, la celebre tomba di San Pietro inserita in un terreno di circa 28 metri quadrati assieme ad altre tombe.

Si raggiunge così il sepolcro dei Marcii, con il bellissimo mosaico risalente al II secolo d.c. sulla facciata vicino alla porta d’ingresso, raffigurante la morte di Penteo, re di Tebe, e l’elegante e raffinato sarcofago del proprietario al centro.

Il Mausoleo di Marci, chiamato anche Mausoleo di Phi, è stato completamente restaurato . Si trova nella necropoli del Vaticano, a una profondità compresa tra 3 e 11 metri sotto il pavimento della Basilica di San Pedro. Presto si potrà visitare in piccoli gruppi fino a 12 persone, come accade con altre tombe della necropoli romana di larghezza che si svolgono in corrispondenza della navata centrale della basilica, che è al di sopra.


LE ALAE NON NUMERATE

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- Ala Afrorum Era un'ala quinquagenaria dell'esercito imperiale, documentata nel I e II secolo. Il primo testimone della unità è un certificato di militaris del 15 aprile al 78, sotto Vespasiano, indicando che è stato reclutato 25 anni prima, nel 53, presso la fine del regno di Claudio. La dilectus è stata effettuata tra persone libere, ma senza cittadinanza romana, della provincia dell'Africa Proconsolare, comprendente la Numidia, fonte fin dall'epoca cartaginese di ottime unità di cavalleria leggera.
Vennero poi inviati da Vespasiano nella provincia della Germania Inferiore, come indicato dai diplomi militari, per rafforzare la guarnigione impoverita dalla guerra civile dell'anno dei quattro imperatori e dalla ribellione dei Batavi , nonchè del successivo trasferimento delle unità veterane germane con Petilio Cerial in Britannia. Il 20 febbraio 98, all'inizio dell'impero di Traiano, l'unità faceva ancora parte della guarnigione provinciale sotto lo stesso Traiano, come indicato da un altro diploma militare, e anche il 13 marzo 101.
Verso la fine del II secolo fu diretto dal Praefectus alae Tito Statilius Optato, originario di Roma. Conosciamo diversi comandanti i cui epitaffi sono conservati a Colonia Agrippina (Colonia, Germania), a Dodewaard (Paesi Bassi) e a Novaesium (Neuss, Germania):
- Simplex, figlio di Seplo.
- Lucio, figlio di Crispo.
- Olupo, figlio di Gergaepuro.
- Romano, figlio di Atio.
- Marco Tariano Gumatio, figlio di Gaisiono, veterano dell'unità si stabilì nel territorio della Colonia Ulpia Noviomagus ( Nijmegen , Paesi Bassi).
- Oclatio, figlio di Carvo, signifer
Nel 127, il 20 agosto, durante l'impero di Adriano, l'unità era ancora nella Bassa Germania. Sotto Antonio Pio, nel 158, i frammenti di un altro Diploma militarista indicano che faceva ancora parte della guarnigione della Bassa Germania .
L'ultima testimonianza dell'unità si ha sotto Marco Aurelio, quando l'unità è stata integrata in una vexillatio agli ordini di Praepositus, di origine pannonica della città di Ptuj, e di Marco Valerio Maximinano, che ha guidato una spedizione punitiva poco prima delle guerre  Marcomanne.
Forse fu annientata durante queste guerre anche per effetto della peste sotto Marco Aurelio e Lucio Vero.

MONUMENTO FUNERARIO DI CAVALIERE
Ala Allactica - il nome rimane su un'iscrizione frammentaria, di un membro dell'esercito cappadociano che aveva combattuto contro gli Alani.

Ala Antoniniana - compare una volta nell'iscrizione di un cursus honorum contemporaneo di Antonio Pio.

Ala Apriana  - Venne formata nella Gallia Lugdunense e dislocata in Egitto. Troviamo sue iscrizioni a Tebe (databile al 170),  Syene e Saqqara.
- Apriana da Aper. La cavalleria era chiamata come uno dei loro primi comandanti; qui era un Aper sconosciuto, dal quale l'Ala è stata così nominata.
- Claudiana: da Claudiano.
- Provincialis: appartenenza alla provincia. L'aggiunta avviene nei diplomi militari di 157/161 e 179.
L'Ala, quingenaria, fu probabilmente creata sotto Augusto, se non prima, per costituire l'unità delle varie tribù dei Galli. Era di stanza dal regno di Claudio o Nerone nella provincia di Aegyptus ed è elencata sui diplomi militari per gli anni 83 fino al 206, come parte delle truppe di stanza nella provincia.
E' menzionata l'ultima volta nella Notitia dignitatum per il sito di Hipponos, come parte delle truppe che erano sotto il comando supremo della comis limitis Aegypti.
Le posizioni dell'Ala in Aegyptus dovevano essere:
- Ipponos: come è elencata nella Notitia dignitatum.
- Oasis Minor: una unità vi era di stanza nel 213.  
Membri noti:
- Comandante - Titus Helvius Lucanus, prefetto (c.170) ( CIL 3, 49 )
- Decurione - Acamantis
- Decurione - L. Herennius Valens
- Cavaliere - C. Valerio Longo
- Cavaliere - M. Trebius Eraclide
- Dionisio
- Giulio Agrippina 

Ala Atectorum - Ala Atectorigiana o Atectorum, o Atectorix dal il nome celtico. Nell'età di Augusto in Gallia, 2-3. Era di stanza in Mesia inferiore nel 1 secolo. 

Ala Augusta  - Viene menzionata per la prima volta nell'83 in Egitto, probabilmente la stessa della Siriaca, quando era di stanza in Siria. Un'altra ala Augusta era di stanza in Dacia, e presumibilmente anche in Mesia, e quindi anche Moesiaca era un suo aggettivo, che fu poi accompagnato dall'aggettivo torquata; premio e riconoscimento che è stato forse ricevuto durante la campagna di Daci. C'è anche un'area ad Augusta nel Norico del III secolo.

LE LAPIDI DEL VALLO
Ala Augusta Gallorum Petriana bis torquata miliaria civum Romanorum - Dopo i contemporanei di Tiberio, Tito Pomponio Petra era chiamato Petriano. Nel I secolo, l'ala fu di prima stanza in Germania superiore, e poi, sotto Vespasiano, in Gran Bretagna. Era ancora qui all'inizio del V secolo.
Le unità dislocate lungo il Vallo di Adriano provenivano da tre regioni: Gallia, Spagna e Pannonia. Le due alae Asturiane erano originarie dell'Asturia (penisola iberica), e sicuramente sostituirono le razioni di vino con il sidro. Che i soldati romani bevessero l'aceto è un'invenzione, semmai correggevano l'acqua con un po' di aceto per sterilizzarla, ma potendo bevevano vino che gli dava l'energia soprattutto prima della battaglia.
Le guarnigioni del Vallo includevano le più numerose e prestigiose unità di cavalleria dell'esercito Bitannico, cioè la gloriosa Ala Petriana. Essa prese il nome dal suo primo comandante, T. Pomponius Petra, e negli ultimi tempi rimase la sola unità di cavalleria in Britannia, la ala Petriana sembra fosse l'unica quingenaria (di 500 soldati) al'epoca in cui Flavinus (RIB 1172) morì e fu cremato, molto probabilmente al tempo dei Flavi e si suppone a Corbridge.
L'unità arrivò in Bretagna al seguito del governatore Quintus Petillius Cerialis nel 71, quando un'ala quingenaria già stazionava a Corbridge nel Northumberland. L'ala venne portata alla città fortezza di Carlisle in qualche tempo durante il regno di Traiano (98-117), per divenire poi milliaria, cioè di mille uomini. Vennero quindi spostati in un nuovo forte presso Stanwix quando il Vallo di Adriano venne riedificato in pietra (130), e qui restarono di stanza per il resto della dominazione romana in Gran Bretagna.
"Ma quando la Gran Bretagna con il resto del mondo venne rioccupata da Vespasiano, e i generali erano ottimi, e gli eserciti eccellenti, e le speranze del nemico languivano. E Petillius Cerialis subito colpì di terrore i loro cuori invadendo il regno dei Briganti, che si dice fosse il più grande numero di tribù di tutta la provincia: molte battaglie vennero combattute, battaglie a volte sanguinose, e con la conquista definitiva e pure attraverso incursioni egli annesse al territorio romano una gran parte di quello dei Briganti."
Dall'anno 98, l'ala aveva ricevuto un gruppo di militi di cittadinanza romana e poi dal 122 era stato aumentato fino a raddoppiare, entrambi registrati sui diplomi. Un'iscrizione di Carlisle nota l'unità come millearia e torquata (con un'assegnazione di torques come distinzione), mentre un'iscrizione di carriera di un ex comandante, C. Camurius Clemens di Matelica, in Umbria, registra l'unità torquata per ben due volte. L'Ala Petriana è collocata nel Notitia Dignitatum nella base petriana, che doveva essere Stanwix, individuata da una piastrella e dalla lapide che la descrivono di 3.27 ettari, il più grande forte del Vallo.

ALAE PROVINCIA AFRICORUM
Ala Augusta Gallorum Proculeiana civium Romanorum - L'ala proculatoria di Augusto dei Galli, cittadini di Roma. Stanziò in Gran Bretagna nella metà del II secolo ma non ne sappiamo più.
Ala Augusta Germanica - Probabilmente si chiamava solo Augusta, perchè altrimenti avrebbe dovuto rimanere in Germania per un periodo più lungo. Le tre sole iscrizioni che menzionano l'Ala (CIL III 6822. 6821. 6881), provengono tutte da Antiochia in Pisidia, le ultime due contengono il Cursus honorum dello stesso legionario.

Ala Augusta ob virtutem appellata -  Era di stanza in Gran Bretagna nell'ultimo quarto del II secolo e nella prima metà del III secolo. Questo nome onorevole riconosce le molte virtù dell'ala evidentemente premiata per queste.

DIPLOMA MILITARE - MUSEO CAMUNTINUM

- Ala Augusta Sebosiana - Questa ala servì nell'Alta Germania fino alla guerra civile nel 69 d.c. , dove furono impiegati dall'imperatore Vitellio nella sua futile richiesta di supremazia. Dopo aver prestato servizio per un breve periodo in Italia, furono spediti in Gran Bretagna negli anni 70, probabilmente al seguito di Petillius Cerialis già nel 71.
"... A Ateste sentirono che tre coorti delle forze Vitelliane e lo squadrone di cavalleria chiamato Sebosiano avevano occupato il Forum Alieni e costruito un ponte sul torrente lì ..." 
( Tacitus Histories III.vi ) Una città del Veneto nel nord Italia, città moderna di Este. Forse Mantova, il moderno Legnago, dove il ponte sarebbe stato sopra il fiume Adige.
La prima registrazione del servizio di questo reggimento in Gran Bretagna oltre ai diplomi è una tavoletta scritta da Iulius Agricola di Carlisle. Attestato su un'iscrizione che registra i lavori di restauro dello stabilimento balneare e della basilica di Lancaster, durante l'impero gallico di Postumous. L'altare dell'inizio del III secolo di Weardale, nella contea di Durham, che registra i successi di caccia di un comandante dell'unità, che potrebbe essere stato messo in servizio al vicino forte di Binchester.

Ala Augusta Vocontiorum - L'ala augustea dei Vocontii, cittadini romani. Questa unità era di stanza nella Bassa Germania fino agli inizi del II secolo, quando venne trasferito in Gran Bretagna al seguito dell'imperatore Adriano, durante la sua visita alle isole nel 122. L'unica prova concreta di questa unità è a Newstead in Scozia, molto probabilmente durante l' occupazione Antonina degli Scottish Borders e Dumfries e Galloway. I sigilli di piombo non datati che identificano questa unità sono stati trovati a Leicester e South Shields, anche se non possono essere considerate prova di occupazione da parte dell'unità in entrambe le fortezze.

Ala Batavorum - Sappiamo che verso la fine del I secolo era in Germania, quindi non è menzionato. Potrebbe essere stato sciolto da Vespasiano.

Ala (?) Brauconum - individuata da Dessau e Mommsen (Ep. IV.1999 ) sulla base dell'iscrizione prenestina CIL XIV 2947, dove compare la Commodus militia prima praefecturae equi(tum) Brauconum exornatus. Ma Publis Aelius Tiro avrebbe iniziato con quel comando all'età di 14 anni la sua carriera militare, la prefettura di un'Ala, già come primo stadio del servizio militare, è completamente esclusa, e così nell'iscrizione equitum non deve essere associata a praefecturae, ma con brauconum e un numerus, il cui comando appare spesso prima nel cursus honorum.

Ala Britannica Veterana - Conosciuta solo dalla lapide di un librario di Portus Magnus in Mauretania Caesariensis (CIL VIII 9764), che dimostra la presenza temporanea dell'Ala nella provincia. Con l'aggiunta di veterana l'Ala vuole distinguersi da una giovane Ala con lo stesso nome, presumibilmente la I Flavia Augusta Britannica.

Ala Celerum - la troviamo prima in Germania superiore, poi nel Norico ed infine in Siria al tempo di Filippo l'Arabo.

Ala Classiana civium Romanorum - l'origine dell'aggettivo non può essere spiegata perché era improbabile che fosse stata ordinata da una delle unità marittime. A metà del I secolo, secondo alcune fonti antiche, si trovava vicino al Reno, ma la notizia non è sicura.

Ala Commagenorum  - Nell'83 era in Egitto. La domanda è se sia identica a quella di Communaorum I, il cui ricordo è noto a Cele (Dacia) del II secolo. Noricum ha anche il ricordo di una squadra con questo nome.

Ala Claudia Nova - Nel I secolo era nella provincia della Dalmazia, poi era in Germania (quando non era ancora divisa in superiore ed inferiore) nel 74, al tempo di Vespasiano. Verso l'anno 80 era a Moeza. Il suo destino è sconosciuto, forse lo stesso dell' Ala Claudia Gallorum.

BATTAGLIA TRA CAVALIERI
Ala Exploratorum Pomariensium -  una formazione evidentemente tardiva, già intitolata al suo campo, Pomarium in Mauretania Caesariensis. Vi sono state trovate due iscrizioni dell'A, CIL VIII 9906. 9907, una delle quali è posta sotto Alessandro Severo, l'altra sotto Gordiano. 

Ala Felix Moesica Pia Fidelis Torquata - fu formata con ausiliari della Moesia. Nel 77 era dislocata in Germania superiore a Aquae Mattiacorum (Wiesbaden).  Nel I-II secolo alcune sue vexillationes potrebbero essere stata inviate in Cappadocia. La troviamo ancora dislocata in Germania superiore a Butzbach sotto Commodo. Era forse a Deutz nel IV-V secolo.

Ala Fida Vindex - testimoniata una sola volta nella Germania inferiore. Se si trattasse di uno pseunonimo della I Flavia Fida non è tuttora accertato.

Ala Flavia - Ne risulta una numidica nel III secolo, forse prima di essere di stanza nella provincia hispanica. A Zarai è stata trovata un'iscrizione di dedica di un equitum curatore di A. dal tempo di Caracalla (CIL VIII 4510).

Ala Flavia Gallorum - tutto quello che sappiamo è che è di stanza tra il 99 e il 105 nella Mesia inferiore.

Ala Flavia Pannoniorum - menzionata solo una volta su un'iscrizione di Bassianae in Pannonia inferiore, CIL III 3223, la pietra tombale di un Duplicario di A., al più presto dalla metà del II secolo d.C. Anche il decurio al. ... Ibid (CIL III 3222) probabilmente apparteneva alla stessa compagnia. 

Ala Gaetulorum Veterana - Nominata ed eventualmente costruita da uno degli imperatori Flaviani, ma prima dell'86, dove la vecchia ala.Gaetulorum vuole distinguersi da lei con l'aggiunta di veterana.

Ala Gallorum et Thracum Antiana era posizionata in Mesia inferiore nel 54.  La troviamo in Siria nell'89 e 91. Era ancora dislocata in Syria Palestina durante il regno di Antonino Pio (diplomi dal 142 al 161). 

Ala Gallorum et Thracum Classiana civium Romanorum - L'ala classica di Galli e Traci.  Menzionato solo in un Diploma militare datato agli inizi del II secolo, il presidio di questa unità rimane sconosciuto, ma si suppone fosse in Siria.

Ala Gallorum Flaviana - Sappiamo solo che era sotto Traiano nella Mesia inferiore; come mostra il 99 ° Diploma XXXI e il 105° Diploma XXXIII (XXII). Praefetto della Ala, Cursus honorum CIL V 2841 (A. Flavianae ) ed Eph. ep. V 994 ( A. Flavianae gallorum ).


Ala Gallorum Indiana, fu un'ala quinquagenaria, reclutata nel 21 da Tiberio, fu reclutata nella la Galia Belgica durante la ribellione da Iulius Indus, un notable della tribu dei Treveri, rimasti fedeli a Roma, contro Iulius Floro capo dei ribelli. Dopo questa stagione, l'unità è stata regolarizzata e assegnata alla guarnigione dell'esercito presso il Limes germanico-retico, ma ignoriamo dove avesse base la legione. L'Indiana Gallorum sotto Claudio fece parte dell'esercito assemblato per l'invasione della Britannia, partecipando a importanti operazioni. Fu confinato nella seconda metà del I secolo a Corinum (Cirencester, Regno Unito), dove eresse il suo castellum.
Domiziano nell'82 ordinò il suo trasferimento nella provincia della Bassa Germania per partecipare alla sua campagna contro i Cattii. Rimase di stanza in questa provincia e rimase fedele a Domiziano nel 89 durante la ribellione di Lucio Antonio Saturnino, ricevendo il titolo onorifico di Pia Fidelis Domitiana, ridotto a Pia Fidelis dopo l'omicidio e la damnatio memoriae di Domiziano a 96. Di questa conosciamo un cavaliere, originario della colonia Augusta Treverorum (Tréveris, Germania)

- Ala Gallorum Petriana - prese il nome da Tito Pomponio Petra, che è stato probabilmente il comandante originale del gruppo a cavallo reclutato dalle tribù della Gallia centrale del I secolo. L'unità è registrata a Moguntiacum (Mainz, Germania) nel 56, ed è noto per aver combattuto per Vitellius nel 69. "... dal momento che un singolo squadrone di cavalli non poteva proteggere la parte più ampia d'Italia, aveva inviato in anticipo la fanteria, composta da Galli, Lusitani e Britanni, e alcuni distaccamenti tedeschi con lo squadrone del Cavallo di Petra , mentre lui stesso ritardava un po '... " (Tacito storie I.lxx) Nel frattempo Claudius Sagitta, prefetto della cavalleria di Petra, con un fortunato viaggio, arrivò davanti al centurione Papirius che era stato inviato da Mucianus ... " (Tacito storie IV. xlix)

Ala Gallorum Picentiana -  L'ala Piacentina dei Galli. Sebbene originariamente reclutata dalle varie tribù galliche, questa unità fu sostenuta poi da un grande contingente di cavalieri picentini della regione adriatica dell'Italia centrale. Essi sono attestati nella Germania superiore dal Diplomata emesso nel 74 e 82. L'unico ricordo di questa unità in Gran Bretagna è un altare dedicato da parte del prefetto Candido, derivato dalla campagna  severiana verso la Scozia a Malton, nelle rovine delle terme severiane a Malton. Comunque l'altare potrebbe essere stato spostato da una precedente struttura sul sito. La storia successiva dell'unità è sconosciuta.

Ala Gallorum Proculeana - Nell'anno 199 è nel campo di Alessandria, rimase nel terzo e nel quarto secolo in Egitto.

Ala Gallorum Sebosiana - Tacito menziona per la prima volta gli eventi nell'anno 69. Hanno trovato testimonianze in Germania, all'inizio del II secolo in Gran Bretagna, e dopo un altro secolo erano ancora lì. La sua prima stazione è Longovicium, la seconda è presso la Stanhope di oggi.

- Ala Gallorum Veterana - o Gallica Veterana. Era di stanza ad Alessandria nell'ultimo anno del II secolo e si trovava in Egitto all'inizio del V secolo.


Ala Hispanorum Vettonum  - I Vetonnes erano una tribù ispanica della provincia romana di Lusitania, che abitava la valle del Tago nell'immediato sud di Salamanca, nella Spagna occidentale. Questa unità è la prima attestata in Gran Bretagna sulla lapide di Lucio Vitellio Tancinus, un soldato di istanza a Bath durante la seconda metà del I secolo e, probabilmente, l'ala venne spostata nel Galles meridionale poco prima del II secolo, a giudicare da un diploma trovato a Caerleon.
La pietra tombale di Candido, un altro soldato di Brecon Gaer nel sud del Galles, è stato datato su basi stilistiche a fine I secolo - inizi II secolo.
Probabilmente fu la prima unità di guarnigione a eseguire l'edificazione del suo forte a metà degli anni 70. Verso la fine del II secolo il reggimento era stato trasferito a Bowes, e altre iscrizioni non datate da Binchester, dell'inizio III secolo, attestano la loro presenza costante nel nord dell'Inghilterra.
Il nome potrebbe significare "La Via dei Vini", che suggerisce che le viti sono state piantate e cresciute nell'area, però poco considerando il clima a Bishop's Auckland. Oppure potrebbe essere "le Vie dei Vintners", per la presenza di una locanda o taverna popolare qui.
L'Ala venne reclutata in Hispania nella prima metà del I secolo, per volontà di Tiberio o di Claudio. Era formata soprattutto da hispani ma pure da Vetones, i Vetoni, un popolo della penisola iberica occidentale conquistato dai romani durante le guerre lusitane. Le loro qualità di esperti cavalieri erano già state apprezzate dai generali repubblicani, e soprattutto da Giulio Cesare che li utilizzò ampiamente, per cui, in epoca imperiale, entrarono a far parte dell'esercito romano.
L'imperatore Claudio la impiegò per la conquista della Gran Bretagna e nell'anno 70 d.c., essa era di stanza a sud di Galles, a Cicucium (Brecon Gaer, Regno Unito), per poi essere trasferita, verso la fine del II secolo a Vinovium (Bowes, nei pressi di Binchester, Regno Unito) nel nord della provincia, dove ha continuato il suo presidio fino all'inizio del III secolo.
In Britannia, l'Ala Vettonum ha lasciato diverse testimonianze archeologiche ed epigrafiche che mostrano la loro permanenza nella già citata Castella Alae, a Bath, e anche diversi diplomi militari che ne testimoniano la presenza.

BRECON GAER - CICUCIUM

IOM ALA VETTONVM CP ... ONIVS RVFVS PRAEF VSLM "A Giove Optimius Maximus, l'Ala Vettoniana, Cittadini di Roma, (comandata da) [N]onius Rufus, hanno adempiuto volontariamente e meritatamente il loro voto". ( Britannia 1992.10, frammento di un altare in arenaria, restaurato)
DIIS MANIBVS CANDIDI ... NI FILI EQ ALAE HISP VETT CR TVR CLEM DOMO ... AN XX STIP III H ... "Alle ombre del Candido scomparso... figlio del soldato... dell'ala di Vettoni spagnoli, cittadini di Roma, dalla truppa di Clemente, originario di... vent'anni con tre anni di servizio. Qui [giace]. " ( RIB 403; lapide; I / II sec.)
Cicucium, fortezza romana di Brecon Gaer, Powys, Galles, costruita nel 75. Qui è stata scoperta una tomba, del I o II secolo, su cui si legge:
DIIS MANIBVS Candidi ... NI FILI (i) EQ (uiti) ALAE HISP (anorum) VETT (onum) C (ivium) R (omanorum) TVR (mae) LCMS (entis) DOMO ... AN (Norum) XX STIP (endiorum) III H (ic) [S (itus) E (st]
"Agli Dei Mani. Candido... il figlio di... Cavaliere dell'Ala Vetones Hispanica, di cittadini romani, della turma Clemente, nativo di..., 20 e 3 anni di servizio. Qui giace."
A Vinovium, fortezza romana minore a Binchester, contea di Durham, in Inghilterra, l' ala Vettonum appare esplicitamente nominata in tre altari a Binchester e almeno in altre due iscrizioni. Iscrizioni su tombe e altari di Vinovico:

RESTI DEL FORTE ROMANO DI VINOVIUM

I (Ovi) O (settimo) M (assima) ALA VETTONVM C (ivium) R (omanorum) [...? N] ONIVS RVFVS PRAEF (ect Alae) V (otum) S (solvit) L (ibens) M (erito)
A Giove Optimum Maximum, l'ala degli ispanici di Vettone, di cittadini romani. [... N] onio Rufo, prefetto (dell'ala) ha realizzato questo meritato voto.
... SVLP (icius) VIC (tor) [eques] ALA (e) Vetton CIVIS CANN (anensis) V (otum) S (SOLVIT) L (Ibens) M (erito) (...Sulpicio Víctor, cavaliere di Ala Vettonum, cittadino di Cannas, ha realizzato questo meritatissimo voto).
AESCVLAPIO ET SALVTI PRO SALVTE ALAE VETTONVM C(ivium) R(omanorum) M(arcus) AVRELIVS [---] OCOMAS MEDICVS V(otum) S (SOLVIT) L(Ibens) M(erito) (A Esculapio, per la salute e la salvezza dei cittadini cittadini dell' Ala vettones. Marco Aurelio ---ocomas, dottore, ha realizzato questo ben meritato voto).Ad Acuae Sulis, città romana-britannica a Bath, Avon. Si è reperita un'iscrizione in una tomba:
L(uicius) VITELLIVS Mantai F(Ilius) TANCINVS CIVES HISP (aniensis) CAVRIESIS EQ(ESU) ALAE VETTONVM C(ivium) R(omanorum) ANN(orum) XXXXVI STIP(endiorum) XXVI H(ic) S(itus) E(st) - (Lucio Vitellio Tancino figlio di Mantao, ciudadado ispanica Caurium (Coria), Cavaliere Alato vetones cittadini romani ispanici, 46 e 26 anni di servizio. Qui giace).
L'Ala Hispanorum Vettonum viene inoltre menzionata:
19-10 gennaio: diploma. CIL xvi.48 (RIB 2401.1)
17-12 luglio: diploma. CIL xvi.69
27 febbraio - 158: diploma. Brit. Xxviii (1992), 463-4, n. 28
23-17 marzo: diploma. RMD 184
ALA HISPANICA
Anni 197-202: costruzione del castello di Bowes, ma l'ala era probabilmente ancora a Binchester, insieme alle Cohors I Thracum sotto il prefetto Valerio Frontone . RIB 730
Senza Data:
- Gaer, tomba di Valerio Primus , [e]q(ues) (tomba persa oggi). RIB 405
- Y Gaer, tomba di Cand[idus], di 3 anni di servizio. RIB 403
- Binchester sotto la prefettura [....] onius Rufus. Brit. Xxiii (1992), 314, no, 10
- Binchester, altare dedicato a Suleviae. RIB 1035
- Dedica di M. Aurelius [...] ocomas, dottore, per l'Ala, a Binchester. RIB 1028
- Bath, tomba di L. Vitellio Tancino, eq(ui), 26 anni di servizio. RIB 159
IN PUGLIA - ITALIA, sulla costa adriatica meridionale:
... SVLP VIC ... ALA VETTON CIVIS CANN VSLM
"[verso un dio sconosciuto] Sulpicio Vittore, [...] cittadino di Canne, l' ala Vettoniana,
ha adempiuto volontariamente e meritatamente il suo voto". (RIB 1035; altare)

Ala Lemavorum - formato da una tribù di Lemavi spagnoli e nominato solo una volta in un Cursus honorum, quindi non è sicuro in quale provincia l'Ala rimase.

Ala Longiniana fu formata nella Gallia Lugdunense e dislocata in Germania inferiore a Bonn nel I secolo, dove si trovano quattro lapidi di cavalieri dell'Ala CIR 498. Una quinta lapide proviene da Châlon-sur-Saône, Si può presumere che l' Ala Longiniana apparteneva ai dipartimenti germanici di Vespasiano dopo il Bataverkrieg. 

Ala Miliaria - L'ala. miliaria, senza ulteriori aggiunte, si trovava in Mauritania Caesariensis. Questo prova innanzitutto il Cursus honorum CIL XII 672, che ha un elogio. alae miliariae in mauritania nomina cesariensi , ma poi un certo numero di iscrizioni dalla Mauritania che menzionano l'Ala.

STELE DI CAIO JULIO PRIMO - ALA NORICUM
Ala Mauretana Tibiscensium - di Mommsen, adottata sulla base dell'iscrizione CIL VIII 9368 da Cesarea, dove viene chiamato un MAVRETTO PRAEF • IV • TIBISCENSIVM invece di: PRAEP • N • MAVR • ET • TIBISCENSIVM praepositus n(umeris piuttosto che numero) Maur(orum) et Tibiscensium. Un certo numero di Tibiscensium si trovano nella ala Daciana, che nella Ala Mauretana.

Ala Nerviana, o Ala Nerviorum - Ala Nerviorum - L'unica prova di questa unità in Gran Bretagna è una lapide (o forse due) da Brecon Gaer nel sud del Galles, provvisoriamente datata ai primi anni del II. Questa ala di cavalleria può anche essere inclusa nel diploma militare CIL VII.1195.
DIS MANIBVS VAL PRIMI... ET... FIL EQ ALAE NER OPTIONIS HFC - "Agli spiriti del defunto Valerio Primus... e figlio... cavaliere dell'ala Nerviana, comandante di truppa, i suoi eredi lo fecero". (RIB 405; lapide; I / II sec.) Una terza lapide ( RIB 404) è stata trovata anche sul sito, il cui testo è gravemente danneggiato, ma può anche riferirsi all'Ala Nerviana. ... VIXI ... AL ... N ... IVI ... CONIVNX EIVS HSE "...che visse... l'Ala Nerviana... Julia sua moglie, si trova qui." ( RIB 404; lapide)

Ala Noricorum -  fece parte delle unità ausiliarie dell'esercito originariamente reclutate nelle province alpine dell'impero romano: Tres Alpes, Raetia e Noricum. Pur essendo uomini di alta montagna riuscivano a guidare i cavalli anche in territori tanto scoscesi o difficili. Utilissimi per salire e scendere rapidamente dalle colline. L'Ala si trovava nella Germania inferiore a Burginatium (oggi Kalkar), all'epoca di Traiano e Antonino Pio. Potrebbe essere stata spostata più a sud, a Burungum (Monheim am Rhein), a Durnomagus (Dormagen) o forse ad Ara Ubiorum, dall'epoca di Costantino I al V secolo.

Ala Nova Firma Miliaria Catafractaria - Alessandro Severo la fondò attingendo gli elementi dai popoli orientali e la mandò in Germania. Ha combattuto solo qui per alcuni anni, poi si è trasferita nella provincia dell'Arabia.

Ala Numidica - attestata in Numidia per testimonianze epigrafiche nel I e II secolo.

Ala Pannoniorum - Esisteva un'Ala di nome Pannoniorum, in Pannonia, testimoniata da numerose iscrizioni. Il più antico è quello di Salonae CIL III 2016, la pietra tombale di un duplicario, che indica che la troupe è stata temporaneamente in Dalmazia. Provengono dall'Alta Pannonia, le prime due lapidi di cavalieri provenienti da Gyalóka, a nord di Savaria, dove sarebbe stata l'Ala, prima che il Danubio diventasse il confine militare. Quando avanzano le guarnigioni verso il Danubio, esse arriveranno all'Arrabona, da cui abbiamo tre lapidi di cavalieri e un signifero dell'Ala (CIL III 4372. 4376. 4377).

AUSILIARI ARABI DI AMMAN - ALA PARTHORUM
Ala Parthorum et Araborum  - Venne creata  con i disertori nemici, i guerrieri parti che si erano posti sotto la protezione imperiale dopo il fallimento della loro fazione nel periodo di instabilità che colpì l' impero dei Parti all' inizio del regno di Augusto. Fatto eccezionale, dato il grande disprezzo dei romani per i disertori, ma Augusto aveva compreso che in terreni impervii l'assetto dei legionari era poco appropriato. I parti essendo o provenendo da popoli nomadi vivevano praticamente a cavallo e sapevano tirare con l'arco mentre cavalcavano.
Riuniti e addestrati in un'unità di cavalleria ausiliaria, erano stati inviati nella Dalmazia e poi nell' Hispania, verso la fine del regno di Tiberio. Non si sa dove l'unità sia stata acquartierata ma al tempo di Claudio, quando la Legio IV Macedonica venne trasferita  a Mogontiacum (Mainz, Germania), l'ala partica pose il suo campo a Pisoraca (Herrera de Pisuerga, Palencia) nella terra Tarraconensis. In questo castellum sono stati rinvenuti diversi manufatti di terra sigillata, ceramiche comuni, vetro e armi comprendente la bardatura di un cavallo e delle staffe.
STELE DI MARIS, DELL'ALAE PARTHORUM
 ET ARABORUM

Alla la fine del I secolo Domiziano ordinò il trasferimento dell'unità nella Mauretania Caesariensis, dove rimase attiva fino al all'inizio del III secolo, partecipando alle campagne contro i Mauri sotto Antonino Pio e Marco Aurelio.
Qui l'ala venne denominata come Ala Parthorum o  Ala Augusta Parthorum Sagitariorum, per la presenza di arcieri a cavallo, indicando il famoso colpo armeno.
Gli Sciti, gli Armeni, i Persiani Achemenidi e i Parti furono i primi ad impiegare questa tattica, che consisteva in un finto ritiro di arcieri che volgevano le spalle ai nemici, ma mentre i cavalli galoppano, i cavalieri si giravano e lanciavano un cumulo di frecce sul nemico.
In genere i nemici correvano dietro agli arcieri fuggitivi, affrontando da soli una pioggia di frecce.
Questa manovra richiedeva grande abilità equestre, dato che per colpire, l'arciere doveva usare l' arco adoperando entrambe le mani, e poteva controllare il cavallo solo con le gambe, poiché staffa e sella non erano stati ancora inventati.
Questo colpo armeno o tiro armeno, soprattutto per guidare i cavalli, richiese sempre i migliori tiratori. Il nome di "tiro armeno" fu usato per la prima volta dall'Antica Roma, e divenne famoso in Occidente dopo la Battaglia di Carras, in cui questa manovra fu un elemento decisivo per la vittoria parta. Ad un certo punto nel secondo secolo, la Parthorum fu affidata al comando del prefetto di coorte, Marco Campanio Marcelo, tribuno militare delle cohorti I Hemesenorum.
CIL X 3847, Capua, Italia:
MARC Campanio / MArci filio MArcinos OTI Falerna) / Marcello / procuratori AugUStorum / annuncio che hoRCUrium / AlexandrIAE procuratori / regioni IAEcypri / Praefecto equitum alae Parthorum / tribuno COHOrtis prImae Hemesenorum / praefecto cohortis III Breucorum / cives Romani in provi cipro.
Questo cavaliere romano ha anche diretto il Couchao III Breucorum, un'unità auxilia di fanteria dell'esercito del dell'Impero Romano, il tipo quinquagenaria peditata Cohors, la cui esistenza è attestata a partire dalla seconda metà del I secolo fino alla fine del II secolo.
Probabilmente sotto Aureliano, verso il 270, l'Ala è stata trasferita in Oriente, dove viene menzionata nella Notitia Dignitatum (Or. XXXV, 15) a Resaia in provincia Osroene (Edessa), agli ordini del Dux Osrhoenae verso la fine del IV secolo e l'inizio del V secolo. Forse l'ala venne stato sciolta nella riforma dell'esercito bizantino intrapresa da Giustiniano all'inizio del VI secolo.

Ala Patrui - Venne formata nella Gallia Lugdunense, ma nulla si sa su sua dislocazione. 

Ala Phrygum - Un prefetto del periodo flavio (sotto Tito o Domiziano) appare sull'iscrizione spagnola CIL II 4251. Un secondo Prefetto dal tempo di Pio (vedi CIL XIV 4148) è citato in CIL XIV 171.  Una vexillatio Phrygum presumibilmente nel diploma dacico LXVII di J. 158.

- Ala Picentiana - Nel I secolo appartiene all'esercito germanico superiore, come dimostrato dal Diploma XI (IX) per il J. 74 e il Diploma XIV (LXVIII) per l'82. Nella guerra Bata, aveva inizialmente aderito al nemico insieme alla legio XVI, a cui era assegnato, ma molto presto la connessione fu interrotta e la marcia fu forzata a Mainz (Tac. Hist. IV 62). Dal momento della loro permanenza in Germania, abbiamo due iscrizioni, la lapide di un cavaliere di Dienheim vicino a Worms, CIRh 915, e quella di un Decurio di Wiesbaden, 1334. Dalla Germania, l'A. si è poi trasferita in Gran Bretagna, dove si è diplomata XLIII (XXX) in J. 124. Poiché il diploma XXI (LXXIX) di J. 90 non elenca più l'A. tra gli auxili di Germania superiore, il trasferimento in Gran Bretagna si sarebbe verificato tra 82 e 90, probabilmente in connessione con le campagne di Agricola. Gli altri destini di A. sono sconosciuti.


ELMO AUSILIARIO
Ala Pomponiani - fu formata nella Gallia Lugdunense e dislocata in Germania inferiore a Bonna. Si conosce solo attraverso la tomba funeraria di un soldato dell'anno 128.

Ala Praetoria è posizionata nell'area di Sirmio tra il 85 ed il 110, più precisamente a Teutoburgium. Allo stesso modo della vicina Cohors V Gallorum pur rimanendo posizionata sempre nella stessa località, fa parte del contingente ausiliario prima della Pannonia (fino all'86), poi della Mesia superiore, ed infine della neo provincia di Pannonia inferiore attorno al 107.

Ala Rusonis è formata nella Gallia Lugdunense e dislocata nel I secolo in Germania superiore. Nota solo dall'epitaffio di un cavaliere di Mainz-Zahlbach, CIR 1230.

Ala Sabiniana - appartenente agli eserciti britannici. Essa formò la guarnigione di Hunnum, la quinta stazione del Vallo di Adriano.

Ala Scubulorum - La tribù da cui era originaria è sconosciuta. Si trovava in Germania superiore, dove per il 74, 82, 90 e 116 vennero concessi i diplomi XI (IX). XIV (LXVIII). XXI (LXXIX) e XL (XXVII) ai suoi soldati. Abbiamo tre iscrizioni dell'Alta Germania, la lapide di un veterano di Wiesbaden (CIR 1526) e la moglie di un decesso. All'esterno della provincia sono state rinvenute pietre tombali di un subpraefectus e un cavaliere dell'A. Ad Aquileia, Pais Suppl. Ital. 1162. CIL V 907. Evidentemente l' ala Scubulorum in realtà si fermò una volta ad Aquileia.

- Ala Sulpicia Civium Romanorum - Ala quinquagenaria, probabilmente fondata da Galba, della gens Sulpicia, intorno al 68. Infatti se il nome fosse stato derivato da quello del comandante l'Ala si sarebbe chiamata Sulpiciana. L'aggiunta di Civium Romanorum, lascia desumere che i soldati dell'unità avevano ottenuto la cittadinanza romana per il valore dimostrato, probabilmente nella repressione della rivolta batava. Infatti i soldati ingaggiati dopo non hanno ricevuto la cittadinanza romana fino alla loro onorata partenza (Honesta missio) dopo 25 anni di servizio. L'aggiunta avviene nei diplomi militari dal 101 al 152 e nelle iscrizioni ( AE 1966, 187 , CIL 13, 1680 ).

Ala Scaevae - venne formata nella Gallia Lugdunense; conosciuta solo attraverso la pietra tombale di un equia evocatus di Minturnae, CIL X 6011, del I secolo. Poiché l'uomo aveva solo 23 anni, deve essere morto come soldato attivo, probabilmente ha trovato la sua morte nella marcia della sua Ala. da o in Oriente, o negli anni della guerra civile nel 69 e 70.

Ala Sebastena - nel 201 era nella Mauretania Caesariensis nello Ouarsenis sud-occidentale.

ALA VALERIA DROMEDARIORUM
Ala Sebastenorum Gemina - Menzionato da Giuseppe Flavio. Jud. XIX 365.
Dopo di ciò si trovò in Iudaea nel 44. i loro equipaggi, costituiti in gran parte da samaritani, parteciparono alle rivolte dopo la morte del re Agrippa, e l'Ala doveva essere inviato al Ponto con le altre auxilie ebraiche, sotto Claudio.
La sua posizione era Cesarea, da cui ha partecipato nel 51 con il comando del Procuratore Cumanus contro gli ebrei, Giuseppe. ant. XX 122; Bell. Jud. II 12, 5.
Dopo la grande guerra ebraica, Vespasiano rimosse l'intero contingente dalla Giudea (Giosuè e XIX, 365). Dove sia finito il a. Sebastenorum , Giuseppe Flavio non lo dice. 

Ala Siliana - era in Numidia durante il principato di Nerone, viene trasferita in seguito in Pannonia (Domiziano?), e dopo la conquista della Dacia è in questa provincia a Gilău.

Ala Siliana torquata civium Romanorum -  Era originariamente in Africa, dove era ancora nel 60. (Tac. Hist. II 70). Ordinato da Nerone di marciare contro l'Etiopia (Plinio n. VI 181) in Egitto, l'Ala venne richiamata all'inizio del 69 nel nord Italia e passò da Otho a Vitellio, sotto cui aveva prestato servizio in Africa. Nello stesso tempo i suoi cavalieri occuparono: Vitellius Mediolanum, Novaria, Eporedia e Vercellae.
Sotto Domiziano troviamo l' ala Siliana in Pannonia, dove vennero consegnati i diplomi XVI (LXXIV). XVII (XII) e XXVII (XIX) per l'84, 85 e 98, nelle Guerre del Danubio di Domiziano. Sotto Traiano avrebbe combattuto in Dacia. Il campo base della truppa doveva essere stato a Gyálu vicino a Napoca, e diventa l' ala Siliana. In un unico caso in cui l'Ala è chiamata con il soprannome torquata; ma in quale guerra abbia ricevuto il premio, non si sa.

Ala Sulpicia singular civium Romanorum - era formata nella Gallia Lugdunensis e dislocata in Germania inferiore (diplomi del 78, 94, 101, e 187) ad Ara Ubiorum. 

Ala Tautorum victrix Civium Romanarum - Venne stanziata nell' Hispania Tarraconensis nel 25 a.c. circa, campagna Asturo - Cantabrica, aggregata alla Legio VI Victrix. Ottenne la cittadinanza romana per il valore dimostrato in battaglia.

Ala Thracum Herculania - Si pensa fosse di origine siriana.

Ala Treverorum - due volte ricordata Tacito (Hist l 2 c 14 l 4 c 50), i cavalieri provenivano dalla Città della Germania nella valle della Mosella, sede della tribù dei Treviri che Cesare conquistò il nel 57 a.c. e Augusto riorganizzò e abbellì tra il 16 e il 19 a.c.

Ala Valeria Drumedariorum -  ala araba, di stanziamento in Egitto ancora nel V secolo. Ovviamente si serviva dei dromedari per viaggiare e combattere nel deserto.

Ala Vallensium è posizionata in Germania Superiore probabilmente dai tempi di Ottaviano Augusto.

- Ala Veterana Gaetulorum - originaria dei Getuli, una popolazione antica del Nordafrica, nomade, che abitava nelle regioni predesertiche e desertiche degli attuali Algeria e Marocco Ha conseguito diplomi militari dall' 86 al 142 ed è stata di stanza nelle province di Iudaea e Arabia .

GENS POSTUMIA

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MONETA DELLA GENS POSTUMIA

La gens Postumia fu una delle più antiche gentes patrizie di Roma. Spesso i suoi membri occuparono alte cariche dello stato, dalla cacciata dei re fino alla caduta della repubblica. Il primo dei Postumii che ottenne il consolato fu Publius Postumius Tubertus nel 505 a.c., 4 anni dopo la cacciata dei re.

Il nome Postumius è un soprannome patronimico, derivato dal praenomen Postumus, probabilmente antenato della gens. Questo nome derivò dalla stessa fonte come aggettivo, con il significato di "ultimo nato" cioè il figlio più giovane. Non sembra sia relativo al moderno significato di postumo, cioè un'opera editata dopo la morte dell'autore o un figlio nato dopo la morte del padre, ma su questo non tutti gli autori sono d'accoro.


Praenomina usati dalla gens Postumia

Le più famose familiae dei Postumii durante l'inizio della Repubblica usò i praenomina 
Aulus, Spurius, Lucius. Marcus, Publius, e Quintus. 
Verso la fine della Repubblica, si riscontrano i nomi di Gaius, Gnaeus, e Titus.


Rami e cognomina della gens

Le familiae più distinte di questa gens ebbero i cognomen di Albus o Albinus; ma distinte familiae si sono riscontrate anche all'inizio della Repubblica con i nomi Megellus e Tubertus. Regillensis fu un agnomen (soprannome) degli Albini. Nelle Guerre Puniche e successivamente, vennero usati i soprannomi Pyrgensis, Tempsanus e Tympanus. rari Postumii appaiono nelle varie fonti senza soprannomi.

PRIMA SECESSIONE DELLA PLEBE


PERSONAGGI PIU' FAMOSI


POSTUMII TUBERTI


- Publius Postumius Q. f. Tubertus, console nel 505 e 503 ac.

Publius Postumius Tubertus, figlio di Quintus, fu il primo della gens postumia a ottenere la carica di console, nel 505 ac, il V anno della repubblica romana. Insieme al collega Marcus Valerius Volusus, combattè contro i Sabini, che sconfissero definitivamente presso il Tevere, ottenendo un trionfo.

Divenne console per la II volta nel 503 a.c. e Livio narra che stavolta combattè e sconfisse gi Aurunci (abitanti di Lazio e Campania), ottenendo un secondo trionfo. Altri autori affermano avesse di nuovo combattuto contro i Sabini, in un primo momento con scarso successo, ma alla fine vittorioso per cui ottenne un'ovazione o un trionfo minore. Sembra fu la prima volta in cui questo onore sia stato conferito a un magistrato della Repubblica.

Nel 494 a.c., Postumio fu inviato dal senato come ambasciatore alla plebe riunitasi sul Monte Sacro durante la I Secessione. Ebbe un notevole successo perchè fece cancellare alcuni debiti della plebe e istituì la carica di Tribuni Plebis, or "Tribuni della Plebe", con potere di veto sugli atti del Magistrato e del Senato. In riconoscimento dei meriti e della sua reputazione, Postumius e i suoi discendenti ricevettero l'alto privilegio di essere seppelliti entro le mura della città.


- Aulus Postumius Tubertus, dittatore nel 431 ac.

Combattè contro gli Aequi (abitanti il Lazio oreint. sugli Appennini) e i Volsci nel V sec. a.c.. Fu nominato Magister Equitum dal dittatore Mamercus Aemilius Mamercinus, nominato già dittatore nel 426, poi nel 431 e in futuro di nuovo nel 437 a.c.

Suo genero fu Titus Quinctus Poenus Cincinnatus, console nel 431 e nel 428 a.c..

Quando fu deciso di nominare un dittatore per intraprendere la guerra con Aequi e Volsci nel 431, non essendo i consoli concordi, si scelse a sorte Cincinnato, che nominò a sua volta suo suocero.

I due uomini procedettero contro il nemico e il 18 giugno vinsero Aequi e Volsci sul monte Algidus, dove già aveva sconfitto gli Equi il dittatore Lucius Quinctus Cincinnatus nel 458 a.c. Fu l'ultima grande battaglia tra Roma e gli Equi, e al suo ritorno, Postumo ricevette un trionfo.

Si narra che durante questa campagna, il figlio di Postumo era così ansioso di ingaggiare il nemico che lasciò il posto assegnatogli dal padre, e che per punizione Postumio lo fece mettere a morte. Livio dubitava della verità di questo racconto, osservando che una simile e più infame tradizione era associata a Tito Manlio Torquato, console nel 347, 344 e 340 a.c. ma non tutti gli autori sono d'accordo.




POSTUMII ALBI E ALBINI


- Aulus Postumius P. f. Albus Regillensis, dittatore nel 498 e console nel 496 ac.

Combattè e vinse i Latini nella grande battaglia del Lago Regillo e per questo ottenne il trionfo. 
Molte monete dei Postumii Albi commemorano questa vittoria del loro antenato, riportato anche in una pittura. 

Il mito narra che Castore e Polluce combatterono nella battaglia a fianco dei Romani, cosicchè venne lor dedicato un tempio nel foro.

Divenne console nel 496 a.c., anno in cui sia Livio che Dioniso pongono la battaglia del Lago Regillo. Il nome "Regillensis" si suppone sia derivato da questa battaglia; ma lo storico B. G. Niebuhr pensa sia stato preso dal luogo di residenza, d'altronde Livio afferma che Scipione Africano fu il primo romano a ottenere un cognome dalle sue conquiste. 

Nel 495 a.c. Postumio fu scelto con breve preavviso dai romani per condurre la cavalleria alla vittoria contro l'invasione sabina. Secondo alcune genealogie, fu padre di Spurius Postumius Albus Regillensis ed Aulus Postumius Albus Regillensis.


- Spurius Postumius A. f. P. n. Albus Regillensis, console nel 466 e decemviro nel 451 ac.

Figlio di Aulo Postumio Albo Regillense, fu console nel 466 a.c. e fu uno dei tre inviati in Grecia per raccogliere informazioni sulle leggi di quel paese, fu poi membro del I Decemvirato del 451 a.c.. Come legato comandò l'esercito romano nella Battaglia di Corbio, in cui Equi e Vosci furono sconfitti nel 446 a.c.. Si ritiene fosse padre di Spurio Postumio Albo Regillense che fu tribuno consolare nel 432 a.c..


- Aulus Postumius A. f. P. n. Albus Regillensis, console nel 464 ac.

Si pensa figlio di Aulus Postumius Albus Regillensis, e quindi fratello di Spurius Postumius Albus Regillensis. A comando dell'esercito, portò avanti la guerra contro gli Aequi e protesse il confine dai predoni. Prima della battaglia del Monte Algido fu inviato come ambasciatore, insieme a Quinto Fabio Vibulano e Publio Volumnius Amintino Gallo, presso gli Aequi nel 458 a.c, e in quella occasione fu insultato dal loro comandante, che gli disse di prendere le rimostranze di Roma e di rivolgerle a una quercia.


- Spurius Postumius S. f. A. n. Albus Regillensis, tribunus militum consulari potestate nel 432 ac.

Questi tribuni militum venivano eletti con potere consolare durante il cosiddetto "Conflitto degli Ordini" nella Repubblica romana, a partire dal 444 a.c. e quindi ininterrottamente dal 408 a.c. al 394 a.c. e ancora dal 391 a.c. al 367 a.c. Spurius Postumius si crede figlio dello Spurius Postumius Albus Regillensis che fu console nel 466 a.c, venne nominato tribuno consolare nel 432 a.c. e servì come legatus nella guerra l'anno seguente, sotto il dittatore Aulus Postumus Tubertus. Livio lo cita mentre guida un gruppo di rinforzi in un momento critico.


- Publius Postumius A. f. A. n. Albinus Regillensis, tribun. milit. consul. potes. nel 414 ac,

Avuto il comando contro gli Equi, mostrò grande energia e intraprendenza nel conquistare la città latina di Bolae, promettendo che ogni saccheggio o bottino catturato sarebbe stato distribuito tra le truppe. Successivamente rinnegò la sua promessa; sebbene alcuni scrittori contemporanei pensassero che fosse rimasto fedele alla sua parola, e suggerì che la rabbia dei suoi soldati fosse avvenuta perché la città era stata recentemente saccheggiata e poi ripopolata da nuovi coloni, e c'erano meno oggetti di valore da prendere che Postumius li aveva portati a aspettarsi ( Livio però ne dubita).

Poco dopo Postumius in un'assemblea pubblica minacciò di punire i suoi soldati dopo che fu proposto di dare loro Bolae come coloni. Quando i suoi uomini, furiosi per questo nuovo tradimento, aggredirono un questore che aveva tentato di calmarli, Postumous li punì severamente e ordinò che dei suoi uomini venissero schiacciati a morte. Molti dei soldati tentarono di fermare le esecuzioni con la forza, e quando Postumius si precipitò ad aiutare i suoi littori e centurioni che cercavano di rompere il raduno, una folla inferocita dei suoi uomini lo afferrò e lo lapidò a morte.


- Marcus Postumius A. f. A. n. Albinus Regillensis, censore nel 403 a.c.

Da Livio venne menzionato come tribuno consolare nel 403 a.c. ma ciò fu dimostrato errato da studiosi successivi. In realtà fu censore in quell'anno con Marco Furio Camillo. Nella censura venne imposta una multa a tutti gli uomini rimasti fino alla tarda età.


AULO POSTUMIO ALBINO
- Aulus Postumius Albinus Regillensis, tribunus militum consulari potestate nel 397 ac.

Riuscì a raccogliere con il suo collega Lucio Giulio Iullo un esercito di volontari per far fronte agli etruschi, ma poiché i tribuni impedivano loro di effettuare una regolare riscossione, egli sconfisse e depredò un drappello di Tarquinienses, che stava tornando a casa dopo il saccheggio in territorio romano.


- Spurius Postumius Albinus Regillensis, tribunus militum consulari potestate nel 394 ac.

Portò avanti una battaglia contro gli Equi che all'inizio gli procurò una sanguinosa sconfitta, si che a Roma giunsero le voci che era stato ucciso e le sue forze distrutte vicino a Tusculum. Ma la notizia della sua sconfitta era stata sopravvalutata, e Postumius e i suoi uomini conquistarono in seguito la fortezza degli Equi, cancellandoli completamente.


- Spurius Postumius Albinus, console nel 334 e 321, censore nel 332 ac., gen. nella II Guerra Sannita.

Cercò di invadere, con il collega Tito Veturo Calvino, il paese dei Sidicini, ma poichè il nemico aveva raccolto un grande esercito e i sanniti stavano venendo in loro aiuto, fu nominato un dittatore, Publio Cornelio Rufino che prese il comando.

Fu censore nel 332 a.c. e magister equitum nel 327 a.c, quando Marcus Claudius Marcello fu nominato per tenere i comizi. Nel 321 a.c., fu console una seconda volta con Tito Veturius Calvino, e con lui marciò contro i Sanniti e il loro comandante Gaio Ponzio nella II Guerra Sannitica. 

FORCHE CAUDINE
Postumius fu sconfitto nella battaglia delle Forche Caudine, e, costretto a arrendersi con tutto il suo esercito, fu inviato per onta " sotto il giogo ", nemico.

Come prezzo della sua liberazione e di quello dell'esercito, lui e il suo collega e gli altri comandanti giurarono, in nome della Repubblica, una pace umiliante. 

Tornati a Roma, i consoli, a causa della loro vergogna, deposero il loro ufficio e la loro senatoria e proposero che tutte le persone che avevano giurato la pace (cioè loro stessi) dovessero essere spogliati e legati e consegnati ai Sanniti da i Fetiales. 

Lo storico Livio ne riporta il discorso di Postumio al Senato. La proposta fu accettata e Postumius e gli altri prigionieri furono portati ai Sanniti, ma Gaius Pontius rifiutò di accettare la loro resa, sulla base del fatto che veniva usato come pretesto per annullare il trattato (sfavorevole a Roma) che aveva concluso la battaglia delle Forche Caudine.


- Lucius Postumius L.f. Albinus, Rex sacrorum nel 270 ac.

una figura della magistratura romana. durante il periodo della repubblica, che stabiliva le attività di tutti, sia pubbliche che private, o per meglio dire quando queste si potevano svolgere e in questo caso riguardo all'attività agricola. Inoltre celebrava inoltre riti assieme alle Vestali.


- Aulus Postumius A. f. L. n. Albinus, console nel 242 e censore nel 234 ac.

Come console ebbe come collega Gaius Lutatusus Catulus, che sconfisse i Cartaginesi nella Battaglia delle Isole Aegate, ponendo fine alla prima guerra punica. Albino era stato tenuto in città, contro la sua volontà, dal Pontifex Maximus, perché era Flamen Martialis. Si crede padre di Lucius Postumius Albinus che fu console nel 234 e nel 229 a.c..


Lucius Postumius A. f. A. n. Albinus, console nel 234 e 229 ac, e per la III volta nel 215, ma ucciso dai Boii prima di entrare in carica.

Narra Livio che venne eletto console nel 234 a.c., vincendo una campagna contro i Liguri. Nel 233 a.c. fu eletto Pretore, e venne eletto console per la seconda volta nel 229 a.c., con il collega Gneo Fulvio Centumalo con cui combattè contro la regina illirica Teuta. Albinus poi catturò Apollonia, e andò in soccorso di Epidamnos e Issa, liberandole dagli assedi degli Illiri. Riuscì anche a sottomettere un certo numero di tribù illiriche locali prima di tornare a Epidamnos.

Albino ottenne un'estensione pro-consolare al suo comando nel 228 a.c., per concludere il trattato di pace con gli Illiri, dopo di che, mandò dei legati alle leghe etolia e achee, dove spiegarono le ragioni della guerra e dell'invasione romana, nonché i termini del trattato con la regina Teuta. Al suo ritorno a Roma, a differenza del suo compagno, non gli fu concesso un trionfo per celebrare la sua vittoria.

Di Albinus non sappiamo più nulla fino al 216 a.c., quando, nella II guerra punica i Romani, trovandosi a corto di esperti comandanti, furono costretti a richiamare Albino che per l'occasione fu eletto pretore per la seconda volta e gli fu dato il comando della provincia della Gallia Cisalpina. Condusse il suo esercito di due legioni più alcuni rinforzi contro i celtici Boii, che si erano schierati dalla parte di Annibale.

Mentre era pretore, fu eletto in absentia come console per l'anno 215. Ma mentre viaggiava attraverso la foresta di Litana in Gallia Cisalpina, Albino cadde in un'imboscata di guerrieri Boii, che annientò la maggior parte del suo esercito nella battaglia di Silva Litana. Albino e il resto delle sue legioni tentarono di fuggire su un ponte vicino, ma furono massacrati da un distaccamento di Boii che sorvegliava la traversata. Il console fu decapitato e il suo cranio fu poi rivestito d'oro e trasformato in una coppa sacrificale. Come ci dice Livio:

“ Il Boi spogliò il corpo del bottino e tagliò la testa, portandoli in trionfo al più sacro dei loro templi. Secondo la loro usanza, pulivano il cranio e coprivano il cuoio capelluto con oro battuto; veniva quindi usato come recipiente per libagioni e anche come bicchiere per il sacerdote e per i ministri del tempio. ”

Quando la notizia della morte di Albino giunse a Roma, suscitò un tale allarme che i negozi furono chiusi e quasi nessuno si avventurò fuori dalle loro case. Il Senato ordinò agli editori di girare per la città e ordinare ai cittadini di riaprire i loro negozi e fermare il lutto pubblico non ufficiale. Il sostituto di Albino come console fu Marco Claudio Marcello. 


- Spurius Postumius L. f. A. n. Albinus, console nel 186 ac.

Fu pretore peregrino nel 189 a.c., responsabile negli affari esteri; e console nel 186 a.c.. Nel suo consolato passò il senatus consultum de Bacchanalibus, che riformò il culto misterioso di Bacco a Roma e sul suolo italico. Secondo Livio fu una reazione a vari crimini commessi da membri del culto e alla sua minaccia allo stato romano. 

Ma più probabile un tentativo di Postumo e del Senato di imporre i valori romani tradizionali su un'associazione civile e religiosa non ufficiale ma pericolosamente popolare, diffusa e potenzialmente sovversiva. Postumio era anche un augure che gli conferiva un certo grado di autorità religiosa. Morì nel 179 a.c. in età avanzata.


- Aulus Postumius A. f. A. n. Albinus Luscus, console nel 180 e censore nel 174 ac.

Fu curule aedile nel 187 ac., pretore nel 185 ac. e console nel 180 ac.. Nel suo consolato condusse la guerra contro i Liguri. Fu censore nel 174 ac con Quinto Fulvio Flacco. Ambedue severi; espulsero nove membri dal Senato e degradarono molti dei gradi equestri. 

Promulgarono, tuttavia, molte opere pubbliche. Fu eletto nella sua censura uno dei decemviri sacrorum al posto di Lucius Cornelius Lentulus. Nel 175 ac fu inviato nel nord della Grecia per indagare sulla verità delle aggressioni dei Dardani e dei Tessali riguardo ai Bastarnae e Perseo di Macedonia.

Nel 171 ac fu inviato come uno degli ambasciatori a Creta; e dopo la conquista della Macedonia nel 168 ac fu uno dei dieci commissari incaricati di regolare gli affari del paese con Lucio Emilio Paolo Macedonico. Livio non di rado lo chiama "Luscus", per cui sembrerebbe che fosse cieco da un occhio.


- Spurius Postumius A. f. A. n. Albinus Paullulus, console nel 174 a.c.

Fu pretore in Sicilia nel 183 ac. e console nel 174 ac.. Era probabilmente un fratello di Aulus Postumius Albinus Luscus e Lucius Postumius Albinus, e forse ottenne l'agnomen di "Paullulus" (in latino per piccolo Paolo, Paoletto) essendo piccolo di statura, per distinguerlo dai suoi due fratelli più alti di lui


RITROVAMENTO CONDUTTURA IDRAULICA CON IL NOME DI PUBLIUS POSTUMIUS PRIMIGENIUS

Lucius Postumius A. f. A. n. Albinus, console nel 173 a.c.

Da non confondere con suo padre (o zio?), Lucius Postumius Albinus , ucciso nel 216 ac..
Probabilmente fratello di Spurius Postumius Albinus Paullulus e Aulus Postumius Albinus Luscus.
Fu pretore nel 180 ac. e ottenne la provincia di Hispania Ulterior e la sua carica venne prorogata l'anno seguente. 

Dopo aver conquistato i Vaccaei e i Lusitani, tornò a Roma nel 178 ac. e ottenne un trionfo per le sue vittorie. Divenne console nel 173 ac., con Marcus Popillius Laenas e ad entrambi venne assegnata la guerra in Liguria. Albino, tuttavia, fu inviato per la prima volta in Campania per separare la terra dello stato da quella dei privati, perché i proprietari terrieri privati ​​avevano lentamente esteso i propri confini in terreni pubblici. 

Questa faccenda lo occupò tutta l'estate, così che non fu in grado di andare nella sua provincia. Fu il primo magistrato romano a mettere a repentaglio gli alleati latini quando un magistrato percorse i loro territori. Durante il suo consolato venne ripristinata la festa delle Floralia, che era stata abolita.

Nel 171 ac. fu uno degli ambasciatori inviati a Masinissa e ai Cartaginesi per raccogliere truppe per la guerra contro Perseo di Macedonia. Nel 169 ac, fu un candidato infruttuoso per la censura. Servì sotto il comando di Lucio Emilio Paullo in Macedonia nel 168 ac. e comandò la seconda legione nella battaglia con Perseo. Durante la guerra, fu inviato a saccheggiare la città di Aeniae.


- Aulus Postumius Albinus, ufficiale dell'esecito di Lucius Aemilius Paullus che combattè in Macedonia nel 168 ac.


Lucius Postumius S. f. L. n. Albinus, console nel 154 a.c.,
morì subito dopo aver lasciato Roma. Fu curule aedile nel 161 ac. e presiedette ai Ludi Megalenses, in cui debuttò il dramma di Eunuco di Terence. Fu console nel 154 ac. e anche Flamen Martialis nel 168 ac fino alla sua morte. Morì sette giorni dopo essere partito da Roma per andare nella sua provincia. Si suppose che fosse stato avvelenato da sua moglie.


Aulus Postumius A. f. A. n. Albinus, console nel 151 a..c, e studioso greco.

figlio di Aulo Postumio Albino Luscus, fu pretore nel 155 ac. e console nel 151 ac. con Lucio Licinio Lucullo. Insieme al suo collega venne gettato in prigione dalle tribune per aver condotto i prelievi con troppa severità. Fu uno degli ambasciatori inviati nel 153 ac. per fare la pace tra Attalo re di Pergamo e Prusia re di Bitinia, e accompagnò Lucio Mummio Achaico in Grecia nel 146 ac. in qualità di suo legato. C'era una statua eretta in suo onore sull'istmo.

Albino conosceva bene la letteratura greca e scrisse in quella lingua un poema e una storia romana, menzionat da diversi scrittori antichi. Polibio lo descrive un vanitoso con la testa vuota, che aveva denigrato il suo stesso popolo, devoto solo allo studio della letteratura greca. Racconta una storia di lui e di Catone il Vecchio che rimprovera Albinus perché nella prefazione alla sua storia ha implorato il perdono dei suoi lettori, se dovesse commettere errori nella scrittura in una lingua straniera; Cato gli ricordò che non era obbligato a scrivere affatto, ma che se avesse scelto di scrivere, non doveva chiedere l'indulgenza dei suoi lettori. 

Questo racconto è anche riferito da Aulo Gellio, Macrobio, Plutarco, e dalla Suda. Polibio riferisce anche che si ritirò a Tebe, quando la battaglia fu combattuta a Focide, per indisposizione, ma in seguito ne scrisse un resoconto al Senato come se fosse stato presente. Cicerone parla con un certo rispetto dei suoi meriti letterari; lo chiama "uomo dotto" ( doctus homo ). Macrobio cita un passo del primo libro degli Annali di Albino su Bruto, e poichè usa le parole di Albino, si suppone che la storia greca fosse stata tradotta in latino.


Spurius Postumius Albinus Magnus, console nel 148 a..c.,

Fu console nel 148 ac., anno in cui un grande incendio avvenne a Roma. È questo Spurio Albino di cui Cicerone parla nei Bruto, e dice che c'erano molte sue orazioni.


Spurius Postumius S. f. S. n. Albinus, console nel 110 a.c.

Probabilmente figlio di Spurius Postumius Albinus Magnusu, fu console nel 110 ac. e ottenne la provincia di Numidia per portare avanti la guerra contro Giugurta. Fece vigorosi preparativi per la guerra, ma quando raggiunse la provincia si lasciò ingannare dagli artifici di Giugurta, che prometteva costantemente di arrendersi. Molte persone supposero che la sua inattività fosse intenzionale e che Giugurta lo avesse comprato. Quando Albino partì dall'Africa, lasciò il comando a suo fratello Aulus Postimius Albinus.

Dopo la sconfitta di quest'ultimo tornò in Numidia, ma per lo stato disorganizzato del suo esercito, non fece guerra, e consegnò l'esercito in questa condizione, l'anno successivo, al console Quinto Cecilio Metello Numidico. Fu condannato dal Lex Mamilia, che punì tutti coloro che si erano resi colpevoli di trattative private con Giugurta.

MONETA DELLA GENS POSTUMIA

Aulus Postumius S. f. S. n. Albinus, propretore nel 110 a.c.

fratello di Spurio Postumio Albino e probabilmente figlio di Spurio Postumio Albino Magnus,
Fu lasciato da suo fratello come propretore al comando dell'esercito in Africa nel 110 ac. Marciò per assediare Suthal, dove si trovavano i tesori di Giugurta; ma questi, con la promessa di dargli una grossa somma di denaro, lo indusse a condurre il suo esercito in un luogo appartato, dove fu improvvisamente attaccato dal re Numido, e salvò le sue truppe dalla distruzione totale permettendo loro di passare sotto il giogo nemico, e l'impegno di lasciare Numidia in dieci giorni.


- Aulus Postumius A. f. S. n. Albinus, console nel 99 ac,.

Aulo Gellio ne cita le parole in un senatus consultum passato nel loro consolato a seguito di alcuni movimenti riscontrati nelle lance di Marte. Cicerone lo menziona come un buon oratore.

Era il nipote di Spurius Postumius Albinus Magnus, e probabilmente figlio di Aulus Postumius Albinus .Fu anche padre adottivo di Decimo Giunio Bruto Albino, uno degli assassini di Giulio Cesare (dal quale Decimo Bruto adottò il nome di Albino).


Aulus Postumius Albinus, pretore nel 89 ac, assassinato dai suoi soldati.

Comandante di grado pretorio della flotta nella Guerra di Marsie nel 89. Fu successivamente ucciso dai suoi stessi soldati che sostenevano di essere stato colpevole di tradimento. La maggior parte dei resoconti contemporanei, tuttavia, credono che il vero motivo per cui è stato ucciso sia dovuto alla sua crudeltà. 

Silla, che era allora un legato del console Lucio Porzio Catone, incorporò le sue truppe con le sue, ma non punì i colpevoli, cosa inammissibile per il reato contro un traditore.


Aulus Postumius Albinus,

posto al comando della Sicilia da Giulio Cesare nel 48 a.c. Sicuramente un buon generale perchè Cesare sapeva scegliere i suoi luogotenenti.


- Decimus Junius (D. f. D. n.) Brutus Albinus

(adottato da A. Postumius Albinus, console del 99 ac), ammiraglio sotto Cesare, e più tardi uno dei suoi assassini.

(85-81 - 43 ac.) Decimo Bruto era un lontano cugino di Giulio Cesare, e in diverse occasioni disse che Cesare aveva amato Bruto come un figlio. Ronald Syme sosteneva che se un Bruto era il figlio naturale di Cesare, Decimo era probabilmente Marcus, un altro lontano cugino. Decimo fu nominato erede di secondo grado nel testamento di Cesare.

Decimo Bruto trascorse la sua giovinezza principalmente in compagnia di Publio Clodio Pulcher, Gaio Scribonio Curio e Marco Antonio. Sua madre era Sempronia, moglie di Decimo Giunio Bruto, console nel 77 ac. Fu adottato da Aulus Postumius Albinus, ma mantenne il proprio nome di famiglia, aggiungendo solo il cognomen del padre adottivo Albinus.

Prestò servizio nell'esercito di Cesare durante le guerre galliche e ricevette il comando della flotta nella guerra contro i Veneti nel 56 ac. In una decisiva battaglia navale, Decimo Bruto riuscì a distruggere la flotta di Veneti, su idea di Cesare, usando uncini a forma di falce montati su lunghi pali, per immobilizzare le vele nemiche. Si battè anche contro Vercingetorige nel 52 ac.

Quando scoppiò la guerra civile repubblicana, Decimo Bruto si schierò con Cesare, e fu nuovamente affidato alle operazioni della flotta. Richard Billows sosteneva che Cesare amava Decimo Bruto quasi come un figlio.

La città greca di Massilia (attuale Marsiglia) si schierò con Pompeo il Grande, e Cesare, affrettandosi a raggiungere la Spagna e tagliato fuori Pompeo dalle sue legioni, lasciò Decimo Bruto a capo del blocco navale di Massilia. Nel giro di trenta giorni, Decimus Brutus costruì una flotta da zero e assicurò la capitolazione di Massilia.


Idi di marzo 

Quando Cesare tornò a Roma come dittatore dopo la sconfitta finale della fazione repubblicana nella Battaglia di Munda (45 ac), Marcus Brutus si unì alla cospirazione contro Cesare, dopo essere stato convinto da Cassius e Decimo. Nel 44 ac, Decimo divenne Pretore Peregrino per nomina di Cesare e fu designato come governatore della Gallia Cisalpina l'anno successivo.

Alle idi di marzo (15 marzo), quando Cesare decise di non partecipare all'incontro del Senato a causa delle preoccupazioni di sua moglie, fu persuaso a partecipare da Decimus Brutus, che lo scortò alla casa del senato, e sfuggì a Marco Antonio, chi voleva dire a Cesare del complotto. Dopo che Cesare fu attaccato dal primo sicario, Servilio Casca, Decimo e il resto dei cospiratori lo attaccarono e lo uccisero. In tutto, Cesare subì circa 23 coltellate. Secondo Nicolaus di Damasco, Decimo Bruto fu l'ultimo a colpire Cesare, pugnalandolo al fianco.

Il giorno successivo gli assassini ricevettero l'amnistia, emessa dal senato su istigazione di Marco Antonio, console di Cesare. Ma la situazione non era pacifica; La popolazione di Roma e i legionari di Cesare volevano vedere puniti i cospiratori. Il gruppo decise di ritirarsi, e Decimo usò il suo ufficio di Pretore Peregrino per stare lontano da Roma.

Nel 43 ac, Decimo Bruto raggiunse la Gallia Cisalpina, provincia assegnatagli come pro-pretore, e iniziò a raccogliere le proprie truppe. Gli fu ordinato dal Senato di consegnare la sua provincia ad Antonio ma rifiutò. Questo è stato l'atto di provocazione a cui Antonio fu felice di rispondere. Nel 43 ac Decimo Bruto occupò Mutina, disponendosi a un lungo assedio. Antonio mise la città in assedio per farli morire di fame. 

Tuttavia, i consoli dell'anno, Aulus Hirtius e Gaius Pansa, marciarono verso nord per sollevare l'assedio. Guidato da Cicerone, il senato era incline a vedere Marco Antonio come un nemico. Cesare Ottaviano, l'erede di Cesare di diciannove anni, e già elevato al grado di propraetore, accompagnò Gaius Pansa a nord.
Il primo scontro è avvenuto il 14 aprile nella battaglia di Forum Gallorum. dove Antonio sconfisse le forze di Gaio Pansa, ma fu poi sconfitto da un attacco a sorpresa di Hirtius. Una seconda battaglia il 21 aprile a Mutina ha provocato un'ulteriore sconfitta per la morte di Hirtius. Ma Antonio si ritirò, non volendo divenire oggetto di una doppia circonvallazione come Cesare aveva fatto a Vercingetorige ad Alesia..
Decimo Bruto ringrazia cautamente Ottaviano, ora comandante delle legioni che lo hanno salvato, dall'altra parte del fiume. Ottaviano disse freddamente che era venuto per opporsi ad Antonio, non per aiutare gli assassini di Cesare. A Decimo Bruto fu dato il comando di condurre una guerra contro Antonio, ma molti dei suoi soldati lo abbandonarono per Ottaviano.

Decimo Bruto fuggì dall'Italia, abbandonando le sue legioni. Tentò di raggiungere la Macedonia, dove Marcus Junius Brutus e Gaio Cassio Longino si erano stanziati, ma fu giustiziato da un capo gallico fedele a Marco Antonio. Diverse lettere scritte da Decimo Bruto negli ultimi due anni della sua vita sono conservate nella corrispondenza raccolta di Cicerone.

PERCORSO DELLA VIA POSTUMIA

POSTUMII MEGELLI  


- Lucius Postumius L. f. S. n. Megellus,

console nel 305, 294, e 291 ac.  Lucius Postumius Megellus (345  –  260 ac.) Per quanto arrogante e prepotente, fu eletto console tre volte, e fu uno dei principali comandanti romani durante la III Guerra Sannita.

Lottò impedire l'apertura delle cariche politiche alle classi plebee, e fu prepotente e oppressivo nei confronti dei suoi colleghi magistrati e dei cittadini della Repubblica. La sua carriera fu intrecciata alle guerre sannite in corso, che gli permisero di salire ai più alti livelli di carica politica,  indipendentemente dalla legge (come il suo disprezzo per la Lex Genucia per rivendicare il consolato per la terza volta nel 291).

Da Curule Aedile, nel 307 ac., multò pesantemente i violatori della la Lex Licinia Sextia che avevano invaso il territorio pubblico. Con le somme raccolte, Megellus fece costruire un tempio dedicato alla Vittoria, nel 294 ac.

La sua elezione a console, per la prima volta nel 305 ac., lo vide partecipare agli ultimi anni della Seconda Guerra Sannita, sconfiggendo i Sanniti nella battaglia di Bovianum dove conquistò la città. Tornando a Roma, Megellus e il suo collega consolare Marco Fulvio Curvo Paetino conquistarono le città di Sora, Arpinum e Cerennia.

Livio informa che Megellus ricevette un trionfo, però non confermato da Fasti Triumphales. La cattura di Bovianum portò i Sanniti a chiedere la pace nel 304 ac, ponendo fine alla II guerra dei Sannitica.

Con la ripresa delle ostilità nel 298, Roma ebe bisogno di comandanti militari esperti contro i Sanniti a sud in lega con gli Etruschi, gli Umbri e i Galli a nord. Pertanto nel 295 a.c., chiamò Megello, ora privato cittadino e non più consolabile per la lex Genucia, nominandolo Propraetor come privato cum imperio. Gli fu dato il comando di una legione, di stanza sull'ager Vaticanus, sul lato destro del Tevere. Durante la campagna che culminò con la battaglia di Sentinum, a Magellus fu ordinato di attaccare gli Etruschi intorno Clusium. Tornato a Roma poco dopo, il suo esercito venne sciolto.

Eletto console per la seconda volta nel 294 a.c., Megellus venne inviato sul fronte meridionale dove catturò diverse città del Samnium, ma in Puglia fu sconfitto e messo in fuga, e dopo essere stato ferito fu condotto in Luceria con alcuni suoi uomini. Tornato a Roma dovette riprendersi dalle ferite, dedicò il tempio della Vittoria a Roma.

Tornato in campagna nel Samnium, catturò le città di Milionia e Ferentinum. Fonti contraddittorie collocano Megellus anche in Etruria nel 294 ac., ma è confutato dai moderni. Alla fine della stagione celebrò un trionfo sui Sanniti, trionfo confutato in quanto aveva tecnicamente lasciato la provincia che il Senato gli aveva assegnato, durante il suo ritorno a Roma. Disprezzando l'opposizione, celebrò il trionfo senza il permesso del Senato, quindi a sue spese.

Non appena lasciato l'ufficio, il 1° gennaio 293, Megellus fu accusato per le sue azioni come console da uno dei tribuni, Marco Cantio. Ma essendo in corso la guerra sannita, venne nominato legatus al console Spurius Carvilius Maximus, con l'accordo di sospendere l'azione penale fino alla fine della della campagna elettorale. Tuttavia, le vittorie ottenute da Carvilius Maximus, soprattutto la battaglia di Aquilonia, in cui Megellus combattè, fece abbandonare il processo, perchè i suoi avversari credevano che per la sua popolarità sarebbe stato trovato innocente.

Alla fine del 292, Megellus venne nominato Interrex, al fine di convocare la Comitia Curiata e tenere le elezioni consolari. Durante il processo, motivato dal fatto che la guerra contro il Samnium era stata praticamente vinta, nominò se stesso, violando così la legge che vieta agli uomini di servire come console di nuovo se non sono passati dieci anni. Vinse e divenne console maggiore nel 291 a.c., ed esigette immediatamente che il Samnium gli venisse assegnato come suo teatro di guerra, senza attendere il sorteggio per i comandi provinciali.

In seguito alle dure obiezioni del suo collega Gaius Junius Bubulcus Brutus (che alla fine decise di non imporre il veto), la sua richiesta venne accolta. In quell'anno, anche se la resistenza sannita fu quasi completamente schiacciata, ricevette le truppe e il console dell'anno precedente, Quintus Fabius Maximus Gurges, ancora in campo con un esercito che dirigeva con un imperium proconsolare. Indipendentemente da ciò, prese il suo esercito e ha marciò verso i confini del Samnium.

Nel corso degli ultimi due anni, Magellano aveva acquistato dai Sanniti grandi appezzamenti di terreno non bonificato che, pur essendo tecnicamente pubblici, egli considerava come propri. Invece di unirsi immediatamente a Gurges, che stava assediando Cominium, usò circa 2.000 dei suoi soldati per iniziare a sgomberare la terra, cosa che fece perdere del tempo, prima di trasferirsi finalmente da Gurges. Secondo Dioniso d'Alicarnasso, la gelosia di Megellus impedì a Gurges di prendere la roccaforte sannita di Cominium.

TEMPIO DELLA VITTORIA
Avvicinandosi alla città, Megellus scrisse a Gurges, ordinandogli di ritirarsi dal Samnium. Questi rifiutò, dichiarando che il suo comando gli era stato dato dal Senato, e scrisse a Roma, chiedendo al Senato di confermare il suo comando. Il Senato inviò una delegazione di senatori a Megellus, affermando che non doveva contrastare il decreto del Senato. Rispose alla deputazione che, finché era il console debitamente eletto di Roma, spettava a lui comandare il Senato, non al Senato dettargli come avrebbe dovuto svolgere le sue funzioni.

Poi marciò verso Cominium, e costrinse Gurges a dimettersi dal suo comando. Questi dovette obbedire, e Megellus, avendo preso il comando di entrambi gli eserciti, immediatamente rimandò Gurges a Roma. Cominium cadde rapidamente, e a questo seguì una campagna contro gli Hirpini, seguita dalla cattura di Venusia.

Presa Venusia, Megellus chiese al Senato dovrebbe trasformarlo in una colonia romana. Sebbene il Senato seguisse il suo consiglio, influenzati dai Fabii nemici di Megellus,  rifiutarono di nominarlo uno dei commissari responsabili dell'assegnazione delle terre ai coloni e della supervisione del nuovo insediamento. Infuriato, Megellus decise di distribuire tutti i saccheggi della campagna tra i suoi soldati, al fine di impedire al Tesoro di Roma di ottenere qualsiasi bottino. Inoltre, sciolse i suoi eserciti prima dell'arrivo del suo successore.

Tornato a Roma, chiese un altro trionfo per le sue vittorie, che il Senato rifiutò. Chiese  al popolo di sostenerlo, ma questo non rispose coll'entusiasmo voluto. Poi si rivolse alle corti plebee, ma queste posero il veto alla sua richiesta di trionfo. Il Senato invece votò il trionfo per l'uomo che aveva cacciato, Quinto Fabius Maximus Gurges, permettendogli di rivendicare il merito per la cattura del Cominium.

Lasciato l'ufficio nel 290 ac, Megellus venne perseguito da due dei tribunali con l'accusa di aver impiegato truppe sulla propria terra. Fu condannato da tutte e trenta le tribù, e multato di 500.000 assi, la più pesante multa rilasciata a un cittadino romano.

L'ultima attività nota di Megellus nella vita pubblica risale al 282 a.c., quando a Roma fu chiesto di aiutare la città di Thurii, che stava subendo le incursioni dei Lucani e dei Brutzi. Quando i Romani salparono le loro navi nella baia di Tarentum, i Tarentini la considerarono una violazione del trattato che vietava l'ingresso delle navi romane. Attaccarono con successo le navi e assalirono Thurii, catturando i cittadini romani.

Roma mandò Megellus a Tarentum per chiedere il loro rilascio, e per consegnare coloro che avevano commesso questi atti di aggressione contro Roma. Le sue richieste furono respinte, Megellus fu trattato vilmente; i Terentini schernirono la sua toga romana, la sua imperfetta pronuncia greca, e fuori dalla città, gli pisciarono addosso.
Ebbe solo un figlio,  Lucius Postumius Megellus, eletto console nel III anno della I Guerra Punica.


Lucius Postumius L. f. L. n. Megellus, console nel 262 e censore nel 253 ac.

Figlio di Lucius Postumius Megellus, che era stato console tre volte tra il 305 e il 291 a.c. Il Megellus più giovane fu eletto console nel 262 a.c., durante il III anno della I guerra punica, al fianco di Quinto Mamilius Vitulus. Entrati in carica entrambi i consoli furono inviati subito in Sicilia poichè i cartaginesi volevano trasformare la città di Agrigentum nella loro principale base della costa meridionale della Sicilia. Dopo la campagna nella Sicilia occidentale per un breve periodo, trascorsero il resto del loro consolato assediando e infine catturando Agrigentum.

Frontino narra che Megellus, scorgendo una pecca strategica nelle sortite cartaginesi, aggirò le forze armate cartaginesi per attaccarle dal retro e sbaragliarle. Anche se la conquista della città fu un'importante vittoria per Roma, a nessuno dei due fu assegnato un trionfo, però nel 253 ac, Megellus venne eletto sia Pretore e Censore nello stesso anno. Durante la sua permanenza in questi uffici, Megellus morì.



SUCCESSIVI POSTUMII


Marcus Postumius Pyrgensis,

descritto da Livio come un "agricoltore delle tasse" durante la II Guerra Punica, per l'avarizia e la frode. Avendo Roma e i suoi alleati molte truppe sul campo, e dovendo trasportare loro merci via mare, lo stato si assumeva tutti i rischi per conto di fornitori privati, assicurandoli contro tutte le perdite alle loro navi causate da tempeste. 

Approfittando della loro posizione, alcuni, come Postumio, equipaggiarono navi insicure con carichi piccoli e per lo più senza valore, li mandarono in mare, quindi rimossero gli equipaggi e li affondarono, riportando la perdita esagerando il valore del carico e riferendo anche di naufragi immaginari.

Questa frode fu segnalata per la prima volta nel 213 a.c, ma il Senato non intervenne per non impaurire altri fornitori, che dipendevano dalle assicurazioni dello stato contro la perdita. Nel 212, i tribuni Spurius e Lucius Carvilius lo misero sotto processo, ma i sostenitori di Postumius vennero quasi venuti alle mani con quelli che si erano riuniti per votare. Un altro tribuno, Gaio Servilio Casca, parente di Postumio, non intervenne a suo nome e, per evitare un'insurrezione, i lavori furono fermati dal console Quinto Fulvio Flaccus.

La questione fu quindi portata avanti dal Senato dai consoli, i quali sostenevano che Postumius ed i suoi alleati avevano derubato la gente del loro diritto al voto. I Carvilii chiesero la pena capitale contro Postumius e coloro che lo avevano sostenuto contro la folla. Postumius dopo aver dato garanzie, scelse di andare in esilio piuttosto che apparire per il processo. Molti dei suoi sostenitori fecero lo stesso, mentre quelli che non potevano dare garanzie furono subito imprigionati, insieme ad alcuni di quelli che potevano.


- Lucius Postumius Tympanus, questore nel 194 ac. ucciso in battaglia dai Boii.

Lucius Postumius Tempsanus, pretore assegnato a Tarentum nel 185 ac.

- Aulus Postumius, tribunus militum nel 180 ac..

- Gaius Postumius, tribunus militum nel 168 ac.

- Postumius, un indovino che predisse il successo a Lucius Cornelius Sulla nel 90 o 88 ac.

- Marcus Postumius, questore di Verre nel governo della Sicilia nel 73 ac.

- Gnaeus Postumius, seguace di Servius Sulpicius Rufus contro Lucius Licinius Murena nel 63 ac.

- Titus Postumius, un oratore apprezzato da Cicerone.

- Postumius (forse Titus Postumius), amico di Cicerone, che rifiutò la carica del senato come Pretore nel 49 ac.

- Postumius, legato di Giulio Cesare nel 48 ac.

- Publius Postumius, un amico di Marco Claudio Marcello.

- Quintus Postumius, senatore, assassinato per ordine di Marco Antonio nel 31 ac.

- Paola Postumia una statua dì cui la base fu scoperta a Brescia nel 1844 (Borghesi op. cit. VI p. 157; C. /. L V, 4353),

AUGUSTA RAURICA (Svizzera)

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Augusta Raurica è un grande sito archeologico romano in Svizzera, nel semicantone di Basilea Campagna. Locato a 20 km ad est di Basilea, corrisponde alla moderna Augst (Augusta) ed è la più antica colonia romana sul Reno di cui si abbia notizia. La colonia romana era una comunità autonoma, posta in un territorio conquistato da Roma in cui si erano stanziati dei cittadini romani, legata da vincoli di eterna alleanza e fedeltà con la madrepatria.

Augusta Raurica venne fondata attorno al 44 a.c. dal luogotenente di Giulio Cesare, Lucio Munazio Planco, in un'area occupata da una locale tribù gallica, i Raurici, un piccolo popolo molto battagliero e feroce, confinante con gli Elvezi e i Sequani e che era stanziato presso Basilea. Nel 52 a.c. questo popolo fece parte, con gli Elvezi, dei popoli ribelli al proconsole Gaio Giulio Cesare.

AUGUSTA RAURICA

LUCIO MUNAZIO PLANCO

In una lapide dedicatoria posta sulla porta del Mausoleo di Munazio in Gaeta si legge:

« Lucio Munazio Planco,
figlio di Lucio, nipote di Lucio, pronipote di Lucio, 
console, censore, comandante militare vittorioso per due volte, 
uno dei Septemviri epulones, 
trionfatore dei Reti, 
costruì col suo bottino il Tempio di Saturno, 
divise i campi in Italia a Benevento, 
fondò in Gallia le colonie di Lugdunum e Raurica »


Il tempio di Saturno, già esistente nel Foro Romano, fu in effetti totalmente riedificato dal 42 a.c. ad opera del console Lucio Munazio Planco, con il bottino del suo trionfo sulla popolazione alpina dei Reti, o secondo altre fonti, col bottino di guerra preso in Siria.

Fu legatus al seguito di Gaio Giulio Cesare nella conquista delle Gallie e lo seguì pure durante la Guerra civile, attraversando al suo fianco il fiume Rubicone.
Nel 46 Giulio Cesare, ormai Dittatore a vita lo nomina praefectus urbi. e nel 45 gli conferisce il governo della Gallia.

Subito dopo l'assassinio di Giulio Cesare, Munazio giura fedeltà alla Repubblica e nel 43 fonda la colonia di Lugdunum (Lione) in Gallia, tracciarne i confini con un aratro. Poi fonda Augusta Raurica, e  Cularo nelle Alpi francesi (Grenoble).


Quando i Triumviri Ottaviano, Antonio ed Lepido prendono il potere  Munazio Planco si schiera dalla loro parte e dopo la vittoria di Filippi gli viene affidato il compito di espropriare le terre di Benevento per darle in premio ai reduci. Nel 36 affianca Marco Antonio nella disastrosa campagna contro i Parti, ma gli viene affidato l'incarico di Governatore della Siria.

In seguito Munazio Planco riferisce a Ottaviano che Marco Antonio era diventato succube di Cleopatra consegnandogli il suo testamento in favore della regina. Così il Senato Romano autorizza Ottaviano a muovere guerra contro Marco Antonio, terminata con la vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.c.

Nel 27 a.c.  Lucio Munazio Planco propone il titolo di Augustus per Ottaviano. Purtroppo afflitto da mali e stanco di sopportarli, si uccide. Questa la vita del fondatore di Augusta Raurica.

IL TEATRO E I RESTI DEL TEMPIO

AUGUSTA

Augusta Raurica, proprio grazie alla conquista romana, nei primi due secoli d.c. divenne una città ricca e prosperosa, con fiorenti commerci a est e a ovest, e assurse perfino a capitale della locale provincia romana con una popolazione di circa ventimila abitanti.

Gli Alemanni, un'alleanza di tribù germaniche stanziate attorno alla parte superiore del fiume Meno (a sud-ovest della Germania). unitamente a un terremoto, distrussero la città attorno al 260. 

Durante il tardo impero venne in piccola parte ricostruita, ma perse di importanza a favore della vicina Basilea, e gli abitanti superstiti si posero sotto la protezione del vicino Castrum Rauracense, un grande forte romano sito nella vicina Kaiseraugst.

Qui risiedevano diverse unità ausiliarie romane, a causa dell'abbandono del limes germanico-retico da parte dell'imperatore Gallieno (218 - 268) e fu qui che venne recuperato il famoso tesoro di epoca romana.
Il nome latino del forte era "Castrum Rauracense e costituì un importante posto militare a difesa del Limes tardoimperiale. Purtroppo durante il medioevo, molte delle pietre dei sito vennero riciclate in nuove costruzioni. La sede vescovile peraltro venne trasferita a Basilea.



GLI SCAVI
Durante gli scavi archeologici sono emersi:
- templi,
- taverne,
- edifici pubblici,
- un Foro,
- le terme
- il più grande teatro romano a nord delle Alpi con diecimila posti, recentemente restaurato ed utilizzato per diversi spettacoli.

Il sito è dotato di un piccolo museo che ospita i principali reperti provenienti da Augusta Raurica, con all'esterno altre sale espositive e oltre venti punti di osservazione a cielo aperto. Il più importante pezzo in esposizione è il tesoro di argenteria di Kaiseraugst, così chiamato dal vicino villaggio del Cantone Argovia dove fu ritrovato.

IL TESORO DI KAISERAUGT

IL TESORO DI KAISERAUGT

Ogni anno, nell'ultimo fine settimana di agosto, il sito ospita un importante festival dedicato alla civiltà romana. A questo proposito ricordiamo il rinvenimento di un importantissimo ripostiglio di argenterie tardoimperiali rinvenuto negli anni sessanta in Svizzera.  Il tesoro di argenteria di Kaiseraugt (che significa "Imperatore Augusto"), rinvenuto casualmente nel 1961-62, comprende 260 oggetti per un peso complessivo di 58 kg. 

Fu solo grazie alla 'testardaggine' di un ragazzino e di un suo insegnate di scuola primaria che il tesoro, finito in gran parte dentro i materiali di risulta di uno scavo per le fondamenta di un edificio, si salvò dalla dispersione (una parte, infatti, era già stata 'prelevata' e fu rintracciata con fatica, forse mancano tutt'ora alcuni pezzi).

Il tesoro venne sepolto durante il regno dell'imperatore Magenzio (350 - 353) probabilmente quando gli Alamanni stavano attaccando la città. Si tratta di un complesso straordinario di oggetti, monete, lingotti e piatti di argento, alcuni donati dall'imperatore, per cui i proprietario doveva essere o un alto ufficiale o un importante funzionario. Uno dei piatti porta, un caso quasi unico, il nome dell'artefice, Paisylypos di Tessalonica. Il tesoro, esposto con cura e competenza, da solo vale la visita del museo.


Già ai tempi della scoperta si ipotizzava che qualcuno fosse riuscito a impossessarsi di alcuni degli oggetti sparsi nell'area del castrum dalla ruspa intenta a sistemare il terreno. La restituzione dovrebbe essere avvenuta nel 1995 e nel 2003 venne pubblicato lo studio da parte di Guggisberg-Kaufmann.

L'unico testo disponibile sembrerebbe un estratto del Journal of Roman Archaeology, a nome di Alan Cameron, dal titolo: "More pieces from Kaiseraugst treasure and the issue of imperial and senatorial largitio plate".

Ad Augusta Raurica, nel più grande parco archeologico della Svizzera aspettano di essere scoperte oltre trenta attrazioni, come la suggestiva casa romana, lo straordinario parco zoologico romano e il più importante tesoro di argenteria del periodo tardo-antico esposto all'interno del museo. 

Interessante soprattutto la preziosa argenteria da tavola: bicchieri, posate, ciotole, vassoi di raffinata decorazione e grandissimi piatti da portata.

Le rovine sparse per la cittadina pur non essendo particolarmente degne di nota servono egregiamente a comprendere il posizionamento logistico della città romana sulle rive del Reno.

Particolarmente
interessante il percorso nella Cloaca e pure l'antica casa romana dove sono allestiti dei diorami per meglio intendere la vita dell'epoca.

Di fronte si trova il teatro, l più noto monumento di Augusta Raurica, imponente e ben ricostruito e le rovine di due templi che purtroppo hanno conservato ben poco. Il teatro è riaperto al pubblico dopo oltre dieci anni di opere di conservazione.



MARMORARI DI ROMA - II

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I MARMORARI ROMANI DI DARIO DEL BUFALO 
(Fonte)

"Nonostante l’ostilità dei più fedeli assertori della genuina "virtus" romana, l’uso dei marmi colorati si affermò sempre di più nelle lussuose case e negli edifici pubblici dell’antica Urbe. 

Le conquiste di Cartagine, della Grecia (146 a.c.), del regno di Pergamo e la caduta definitiva dell’Egitto (31 a.c.), oltre a permettere lo sfruttamento diretto delle cave collocate in queste regioni, diffusero un modello largamente adottato dai monarchi ellenistici, che vedeva l’impiego di marmi policromi come una sorta sostegno e ostentazione del potere politico.

PAVIMENTO DELLA CURIA
Iniziò per la città eterna così la meravigliosa storia dell’arte del marmo, che ha attraversato i secoli in un esempio di continuità spazio-temporale unico al mondo. Con il declino e la fine dell’Impero si procedette al reimpiego dei materiali antichi, pratica assai diffusa nel Medioevo, che ha permesso alla Roma cristiana di creare un linguaggio formalmente nuovo e adeguato ai valori liturgici della religione, attraverso l’utilizzo di vecchi elementi appartenenti alla classicità. Non un barbaro saccheggio, quindi, ma – come nel caso dei Marmorari Romani – una prosecuzione della antica tradizione lapicida."



IL BARBARO SACCHEGGIO

Abbiamo una certa idea della bellezza dei marmi romani entrando nel Panteon di Roma. Il suo pavimento è simile ad una scacchiera (da cui probabilmente presero spunto Kandinky e Mondrian) composta da una serie di fasce parallele e perpendicolari che formano quadrati in cui sono inscritti quadrati più piccoli, alternati a dei tondi.

I quadrati sono costituiti da una cornice di porfido rosso e da quadrati piccoli in pavonazzetto bianco con venature azzurro-viola; i pannelli con i tondi hanno, invece, una cornice di marmo giallo ed il tondo di granito egiziano grigio scuro o di porfido rosso.

PAVIMENTO DEL PANTHEON
Ora nessuno può negare la bellezza di un pavimento cosmatesco, ma se improvvisamente vi dicessero che si sia deciso di frantumare i bellissimi e preziosissimi marmi del Panteon per rifare un pavimento cosmatesco tutti grideremmo al crimine e all'orrore. 

Ebbene si, a Roma non solo avvenne il barbaro saccheggio, ma prima ancora la barbara distruzione per cancellare ogni memoria del mondo pagano, essendo il clero cristiano terrorizzato dalla diffusissima religione pagana che sopravviveva in ogni villaggio del suolo italico. 

Dopo aver fatto a pezzi statue, bassorilievi, ornamenti, colonne, balaustre e così via, si adoperarono per seppellire tutto ciò nella terra, ricavandone distese incommensurabili di vigne. Roma era tutta una vigna.

Successivamente vi fu il recupero dei marmi e per rivendere le statue e per ricavare marmi per i nuovi palazzi. 

Così enormi e splendidi monumenti che nessuno potrà o saprà rifare vennero distrutti, e le statue abbattute vennero prima deturpate e mutilate con un odio che nulla dovrebbe avere a che fare col cristianesimo. Roma non fu distrutta dai barbari ma dai Papi.

"Roma appare oggi nel colore terreo degli splendidi mattoni e laterizi dei suoi resti archeologici. Ma all’epoca dell’impero romano la visione sarebbe stata di un bianco splendente: quello dei marmi dei monumenti, degli edifici e dei colori accesi delle decorazioni. 

Che fine hanno fatto? Distrutti nei secoli, saccheggiati, riutilizzati in costruzioni di epoche successive o, peggio, sbriciolati per farne calce.
Ad ottobre torna in libreria, per i tipi di Edizioni Intra Moenia il prezioso volume “La distruzione dell’antica Roma”in cui il celebre archeologo Rodolfo Lanciani, vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ripercorre la storia di questa “distruzione”, facendo rivivere al lettore l’emozione e il dolore di un patrimonio monumentale purtroppo andato in gran parte disperso."



RODOLFO LANCIANI

"Un giorno non molto tempo fa, mi ero seduto all'estremità meridionale del Palatino...ero giunto alla conclusione che proprio in questo luogo era sparito un palazzo lungo 150 metri, largo 118, alto 50...Chi ha raso al suolo questo colosso?.... 

Dei settantacinque chilometri di banchi di marmo del Circo Massimo non rimane nemmeno un frammento. Come ha potuto scomparire una tale massa di pietra? Mistero."

Conviene prima di ogni altra cosa distinguere le officine dei tempi classici da quelle posteriori alla rovina della città, e proprie dei marmorarii romani dei sec. XII-XIIL 

- Le classiche, come è facile intendere, stanno sempre al piano della città antica, sepolte sotto quello stesso strato di macerie che ricopre i grandi edifizii dell' impero.

- In secondo luogo non contengono marmi di seconda mano da adattarsi a nuovi usi, ma marmii grezzi con sigle di cava, e date consolari, pur ora acquistati dalla « ratio marmorum ». 

- In terzo luogo vi si trovano busti e statue appena abbozzate di martellina (simile al martello impiegato in scultura e in falegnameria) insieme a quelle già condotte a pulimento e pronte per la vendita. 

- La quarta caratteristica è più singolare. In queste botteghe si trovano spesso figure, mezze figure, busti, teste di Daci prigioni, scolpite in pavonazzetto: 
- cosi in quella scoperta nel luglio 1841 in via de Coronari n. 211, 
- in quella scoperta nel 1859 in via del Governo vecchio n. 46-47, 
- in una terza trovata nel 1870, circa, sotto la casa Massoli in via dei Coronari, 
- in una quarta trovata sotto Clemente X accanto la casa Odam nel vicolo del governo Vecchio, e così via discorrendo. 

- L'ultimo argomento è quello del sito. Queste botteghe stanno aggruppate nel lembo settentrionale della pianura cistiberina, fra l'Agone e Ponte, ossia fra la « Statio » dell'Amministrazione dei marmi presso s. Apollinare, ed il molo di sbarco alla Torre di Nona, descritto dal Marchetti nel Bull, cora., tomo XVIII, a. 1891, p. 45 sg. Affatto diverse sono le caratteristiche delle officine del medio evo e dei primi anni del rinascimento. 



I OFFICINA

Nell'ultimo quarto del cinquecento scavandosi nella vigna dei Vittori presso l'antica porta Portese, nel sito dei giardini di Cesare, fu trovata un' officina marmoraria ricavata alla meglio da due stanzoni antichi. Era piena di statue e di teste di filosofi e imperatori « che furono divise tra l' antiquario de' Vittorj e quello del card. Farnese. " 

Vi si trovarono ancora alcuni strumenti da scultori, che sembra vi fossero portati per rassettare o sterpire da qualche materiale scultore, e poi per repentino bando papale fossero ricoperte » Vacca, Mem. 96. 


II OFFICINA

Negli scavi del giardino delle Mendicanti, dell'anno 1776 al 1780, parve agli archeologi presenti di riconoscere in un' angolo di quella vaga fabbrica « lo studio di uno scultore addetto al servizio imperiale; le molte teste e busti d' imperatori non terminati di restaurare, i frammenti di mani con globo, non ancora compiti, fecero formare tale idea di questo luogo » Venuti R. A., tomo I, p. 60. 

Dalle notizie che pubblicherò intorno questi scavi famosi nel volume III risulta trattarsi invece dell'officina degli scultori che restauravano busti e statue per conto o di Eurialo Silvestri, o del cardinale Alessandro De Medici arcivescovo di Firenze, i giardini dei quali si estendevano dalle Mendicanti sino al Colosseo. 



III OFFICINA

Nel 1823, fondandosi la casa situata nella via dei Quattro Cantoni ai n. 46-48, appartenente a Giovanni Batt. Frontoni, fu trovata una altra officina costrutta a maniera di capannone. Le servivano di recinto alcune pareti antiche di mediocre cortina. rivestite di marmo, ma nel mezzo dell' ambiente si vedeva una fila di massi di travertino con un foro nel quale era piantata la trave verticale destinata a sostenere le incavallature del tetto. In questo ed in un vicino ambiente furono scoperte:
- sei statue marmoree spezzate ab antico a colpi di mazza sulle gambe, perchè restassero più facilmente atterrate 
- alcuni frammenti di antica scultura, e varie parti di cattivo restauro, preparate per ricomporre le statue, come dita, braccia, mani, piedi (Bart, Meni. G8-70 ; Bull. coni. 1891, p. 32 sgg. 10) 
- martellino di ferro, dei soliti adoperati dagli scultori 
- un grosso mucchio di arena da segatore 
- una colonnina di marmo bianco incominciata a segare 
- marmi grezzi, 
- due pezzi di colonne di bigio, 
- capitelli corinzii abbozzati. 

Delle sei statue, acquistate da Ignazio Vescovali:

- la prima era copia in pentelico del Fauno di Prassitele. Aveva il naso e l'estremità del piede sin. preparati per il restauro: che anzi fu pur trovato rifatto, ma non posto a luogo, il pezzo del piede mancante: e perchè questo era riuscito più basso della misura richiesta, perchè combaciasse, si era incominciato a limare il piede antico per adattarlo a questo bel risarcimento. 
- La seconda statua, pure di Fauno o Satiro, mostrava nella sin. il pedo di mediocre restauro. 
- La terza, copia della precedente, aveva preparata al restauro l' attaccatura del braccio destro e di varie dita, e già racconciato il pube come nella prima. 
- La quarta è il Marsia di Mirone del museo Lateranense (Helbig, voi. I, p. 486, n. 661): 
- le due ultime rappresentano Ninfe che si tengono una conca dinnanzi con ambe le mani, ignudo dal mezzo in su, figure che nella prima metà del corrente secolo sole- vano dirsi Appiadi, quasi che tutte la sola acqua appia versassero. 
- Si ritrovò pure la metà superiore di un Bacco ed altri frammenti di minor conto. Vedi P. E. Visconti in Atti Accad. pontif. Arch. tomo II, p. 643. 


IV OFFICINA

Il 10 marzo del 1874 scavandosi sul confine della villa Altieri, a poca distanza dal sito nel quale l'anno 1583 furono scoperti i simulacri dei Niobidi e dei Lottatori, si trovò un piano coperto di arena da segatore sul quale giacevano molti marmi grezzi e operati. Il più notevole è quel blocco di porfido vergato di colpi di sega, che si vede nel cortile del museo Capitolino. Misura mq. 2,44 ed è grosso in media m. 0,19. 


V OFFICINA

 L'anno 1886, il 24 maggio, discoperta una quarta bottega da marmorario negli scavi del palazzo della Banca d' Italia, nell' orto già Mercurelli in via Mazarino. L" officina comprendeva almeno due ambienti, già appartenuti ad una " domus " patrizia forse di Giulio Frugi, forse di Poblicio Nicerote. 

- Nel primo ambiente stava diritto in piedi, con la schiena appoggiata alla parete di fondo, il bel simulacro di Antinoo illustrato dal Visconti nel Bull. com. 1886, p. 209 sg., tav. VII. Il plinto posava, non sul pavimento della stanza, ma sopra uno strato di rottami, alto m. 1,75. La statua è stata dunque collocata in quella postura, quando 1' edificio classico era già sepolto sotto un banco di calcinacci grosso quasi due metri. 

La statua inoltre non è indigena, ma viene forse dall'ottavo miglio della Nomentana, tenuta delle Vittorie, quarto di Valle Valente: e siccome era stata trovata per quelle campagne nel fondo di un fosso, le cui acque sature di carbonato 1' avevano coperta di incrostazioni calcari, pare che gli scopritori abbiano cercato raschiarla, e restituirle il pulimento, come dice il Vacca essere avvenuto degli ermi degli orti di Cesare. (Fabroni, Diss. sulle statue appartenenti alla favola della Niobe. Firenze, 1779, p. 20. (2) Bull. com. 1886, p. 184 sgg. (^j Ivi, 1887, p. 18, n. 1704). 

- Il secondo ambiente fu trovato pieno di marmi, spoglie di antiche fabbriche già cadute in rovina. Vi erano fusti di colonne di giallo, e di africano, blocchi di caristio e di travertino, i quali mostravano fino a tre o quattro colpi di sega. L'anno seguente furono ritrovati quattro blocchi di pavonazzetto sui quali era scritto, in caratteri attribuiti al secolo settimo od ottavo. "Urani trib. et noi".


VI OFFICINA 

Il giorno 15 nov. 1890, cavandosi nel nuovo Macello Comunale al Testaccio, fu scoperto 1' atrio di una casa romana con peristilio di colonne di tufa rivestite d' intonaco monocromo, occupata in epoca assai tarda da uno scalpellino. 

L' industria del quale sembra essere stata quella di raccogliere marmi di vecchie fabbriche abbandonate per adattarli a nuova forma a seconda dell' occasione del giorno. In uno spazio di pochi metri quadrati si trovarono diciotto fusti di colonne disposti parallelamente con un certo ordine, e poi rocchi, basi, capitelli, e scaglioni di varia specie. 



VII OFFICINA

E qui occorre ricordare che quando si scavava il cosidetto Emporio Tiberino per la cloaca della via Gustavo Bianchi si riconobbe che gli antichi ambulacri e i voltoni rappresentati nella tav. V, p. 157 della terza dissertazione " de Aquis " del Fabretti, avevano servito per molti anni di cantiere ad una colonia di marmorarii: che questa colonia lavorava quasi esclusivamente quattro specie di marmi, il porfido, il serpentino, il giallo, il pavonazzetto, in quantità spaventevole: e finalmente che produceva opere assai minute, perchè i massi da lavorare cubano pochi decimetri, e le scaglie dei piccoli blocchi già lavorati sono assai minute. 


VIII OFFICINA

 Un ottavo cantiere pieno di marmi per uso di chiese e di chiostri fu trovato nel 1885 quando si tagliava l'orto dei Passionisti alla Scala Santa per lo sbocco del viale Emmanuele Filiberto in piazza di s. Giovanni. E delineato nella tav. XXII della Forma Urbis. 


IX OFFICINA

Il nono appartiene alla basilica Giulia, ove, nei primi scavi del 1871, si trovò il pavimento antico coperto da un sottile strato di terriccio, e su questo un banco di scaglie minute di travertino grosso circa m. 1.50. (Vedi Bull. List. 1871, p. 243.)
   

X OFFICINA

Il decimo fu scoperto l'anno 1878 nella casa augnstana sul Palatino. Anche qui il piano era coperto da uno strato di scaglie di marmo statuario e di arena da segatore grosso m. 1,25. Su questo strato, sostenuta da due baggioli o cuscini di pietra, giaceva la bella statua di Hera del museo Nazionale (Helbig, Guide, tomo IL p. 195, n. 974). 


XI OFFICINA

Il più notevole fra questi cantieri di recente scoperta è quello dei marmorarii di Raffaele Riario card. di s. Giorgio, il costruttore del palazzo della Cancelleria. Si sa che il nipote di Sisto IV mise a contribuzione parecchie petraie, e contribuì alla distruzione del tempio del Sole di un ignoto edifizio vicino a s. Eusebio del Colosseo (?) e sopratutto dell'arco creduto di Gordiano al Castro pretorio. Per ridurre ai nuovi usi i marmi di quest'ultimo, si costruì una tettoia in un punto che oggi corrisponde a metà di via Gaeta, lungo e sotto il muro di cinta della villa della Somaglia. 

Qui l'officina fu ritrovata il 21 ottobre 1871, e se ne ha un cenno dal Vespignani nel Bull. com. tomo I, p. 103 sgg. tav. II (cf. p. 234, tav. II). I massi del cornicione e le sculture figurate dell'arco giacevano, non sul piano antico profondo sei metri, ma sopra un piano di scarico, dai 2 ai 3 metri sotto il marciapiede di via Gaeta: e non erano ammassati e confusi insieme come se precipitati dall'alto, ma regolarmente adagiati sopra conci di pietra, nel modo stesso col quale i nostri scalpellini sogliono collocare i massi da sottoporre alla sega. 

Gli artefici del card, di s. Giorgio e l'architetto della Cancelleria, Antonio da Sangallo il vecchio (0 hanno dunque scelto un sito non molto discosto da quello dell'arco per lavorarne i marmi architettonici, i bassorilievi, e le iscrizioni, a fine di risparmiare il trasporto alla Cancelleria stessa delle parti non opportune alla nuova destinazione. Questa officina è dell'anno 1485 o 1486: ma quale sarà la data delle altre? 


XII OFFICINA

P. E. Visconti, descrivendo le scoperte del 1823 ai Quattro Cantoni, crede che la bottega appartenesse a restauratori di statue « di tempi più ai nostri che agli antichi vicini» e «che sia andata a male nelle luttuose calamità che afflissero Roma nel secolo XVI » cioè nel sacco del 1527. 

Che cosa abbian da fare le luttuose calamità di quei tempi con le sei statue scoperte agli Otto Cantoni è difficile di indagare: ma è giusto ricordare a sostegno dell' opinione del Visconti che, a poca distanza dal sito di quella bottega, il card. di s. Angelo, Giuliano Cesarini, aveva inaugurato il 20 maggio 1500, il primo museo-giardino statuario aperto al pubblico in Eoma. (Vedi il cod. angelic. 1729, e. 12 e la « lei hortorum » elegantissima ap. Schrader, e. 217'). 


XIII OFFICINA

Anche lo studio di restauro scoperto nel 1776 alle Mendicanti è legato, come dissi poc'anzi, col museo- giardino Silvestri-De Medici. 

XIV OFFICINA

Il cantiere della scala santa può avere relazione coi lavori del Vassalletto nel chiostro Lateranense del 1230 circa, o con quelli di Nicolao di Angelo di Paolo nel portico della stessa basilica del 1175 circa. 

(Per il caso della basilica Giulia, si può pensare invece alla società per la produzione della calce quivi stabilitasi nel 1426). 


XV OFFICINA

Per l'interpretazione degli altri casi conviene ricorrere, a mio giudizio, a una notizia rimasta per tanti anni negletta negli scritti del Winckelmann, e che il Marucchi ed io abbiamo dì nuovo pubblicata. Il Winckelmann descrive una statua della raccolta Verospi rappresentante Esculapio, sul plinto della quale era inciso il nome di uno degli illustri Vassalletti che fiorirono nella seconda metà del secolo XII nella prima del XIII. 

Questa statua di Esculapio è stata certamente in piedi nello studio dei Vassalletti, come 1' Antinoo della Banca d' Italia è stato in piedi nello studio di qualche altro artefice. Al quale proposito ricordo che fra i marmi del chiostro lateranense v'è una serie di squisite figurine d'alto rilievo, che credo provenire dal ciborio di s. Matteo in Merulana.
La testa della figura di s. Giovanni Battista è certamente modellata su quella di un Antinoo. (Lanciarli, Arcliiv. S. R. S. P. tomo VI, p. 227; Gnoli, Archivio Stor. dell'Arte, Anno V 1892, fase. Ili, p. 17G s<;g. Winckelmann, Storia deirarto, ediz. Fea, tomo II, p. 1-14 ; Lanciani, Pagan and Chr. Rome, p. 240 sgg. De Rossi, Bull, crist. 1891, p. 93.) 

Che poi i due Vassalletti, architetti e scultori ornatisti del detto chiostro, coltivassero lo studio dell'arte antica lo dimostrano le sfingi quivi scolpite a sostegno dell'archetto d' ingresso dalla parte di ponente. Anche la porta di s. Antonio all' Esquilino (a. 1269) ha sfingi che sostengono colonnette. 

Si è voluto attribuire l'ispirazione di queste opere ai racconti dei pellegrini di Terrasanta o dei Crociati: ma non c'era necessità di ricorrere ai monumenti dell'Egitto, quando Roma stessa offriva ai proprii artisti modelli eccellenti nel dromos dell'Iseo Campense, e nel recinto della Isis Metellina della III regione, posto a pochi passi di distanza dal Laterano e da s. Antonio. 


XVI OFFICINA

L' Esculapio Verospi non è la sola opera d'arte antica proveniente dalle botteghe dei marmorarii romani del secolo XII e XIII. 
A destra dell' ingresso attuale di s. Stefano Rotondo sta una cattedra balneare marmorea, sulla quale vuole la tradizione che s. Gregorio recitasse alcuna delle sue omelie. E molto più probabile che sia stata messa in quel luogo al tempo d'Innocenzo II (1130-1143) costruttore del vicino portichetto. Nel suppedaneo della cattedra è inciso il nome di un M.\Gisler IOH«/?/egS che l'ha posseduta, e forse ripulita e acconciata. 


XVII OFFICINA

Ricordando in ultimo luogo le circostanze che accompagnarono la scoperta sopracitata del cantiere all' Emporio tornano subito al pensiero i pavimenti, gli amboni, i ciborii, i mausolei, incrostati di tasselli di porfido e di serpentino, opere caratteristiche della scuola romana che si dice ordinariamente Cosmatesca, ma che comprende invero quattro grandi famiglie: 

- quella « filiorum Pauli " fiorita nella metà del secolo XII: 
- quella detta di Lorenzo, o dei Cosmati che fiorì per cinque generazioni, dalla fine del secolo XII alla fine del XIV: 
- quella dei tre forse quattro Vassalletti che fiorì dal 1153 alla seconda metà del mille dugento: 
- quella di Ranuccio Romano, dei suoi figliuoli (Petrus, Nicolao) nipoti (Giovanni, Guit- tone) e pronepote (Giovanni), che fiorì dal 1143 al 1209 (3). 



L'ARTE CHE UCCIDE L'ARTE

La sola notizia eh' io possa aggiungere a quanto è stato scritto finora intorno questi precursori del Rinascimento, concerne il sito dello studio o bottega dei Cosmati. In una carta del 22 settembre 1372, in atti di Paolo Serromani prot. 649 e. 14, A. S. C. madonna Oddolina vedova di Corraduccio Mastrone, dichiara al giudice palatino di avere ereditato, fra molti stabili « unam domum positam in regione pinee inter hos fines. ab uno latere tenet Coluccia marmorarius, et heredes Gosmati marmorarii, ab alio latere tenet domina (sic) a duobus lateribus sunt vie publice »  . 

Un altro atto contemporaneo del notare Gianpaolo Goiolo, prot. 849 e. 325 A. S. con la data data del 14 decembre 1412, parla di una vigna degli eredi stessi in via Ardeatiua. e fornisce notizie biografiche sul Coluccia marmorarius. « In presentia mej notarij pauliis cole gratianj dictus alias paulus talgialoiito marmorarius de Regione pinee preseutibiilt; diìa angela uxore sua et colutio filio ipsius pauli et diete dtie angele veudidit bartolomeo guillelmj de Sicilia. Idest duas petias vince ipsius pauli plus vel initius quante sunt cum parte vasce vascalis et tinj esistente in eis et cum candele existenti »  (Bull. com. 1887, p. 99; De Rossi. Bull, crist. 1891, p. 91 segs C, Cf. Stevenson, Mostra di Roma. p. 173. Bull, crist. 1875. p. 122. 14)



SCAVI DEI MARMORARII

« in eis et cum parte cisterne existentis in eis que vinea posita est extra portam apie in loco qui dicitur la torre de perolj in proprietate dae andree uxoris condam barthellutij de marrance (Tor Marrancia!) inter hos fines ab uno latere tenet paulus thome verallj ab alio latere tenent heredes quondam gosmati marmorarij ante est via publica. Hanc autem venditionem fecit dictus paulus eidem bartholomeo emptori predicto prò pretio octo florenorum » . 

Le opere dei marmorarii di Roma e delle province si collegano alla storia degli scavi per tre motivi. In primo luogo essi « prescelsero per le fasce ed i meandri dell'opus tessellatum dei pavimenti, degli amboni e d'ogni altra marmorea decorazione, le pietre cemeteriali, e ne fecero lo sciupo e la strage che nelle romane basiliche tuttora vediamo. La varia sottigliezza di quelle lastre e la loro forma oblunga assai si prestavano all'uopo dell' opera predetta. Così alle romane catacombe in tanti modi spogliate e devastate toccò anche la sventura d' essere ai marmorarii romani quasi miniera di lastre » (De Rossi, Bull, crisi 1875, p. 130).

LE GROTTESCHE ROMANE

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RICOSTRUZIONE DELLE GROTTESCHE DELLA DOMUS AUREA

"Che ne è stato di quella specie di euforia davanti all'ornato, del piacere di accogliere le bizzarrie e l'assurdo, del divertimento e della canzonatura mescolati alla decorazione che abbiamo creduto di intravedere come una componente della cultura e dell'allestimento delle dimore nel corso dell'età detta classica? Una volta svilita e banalizzata la decorazione degli interni, la fantasia evapora per far posto, in tutto l'Ottocento, alla pedanteria. Se però ammettiamo che le "follie" della grottesca fanno parte di una tentazione permanente che rimbalza, di epoca in epoca, ci si deve chiedere che cosa sia diventata nell'arte questa propensione al comico. 


L'arte detta moderna potrebbe essere interrogata a tal proposito nelle sue fondamenta e nel suo "subcosciente": Aubrey Beardsley, Schnitzler, i disegnatori della Secessione, esponenti dell'arte grafica in Gran Bretagna e in Germania, meritano di essere interpellati. E perché non andare oltre? Nelle forme in sospensione, in lievitazione, in corso di metamorfosi di Paul Klee, nei giochi caricaturali pieni di ghirigori e di meandri dovuti alla penna di Steinberg, e addirittura nei mobiles di Calder, che disegna con l'aiuto di falsi rami metallici sinuosità aeree affascinanti e impreviste..., si possono palesare legami familiari, reminiscenze, un bisogno di esilarante leggerezza, tutti impulsi e virtù che nulla perdono se collegati nella prospettiva storica della grottesca ".

(Andrè Chatel - Abscondita, 2010)

RICOSTRUZIONE DELLE GROTTESCHE DELLA DOMUS AUREA

Le grottesche sono una particolare decorazione pittorica originata a Roma in epoca augustea (63 a.c. - 14 d.c.) e completamente ignorata, nascosta e distrutta per secoli e secoli negli evi oscuri finchè non venne riscoperta e resa famosa verso la fine del 1400.

L'impatto della scoperta della pittura romana antica in un ambiente culturalmente già ben predisposto al recupero dell'antico fu prorompente e stimolò non solo visite di artisti, come quelle descritteci dall'anonimo autore delle Antiquarie prospettiche romane, ma una gran mole di disegni per confrontarsi e imitare quella che era l'autentica decorazione pittorica antica.

RICOSTRUZIONE DELLE GROTTESCHE DELLA DOMUS AUREA

La decorazione a grottesca è caratterizzata dalla raffigurazione di esseri favolistici e mitici, quali le chimere, i pegasi, i geni alati, i satiri, le sfingi, spesso ritratti in figurine esili e flessuose, che si fondono in decorazioni geometriche e naturalistiche, come ad esempio la candelabra a racemi. Il tutto strutturato in modo assolutamente simmetrico, su uno sfondo in genere bianco o comunque monocromo.

Le figure sono molto colorate e generano tralci e cornici, effetti geometrici, intrecci e prospettive di scorci architettonici, ma sempre con una certa levità e ariosità, per via del fatto che in genere i soggetti sono lasciati minuti, quasi calligrafici, sullo sfondo. Le colonne sono a loro volta esili come gli archetti decorati, con tavolinetti minuscoli o appena accennati, con fiori e piante. 


RICOSTRUZIONE DELLE GROTTESCHE DELLA DOMUS AUREA

L'illustrazione prevalentemente fantasiosa e ludica, non sempre persegue una funzione puramente ornamentale, ma riveste talvolta anche uno scopo didascalico ed enciclopedico, riproducendo inventari delle arti e delle scienze o raffigurazioni a carattere mitico.
Come ci informa Benvenuto Cellini nella sua autobiografia, questo nome deriva dalle grotte del colle Esquilino a Roma che erano in realtà i resti sotterranei della Domus aurea di Nerone, scoperti nel 1480 e divenuti immediatamente popolari tra i pittori dell'epoca che spesso vi si fecero calare per studiare le fantasiose pitture rinvenute.
Tra questi vi furono Filippino Lippi, il Pinturicchio, Raffaello, Giovanni da Udine, il Morto da Feltre, Bernardo Poccetti, Marco Palmezzano, Gaudenzio Ferrari e altri che in seguito diffusero questo stile dando vita a quella che il Longhi definisce la "curiosa civiltà delle grottesche".

RICOSTRUZIONE DELLE GROTTESCHE DELLA DOMUS AUREA

Benvenuto Cellini - Autobiografia:

"Queste grottesche nome dategli dai moderni, per essersi trovate in certe caverne della terra in Roma dagli studiosi, le quali caverne anticamente erano camere, stufe, studii, sale e altre cotai cose. Questi studiosi trovandole in questi luoghi cavernosi, per essere alzato dagli antichi in qua il terreno, e restate quelle in basso; e perchè il vocabolo chiama quei luoghi bassi in Roma grotte, da questo si acquistorno il nome di grottesche; il quale non è il suo nome; perché si bene, come gli antichi si dilettavano di comporre de' mostri usando con capl, con vacche e con cavalle, nascendo questi mescugli, li domandavano mostri; così quelli artefici facevano con i loro fogliami questa sorte di mostri: e mostri è il vero lor nome, e non grottesche. Faœndo io di questa sorte fogliami, commessi nel sopraddetto modo, erano molto più belli da vedere che i turcheschi."

RESTI ORIGINALI DELLA DOMUS AUREA
I primi esempi di tale fantasiosa decorazione risalgono alla seconda metà del I secolo a.c., esattamente  verso il 42-36 a.c. per la decorazione della casa di Augusto sul Palatino (oggi completamente restaurata e visitabile), e verso il 30 a.c. per l'Aula Isiaca che inoltre presenta l'uso di preziosi inserti a foglia d'oro. 

Non per nulla Vitruvio (80 - 15 a.c. - De architectura libro VII, cap. V), condannò la moda di questi ornamenti, sia per un criterio estetico, ritenendo che "le creazioni ibride contravvenendo alle leggi di Natura sono contrarie al canone della mimesis", sia per un un criterio morale "le pitture fantasiose sono puro pretesto a sfoggio di ricchezza smodata privilegiando l'uso di colori costosi quali il blu di Armenia o il porpora ed il cinabro, in contrasti cromatici violenti tesi ad impressionare lo sguardo secondo un gusto alieno alla sobrietà dell'arte ufficiale che vuole opporsi allo stile dell'Oriente ellenistico".

RESTI ORIGINALI DELLA DOMUS AUREA
Ai tempi di Augusto, molto morigerato nel cibo e nel vestire, tanto che i suoi pranzi erano piuttosto parchi e non abbuffava di certo i suoi ospiti (ma non era altrettanto morigerato nel gioco, per cui spese delle fortune), l'imperatore avversò parecchio le cene sontuose dei ricchi romani, invitando alla moderazione anche nelle vesti, nonchè nei gioielli, moderazione di cui anche Livia era un esempio importante.

Addirittura fece delle leggi che proibissero di approntare banchetti che nel costo superassero una determinata cifra, pena delle multe salate. I ricchi cittadini se ne fregarono e continuarono i loro lussuosi banchetti, disposti a pagare multe piuttosto che privarsi del divertimento. Anche le grottesche furono giudicate da alcuni moralisti molto costose e indecenti, ma su questo l'imperatore non si trovò d'accordo.

RESTI ORIGINALI DELLA DOMUS AUREA

Già allora, come nel Cinquecento, le grottesche, per quanto criticate, conquistarono Augusto e le sua corte e la loro diffusione fu inarrestabile, perchè piacque moltissimo e perchè la famiglia imperiale dettava la moda dell'epoca. Il suo riflesso si propagò anzi per tutto l'impero.

« La diffusione della pittura a grottesca nel Cinquecento fu immensa. Dopo la sperimentazione del tardo Quattrocento, le sue forme definitive furono stabilite con Raffaello a Roma, nelle Logge Vaticane e a Villa Madama, e i suoi collaboratori le diffusero per tutta l'Italia, dopo il Sacco di Roma del 1527. Negli anni Settanta, il più vasto complesso esistente di grottesche era nel palazzo Farnese a Caprarola »

(Cristina Acidini (1999), cit., pp. 13-14)

CASA DEI VETTII (POMPEI)

In effetti sia pittori che disegnatori iniziarono a esplorare le vaste sale della Domus Aurea, copiando con precisione le decorazioni parietali e delle volte in quarto stile (ma pure in II stile) riproducendoli in meravigliosi acquerelli. Queste decorazioni cominciarono quindi a diffondersi negli ambienti colti, dove ebbero un grande successo, si da essere riprodotte nelle ville e palazzi rinascimentali commissionati dai cardinali della corte papale o dalle famiglie più in vista.

Che risalissero alle pitture romani lo attesta anche il Vasari, che nel capitolo XXVII delle sue "Vite dè più eccellenti pittori, scultori e architettori" descrive dettagliatamente questo genere di decorazione, attribuendone correttamente l'invenzione agli antichi agli antichi romani, poichè la Domus Aurea si trovava quasi completamente sepolta e perciò i suoi ambienti apparivano simili ad ipogei, ovvero grotte. Simili grottesche vennero rinvenute anche nelle Terme di Tito a Roma e nella casa dei Vettii a Pompei.

VILLA DI AGRIPPA POSTUMUS (BOSCOREALE)
La grottesca presenta una tipica divisione verticale della parete in zoccolo o basamento, parte centrale e parte superiore, generalmente riservata alle caratteristiche architetture fantastiche, che compaiono senza soluzione di continuità, caratterizzate da una ricchissima policromia, sebbene non manchino esemplari dipinti a monocromo o con colori neutri.

Chiunque abbia visitato Pompei ed Ercolano avrà notato i coloratissimi interni delle domus, cioè delle case delle famiglie più ricche, caratterizzati da pavimenti a mosaico o di vari tipi di marmi lavorati con la tecnica dell'opus sectile, colonne generalmente tinteggiate di bianco e rosso, più raramente color ocra, e pareti riccamente affrescate.

Tra questi affreschi spicca l'eleganza delle esili volute delle grottesche, con dipinte filiformi colonne, cornicioni, candelabri, tetti e balconate, con figure mitiche o di pura fantasia: draghi e arpie, serpenti e pegasi, chimere e geni alati, in uno svolgersi di colori a volte delicati a volte forti ma sempre in forme snelle e sinuose senza una soluzione di continuità.



Biblio
- Andrè Chatel - Abscondita, 2010
- Cristina Acidini Luchinat - Storia dell'arte italiana, AA.VV., Torino, Einaudi, 1982, pagg. 161-200
- Benvenuto Cellini - Autobiografia - Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino - dottor Francesco Tassi. - Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 1829.
- Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli - L'arte dell'antichità classica - Etruria-Roma - Utet - Torino 1976.

GHOLAIA - BU NJEM (Limes Tripolitanus)

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IL FORTE ROMANO VISTO DAL SATELLITE

Gholaia era un forte romano, parte del Limes Tripolitanus, corrispondente al moderno Bu Njem, posto sulla zona di frontiera romana, o limes. Fu l'imperatore Settimio Severo (193-211) a ordinare la costruzione di una linea di fortificazioni, che cambiò completamente questa parte della Libia, Tripolitana.

PLANIMETRIA DEL FORTE (INGRANDIBILE)
Oggi questa zona è deserto, ma le piogge non mancano anche se sono molto irregolari. Ma i romani erano maestri in dighe e cisterne, arrivando a rendere i campi irrigabili e l'area trasformata in territori agricoli agricoli. Questo accadde all'inizio del terzo secolo. ma il primo passo fu di costruire forti come Gholaia, cioè un castellum con caserme, terme, un quartier generale e una residenza per il comandante.

Gli edificatori di questi forti furono i soldati della Terza Legione Augusta (reclutata dal console Gaio Vibio Pansa e Ottaviano, il futuro imperatore) nel 43). Questo è stato dedotto dalle torri vicino al cancello principale, che non sono quadrate, come al solito, ma a cinque angoli, caratteristiche della III legione.

Il Limes Tripolitanus era un buon sistema di vita per cui molte persone si stabilirono a Tripolitana come agricoltori, producendo tali ricchezze da permettere stupende città come Sabratha , Oea (moderna Tripoli) e Lepcis Magna. Molti coloni devono essere stati veterani dei tre forti.


I RESTI DEL FORTE COPERTI DALLE SABBIE DEL DESERTO
I nuovi forti controllavano le strade principali attraverso il deserto e si trovavano vicino alle oasi. Gholaia dista circa 100 km dalla costa, per cui non si temevano attacchi dal mare ma dai nomadi del deserto. Pertanto le legioni romane dovevano bloccare l'accesso ai pozzi, soprattutto contro i Garamanti, che vivevano oltre il Gebel as-Soda.

DEA DELLA GUERRA - GHOLAIA
Contro le piccole bande sparse nel deserto la protezione dei forti non bastava, per cui dovevano essere le fattorie stesse delle fortificazioni, come a a Gheriat esh-Shergia, Ghirza e Qasr Banat, con mura molto spesse e torri di avvistamento che segnalavano attraverso i fuochi sulla cima l'arrivo dei nemici. 

La loro cultura, basata sulla irrorazione dei campi, e sulla vigilanza dalle incursioni nomadi sopravvisse all'impero romano. Si creò tra i coltivatori dei campi una grande solidarietà per cui qualsiasi terreno venisse attaccato si trasmetteva l'evento mediante messaggi di fuoco acceso sulle torri e tutti i vicini si radunavano per affrontare l'invasore. 

I soldati che servivano a Gholaia furono reclutati da tutta l'Africa, come la maggior parte dei legionari del III Augusta. Tuttavia, nel 219, l'imperatore Eliogabalo sciolse la III legione gallica e molti soldati di questa unità furono aggiunti alla legione africana. Ciò significa che diversi soldati in Gholaia provenivano dalla Siria.

Alla fine del quinto, all'inizio del VI secolo, ci furono serie difficoltà, ma l'imperatore Giustiniano (r.527-565) potenziò le città lungo la costa, costruì nuove città e le fattorie fortificate furono di nuovo rafforzate. 

L'ARATURA COI DROMEDARI

I PRINCIPIA

I Principia (quartieri generali) erano gli stessi in tutto l'impero. Gholaia aveva anche una corte quadrata circondata da piccole stanze, una grande sala trasversale, la basilica, luogo di riunioni e di amministrazione della giustizia, una biblioteca (perchè i legionari sapevano tutti leggere e scrivere), le terme per l'igiene e per lo svago, con annessa palestra, un piccolo mercato, una prigione e un santuario (sacello) dove l'emblema dell'unità (la divinità, l'imperatore ecc.) era tenuto e venerato. 

Diverse colonne che circondano la corte quadrata sono state nuovamente innalzate dagli archeologi francesi e libici che hanno studiato il sito negli anni '70.  Nell' Ostracon n . 71 . (L' ostraca di Bu Njem è composta da frammenti di cocci o tavolette di legno su cui sono stati scritti rapporti e lettere, scoperti in una stanza del forte, con l'unico scriptorium identificato in un forte romano) è scritto:
"I nomadi sono arrivati, portando quattro asini e due egiziani che portano lettere a te, Gtasazeihemus Opter, e uno schiavo fuggiasco".

IL LEGATO DELLA III LEGIO AUGUSTA

GLI IMMIGRATI

Sabratha, Oea e Leptis Magna erano tre grandi città grandi produttrici di olive, poste nel nord-ovest della Libia moderna, cioè la Tripolitana, "terra delle tre città". Durante il conflitto tra Cesare e Pompeo, Leptis si schierò con quest'ultimo e questo le costò un tributo annuale in olio di oliva e la riduzione a "città stipendiaria". Secondo le fonti Leptis avrebbe pagato ogni anno a Roma ben tre milioni di libbre d'olio, ma la città era ricca di oliveti lungo la fascia costiera.

PORTA EST - TORRE SUD
Proprio per questo un'altra risorsa del paese erano per i romani le prestazioni lavorative a basso costo: i Garamanti, nomadi del deserto che avevano i loro pascoli invernali nelle oasi del Fezzan, nella Libia sud-occidentale, arrivavano a nord durante la stagione del raccolto. Lasciando le loro capre nei campi vicini, i Garamanti aiutavano a raccogliere le olive e usavano i loro dromedari per arare i campi. Inoltre barattavano carne, prodotti caseari e prodotti dell'Africa sub-sahariana con ceramiche e oggetti in metallo, finché non sono tornavano a casa con le loro greggi quando il lavoro era terminato.

Quindi gli abitanti delle città avevano bisogno dei nomadi e questi avevano bisogno dei cittadini, ma man mano che le città crescevano, c'erano più contadini, che avevano bisogno di più terra, per cui diventava sempre più difficile per i Garamanti salire al nord con i loro animali, soprattutto i bovini, perchè c'era meno pascolo. 

Così di frequente i nomadi attaccavano i coloni romani, interveniva l'esercito che puniva i Garamanti e tutto tornava come prima. D'altronde questi ultimi essendo un popolo tribale erano avvezzi alla guerriglia.

D'altronde se i Romani avessero alzato mura muri per tenere fuori i nomadi, ciò avrebbe anche impedito la migrazione stagionale. Pertanto, l'imperatore romano Settimio Severo (r.193-211), ottimo princeps che per giunta conosceva le genti in quanto originario di Leptis Magna, adottò una politica molto intelligente, costruendo tre forti nelle oasi principali, per cui l'accesso all'acqua poteva essere negato ai nomadi ribelli. Questi potevano raggiungere i territori romani anche portando con sé sacchi d'acqua sui dromedari, ma li avrebbero rallentati nelle scorrerie e vulnerabili ai contrattacchi.

LA SABBIA RICOPRE ANCORA BUONA PARTE DEL FORTE
C'era però il problema del vettovagliamento. A Bu Njem, erano stanziate una coorte della Terza Legione Augusta di 480 uomini, più ausiliari 120 ausiliari con cavalli e dromedari, oltre a un villaggio vicino al forte di circa 500 abitanti. 

Queste 1100 persone richiedevano circa 900.000 Kg di grano o cereali all'anno, che l'oasi non era in grado di produrre. Allora i Romani piuttosto che dipendere dalle importazioni che per giunta potevano subire molti attacchi, decisero di sviluppare la zona predesertica tra Bu Njem e il prossimo forte, Gheriat el-Garbia, costruendo dighe, cisterne e fattorie fortificate, destinate ai veterani dell'esercito, lungo gli wadi.

Questi erano i canaloni entro cui sgorgavano le acque stagionali con torrenti impetuosi, che vennero però trasformati in fiumi perenni attraverso dighe e chiuse, un capolavoro di ingegneria come solo i romani potevano fare, e come a tutt'oggi quelle terre, che a suo tempo scacciarono i romani non hanno più saputo ripristinare.



LA DECADENZA

Nel VII secolo, la popolazione si convertì all'Islam ma con le varie tribù iniziarono le lotte di potere che pian piano devastarono tutto. Le dighe furono abbattute e le cisterne rovinate, fu la fine delle coltivazioni e tutto tornò desertico. La civiltà romana era ormai dimenticata. Le pietre non furono mai riutilizzate e furono coperte dalla sabbia del deserto. Gli insediamenti divennero invisibili e i loro ricordi vennero dimenticati fino a quando gli archeologi italiani iniziarono a investigarli negli anni '20 e '30, riscoprendo le vestigia della più grande antica civiltà della Terra.


CULTO DELLE GRAZIE

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COPIA ROMANA DI ORIGINALE GRECO

Le Grazie (in latino Gratiae) sono Dee della Religione romana, corrispondenti delle Dee greche Cariti, ed erano, probabilmente sin dall'origine, legate al culto della natura e della vegetazione. Fanno infatti pensare alla triplice Dea che tuttavia stavolta ha tre aspetti simili, fatto unico nella rappresentazione della Grande Madre che venne separata e distinta nelle sue persone.

Le Grazie erano anche le Dee della gioia di vivere che infondevano gioia, grazia e bellezza alla Natura, agli degli Dei e alla vita dei mortali. Esse danzavano, presiedevano ai banchetti e solitamente accompagnavano Afrodite, Eros e le Muse. I loro principali attributi sono la mela, la rosa e il mirto.

Nella mitologia greca queste bellissime e benefiche hanno diverse origini:

- Sono figlie di Zeus e di Eurinome (divinità cosmica che secondo Robert Graves sarebbe collegata alla divinità creatrice dell'uovo cosmico nella mitologia sumera) e sorelle del dio Fluviale Asopo.
- Secondo altri sarebbero figlie di Zeus e di Hera.
- Per altri autori, le Dee Cariti sono nate dal Dio Sole (Elios) e dall'Oceanina Egle.
- Per altri ancora sarebbero figlie di Afrodite Dea della bellezza e della fertilità che le avrebbe generate insieme a Dioniso, Dio della vite.


Ma anche le versioni del numero delle Grazie non concordano:

- secondo Esiodo, esse sono tre: 
  1. Aglaia l'Ornamento, lo Splendore, è la più giovane delle Cariti, Secondo Esiodo, Aglaia sposò Efesto dopo che questi divorziò da Afrodite, a volte era la messaggera di Afrodite.
  2. Eufrosine, la Gioia o la Letizia
  3. Talia, la Pienezza ovvero la Prosperità ed anche la Portatrice di fiori
- A Sparta si veneravano solo due Cariti: Cleta, l'Invocata, e Faenna, la Lucente, della quale Pausania (II sec.), narra che nei suoi viaggi incontrò un santuario che dicevano eretto da Lacedemone, (re della Laconia e fondatore di Sparta, che introdusse il culto delle Grazie in Grecia).al fiume Tiasa ("Chi parte da Sparta per andare ad Amicla ritrova il fiume Tiasa")
- Anche ad Atene erano due: Auxo (la Crescente) ed Egemone (Colei che procede).


Nell'immaginario poetico, letterario e culturale, sia ellenico che romano, esse vengono rappresentate come tre giovani nude, di cui una voltata verso le altre, le quali incarnano l'armonia e la perfezione della natura.

Il fatto che come attributi abbiano la mela, la rosa e il mirto la dice lunga sul loro aspetto di Dea Triforme: la mela è la conoscenza, la rosa è lo sbocciare dell'anima e il mirto è la pianta dei morti, tutti simboli del percorso interiore dell'anima umana, come dire: desiderio di conoscenza, desiderio di aprire e conoscere i sentimenti e desiderio di penetrare nel concetto e consapevolezza della morte.

Le prime raffigurazioni delle tre Grazie risalgono all’epoca ellenistica, di cui però a noi sono giunte solo delle copie romane, ma le rappresentazioni di epoca romana (affreschi, mosaici, bassorilievi) si rifanno comunque all’iconografia greca.

Esse compaiono come tre fanciulle nude e abbracciate, disposte una accanto all’altra, con quella centrale volta di spalle e le altre due rivolte verso lo spettatore. La posizione da loro assunta è detta “chiasmo” (tecnica scultorea nata nella Grecia classica): il bacino è inclinato a causa del peso poggiato su una gamba che viene bilanciata da un’opposta inclinazione delle spalle.


Non c'è prova del culto ufficiale delle tre Grazie a Roma, o almeno non c'è traccia di templi a loro dedicati, ma sicuramente c'erano edicole e sacelli che le ricordavano alla venerazione dei fedeli. Il loro culto, in quanto piuttosto arcaico e legato alla natura era seguito soprattutto nelle campagne. 

Alle Dee si facevano libagioni di acqua, di latte e di vino, e si offrivano ad esse i loro stessi attributi, cioè mele, rose e rametti di mirto. Sembra che le offerte venissero poste direttamente sulla terra dopo essere state lavate con acqua. Alle grazie si chiedeva di avere figli belli, che gli animali della fattoria figliassero e che i campi diventassero prosperi.

Ma si chiedeva anche che vi fosse armonia in famiglia, oppure di incontrare la propria futura coniuge. Prosperità e amore ma pure lussuria intesa come sani appetiti sessuali erano pertinenti alle tre Dee. Non risulta una festa a loro dedicata ma il loro culto fu piuttosto importante nelle campagne e durò molto a lungo oltre la caduta dell'impero e l'instaurarsi del cristianesimo.


IL TESORO DI FROME

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SCOPERTE PIU' DI 52000 MONETE ROMANE

Grazie al suo metal detector, il cacciatore di tesori Dave Crisp ha trovato, l'8 luglio del 2010, circa 52500 monete Romane del III secolo d.c. in un campo vicino alla città di Frome, nella contea del Somerset, in Inghilterra. È una delle scoperte più grandi del suo genere.

Il tesoro, valutato 3.3 milioni di sterline (circa 4 milioni di euro), include centinaia di monete recanti l’immagine di Marco Aurelio Carausio (latino: Marcus Aurelius Maus(aeus?) Carausius; ... – 293), il comandante militare Romano che che nel 286 si impadronì del potere nella Britannia e nella Gallia settentrionale proclamandosi imperatore (non è dunque da confondere col più noto imperatore Marco Aurelio).


Carausio tenne il potere per sette anni, prima di essere assassinato dal suo tesoriere, Allecto, che gli succedette.

Le prime monete erano state trovate da Crisp lo scorso aprile. Erano sepolte in una grande giara pesante più o meno 160 kg a circa 30 centimetri di profondità.

Crisp racconta come un “segnale strano” (funny signal) del suo metal detector l’abbia spinto a cominciare a scavare.

Ho messo la mano dentro lo scavo, ho tirato fuori un po’ di argilla e c’era una piccola moneta Romana di bronzo – molto, molto piccola, delle dimensioni di un’unghia.” dice Crisp.

Solo dopo aver scavato in questo modo una ventina di monete ha scoperto che si trovavano in un recipiente e che aveva bisogno dell’aiuto di un esperto.

Poiché il signor Crisp ha resistito alla tentazione di scavare le monete, gli archeologi del Somerset County Council hanno potuto scavare con cura il recipiente e i suoi contenuti, [prendendo nota delle modalità del sotterramento]”,
dice Anna Booth, del Somerset Council.

Qui a fianco la localizzazione del ritrovamento (Daily Mail) nel Somerset.

In totale sono più di 760 le monete del regno di Carausio.

Roger Bland, del British Museum, dice:

Durante la fine del III secolo d.c. la Britannia subì invasioni barbariche, crisi economiche e guerre civili. Il potere Romano venne alla fine stabilizzato quando l’imperatore Diocleziano (Augusto d’Oriente, secondo la sua riforma) formò una coalizione con l’imperatore Massimiano (Augusto d’Occidente) che durò venti anni. Questa sconfisse il regime separatista costituito in Britannia da Carausio”.

LA GIARA

LA GIARA SOTTERRATA

Qui sotto la giara che si presentava aperta nell'imboccatura, ovvero il suo coperchio, con i movimenti del campo sopra terra, doveva essere andato in pezzi. Quando lo scopritore si accorse del contenuto effettivo della giara pensò di avvertire le autorità, dato che in Inghilterra sono severe le pene per chi occulta dei beni archeologici mentre sono notevoli i premi pagati allo scopritore, che rimborsano quasi dell'intero valore del rinvenimento.

Qui sopra si può osservare come i pezzi della giara vennero tolti con grande garbo e serbati per la ricostruzione del vaso stesso. Nel tesoro c'erano anche monte di Gaio Pio Esuvio Tetrico (latino: Gaius Pius Esuvius Tetricus; ... – dopo il 273) l'ultimo imperatore dell'Impero delle Gallie, uno stato secessionista dell'Impero romano durante la Crisi del terzo secolo.
La sua sconfitta per mano dell'imperatore romano Aureliano comportò la riunificazione delle Gallie all'Impero romano.

Per ciò che riguarda le monete rinvenute di Carausio, questi fu un militare romano nato nella Gallia Belgica, esattamente nella tribù dei Messapi, che si era distinto durante la campagna militare condotta dall'imperatore Massimiano contro i Bagaudi nel 286.


Divenne poi comandante della classis britannica, che pattugliava la Manica, col compito di eliminarne i pirati che la infestavano, sia franchi che sassoni, e che devastavano la costa dell'Armorica (Bretagna) e quella della Gallia Belgica. Ma Massimiano ebbe il sospetto che Carausio si fosse inteso coi pirati, per cui ordinò la sua eliminazione. Avendolo saputo, 286 o agli inizi del 287, Carausio, tra il 286 e il 287, si autoproclamò imperatore della Britannia e della Gallia settentrionale, divenendo un usurpatore.

La sua sconfitta per mano dell'imperatore romano Aureliano (214 - 275) coincise con la riunificazione delle Gallie all'Impero romano. Nel 288 - 289, Massimiano fallì nell'invasione della Britannia, per cui Carausio cominciò a sperare di essere riconosciuto dal potere centrale e cominciò a battere moneta a Londra, a Rouen e, forse anche a Colchester.

Nelle sue monete egli si attribuisce i titoli di "Restitutor Britanniae" ("Restauratore della Britannia") e di "Genius Britanniae" ("Spirito della Britannia"), tanto aveva fatto leva sul risentimento della popolazione contro il governo di Roma.
DENARIO D'ARGENTO DI CARAUSIO
Però nel 293, Costanzo Cloro, divenuto Cesare d'Occidente, marciò in Gallia contro Carausio. Ma fu il tesoriere di Carausio, Allecto, che assassinò l'usurpatore e ne prese il posto. Ebbe però solo tre anni di regno, perchè venne sconfitto e ucciso per incaprettamento (cioè per strangolamento) da un uomo di Costanzo Cloro.

Tetrico è elencato tra i Trenta Tiranni della Historia Augusta (raccolta di biografie di imperatori e usurpatori romani comprendente l'arco di tempo che va da Adriano a Numeriano) che raccoglie trentadue uomini, donne e bambini che sarebbero stati usurpatori contro diversi imperatori romani. Questo tesoro non fu comunque importante solo per il suo scopritore ma anche per la storia della Britannia, in quanto gettò luce su due personaggi importanti come Tetrico e Carausio su cui esistevano dubbi e incertezze.

LEGIO XXII DEIOTARIANA

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42 a.c. - Il nome di questa legione derivò da Deiotarus (105-40), il re dei Tolistobogii, una tribù celtica della Turchia centrale, alleato dei romani.
Deiotaro assoldò un esercito celtico ma lo fece addestrare dai romani nel 42 a.c. e combattè dalla parte dei romani durante le guerre contro Mithridate VI (132-63).

La legione era costituita da 12000 fanti e 2000 cavalieri e, come narra Cicerone, divisa in trenta coorti, equivalenti a circa tre legioni romane. Deiotaro fu alleato di Gneo Pompeo, che lo rese re di tutti i Celti di Asia minore, la Galazia, i cui abitanti si chiamarono i Galati. Si ignora il suo simbolo legionario, che forse era un emblema galata, cioè celtico.



MITRIDATE

Fu uno dei più grandi avversari della Repubblica romana, che costrinse a ben tre guerre mitridatiche, impegnando tre dei più grandi generali romani, Lucio Cornelio Silla, Lucio Licinio Lucullo e Gneo Pompeo Magno.

Fece assassinare Ariarate VI, marito di sua sorella e divenne re mettendo a morte il fratello e la madre reggente del regno. poi reclamò il trono della Cappadocia ma i romani si opposero.
Invitò poi il nipote subentrato al trono, ad una conferenza di pace, e lo fece assassinare sostituendolo con uno dei propri figli, Ariariate; Il popolo però lo cacciò nominando re il secondo figlio di Laodice.

MITRIDATE IV
Mitridate invase nuovamente la Cappadocia e uccise l'altro nipote ma il Senato Romano nel 93 a.c., nominò come re Ariobarzane. 

In seguito tentò di conquistare l'Asia minore e sottomessa l'Anatolia occidentale, ordinò l'uccisione di tutti i romani che vi si trovavano, circa ottantamila. Seguirono tre guerre ma solo con la III guerra mitridatica (75 - 65 a.c.), il re venne definitivamente sconfitto da Gneo Pompeo Magno.

Dopo la sconfitta, Mitridate riformò un esercito per invadere l'Italia, ma ricevette infine dai suoi stessi generali la richiesta di lasciare definitivamente il regno in mano al giovane figlio, Farnace, tanto più che aveva commesso numerosi ed orribili omicidi a danno dei suoi stessi figli, dei suoi stessi amici e generali.
Mitridate allora, temendo inoltre di essere consegnato ai Romani, prima tentò di uccidersi con del veleno, non riuscendovi si diede la morte aiutato da un generale dei Gallii.



FARNACE

47 a.c. - Ma anche Farnace, il figlio di Mitridate, tentò di opporsi ai romani e la Legio XXII Deiotariana fu protagonista della sua sconfitta, infatti i suoi soldati si unirono un'unica legione, che marciò a fianco di quelle di Gaio Giulio Cesare durante la sua vittoriosa campagna contro il Ponto, combattendo nella battaglia di Zela (47 a.c.).

La battaglia, svoltasi nella Turchia orientale nel 47 a.c., vide l'esercito nemico accamparsi nella collina di Zela, mentre Cesare prese possesso di un'altura vicina. Mentre i Romani stavano rinforzando la propria postazione, i nemici partirono improvvisamente contro di loro, cogliendoli di sorpresa poiché avevano abbandonato una posizione vantaggiosa per attaccare un accampamento in salita. Dopo notevoli perdire tra i romani, Cesare riuscì a organizzare la difesa, e a contrattaccare.

Schierò le sue quattro legioni, da destra a sinistra: la VI Ferrata, la legione Pontica, la legione di Deiotaro e la XXXVI legione. L'esercito del Ponto venne sconfitto, con molte perdite tra i cesariani ma con l'annientamento dell'esercito di Farnace, di circa 20.000 uomini, che venne totalmante annientato in 5 ore.

Dopo la vittoria, Cesare da Zela inviò a Roma il famoso messaggio "Veni, vidi, vici" (Venni, vidi, vinsi). Queste sue parole furono incise su una colonna di marmo, eretta a Zela.



AUGUSTO

26 25 a.c.
 - Sembra che alcune vessillazioni della XXII Deiotariana abbiano combattuto nell'attacco alla Arabia Felix (Yemen) nel 26-25 a.c., guidati dal prefetto-governatore dell'Egitto, Elio Gallo. Intanto il regno nubiano di Meroe attaccò l'Alto Egitto. Allora i romani, comandati da Gaio Petronio, marciarono lungo il Nilo e raggiunsero Napata, l'antica capitale settentrionale della Nubia. La espugnarono e la saccheggiarono.

I soldati vennero impiegati in diversi luoghi in Egitto, per edificare residenze e monumenti, e pure nelle cave di marmo (come quelle di Mons Claudianus, da cui si estraeva il granito grigio. Altri legionari furono inviati a sud, dove lasciarono le loro firme sui Colossi di Memnone.

Quando la Galazia fu annessa all'imperatore Augusto (25 a.c.), la XXII° venne integrata dal governatore Marco Lollio nell'esercito romano. Da allora venne chiamata legione XXII Deiotariana, perché le legioni augustee erano ventuno (XXI Rapax).

8 a.c. - Essa venne trasferita a Nicopoli presso Alexandria in Egitto, ne abbiamo la prima prova nell'8 a.c., e vi stazionò per circa un secolo condividendo la fortezza con la III Cyrenaica. Queste legioni dovevano controllare sia attacchi esterni che interni, visto i diversi gruppi etnici presenti in zona, soprattutto greci, egiziani ed ebrei, spesso turbolenti. Ma soprattutto era importante che questi atti di ribellione non turbassero i notevolissimi rifornimenti di grano che l'Egitto inviava a Roma, pena la fame e la rivolta del popolo romano.
Pertanto a nessun senatore fu permesso di visitare l'Egitto senza il permesso dell'imperatore. La provincia era estremamente importante per l'approvvigionamento di cibo romano e un senatore avrebbe potuto tagliare il commercio del grano, affamare la città e proclamarsi imperatore. Pertanto, la XXII Deiotariana non fu comandata da un senatore, ma da un prefetto dell'ordine equestre.
SCUDO DELLA XXII DEIOTARIANA
55 - 63 d.c. - Durante il regno di Nerone, i Romani combatterono una campagna contro i Parti (55-63) a cui parteciparono delle vessillaziones della XXII Deiotariana, avendo questi invaso il regno di Armenia, alleato romano.
La campagna, guidata dal generale Domizio Corbulo, ebbe sorti alterne fino a quando nel 63 le legioni romane, sotto il comando di invasero il territorio partico governato da re Vologase I di Partia e lo costrinsero a restituire il regno d'Armenia al proprio legittimo sovrano Tiridate I d'Armenia.

66 - 70 - Un'altra vessillazione delle XXII combatté nella guerra ebraica del 66-70. Nel 66 alcuni giudei zeloti uccisero la guarnigione romana a Gerusalemme, dando luogo alla I guerra giudaica. Dopo la sconfitta del legato di Siria, nel 67 Tito Flavio Vespasiano penetrò in Giudea con le legioni V Macedonica, X Fretensis, XV Apollinaris, una vexillatio di 1000 legionari della XXII, e 15.000 soldati degli alleati orientali e assediò Gerusalemme. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe elogiò il coraggio dei soldati della legione deiotariana. Nella guerra civile del 69, la Deiotariana e la III Cirenaica si schierarono con il pretendente Vespasiano, che divenne imperatore.

All'epoca di Traiano la XXII è ufficialmente nota come Legio XXII Deiotariana, che comunque era il suo nome usato sin dall'epoca di Claudio.

Le ultime notizie della legione si hanno nel 119, secondo altri nel 123, quando era ancora ad Alessandria con la III Cirenaica, ma non esisteva più durante il regno di Marco Aurelio, quando fu fatto un catalogo di legioni (CIL 06.3492). L'unità fu probabilmente distrutta dagli ebrei durante la rivolta del messia Simon ben Kosiba (132-136).

TOMBA DI QUINTO SULPICIO MASSIMO

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TOMBA DEL GIOVANE Q. SULPICIUS MAXIMUS

Il monumento sepolcrale romano al fanciullo Quinto Sulpicio Massimo è oggi posizionato all’incrocio tra via Piave e la via dedicata allo stesso fanciullo della tomba, appunto via Sulpicio Massimo, all’interno delle mura Aureliane.

Durante il cannoneggiamento delle mura del 1870, venne gravemente danneggiata la porta Salaria, si che nel 1871 si decise di abbattere la porta rinvenendo, inglobato nelle fondamenta della torre cilindrica ad est della porta, il monumento funebre a Quinto Sulpicio Massimo ed anche un sepolcro a camera, ambedue del I sec. d.c. L'altro monumento, non identificato, anch’esso collocato all’incrocio tra via Piave e via Sulpicio Massimo, è una struttura di epoca Sillana composta da una cella rettangolare costruita in grossi blocchi di peperino, con cornici e lesene in calcare e sottobasi di ardesia.

Sulla destra, è collocato il secondo monumento composto da uno zoccolo di travertino e da un cippo marmoreo con frontoni ed acroteri. All’interno dell’edicola è rappresentato in altorilievo un fanciullo togato che tiene in mano un rotolo su cui è inciso un carme. I versi del poemetto sono incisi ai lati del rilievo, al disotto del quale sono tre iscrizioni, due in latino e una in greco.

L'originale cippo è in realtà ai Musei Capitolini, nel Palazzo dei Conservatori, e i massi della tomba a camera ed una copia del sepolcro di Sulpicio Massimo furono inseriti all’interno di un piccolo giardino a poche decine di metri dalla originale ubicazione, all’angolo tra via Piave e via Quinto Sulpicio Massimo.



CERTAMEN

Certamen è un vocabolo latino, derivante dal verbo "certare", cioè gareggiare, che indicava appunto una gara, una competizione. Il vocabolo latino è utilizzato per indicare una gara (solitamente poetica) in lingua latina. In italiano è diventato «certame».

Nel tredicesimo anno del regno dell’imperatore Domiziano si tiene il terzo agone capitolino, un giovane romano di undici anni, Quinto Sulpicio Massimo, vuole partecipare al certame poetico, ha studiato bene il greco, è amante della poesia e compone ottimi versi. Il padre Quinto Sulpicio Eugramo e la madre Licinia Ianuaria, assecondano il suo desiderio: Sulpicio Massimo è tra i cinquantadue poeti che sosterranno l’agone.



Recensione del libro 
QUINTUS SULPICIUS MAXIMUS. 
Il sepolcro del poeta fanciullo presso la necropoli di Porta Salaria a Roma
Maria Elisa Garcia Barraco, Emiliano Ventura, Ilaria Soda
Arbor Sapientiae Editore - Roma, 2017

I giochi ginnici ed equestri dell’agone capitolino si tengono nello Stadio di Domiziano, (oggi Piazza Navona) mentre gli agoni musicali e poetici nell'adiacente Odeon, il teatro con novanta colonne che l’imperatore ha fatto costruire vicino al suo stadio. Massimo si è preparato a lungo per sostenere l’agone, ha provato molte volte a comporre versi improvvisando, tiene molto a questa gara e vorrebbe tanto chinare la testa per raccogliere la corona d’alloro intrecciata con nastri dalle mani dell’imperatore in persona.

Non sarà un’impresa da poco, tra i cinquantadue iscritti c’è anche il poeta Stazio, il vincitore di tre corone agli agoni di Albano. Le cavee del teatro sono piene, quasi diecimila romani sono gli spettatori davanti ai quali si esibiscono i poeti; ci sono i giudici, i senatori e i sacerdoti, c’è l’imperatore vestito alla maniera orientale; tra il pubblico ci sono anche Quinto Sulpicio Eugramo e Licina Ianuaria, la madre e il padre del più giovane poeta del terzo agone capitolino.

I giudici chiamano gli agonisti uno ad uno, arriva anche il turno di Quinto Sulpicio Massimo, nei brevi momenti che intercorrono tra la chiamata e la definizione del tema della gara, Quinto ripensa ai giorni di studio, alle lezioni di retorica e composizione, a Virgilio che arrossisce in pubblico e al poeta dei poeti, Omero.

Un po’ pallido, provato dalla lunga preparazione, respira e senza guardare la folla aspetta che gli venga dato il tema su cui improvvisare i versi: « Come Giove abbia ripreso Apollo per aver lasciato il carro del sole a Fetonte ».

Quinto improvvisa i suoi quaranta versi in greco, tutti rimango stupiti per le delicate immagini che il fanciullo riesce a condensare e a riportare nel suo componimento poetico. Tutti sono in ascolto, i senatori, i giudici, il sacerdote di Giove e i Flaviani, l’imperatore Domiziano, il pubblico lungo le cavee dell’Odeon e tra loro Eugramo e Licina, i suoi genitori.

Alla fine dell’improvvisazione la platea è concorde nel riconoscere merito ed onore al fanciullo, il pubblico approva vociando e agitando palme e rametti, i giudici hanno cenni di apprezzamento e anche l’imperatore esprime ammirazione; Massimo, che non è un gladiatore né un generale, ha stupito Roma con i suoi versi e la sua poesia.

Non sappiamo chi sia stato il vincitore della corona di poesia del terzo agone capitolino, Stazio non è tra questi, la leggenda vuole che per l’amarezza della sconfitta abbia lasciato Roma. Quinto Sulpicio Massimo si è coperto di onore, più del vincitore della corona che non ricorda nessuno, Roma intera sussurra il nome di un bambino che forse supererà Virgilio.

Pochi giorni dopo, per via del troppo studio, Massimo si ammala e muore, lasciando i genitori distrutti dal dolore. È la fine estate del 94 d.c. Ma chi ha avuto il coraggio di affrontare, così giovane, i maggiori poeti di Roma, non può che splendere di gloria. Viene eretto un piccolo monumento funebre che lo ritrae mentre recita i versi, è ancora visibile a Roma vicino Piazza Fiume.




RODOLFO LANCIANI

"Procedendo duecento passi più in là, sullo stesso lato della via Salaria, troviamo la base della tomba del ragazzo precoce Quinto Sulpicio Massimo, la tomba per sé essendo stata scoperta nel 1871, all'interno della torre a destra della Porta Salaria, mentre questa veniva ricostruita dopo il bombardamento del 20 settembre, 1870. La tomba aveva costituito il nucleo della torre, proprio come quella di Eurisace, il panettiere, trovato nel 1833, era stata inserita nella torre di sinistra della Porta Prenestina.

La tomba si compone di un piedistallo, costruito in blocchi di travertino, con un cippo di marmo su di essa, ornato con una statua della gioventù, e la storia della sua vita raccontata in versi greci e latini. La storia è semplice e triste.

Il 14 settembre del 95 d.c., l'anniversario della sua ascesa al trono, Domiziano aprì per la terza volta il quinquennale "Certamen", un concorso per il campionato del mondo nel ginnastica, sport equestri, musica e poesia, che aveva istituito all'inizio del suo regno. Erano presenti cinquantadue concorrenti in poesia greca. Il soggetto, estratto a sorte, è stato: "Le parole che Giove ha usato per rimproverare Apollo per aver con troppa fiducia prestato il suo carro di Fetonte."

Quinto Sulpicio Massimo improvvisò su questo tema piuttosto scarso, contro cinquantuno extemporales. Il significato dell'aggettivo è dubbia. Non siamo certi se il ragazzo ha parlato a braccio i suoi versi, le sue parole prima le scriveva; o se lui e i suoi colleghi sono stati autorizzati a prendersi un po' di tempo in considerazione dell'argomento e per scrivere la composizione, come è ormai prassi negli esami letterari. 

Gli antichi scrittori parlano di "improvvisatori", che manifestano il loro dono meraviglioso in età precoce; ancora, sembra quasi impossibile che cinquantadue tali prodigi avrebbero potuto essere riuniti in una sola competizione. Sulpicio Massimo fu incoronato dall'imperatore con gli allori Capitolini e premiato per il campionato del mondo nel 282. I versi con la quale ha vinto il concorso sono davvero molto buoni, e mostrano una conoscenza approfondita della metrica greca. La vittoria, però, gli è costata cara; infatti, ha pagato con la vita. La seguente iscrizione fu incisa sulla sua tomba: 

"Agli Dei Mani.
Per Quinto Sulpicio Massimo, figlio di Quinto, della tribù Claudia, nato in Roma e vissuto 11 anni 5 mesi e 12 giorni. 
Egli, alla terza celebrazione quinquennale dei giochi Capitolini, tra 52 poeti di Greco riscosse apertamente i favori che furono risvegliati dalla sua giovane età, il suo ingegno suscitò ammirazione e dipartì con onore. 

I suoi versi improvvisati sono incisi su questa tomba, a provare che i genitori nel lodare il suo talento non erano ispirati unicamente dal loro profondo affetto per lui. (ne suis adfectibus indulsisse videantur).

Quinto Sulpicio Eugramo e Licinia Ianuaria, infelicissimi genitori, realizzarono per il tenerissimo figlio e per loro stessi e per i loro posteri”

Lasciate che il destino di questo ragazzo sia un avvertimento a quei genitori che, scoprendo in loro figli un'inclinazione precoce per qualche ramo del sapere umano, incoraggiano e forzano questa intelligenza fatale per la gratificazione del proprio orgoglio, invece di moderare in conformità con la potenza fisica e lo sviluppo dei giovani.



IL CERTAMEN

La gara indetta per tutto l'impero, istituita da Domiziano, ha avuto una carriera lunga e di successo, e siamo in grado di seguire la sua festa per molti secoli, fino all'età di Petrarca e Tasso.

IL MONUMENTO ORIGINALE ESPOSTO NELLA
CENTRALE MONTEMARTINI
Un'iscrizione scoperta a Vasto, l'antica Histonium, descrive quello che ha avuto luogo nel 107 d.c. con queste parole: "A Lucio Valerio Pudente, figlio di Lucio di soli tredici anni, ha preso parte alla sesta sacra Certamen, nei pressi del tempio di Giove Capitolino, e ha vinto il campionato tra i poeti latini con il voto unanime dei giudici."

Queste ultime parole dimostrano che i giurati speciali sono stati nominati dall'imperatore per ogni sezione delle gare. Nell'anno 319 Costantino il Grande e Licinio Cesare celebrarono con grande solennità i cinquantotto Certamen. Ausonio di Burdigala, il grande poeta del IV secolo, parla di un Attius Delfidius, un bambino prodigio (paene ab incunabulis poeta), che ottenne il premio sotto Valentiniano I. L'usanza medievale e rinascimentale di poeti "laureati" sul Campidoglio era certamente derivata dalla istituzione di Domiziano.

La gara del "improvvisatori" non si è mai estinta nel centro e sud Italia. Uno dei più celebri nel XVI secolo, di nome Silvio Antoniano, all'età di undici anni potrebbe cantare con l'accompagnamento di suo liuto su qualsiasi argomento proposto a lui, la poesia avendo grazia e piacevolezza come la musica.

Un giorno, mentre era seduto a un banchetto di Stato nel Palazzo di Venezia, Giovanni Angelo de' Medici, uno dei cardinali presenti, gli chiese se poteva improvvisare "sulle lodi dell'orologio", il cui suono, dal campanile del palazzo, aveva appena colpito le sue orecchie. Il canto melodioso di Silvio, su un tema così straordinario, venne accolto con applausi; e quando Giovanni Angelo de 'Medici fu eletto papa nel 1559, sotto il nome di Pio IV., sollevò il giovane poeta al rango di cardinale nel riconoscimento del suo straordinario talento.



PARENTALIA - DIES PARENTALII (13-21 Febbraio)

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PARENTALIA

Le Parentalia erano delle feste che svolgevano soprattutto in ambito familiare, si concludevano il 21 febbraio con la cerimonia dei Feralia. In ambito pubblico le feste dei morti c'erano ma erano molto ridotte, perchè i romani temevano parecchio il contatto coi defunti. Purtuttavia onoravano e veneravano Lari e Penati nel Larario, convinti però che gli antenati restassero nel loro mondo senza scantonature.

Le Parentalia si ritengono essere state istituite dallo stesso Enea e per la parte ufficiale prevedono le Vestali, custodi del sacro fuoco, le quali provvedono a offrire sacrifici in nome di tutta la comunità. In questi giorni i templi vengono chiusi, spenti i fuochi sacri, non si possono celebrare matrimoni e tutti devono dedicarsi, anche se ricoprono cariche pubbliche, al culto dei propri morti. 

Si credeva che le anime dei defunti potessero in questi giorni girare liberamente tra i vivi, con intenzioni buone e meno buone. Ai defunti vengono pertanto offerte delle ciotole lasciate ai bordi delle strade riempite con cereali (soprattutto farro), sale, pane bagnato nel vino e fiori di viola.

In questa festa vengono onorati anche i Lari, inizialmente come anime dei defunti, protettori della loro casa natale e della terra e successivamente considerati come vere e proprie divinità del focolare domestico.

LARA E I LARI

IL MITO

Ovidio (Fas. II, 571-615) ricorda che in questi giorni si facesse un particolare rito dedicato alla Dea Tacita, o Muta, o Lara. In questo rito la vecchia rappresenterebbe la ninfa Lala o Lara, sorella di Giuturna, una ninfa delle fonti che in origine era una donna, amata da Giove che le offrì, in cambio dei suoi favori, l'immortalità ed il dominio sui corsi d'acqua dolce del Lazio. Secondo un'altra versione Giuturna era invece la Dea moglie di Giano, dal quale ebbe Fons. 

Lara sarebbe stata punita da Giove col taglio della lingua e la morte per aver rivelato a Giunone i suoi amori con Giuturna. Secondo questo mito i Lares compitales sarebbero due gemelli da lei partoriti a seguito della violenza fattale da Mercurio nel condurla nell'Ade per ordine di Giove.



LA CERIMONIA

La cerimonia prevedeva che una vecchia attorniata da fanciulle (rappresentante Lara) ponesse tre grani d'incenso sotto la porta, legasse fili ad un fuso scuro e si mettesse in bocca sette fave nere. Doveva quindi bruciare su un fuoco una testa di pesce impeciato e cucito con amo di rame e spargervi sopra vino, bevendone poi colle fanciulle il residuo.

E' evidente che questo era un rito magico, i grani d'incenso sotto la porta equivaleva al rito di protezione per allontanare gli spiriti negativi, (in altri tempi si poneva la scopa coi fili di saggina). Il legamento dei fili di piombo al fuso scuro ovvero nero, il filo cioè che tesse la vita e la morte delle persone, nero nel loro viaggio dell'oltretomba.

Le sette fave nere sono le stesse che, nel mese di maggio, il pater familias, sacerdote all'interno della propria casa per quanto riguarda i riti familiari, si alza nel cuore della notte per gettarsele alle spalle senza guardare nelle feste Lemuria per scacciare gli spiriti malefici. Qui l'intento non è di scacciare gli spiriti ma di propiziarli. Il rito però è stato stravolto per farlo aderire al culto di Lara la delatrice.  Infatti la vecchia berrebbe vino fino ad ubriacarsi per poi pronunciare la frase magica "Abbiamo legato le lingue ostili e le bocche nemiche".

In realtà la bruciatura della testa del pesce non riguardava le male lingue ma le larve malvagie che si riteneva popolassero il mare magnum degli spiriti delle profondità e anticamente si mescolavano le ceneri del pesce nel vino e si brindava. Inutile dire che la vecchia era la Gran Sacerdotessa con le giovani sacerdotesse che attendevano al rito sacro.

PARENTALIA

IL SERPENTE

Si dice vi fosse una credenza per cui dentro il sepolcro, quando la spina dorsale imputridisca, il midollo umano si muti in serpente. (Ovidio - Metamorfosi XV, 389-390) Questo spiegherebbe la presenza dei serpenti nelle immagini dei larari.

Veramente il serpente è da sempre il simbolo della Grande Madre, della Terra o Madre Natura che dir si voglia, tanto che gli orientali il raccostamento alla natura viene percepito come un serpente che si risvegli lungo la spina dorsale.



IL BANCHETTO

Terminato il rito da parte della matrona con le figlie femmine, trasposizione di Lara alias strega, si andava a ripetere la libagione ad una fonte dove si apprestava un banchetto allietato da vino, musiche e danze che durava fino a sera. La notte le donne andavano nei crocicchi ponendo rami di rosmarino e dolci per avere responsi sul futuro dai defunti.

VILLA DI SAN GIOVANNI IN PALCO (Campania)

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Taurano, la cui origine etimologica sarebbe da ricercare nel gentilizio Taurius o secondo altri nel cognome Taurus, è un antico oppidum sannita, distrutto da Silla nel corso della guerra sociale nel V secolo a.c.. In epoca romana diviene luogo di villeggiatura, e di questo periodo sono venute alla luce due ville ma solo parzialmente indagate, una in località Torre e l'altra in San Giovanni del Palco.

RICOSTRUZIONE IN CG
Il territorio montano, a nord dell'abitato, rifugio per le popolazioni dell'intera vallata durante le incursioni barbariche, ha restituito casualmente, durante gli scavi per la costruzione di un metanodotto, proprio in montagna, due ville rurali di epoca tardo-romana.

Ad est del Vesuvio e poco a sud di Nola, stretta fra le montagne di Sarno e gli Appennini interni, si estende la valle di Lauro nel cui centro svetta il Comune di Lauro con il Castello Lancellotti, che fu costruito su un tempio romano.

Subito fuori del Comune, a mezza costa di una collina sorge il convento di S. Giovanni del Palco. Sia la chiesa che il convento vennero edificati spoliando i resti di una villa romana, come è infatti illustrato in un affresco di fine ‘800 presente nel Castello Lancellotti.

Nell'immagine infatti si scorgono gli operai che smontano delle colonne probabilmente dal peristilio della villa. La Villa, scoperta casualmente, fu scavata tra il 1981 e il 1985. 
La parte oggi visitabile del complesso si estende per circa 1400 mq e si articola su più terrazze lungo la collina. Ai piedi della chiesa c'è il quartiere termale della villa romana.

VASCA DEL CALIDARIUM
I resti finora portati in luce si datano dal II secolo a.c. fino all’eruzione vesuviana del 472 d.c., quando il complesso venne abbandonato.

La parte più antica della villa risale all'età tardo-repubblicana, mentre venne ampliata in età augustea-tiberiana dotandola di un impianto termale e di un triclinium con uno splendido ninfeo, aperto nel terrazzo più a valle, finemente decorato con preziose tessere in pasta vitrea.

Nella metà del I d.c. l'impianto termale fu ulteriormente ampliato edificandovi un frigidarium,  un tepidarium e due calidaria con corridoi di passaggio. Molti degli ambienti portati alla luce, in particolare quelli del terrazzo mediano, conservano pitture parietali del III e IV stile e pavimentazione in opus signinum.

IL NINFEO
In età tardo-antica la villa fu depredata dei rivestimenti marmorei e degli elementi lapidei,  e parte degli ambienti fu adibita ad aree di lavorazione: il triclinio fu trasformato in frantoio, altre stanze in magazzini e così via. La distruzione definitiva del complesso avvenne nel V-VI sec. d.c. in seguito all'eruzione vulcanica che investì anche i vicini insediamenti di Nola e Avella.

La villa romana, oggi al confine tra il comune di Lauro e di Taurano, esattamente il località San Giovanni del Palco venne costruita soprattutto per uso rurale data la presenza di numerosi vigneti ed oliveti e soprattutto alle vicine sorgenti a monte. Ma l'amenità del luogo, e forse la buona rendita prodotta dalla villa, fece si che col tempo essa divenne anche residenziale.
Data la sua posizione panoramica, il popolamento dei luoghi anche da parte dei ricchi romani che ne fecero case di villeggiatura prima, ma pure case rurali come investimento, magari con una parte, trasformata in "villa urbana".


Del resto non si edificano delle terme se non si abita almeno per molto tempo nella villa, dato il costo elevato per le condutture, encausti, vasche, ninfeo, decorazioni e così via.

Tutto ciò che resta oggi delle terme romane deriva soprattutto dalla ristrutturazione avvenuta in età tiberiana. Ancora oggi nel sito si riconoscono gli ambienti tipici dei complessi termali piuttosto articolati e ricchi: almeno tre ambienti caldi (calidaria), un ambiente destinato ai bagni di vapore (laconicum), uno per il bagno freddo (frigidarium) completo di vasca coperta (natatio) originariamente decorata con lastre marmoree.
Gli ambienti riscaldati all'epoca lasciano scoprire in molti punti il sistema di riscaldamento, come la camera d’aria sotto il pavimento (hypocaustum) ed il sistema di approvvigionamento dell’acqua, dal collegamento con la sorgente (caput aquae) alla cisterna.

Si scende poi nella terrazza inferiore, dove si può ammirare uno splendido ninfeo di età tiberiana, con fontana absidata, fornita di vasca e con due edicole alle estremità, ai cui lati si aprono una serie di nicchie decorate con mosaici parietali a tessere bianche e azzurre.


In molti punti la decorazione a mosaico è andata perduta, forse già prima dell’eruzione del 472, dato che non ne sono state trovate tessere a terra, ma dove è ancora presente essa mostra una fine esecuzione e una delicata fantasia, scene di caccia di amorino con cani, la natura morta col pappagallo e melograno, e vari vasi con elementi vegetali.

Evidentemente la stanza che dava sul ninfeo, come usava all'epoca, venne adoperata per i banchetti estivi, colma di frescura e di piacere per gli occhi. Poi mutate le situazioni, venne trasformata alcuni secoli dopo in un’area per la produzione dell’olio, con due mole ed una pressa, fino a che non giunse l’eruzione del Vesuvio a seppellire l’intero edificio.

Si capì poi che l’intero Vallo di Lauro, con le basse colline e le numerose sorgenti, era costellato di ville romane che sfruttavano l’amenità dei luoghi insieme con i prodotti della terra. Non a caso i romani chiamavano quella terra Campania Felix.

Del resto la maledizione del vulcano che distrusse tante zone stupende come Ercolano e Pompei, è stata tuttavia una benedizione per la terra, arricchita di minerali proprio per la sua composizione eruttiva, trasformandola in terra fertilissima.


Questo fece si che la zona limitrofa al vulcano fu da sempre abitata per le bellezze del territorio ma pure per l'estrema fertilità della terra che produceva e produce tutt'oggi ortaggi, frutta e cereali unici al mondo per la loro bontà.

Purtroppo il lavoro di scavo è stato interrotto nonostante l'emergere dalla terra di interessanti frammenti ceramici e la villa con le terme dal ninfeo azzurro dopo gli interventi di indagine e restauro conservativo effettuati all’inizio degli anni ’80, non è stata oggetto di ulteriori studi. 

L’Apolline Project ha ottenuto il permesso per lo studio dell’intero sito e dei reperti recuperati al tempo dello scavo e sta ora procedendo al rilievo dei muri e sta avviando lo studio dei reperti ceramici.

Coerentemente con le altre iniziative dell’Apolline Project, speriamo che l’indagine di questo sito consentirà di ricostruire il paesaggio e l’economia antica, per ridare vita al passato e permettere gli scavi di nuovi edifici.



L'ALFABETO ROMANO

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Un sistema di scrittura è un insieme di grafemi e/o di ideogrammi che si combinano insieme mediante determinate regole per poter dar luogo a una scrittura comprensibile e ripetibile. Mentre il primo tipo di comunicazione avviene oralmente, perchè tanto basta nell'ambito di una tribù, successivamente, quando di tratta di un clan, e soprattutto quando si ha bisogno di effettuare un commercio, o comunque un contratto, la comunicazione deve essere scritta, sia per evitare errori, sia per diventare prova di se stessa e dei suoi contenuti.

Mentre infatti la tradizione orale viene trasmessa bocca-orecchio, la tradizione scritta viene impressa incidendola su materiali trasportabili, quindi di piccolo formato e di poco peso, come una tavoletta di legno, che divenne successivamente e comodamente di papiro e di carta.

La scrittura compare con l'inizio dell'Età del bronzo nel tardo Neolitico. Vengono ritenute le più antiche la scrittura cuneiforme del sumerico e i geroglifici egizi, sviluppatisi intorno al 3400-3200 a.c. La scrittura cinese è invece più tarda, perchè  si è sviluppata intorno al 1200 a.c.

La scrittura abjad comparve come alfabeto consonantico prima del 2000 a.c. nella penisola del Sinai, presso le popolazioni semitiche. Tutte le scritture più antiche sono consonantiche, cioè prive di  vocali, data la modalità della trasmissione orale che ne stabiliva i suoni e ne provocava la ritenuta mentale per mezzo della memoria. Ancora oggi ignoriamo i suoni di molte antiche lingue, ad esempio della lingua egizia.

Le prime scritture furono soprattutto ideogrammi a cui poi si associarono le lettere dell'alfabeto, spesso dando luogo a due scritture contemporanee (come in Cina), seguite nel tempo dalla scomparsa degli ideogrammi a favore delle lettere. In qualche caso la lingua ideogrammatica viene conservata per scritti o documenti di alto valore ufficiale, riguardanti lo stato o la religione.

Il passaggio dall'ideogramma all'alfabeto corrisponde nel tempo alla preminenza dell'uso dell'emisfero destro del nostro cervello, seguita dalla preminenza dell'uso dell'emisfero sinistro. La scienza russa ebbe grandi risultati nella ricerca delle aree cerebrali e del loro funzionamento, in particolare riguardo ai due emisferi, osservando soprattutto le vittime della guerra che soffrivano di lesioni cerebrali.

Ciò è dato dal fatto che l'emisfero destro è maggiormente deputato alle qualità visuo-spaziali ed emotive, cioè del disegno e dell'emotività che comporta sia il comporre che il guardare un disegno o un'immagine, mentre l'emisfero sinistro è più portato alla componente razionale e analitica, meno  emotiva, per cui si serve di segni variamente composti.

SCRITTURA CUNEIFORME ED IDEOGRAMMI EGIZI
Il passaggio dalla mano sinistra alla destra corrisponde ad un nuovo modo di comunicazione oltre 
che di azione. Iside era la "Dea della Mano Sinistra" considerata la mano del comando. Presso gli egizi era infausto alzarsi dal letto poggiando per primo il piede destro, per i romani poggiare per primo il piede destro era azione fausta.

La scrittura con l'alfabeto è iniziata procedendo da sinistra verso destra (sinistrorsa, alcune lingue orientali ancora la usano come l'ebraica, l'araba e la siriaca), poi si trasformò in "bustrofedica" cioè tutta di fila, da sinistra poi da destra poi da sinistra, scrivendo nella riga sottostante in modo speculare, cioè con le lettere ribaltate, di modo che la mano non dovesse mai staccarsi dal foglio, non andasse mai a capo. Successivamente la scrittura divenne destrorsa, da destra a sinistra, come facciamo noi oggi, andando "a capo" ad ogni fine di riga.

E' lo stesso meccanismo per cui un'immagine di pittura figurativa dà più emozioni di una immagine astratta che può colpire visivamente ma poco emotivamente. La scrittura con ideogrammi è la rievocazione di un'immagine che rappresenti l'oggetto o la situazione, la lettera dell'alfabeto è un segno che non ha valore di per sè ma a seconda dei segni con cui è combinato.

ALFABETO NURAGICO
Poichè il nostro corpo è collegato a chiasma col nostro cervello, ne consegue che la preponderanza dell'uso del cervello destro porterà alla preponderanza dell'uso degli arti della parte sinistra, quindi mano sinistra e gamba sinistra; viceversa per il cervello sinistro.

Infatti l'uomo antico privilegiava l'uso della mano e della gamba sinistra, un uso che la chiesa cattolica reputò diabolica, in quanto mano del diavolo. Molti mancini furono penalizzati nelle scuole per l'uso della scrittura con la mano sinistra. In realtà è stato dimostrato che gli studenti della facoltà di ingegneria e affini sono in gran numero mancini. 

La specializzazione della mano destra è pertanto legata alla prevalenza della razionalità e del linguaggio. Gli antichi greci svilupparono pertanto la logica e l'analisi da cui trassero le varie sintesi dando luogo alla filosofia, ma pure alla matematica e alla fisica.

Il primo vero alfabeto è dunque quello greco che permise l'introduzione delle vocali a partire dall'800 a.c. L'uso delle vocali significa poter parlare quella lingua straniera, conoscerne la pronuncia a patto di impararne ovviamente le regole. L'alfabeto latino, suo discendente, è ad oggi la scrittura più diffusa.

L'alfabeto romano è lo script latino, cioè un insieme di grafemi usato dalla maggior parte dei sistemi di scrittura del mondo, tra i quali l'alfabeto della lingua latina, l'alfabeto italiano e della maggior parte delle altre lingue romanze, l'alfabeto inglese, l'alfabeto turco, l'alfabeto vietnamita e molti altri sistemi di scrittura europei ed extra-europei, che lo hanno adottato durante il XX secolo.



IL LATINO ARCAICO

Il latino arcaico è la lingua latina che veniva parlata nel Lazio almeno dagli inizi del I millennio a.c., e che precede il latino classico, ovvero la lingua latina parlata precedentemente al 75 a.c.

Il latino arcaico faceva parte delle lingue latino-falische, una serie di lingue indoeuropee attestate in Italia dal primo millennio a.c., che comprendevano, oltre al latino, anche la lingua falisca, che va dal VII al II secolo a.c. con alfabeto, ora destrorso ora sinistrorso, molto simile all'alfabeto latino.

IMMAGINE INGRANDIBILE
Il segno più caratteristico è la "F "che ha una forma tipica, come una freccia in alto. Ma probabilmente anche la lingua venetica (degli antichi Veneti, dal VI al II secolo a.c.) 

L'etrusco e l'osco-umbro hanno influito sulla composizione del latino sul latino, di origine etrusca sono: populus, taberna e catena histrio (attore), subŭlo (suonatore di flauto), persona (maschera). Dall'osco-umbro abbiamo rereditato soprattutto il nome degli animali: bos (bue), ursus (orso), lupus (lupo), turdus (tordo) e scrofa (scrofa).

Comunque sul latino, l'influenza maggiore la ebbe la lingua greca, a partire dall'alfabeto, derivato dalle popolazioni della Magna Grecia, in particolare da Cuma, come: oliva, macina, amphora, e pure molti termini marinareschi: prora, ballaena, delphinus e gubernare, che originariamente significava "reggere il timone" e che poi passò al moderno significato politico-istituzionale.

Gli antichi Romani infatti usavano solo 23 grafi, non conoscendo la W, di origine anglosassone, mentre le lettere fecero la loro comparsa nel Rinascimento. Vista l'insufficienza di caratteri per rappresentarne tutti i fonemi, molte lingue hanno poi affiancato a questi caratteri altri caratteri aggiuntivi.



IL LATINO CLASSICO

L’alfabeto latino classico conta 23 segni, ogni segno è chiamato littera.
A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T V X Y Z
Mancano quindi w, j e u.

I Romani non conoscevano il suono consonantico “v”, il segno V corrispondeva al suono “u”, ad es: VOLO si leggeva UOLO. Solo più tardi i due segni vennero differenziati.

Nelle edizioni moderne dei testi latini viene riportata questa distinzione. Il segno K è molto raro, i segni Y e Z vengono introdotti più tardi.

Per leggere il latino, oggi si utilizza la pronuncia ecclesiastica o scolastica, cioè la pronuncia tramandata dalla chiesa nel corso dei secoli.

Principali regole di pronuncia:

- i dittonghi ae e oe si pronunciano e (caelum, poena), ma se sulla seconda vocale è posta la dieresi, non forma più dittongo e vengono pronunciate le due vocali separate (poëta).

- La y si legge i (tyrannus)

- La h è muta (hic)

- Il gruppo ph si legge f (philosophus)

- Il gruppo gl si pronuncia sempre dura come nell’italiano “glicine” e non dolce come nell'italiano "gli".

- Il gruppo "ti" + vocale si pronuncia "zi", ma resta "ti" se preceduto da s,t,x (sapientia, bestia).



LA CAPITALE ROMANA QUADRATA

La Capitale romana quadrata, nota anche come Capitale elegante o carattere Lapidario romano, è una scrittura maiuscola dell’antichità romana, all'origine della storia delle maiuscole moderne dell’alfabeto latino. E' l'alfabeto del latino classico.

Nasce ispirata dai modelli greci ed etruschi intorno al VI Secolo a.c. nell'area del Foro romano; raggiunge la sua forma classica fra la seconda metà del I secolo e il III secolo d.c., periodo degli imperatori Augusto, Tiberio, Traiano, Adriano e Marco Aurelio; ancora oggi è una delle scritture più eleganti, importanti, raffinate e maestose che l’Occidente abbia creato.

Gli esempi delle maiuscole quadrate usate per le iscrizioni possono ammirarsi sul frontone del Pantheon, nell’Arco di Tito e soprattutto nella Colonna Traiana (sulle sue incisioni è stato modellato il font Trajan), tutti monumenti situati a Roma.

Con l’espansione dell’Impero romano e l’esigenza di avere una scrittura ufficiale, importante anche a livello privato e commerciale, si crea il carattere Lapidario romano, con cui si compongono le epigrafi col chiaroscuro tipico delle incisioni a sezione triangolare; il Lapidario viene usato anche nei manoscritti: si tratta della capitale quadrata o capitale libraria elegante.

Le forme geometriche delle capitali romane, nella prima versione latina, sono basate sui canoni classici greci, con uniformità dei tratti e rigorosa geometria delle forme, modellate sul quadrato – e della sua suddivisione in metà, quarti e ottavi -, del triangolo e del cerchio. Scrittura maiuscola calligrafica, ha un angolo di scrittura che varia continuamente e, con esso, gli effetti chiaroscurali delle singole lettere.

L’inizio e la fine delle aste, come eredità lasciata dallo scalpello, hanno un leggero allargamento delle spatole: le Grazie; questa la nascita e l’origine dei caratteri graziati. Le lettere Y e Z sono state aggiunte in età repubblicana, W, J (medievali) e U (rinascimentale) non esistevano.

Il lapidario romano veniva usato per le epigrafi; per imitazione venne usato anche nei manoscritti: si tratta della capitale quadrata o capitale libraria elegante. Nell'uso quotidiano i latini usavano invece un corsivo conosciuto come capitale corsiva.



LA LINGUA ROMANA

La lingua romana, cioè lo script latino, a differenza degli idiomi che ne trarranno spunto, è una lingua che si svolge sul SOV (soggetto-oggetto-verbo), ciò che consente una compiutezza e una vigilanza particolare del pensiero. E' la stessa differenza che passa dalla musica cromatica a quella dodecafonica. 

La cromatica ha grosso modo una partenza, un'acme e una ricaduta, il che permette di esprimere emozioni anche molto forti, ciò che non troviamo nella musica dodecafonica, nelle musiche indiane o giapponesi, o nei canti gregoriani.

Quest'ultima musica e questi canti sono percepiti come molto rilassanti, per il semplice fatto che si percepisce un'armonia ma senza emozioni. Pertanto il SOV della lingua latina consente lucidità ed emozioni insieme.
La lingua latina ha cinque declinazioni e quattro coniugazioni verbali. La declinazione dei nomi ha sei casi:
- tre diretti: nominativo (il soggetto), accusativo (l'oggetto), vocativo (l'invocativo).
- tre obliqui: genitivo (complemento di specificazione, di), dativo (complemento di termine, a), ablativo (complementi di moto da luogo, allontanamento, origine, da).

Rispetto all'indoeuropeo ha perso:
- il locativo (complemento di stato in luogo, assorbito dall'ablativo)
- lo strumentale (complemento di mezzo, assorbito dall'ablativo).
- il modo verbale optativo (il modo del desiderio e della potenzialità), nelle lingue che lo possiedono, si oppone all'indicativo (il modo dell'azione reale) e al congiuntivo (un modo con valore di azione prospettiva ed esortativa).assorbito dal congiuntivo.
- la diatesi media, fra le diatesi attiva e passiva (la diatesi indica una certa partecipazione del soggetto nell'azione)
- e il duale, per indicare soprattutto parti doppie del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe. 

Inoltre nel latino il concetto d'aspetto (la dimensione temporale attribuita dal parlante all'azione espressa dal verbo) non aveva grande importanza: sia l'aoristo (azione in corso di svolgimento) e quello perfettivo (azione che deve essere compiuta). che il perfetto indoeuropei si fusero in un unico tempo, chiamato dai grammatici latini perfectum (azione già compiuta).
Invece venne conservato l'originario sistema di tre generi: maschile, femminile e neutro.

DECIMO MAGNO AUSONIO - D. MAGNUS AUSONIUS

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MONUMENTO AD AUSONIO - MILANO

Nome: Decimus Magnus Ausonius
Nascita: Burdigala 310 d.c.
Morte: Burdigala 395 d.c.
Professione: Poeta e scrittore


Decimo Magnus Ausonio (Burdigala, 310 – Burdigala, 395 circa) era un poeta e insegnante di retorica romana di Burdigala in Aquitania (Bordeaux) in Francia. Fu precettore del futuro imperatore Graziano, che in seguito gli conferì il consolato.



LE ORIGINI

Il nonno materno Agricio, appartenente a un'antica famiglia del popolo degli Edui, aveva vissuto al tempo degli imperatori gallo-romani che da Postumo a Tetrico governarono la Gallia per un decennio. In quel periodo tumultuoso, egli fu proscritto e dovette esiliarsi a Dax, dove visse esercitando l'astrologia e la magia.

Il padre di Ausonio, Giulio Ausonio, nato a Bazas ( 290-378), viveva a Bordeaux dove esercitava la professione medica. Grazie all'influenza del figlio verrà nominato dall'imperatore Graziano prefetto d'Illiria. Ausonio narra che morì quasi novantenne, dopo aver «visto realizzare tutto quel che volle» nella moderazione dei suoi desideri. 
La madre di Ausonio, Aemilia, sembra essersi occupata esclusivamente della famiglia insieme alla zia Aemilia Hilaria, a cui il nipote dedicò affettuosi versi:

Aemilia Hilaria matertera virgo devota
Tuque gradu generis matertera, sed vice matris 
affecu nati commemoranda pio, 
Aemilia in cunis Hilaris cognomen adepta, 
quod laeta et pueri cornis ad effigiem 
reddebas verum non dissimulanter ephebum, 
more virum medicis artibus experiens 
feminei sexus odium tibi semper et inde 
crevit devotae virginitas amor. 
Quae tibi peptenos novies est culta per annos 
quique aevi finis, ipse pudicitiae 
Haec, quia uti mater monitis et amore fovebas, 
supremis reddo filius exequiis 
(Ausonius - Parentalia)

Emilia Ilaria, soprannominata Ilario (Aemilia Hilaria; 300 – 363), un medico gallo-romana, zia di Ausonio, da lui, come si legge, teneramente amata e stimata.
Per non dipendere dal marito rinunciò a sposarsi e venne soprannominata virgo devota (vergine consacrata). Venne indicata come ermafrodita e chiamata al maschile Ilario: pare che odiasse il sesso femminile. Si dedicò alla professione di medico, allora rara per le donne, e all'educazione del nipoteDel resto nei suoi molti altri versi Ausonio mostra la sua preoccupazione per la sua famiglia, gli amici, gli insegnanti e la cerchia di conoscenti benestanti e la sua gioia per la gestione tecnica dei suoi beni. 
Ausonio nacque c. 310 a Burdigala, sotto Costantino, in un periodo di tranquillità politica dopo i lunghi conflitti per il potere. Era figlio di Giulio Ausonio, un medico di discendenza greca, e Aemilia Aeonia, figlia di Cecilio Argicius Arborius, entrambi con un possedimento terriero gallo-romano della Gallia sud-occidentale. 

Decimo cominciò gli studi a Bordeaux, dove imparò a leggere e a scrivere e apprese la storia dal maestro Stafilio e l'erudizione dai libri di Varrone. Tredicenne, passò a Tolosa alla scuola dello zio materno Emilio Magnus Arborius, che era un poeta e professore latino e insegnava retorica a Tolosaa, per impararvi la retorica e l'eloquenza.  Arborio era la gloria della famiglia con ottima reputazione e autore dello stimato poema "Ad Nympham nimis cultam". Ausonio andava bene nella grammatica e nella retorica, ma meno bene in greco. 

AUSONIO

L'ETA' ADULTA

A trent'anni insegnò retorica nella scuola che aveva frequentato nell'infanzia. Il suo allievo più noto fu Ponzio Anicio Meropio Paolino, futuro vescovo di Nola, al quale indirizzerà in tarda età, dopo il 390, tre epistole in versi nelle quali sconsigliò a Paolino di dedicarsi alla vita contemplativa.

Quando suo zio fu convocato a Costantinopoli per fare da tutore a uno dei figli dell'imperatore Costantino I, Ausonio lo accompagnò nella capitale.  Completati i suoi studi, intraprese per qualche tempo gli studi da avvocato, ma preferì l'insegnamento. Nel 334 divenne un grammatico in una scuola di retorica a Bordeaux, e in seguito retore o professore. 

Dopo trent'anni di questo lavoro, Ausonio fu convocato dall'imperatore Valentiniano I per insegnare a suo figlio, Graziano. Quando Valentiniano prese Graziano nelle campagne tedesche del 368-9, Ausonio li accompagnò e in riconoscimento dei suoi servigi, l'imperatore Valentiniano gli conferì il grado di questore. 

S. PAOLINO DI NOLA
Graziano amava e rispettava il suo precettore, e divenuto imperatore nel 375 conferì ad Ausonio e alla sua famiglia i più alti onori civili. Decimo fu nominato Prefetto della Gallia Pretorio, fece una campagna contro gli Alemanni e ricevette come parte del suo bottino una schiava, Bissula di cui Ausonio si innamorò profondamente e la liberò dalla schiavitù. Scrisse una poesia su di lei, de Bissula, che inviò al suo amico Paulus, A suo padre, sebbene quasi novantenne, l'imperatore assegnò il rango del prefetto dell'Illirico. Nel 376 al figlio di Ausonio, Hesperius, l'imperatore concesse il proconsolato d'Africa e nel 379 ad Ausonio concesse il consolato con Quinto Clodio Ermogeniano Olibrio come collega, il figlio della poetessa Faltonia Betizia Proba.

Nel 383 l'esercito britannico, guidato da Magnus Maximus, si rivoltò contro Graziano e lo assassinò a Lione; e quando l'imperatore Valentiniano II fu cacciato dall'Italia, Ausonio si ritirò nelle sue proprietà vicino a Burdigala (ora Bordeaux) in Gallia. Quando poi Magnus Maximus fu rovesciato dall'imperatore Teodosio I nel 388, Ausonio non tornò a corte. 

Le sue terre erano, a suo dire, il suo nidus senectutis , il "nido della sua vecchiaia", e lì trascorse il resto dei suoi giorni, componendo poesie e scritti per eminenti contemporanei, molti dei quali erano stati suoi allievi. Le sue proprietà presumibilmente includevano il terreno ora di proprietà di Château Ausone, che prende il nome da lui. Ausonio si convertì al cristianesimo come del resto era obbligatorio sotto Teodosio pena la morte e la confisca dei beni, ma non ne fu affatto entusiasta. Morì circa nel 395.

Anche suo nipote, Paolino di Pella, era un poeta; le sue opere attestano la devastazione che la Gallia di Ausonio avrebbe affrontato poco dopo la sua morte. Paolino si trovò espropriato di tutti i suoi beni, solo e in miseria assoluta ma un visigoto amico lo fece a sue spese riappropriare di un bene che aveva perduto a Marsiglia e potè vivere decentemente.



LE OPERE

- Epigramata de diversis rebus - 120 epigrammi su vari argomenti.

- Effemeridi - Le occupazioni del quotidiano dal mattino alla sera, in vari metri, composta prima del 367. Si conservano solo l'inizio e la fine.

- Parentalia - 30 poesie di varia lunghezza, per lo più in metro elegiaco, una serie di poesie sui parenti deceduti, con un tocco delicato e nostalgico, composte dopo il suo consolato, una serie di epigrammi in memoria dei parenti defunti e epitaffi, del resto era rimasto vedovo a 36 anni. 

- Commemoratio professorum Burdigalensium - Proseguo dei Parentalia, relativo ai famosi maestri della sua città natale, Bordeaux, che aveva conosciuto.

- Epitaphia - 26 epitaffi di eroi della guerra di Troia, tradotti dal greco.

- Caesares - Sui 12 imperatori descritti da Svetonio (69 - 122).

IMPERATORE GRAZIANO
- Ludus VII Sapientium. Gioco dei 7 sapienti. Il tono è scherzosamente filosofico:
«Delphis Solonem scripsisse fama est Atticum:
γνῶθι σεαυτόν, quod Latinum est: nosce te.
multi hoc Laconis esse Chilonis putant.
Spartane Chilon, sit tuum necne ambigunt,
quod iuxta fertur: ὅρα τέλος μακροῦ βίου,

finem intueri longae vitae qui iubes.
multi hoc Solonem dixe Croeso existimant
et Pittacum dixisse fama est Lesbium:
γίγνωσκε καιρόν; tempus ut noris iubet
sed καιρός iste tempestivum tempus est.
Bias Prieneus dixit: οἱ πλεῖστοι κακοί,
quod est Latinum: plures hominum sunt mali:
sed inperitos scito, quos dixit malos.
μελέτη τὸ πᾶν, Periandri id est Corinthii:
meditationem posse totum qui putat.
ἄριστον μέτρον esse dicit Lindius
Cleobulus; hoc est: optimus cunctis modus.
Thales sed ἐγγύα, πάρα δ᾽ ἄτα protulit.
Spondere qui nos, noxa quia praes est, vetat.
hoc nos monere faeneratis non placet.
dixi, recedam, legifer venit Solon
.» 
«In Delfi, si dice, Solone di Atene scrisse:
γνῶθι σεαυτόν (nosce te ipsum). Alcuni tuttavia 
affermano che questo sia un motto di Chilone di Sparta, 
si dibatte però anche se tua sia quell'altra massima: 
ὅρα τέλος μακροῦ βίου, dove tu ordini di attendere 
prima la fine di una lunga vita. Molti dicono anche 
che questo disse Solone a Creso. E pure che Pittaco 
di Lesbo abbia detto: γίγνωσκε καιρόν – ordinando 
di conoscere il tempo; o meglio καιρός, 
il “tempo tempestivo”, il momento giusto. 
Biante di Priene disse: οἱ πλεῖστοι κακοί, 
che in Latino si dice: plures hominum sunt mali; 
ma sappi che chiama malvagi gli inesperti ignoranti. 
E questo disse Periandro di Corinto: μελέτη τὸ πᾶν, 
la riflessione può tutto.ἄριστον μέτρον insegnava 
Cleobulo da Lindo, ossia: optimus cunctis modus, 
ottima è la misura. E Talete: ἐγγύα, πάρα δ᾽ ἄτα, 
vieta di garantire, perché porta danno, 
motto che certo dispiace a chi presta. 
Ho detto, e mi ritiro: compare ora il legifero Solone!»

Ordo urbium nobilium - 14 brani su 17 (o 22) città in esametri, composti dopo la caduta di Massimo nel 388, dopo un viaggio in cui Ausonio traversando, l' impero romano tra il 388 e il 390, descrive brevemente le principali città dell'Impero Romano, dalla più alla meno importante:
IMPERATORE VALENTINIANO
  1. Roma 
  2. Costantinopoli  
  3. Cartagine
  4. Antiochia 
  5. Alessandria
  6. Treveris ( Treviri )
  7. Mediolanum ( Milano )
  8. Capua
  9. Aquileia
  10. Arelas ( Arles )
  11. Hispalis (Siviglia)
  12. Emerita ( Mérida )
  13. Corduba ( Cordova )
  14. Tarraco ( Tarragona ) 
  15. Bracara ( Braga ). 
  16. Athenae ( Atene )
  17. Catana ( Catania )  
  18. Syracusae ( Siracusa )
  19. Tolosa ( Tolosa ).
  20. Narbona ( Narbonne )
  21. Burdigala ( Bordeaux )
  22. Ludus VII Sapientium (Una sorta di comica) in cui i sette saggi appaiono in successione e hanno la loro voce.
Idyllia, 20 brani  il più famoso dei quali è: 

- Mosella
che tratta infatti del viaggio di Ausonio dalle rive della Nava per poi seguire il fiume che dà il titolo all'opera, la Mosella, fino a Treviri, città dove fu scritto il poema e di cui l'autore tesse un elogio prima di concludere con la celebrazione d'immortalità dello stesso fiume. Nel poema descrisse anche la lavorazione di un mulino ad acqua che segavano marmo sul fiume Celbis affluente della Mosella: 

.... famoso è Celbis per il pesce glorioso, e

quell'altro, mentre gira le sue macine in rivoluzioni furiose e guida le seghe urlatrici attraverso blocchi di marmo levigati, sente da una delle due banche un incessante rumore.
Lo scritto illumina sullo sviluppo della tecnologia romana nell'uso di energia idrica. È uno dei rari riferimenti nella letteratura romana ai mulini ad acqua usati per tagliare la pietra, e pure dell'applicazione della forza idrica alla segatura meccanica della pietra (presumibilmente anche del legno). La segheria di Hieropolis mostra un meccanismo diverso che coinvolge una sega a telaio azionata attraverso una manovella e una biella.

SEGHERIA AD ACQUA A HIERAPOLIS, III SEC,
LA I MACCHINA A MANOVELLA E BIELLA
Iddyllia include anche:

- Griphus ternarii numeri

- De aetatibus Hesiodon

- Monosticha de aerumnis Herculis

- De ambiguitate eligendae vitae

- De viro bono

- EST et NON

- De rosis nascentibus. Vi è tutto il tema del carpe diem :
Collige, virgo, rosas, dum flos novus et nova pubes
et memor esto aevum sic properare tuum. 

"Raccogli, ragazza, rose mentre il fiore è fresco e fresco è giovane,
ricordando che il tuo tempo si sta affrettando"
(Epigrammata: «Rosae») 

- Contro paschales

- Epicedion in patrem

- Technopaegnion. Una serie di poesie in cui ogni riga termina in un monosillabo.

Cento nuptialis, composta di versi o brani tratti da altri autori, in particolare Omero e Virgilio. Qui estrae frasi da Virgilio e le riapplica a un accoppiamento nuziale:
Itque reditque viam totiens | uteroque recusso
transadigit costas | et pectine pulsat eburno. 

TEODOSIO PRIMO
    Iamque fere spatio extremo fessique sub ipsam
    finem adventabant: | tum creber anhelitus artus
    aridaque ora quatit, sudor fluit undique rivis,
    labitur exsanguis, | destillat ab inguine virus. 

    "Avanti e indietro fa il suo percorso e, la cavità riverbera,
    spinte tra le ossa e colpi con la penna d'avorio.
    E ora, il loro viaggio si copriva, stancamente si avvicinavano
    il loro obiettivo: la respirazione rapida scuote le sue membra
    e la bocca secca, il suo sudore scorre nei fiumi;
    giù crolla senza sangue; il liquido cola dal suo inguine"

    - Bissula (innamorato perdutamente della schiava)

    - Protrepticus

    - Genethliacon

     - Eglogarum liber  (raccolta di tutti i tipi di versi astronomici e astrologici nel metro epico ed elegiaco, forse retaggio del nonno).

    - Epistolarum liber (25 lettere in metriche diverse)

    - Ad Gratianum gratiarum actio pro consulatu (Prosa di ringraziamento all'imperatore Graziano in occasione del conseguimento del consolato a Treves nel 379)

    - Praefatiunculae (Prefazioni del poeta a varie raccolte delle sue poesie, tra cui una risposta alla richiesta dell'imperatore Teodosio I per le sue poesie)

    - Periochae Homeri Iliadis et Odyssiae (sintesi in prosa dell'Iliade e dell'odissea di Omero, attribuita ma probabilmente non scritta da Ausonio)

    Gli scritti di Ausonio, benché gradevoli non sono più classificati tra i migliori della letteratura latina. Il suo stile è facile e scorrevole, e la sua Mosella è apprezzata per la sua evocazione della vita e della campagna lungo il fiume Mosella; ma è considerato derivato e non originale. Tuttavia, i suoi lavori sono interessanti perchè provano la viticoltura su larga scala nell'ormai famoso paese del vino intorno al suo Bordeaux natio.


      ARCO DI TIBERIO

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      ARCUS TIBERII RIPRODOTTO NELL'ARCO DI COSTANTINO

      Secondo i Cataloghi Regionari (cataloghi delle 14 regioni di Roma augustea) gli archi trionfali eretti a Roma erano ben 36.
      La via Sacra era la via più importante di Roma, iniziava vicino al tempio di Romolo, costeggiava sul lato settentrionale la Regia, poi il tempio di Antonino e Faustina, la basilica Emilia, il Comizio e andava alla cima dell'Arx sul Campidoglio.
      Ma al di là della Via Sacra, a 1,50 m. sotto il lastricato, emergono i resti delle poderose fondamenta in opera a sacco dell'arco di Tiberio, eretto nel 15 e 16 d.c., per aver suo figlio adottivo Germanico recuperato le aquile delle legioni perdute da Varo. Narra Tacito, ed è l'unico autore che menziona il monumento, che 'ductu Germanici, auspiciis Tiberii', che fu per tale vittoria eretto un arco 'sotto il tempio di Saturno'.

      LA POSIZIONE
      Alcuni resti architettonici furono trovati nel 1835 e nel 1848, ma le sue fondamenta vennero scavate solamente nel 1900. L'arco, che era ad un solo fornice, non era proprio sulla Via Sacra, ma accanto ad essa.  

      Questa collocazione è confermata dal rilievo dell'arco di Costantino che lo rappresenta a sinistra dei rostri. Alcuni frammenti dell'attico, con il principio dell'iscrizione SENATVS POPVLVS(que romanus) e dei piloni laterali trovati nel 1849, stanno accatastati presso l'ultima base laterizia.
      (Tratto da: Il Foro Romano - Storia e Monumenti da Christian Hülsen)

      L'arco di Tiberio era un arco trionfale posto nel Foro Romano, a cavallo del Vicus Iugarius o Giugario, la via che univa il Foro repubblicano al Foro Olitorio e all'area del porto fluviale poco dopo l'incrocio con la Via Sacra e adiacente al Tempio di Saturno.
      Era stato eretto nel 16 d.c. da Tiberio per celebrare le campagne vittoriose del figlio adottivo Germanico (15 a.c - 19 d.c.). Era il terzo arco agli angoli della piazza del Foro, completato nel 203 dal quarto arco, dedicato a Settimio Severo (146 - 211).

      Dell'arco esiste una raffigurazione sul rilievo dell'Oratio nell'Arco di Costantino, ambientata proprio nei vicini Rostri, le tribune nel Foro Romano dalle quali i magistrati tenevano le orazioni.

      Di questo arco, oggi, non rimane alcuna traccia.

      I POCHI RESTI
      "Vicino al descritto tempio di Saturno, al dire di Tacito, vi stava l'arco di Tiberio eretto la ricuperazione delle insegne di Varo da Germanico cogli auspizj di Tiberio (4 6). Siccome poi evidentemente da questo arco vi partiva un qualche ramo della via che saliva al Campidoglio, si viene così ad essere d'accordo con quanto scrive Servio nel secondo libro dell'Eneide di Virgilio; cioè che il nominato tempio di Saturno stava presso al Clivo Capitolino.

      Vicino al teatro di Pompeo vi stava pure al dire di Svetonio l'arco che Claudio fece edificare in onore di Tiberio e questo nel pocanzi citato frammento dell'antica Pianta riguardante il teatro di Pompeo sembra essere per metà indicato di piantato posto nel lato destro del medesimo teatro."


      BIBLIO

      Tacit. Ann. II, 42; CIL. VI, 906.
      Mommsen, Res gestae Divi Augusti 126;
      Lanciani 284;




      GENS CLAUDIA

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      PROCESSIONE CON GENS CLAUDIA
      La gens Claudia fu un'importante famiglia romana, di antica origine sabina secondo le fonti dei Romani, di origine etrusca proveniente da Caere (Cerveteri) secondo recenti scoperte archeologiche. Nel settimo libro dell'Eneide è menzionato Clauso, condottiero dei Sabini, che combatte al fianco di Turno contro i troiani di Enea sbarcati nel Lazio. Virgilio lo dice giovane, bello e valoroso. Il principe sabino sarà il capostipite dei Claudi.

      Ebbe due rami, uno patrizio, dai cognomina:
      - Caecus, Caudeoe, Centho, Crassus, Pulcher, Regillensis, e Sabinus,
      e uno plebeo dai cognomina :
      - Asellus, Canina, Centumalus, Cicero, Flamen, e Marcellus. 
      Ad alcuni membri di questa gens venne anche attribuito il nome di Clodius, variante grafica conforme alla pronuncia popolare del nome gentilizio Claudius.

      Il praenomen Lucius fu evitato, dopo che due membri della gens che lo portavano lo disonorarono uno commettendo una rapina e l'altro divenendo assassino. Per tutta la durata della Repubblica, nessuno dei Claudii, che passavano per essere una famiglia dal cuore duro e sprezzante della plebe, adottò mai un membro di un'altra gens: il primo a rompere questa usanza fu Claudio, quarto imperatore romano, che adottò Lucio Domizio Enobarbo, poi noto come Nerone.

      Secondo Theodor Mommsen già in epoca arcaica la gens Claudia si sarebbe stanziata con la propria tribù nella zona dell'Aniene, ma solo nel 504 a.c. il nobile sabino Attus Clausus (romanizzato in Appius Claudius, o Appio Claudio Sabino Inregillense) dalla originaria Inregillum o Regillum (città della Sabina non distante da Cures), si trasferì a Roma con il proprio seguito di parenti, amici e ben 5.000 clientes, a ciascuno dei quali vennero assegnati due iugeri di terreno (equivalenti a circa mezzo ettaro). Allo stesso Appio Claudio, che venne subito accolto nel patriziato romano, vennero assegnati venticinque iugeri.

      La gens Claudia diede il proprio nome ad una delle Tribù Rustiche di Roma, che comprendeva località assai vicine a Roma, come Fidene, ma anche vari territori italici come Bari, Celia, Lucera e Taranto nelle Puglie, Miseno nel Golfo di Napoli, la comunità intera degli Equicoli, località del Veneto come Acelum, a settentrione della Via Postumia, Tarvisio a sud della stessa via, ed infine località del Piemonte come Novara.

      La gens Claudia a Roma divenne in breve tempo potentissima, ed i suoi membri ricoprirono le più alte magistrature; durante la repubblica ascesero al consolato per ben 43 volte. I Claudii strinsero alleanze con altre importanti gentes, quali i Fabii (contro i Cornelii Scipiones o Scipioni), i Fulvii ed i Servilii, al fine di mantenere un ruolo egemone nel Senato, che conservarono per tutto il periodo repubblicano.
      La gens Claudia intrecciò importanti rapporti di parentela con la potente gens Iulia; l'ascesa di quest'ultima al principato con Augusto alla sua morte conferì la successione del ramo dei Claudii Neroni, cioè di Tiberio Claudio Nerone, con il quale ebbe inizio la dinastia giulio-claudia, proseguita con Caligola e Claudio, conclusa poi con Nerone. Così la gens Claudia, da antica ed illustre famiglia patrizia, raggiunse l'apice dell potere come prima dinastia imperiale di Roma.
      Alla gens Claudia si deve anche la costruzione diimportanti strade:

      - la Via Clodia, costruita nel III secolo a.c., che costituiva una diramazione della Via Cassia, dalla quale si dipartiva all'altezza dell'attuale località di La Storta per dirigersi verso il lago di Bracciano passando per Tuscania, e terminando probabilmente a Saturnia.
      - la Via Claudia Augusta, tracciata inizialmente da Druso maggiore durante la sua campagna contro i Reti tra il 16 ed il 13 a.c., e completata da suo figlio Claudio nel 46 d.c. La strada aveva due diramazioni, una che partiva dal porto di Altino sull'Adriatico e passava per Feltre, l'altra da Hostilia passava per Verona. Le due diramazioni si congiungevano a Trento, da dove la strada risaliva la valle dell'Adige e valicava i passi alpini in territorio germanico, fino a raggiungere Submontorium (l'attuale Donauwörth sul Danubio), estremo confine settentrionale dell'impero. Il percorso era di 350 miglia, pari a circa 518 km. Questa strada è di grande importanza, in quanto costituì la prima grande arteria di collegamento tra l'Italia ed il Nord Europa. 
      - la Via Appia, in seguito per la sua importanza chiamata regina viarum, che collegava Roma a Brindisi, costruita nel 312 a.c.


      APPIO CLAUDIO PULCRO

      MEMBRI DEI CLAUDI PULCHRI:

      - Claudi Pulchri Neri - Tra cui i Claudi Neroni (Nero in lingua Sabina significa "forte", "coraggioso" e che fa riferimento alla "virilità") 

      Appio Claudio - figlio di Attus Clausus, console nel 471 e nel 451 a.c. Appoggiò la plebe e fece parte dei Decemviri Legibus Scribundis, che redassero le Leggi delle XII tavole, il più antico codice di leggi romane. 

      Appio Claudio Cieco - fu censore nel 312 a.c., console nel 307 a.c. e nel 296 a.c.; a lui si deve la costruzione del primo degli acquedotti di Roma (l'Aqua Appia), L'acquedotto, Aqua Appia, voluto dal censore Gaio Plauzio Venoce, fu concluso dal successore Appio Claudio Cieco, che gli diede illegalmente il proprio nome, essendo rimasto in carica più a lungo di quanto la censura permettesse per legge (oltre i diciotto mesi previsti). A lui dobbiamo l'inizio della costruzione della Via Appia, in seguito per la sua importanza chiamata regina viarum che collegava Roma a Brindisi, costruito nel 312 a.c. Realizzò inoltre un'importante riforma politica in senso democratico, consentendo l'iscrizione nelle tribù cittadine indipendentemente dal possesso di beni fondiari, ed ammettendo anche i figli dei liberti nell'ordinamento centuriato, su base censitaria.

      Appio Claudio Pulcro - console nel 212 a.c.. Fu tribuno militare e combatté a Canne. Assieme a Publio Cornelio Scipione si rifugiò con le poche truppe rimaste in Canusio ed assieme all'Africano ne assunse il comando. Nel 215 a.c., fu eletto pretore per la Sicilia, dove fece condurre le legioni reduci da Canne. Partecipò all'assedio di Siracusa, e fu comandante della flotta romana. Espugnò Leontini, assieme a Marco Claudio Marcello, e inviato in licenza si candidò al consolato a Roma. Divenne console con Quinto Fulvio Flacco nel 212 a.c. Combatté contro Annone, comandante dei Cartaginesi, e pose sotto assedio Capua. A Quinto Fulvio e Appio Claudio (consoli nel 212 a.c.), fu prorogato il comando come proconsoli nel (211 a.c.) e furono assegnati gli eserciti già in loro possesso. Ricevettero, quindi, l'ordine di non allontanarsi dall'assedio di Capua prima di aver conquistato la città. Appio Claudio si oppose al collega che non voleva usare clemenza ai ribelli campani. Ma Fulvio li mise a morte tutti. Secondo alcune fonti morì al momento della resa di Capua.

      Appio Claudio Pulcro - console nel 185 a.c.; console nel 212 a.c., dal 197 a.c. e per tre anni fu tribuno militare sotto il comando di Flaminino durante la guerra contro Filippo V di Macedonia.
      Nel 187 a.c. fu pretore a Taranto. Nel 185 a.c. fu eletto console con Marco Sempronio Tuditano; il consolato fu caratterizzato dalla guerra in Liguria; Pulcro sconfisse gli Ingauni, mentre il collega assoggettò gli Apuani. Nel 184 a.c. fu mandato a capo di una ambasciata in Grecia, sia per osservare i movimenti di Filippo, sia per convincere le città alleate dei macedoni a rompere i rapporti e a cambiare fronte. Nel 176 a.c. fece parte dell'ambasciata presso gli Etoli, per dirimere le loro dispute interne, così da opporsi alle minacce di Perseo.

      - Gaio Claudio Pulcro - console nel 177 a.c.; figlio di Appio Claudio Pulcro, fu augure nel 195 a.c., pretore nel 180 a.c. e console nel 177 a.c.. Costretto però a portarsi in Istria con una nuova armata per domare una rivolta, riuscì in breve tempo a domarla, dopo aver conquistato tre città. Successivamente marciò contro i liguri, che sconfisse, e al ritorno a Roma celebrò un doppio trionfo. Dopo aver indetto i comizi, ritornò in Liguria e liberò la città di Mutina. Nel 171 a.c. fu tribuno militare sotto il console Publio Licino Crasso durante la III guerra macedonica. Fu censore nel 169 a.c. con Tiberio Sempronio Gracco,

      Appio Claudio Pulcro - console nel 143 a.c.; uomo ambizioso ma pure generoso e grande oratore. Per poter celebrare un trionfo, attaccò e sconfisse i Salassi, popolo celtico della Val d'Aosta. Al suo ritorno, non gli venne concesso il trionfo, perciò ne organizzò uno a proprie spese; quando un tribuno della plebe cercò di farlo cadere dal suo carro, la figlia Claudia, che era una Vestale, lo scortò di persona fino al Campidoglio. Stipulò un'alleanza con Tiberio Gracco e lo sostenne per la riforma agraria finché nel 133 a.c. venne designato assieme ai Gracchi alla suddivisione delle terre pubbliche in favore della plebe.

      Appio Claudio Pulcro - cambiò successivamente nome in Marco Livio Druso Claudiano; padre di Livia Drusilla, terza moglie di Augusto e madre di Tiberio.
      Quando suo padre morì venne adottato dall'amico del padre, Marco Livio Druso, e ne adottò quindi il nome, aggiungendo 'Claudiano' per indicare la gens di origine. Claudiano si schierò con gli uccisori di Gaio Giulio Cesare, contro Ottaviano e Marco Antonio. Quando Cassio e Bruto si tolsero la vita dopo la sconfitta nella battaglia di Filippi (42 a.c.), Claudiano ne seguì l'esempio e si suicidò.

       - Gaio Claudio Pulcro - console nel 92 a.c. con Marco Perperna. Nell'85 a.c. fu pretore in Sicilia e, secondo le istruzioni del Senato romano, legiferò nella città di Halesia, rispettando le decisioni prese dal Senato locale.Appio Claudio Pulcro - pretore nell'88 a.c. e console nel 79 a.c.; fu partigiano di Lucio Cornelio Silla. Dopo la partenza di Silla, fu esiliato e costretto a lasciare l'Italia dai populares guidati da Gaio Mario e Lucio Cornelio Cinna. Fece ritorno a Roma nell'82 a.c., a seguito della morte di Mario e Cinna e del ritorno di Silla, reduce dalla vittoria nella I guerra mitridatica. Nel 79 a.c., all'età di 62 anni, fu console, e nel 77 a.c. fu inviato come proconsole nella Macedonia, dove vinse ripetutamente i Traci. Morì nel 76 a.c., stremato dalle fatiche sopportate durante il proconsolato. Ebbe otto figli, dei quali solo sei sopravvissero.

      - Gaio Claudio Pulcro - figlio di Appio Claudio Pulcro console nel 79. Raggiunse la pretura nel 56 a.c.; propretore nella provincia d'Asia tra il 55 e il 53 a.c., di ritorno a Roma, pensò di candidarsi al consolato, ma ci ripensò e fu anzi processato per concussione: nel 51 a.c. fu definitivamente condannato e abbandonò la vita politica.

      Publio Claudio Pulcro - (92 - 52 a.c.) Fu adottato da una famiglia plebea e mutò il proprio nome in Publio Clodio Pulcro; figlio di Appio Claudio Pulcro console nel 79. Nella congiura di Catilina, nel 63 a.c., collaborò con Cicerone, che tuttavia testimoniò contro di lui nel 61 a.c.. Nel processo per lo scandalo della Bona Dea venne assolto perché i giurati furono corrotti da Crasso. Per vendicarsi, si fece adottare da una famiglia plebea e divenne tribuno della plebe per il 58 a.c. Propose e fece approvare una serie di plebisciti che indebolirono il senato a favore delle assemblee popolari, e determinò l'esilio di Cicerone nel 58 a.c., per la legge retroattiva che puniva coloro che non avevano concesso ai condannati a morte la provocatio ad populum prima di essere giustiziati. Terminato il tribunato, Clodio fu prima edile, e si candidò poi alla pretura per il 52 a.c., ma pochi giorni prima dei comizi elettorali perse la vita in uno scontro con i seguaci di Tito Annio Milone, candidato al consolato e suo nemico politico. Non fu pessima figura di corruzione e violenza, come sostenne Cicerone, ma spesso uomo dalle geniali intuizioni politiche.

      - Clodia Pulchra Tertia - figlia di Appio Claudio Pulcro console nel 79, moglie di Quinto Marcio Re.

      Claudia Pulcra Quarta -  (94 – 45 a.c.), figlia di Appio Claudio Pulcro console nel 79, e di Cecilia Metella Balearica minore, inoltre sorella di Publio Clodio Pulcro, moglie di Quinto Cecilio Metello Celere, nata con il nome patrizio di Claudia Pulcra e nota semplicemente come Clodia. Secondo Apuleio, la Lesbia di Catullo, così chiamata in onore di Saffo, poetessa dell'isola greca di Lesbo, è da identificare con una Clodia. Il poeta preferì cantare del suo amore per questa donna senza riferirne il nome

      Appio Claudio Pulcro - pretore nel 57 a.c. e console nel 54 a.c.; dopo la morte del padre, dovette farsi carico carico delle difficoltà economiche della sua famiglia. Aveva infatti due fratelli, Gaio Claudio Pulcro e Publio Claudio Pulcro, e tre sorelle, Clodia Pulcra Prima, Clodia Pulcra Seconda e Clodia Pulcra Terza. Servì in Oriente sotto Licinio Lucullo durante le guerre mitridatiche (72 e il 70 a.c.) trattando, senza successo, la consegna di Mitridate con il re d'Armenia. Tornato a Roma, nel 63 a.c., durante la congiura di Catilina, collaborò con il console Cicerone. Nel 57 a.c. fu propretore di Sardegna e Corsica, e nel 56 a.c. partecipò all'incontro dei triumviri Gaio Giulio Cesare, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso per riavvicinare il fratello Clodio a Pompeo. Nel 54 a.c., fu eletto console e ottenne il governatorato della Cilicia per il 53 a.c.. Tornato a Roma, nel 52 a.c., collaborò all'accusa di Tito Annio Milone, colpevole di avergli ucciso il fratello Clodio. Nel 50 a.c. ottenne la censura, l'anno successivo, nella guerra civile tra Cesare e Pompeo, raggiunse le armate di quest'ultimo nella penisola balcanica, dove morì di malattia.

      Gaio Claudio Pulcro - pretore nel 56 a.c.; figlio di Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a.c., e fratello dell'omonimo Appio Claudio Pulcro, console nel 54 a.c. che più tardi mutò il suo nome in Clodio, e di tre sorelle di nome Claudia, di cui si ricorda in particolare Clodia Pulcra Quarta.
      Fu propretore nella provincia d'Asia tra il 55 e il 53 a.c., e, di ritorno a Roma, pensò di candidarsi al consolato, ma cambiò idea, e fu anzi processato per concussione: nel 51 a.c. fu definitivamente condannato e abbandonò la vita politica.

      - Appio Claudio Pulcro - console nel 38 a.c.; figlio primogenito di Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a.c,. fu adottato dallo zio Appio Claudio Pulcro, console nel 54 a.c. e per questo motivo prese il praenomen con cui è conosciuto. Dopo l'uccisione di Publio Clodio Pulcro, Appio, con il fratello che portava lo stesso nome, accusarono Milone dell'assassinio del loro parente e con l'aiuto decisivo di Pompeo riuscirono a farlo condannare all'esilio. Nel 50 a.c. condusse dalla Gallia in Italia le due legioni che Gaio Giulio Cesare rese a Pompeo. Nel 38 a.c. fu eletto console con Gaio Norbano Flacco.


      CLODIA - OVVERO LA LESBIA DI CATULLO

      MEMBRI DEI CLAUDII DRUSI:

      - Druso maggiore - (Nerone Claudio Druso Germanico, 39-9 a.c.), figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, appena divenuta moglie dell'imperatore Augusto. nato come Decimo Claudio Druso o Decimo Claudio Nerone meglio conosciuto come Druso maggiore (per distinguerlo dal nipote Druso minore), fu militare e politico romano, della dinastia giulio-claudia. Sposò Antonia minore, figlia di Marco Antonio e di Ottavia minore (sorella di Augusto) dalla quale ebbe diversi figli, ma soli tre gli sopravvissero: Germanico, il futuro imperatore Claudio e Claudia Livilla o Livia Giulia. I due coniugi rimasero sempre fedeli l'uno all'altro.


      DRUSO MAGGIORE
      Adottato da Augusto divenne questore nel 16 a.c., combattè contro Reti e Vindelici. Li combattè di nuovo insieme al fratello Tiberio, nel 15 a.c.annientando definitivamente il nemico. Legato in Gallia Comata nel 13 a.c., marciò vittoriosamente contro le tribù germaniche ad est del Reno. Rientrato a Roma, venne designato praetor urbanus per l'anno successivo. 

      Nell'11 a.c. Druso vinse il popolo degli Usipeti. Sulla strada del ritorno fu assalito da una coalizione di Sigambri, Cherusci e Suebi, ma per la sua tempra ed abilità di generale alla fine furono i Germani a subire la sconfitta. Per questo ricevette gli onori trionfali. Nel 10 a.c. andò contro i Catti. Eletto console nel 9 a.c. sconfisse i Catti, i Suebi, i Marcomanni e gli Ermunduri. Si spinse fino al fiume Elba, dove nessun altro romano era giunto mai prima di allora, portando devastazione in tutti i territori. Sulla strada del ritorno, rimase ferito per una caduta da cavallo che gli aveva procurato la rottura della gamba e un'infezione mortale. Tiberio lo raggiunse rapidamente, percorrendo duecento miglia in un giorno e in una notte, e lo vide esalare l'ultimo respiro. Il corpo di Druso venne esposto nel Foro romano e si tennero due orazioni funebri da Tiberio e da Augusto. La sua salma venne quindi portata nel Campo Marzio dai cavalieri, qui venne data alle fiamme e le sue ceneri vennero depositate nel Mausoleo di Augusto. Druso fu salutato imperator, a lui e alla sua discendenza fu attribuito il titolo di Germanicus, 

      - Druso Germanico - (15 a.c. - 19 d.c.)  nacque come Nerone Claudio Druso, da Druso maggiore, figlio di Livia Drusilla, e Antonia minore, nipote di Augusto. Ricevette il cognomen Germanicus per i successi del padre. Divenne Germanico Giulio Cesare alla sua adozione nella gens Iulia, dopo le morti dei nipoti ed eredi al trono, Lucio e Gaio Cesare. Tiberio venne adottato da Augusto, insieme all'ultimo figlio maschio di Giulia maggiore, Agrippa Postumo, facendogli però adottare a sua volta il nipote Germanico. A Germanico fu data in moglie Agrippina maggiore, nipote di Augusto, dalla quale ebbe nove figli, tra cui: Nerone (nato nel 5, morto nel 30), Druso (nato nel 7, morto nel 31), Caligola, Agrippina minore, Livia Drusilla e Giulia Livilla. Augusto inviò contro i Dalmati il nipote Germanico, ma mentre l'avanguardia iniziava ad accamparsi e la restante parte era ancora in marcia, il nemico gli piombò addosso e l'esercito sbandò, ma prevalse la ferrea disciplina delle legioni e si ebbe la vittoria. Tiberio allora dispose diverse colonne militari, che attaccassero simultaneamente in più punti il nemico e vi partecipò anche Germanico, battendo la tribù dalmata. All'inizio dell'anno 9, Germanico, ancora si distinse per coraggio e senso del comando, portando a termine alcune azioni militari di valore, come la conquista delle roccaforti dalmate. A guerra vinta Augusto e Tiberio ricevettero l'ennesima acclamazione ad Imperator, mentre Germanico ottenne gli ornamenta triumphalia.

      Tiberio condusse gli eserciti ancora al di là del Reno per tre nuove campagne e Germanico lo accompagnò, dopo la grave disfatta di Publio Quintilio Varo a Teutoburgo del 9. Tornato a Roma, Germanico nel 12 fu eletto console e nel 13 comandante delle truppe del Reno. Nel 14, Tiberio divenne imperatore e subito chiese l'imperium proconsulare a Germanico, con notevole autonomia rispetto a Tiberio sulla guerra in Germania. Nel 14, durante una rivolta delle legioni in Pannonia, si ribellarono anche gli uomini stanziati lungo il confine germanico con violenze e massacri. Germanico che era a capo dell'esercito stanziato in Germania e godeva di grande prestigio, andò a confrontarsi con i soldati. Germanico fece loro concessioni ma si guadagnò la loro stima e ammirazione.
      Germanico nel 16 volle condurre una nuova campagna per annientare definitivamente le popolazioni tra il Reno e l'Elba. Il principe Arminio, che aveva sconfitto Varo a Teutoburgo, incitò le popolazioni germaniche alla rivolta, ma vennero schiacciati. Germanico riuscì a recuperare due delle tre aquile perdute nella battaglia di Teutoburgo, ed a battere la coalizione germanica, ma Tiberio ritenne opportuno rinunciare a nuovi piani di conquista di quei territori.


      DRUSO GERMANICO
      Tiberio temeva molto la popolarità di Germanico per cui, dopo avergli concesso il trionfo, gli affidò uno speciale compito in Oriente, affiancandogli come consigliere Gneo Calpurnio Pisone.

      Germanico risolse brillantemente tutti i problemi che avrebbero potuto creare conflitti, però entrò in aperto conflitto con Pisone, che aveva annullato tutti i suoi provvedimenti; Pisone, in risposta, decise di lasciare la provincia per fare ritorno a Roma. Poco dopo la partenza di Pisone, Germanico cadde malato ad Antiochia e morì il 10 ottobre dopo lunghe sofferenze; prima di spirare, lo stesso Germanico confessò la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone, e pregò Agrippina di vendicare la sua morte. Dopo i funerali Agrippina tornò con le ceneri del marito a Roma, dove grandissimo era il compianto di tutto il popolo per il defunto. Tiberio, tuttavia, non partecipò neppure alla cerimonia in cui le ceneri di Germanico furono riposte nel mausoleo di Augusto. Subito però, si manifestò il sospetto che Tiberio avesse voluto avvelenarlo tramite Pisone. Questi si suicidò prima del processo. Il popolo odiò Tiberio ma non sappiamo se avesse o meno fatto avvelenare Germanico.

      - Druso minore - (Giulio Cesare Druso 15 a.c. - 23 d.c.), figlio dell'imperatore Tiberio e della sua prima moglie Vipsania, fu sorpassato come erede imperiale dal fratello adottivo Germanico, divenne governatore nell'Illirico, quando nel 19 Germanico morì, lasciando Druso unico erede del Principato. Venne eletto console una seconda volta nel 21 e ricevette la tribunicia potestas nel 22. Fu un abile comandante militare, però criticato per la sua vita mondana, costellata di vizi e banchetti, ma soprattutto per la sua crudeltà, e per l'arroganza.
      Cambiò nome da Nerone Claudio Druso a Druso Giulio Cesare, poiché era sotto la potestas di Tiberio, e sposò la cugina Claudia Livilla, vedova di Gaio Cesare. Ebbero Giulia Livia; e una coppia di gemelli, Tiberio e Germanico Gemello.



      Nel 13, fu nominato senatore e quando Augusto morì, Druso gli pronunciò un elogio funebre dai rostri. Tiberio lo inviò in Pannonia per sedare una violenta rivolta militare e Druso fece uccidere i capi rivoltosi, con una carneficina senza pari. Anche Germanico era stato inviato in Germania a sedare una rivolta militare.  Tiberio al Senato elogiò entrambi, in realtà solo Germanico si era comportato con intelligenza acquisendo il favore dei soldati. Nel 15 Druso divenne console, fu decretato il trionfo per Germanico, e Druso ebbe la direzione dei giochi gladiatorii, ricordati per gli spargimenti di sangue e le crudeltà, tanto che il popolo ne ebbe orrore. I due fratelli però erano in buoni rapporti. Quando Germanico morì i sospetti caddero sull'odiato Tiberio e sul suo inviato Calpurnio Pisone, ritenuto l'autore materiale dell'avvelenamento. Quando i resti di Germanico arrivarono in Italia nel 20, Druso andò incontro al corteo funebre e disse a Pisone che se le voci sul suo coinvolgimento nell'assassinio fossero vere, sarebbe stato implacabile. A Pisone non rimase che il suicidio.


      DRUSO MINORE
      Nel 21 Druso divenne nuovamente console e Tiberio, suo collega nel consolato, decise di andare a vivere in Campania, a Nola, per abituare il figlio a svolgere da solo le funzioni consolari. Nel 22 Tiberio chiese al Senato la tribunicia potestas per Druso, potere riservato all'imperatore o al suo successore. I senatori accettarono e Druso, che aveva raggiunto il padre in Campania, inviò una lettera al Senato in cui esprimeva la sua gratitudine. Era un oltraggio non presentarsi per ricevere gli onori più alti dello Stato. Intanto Lucio Elio Seiano, prefetto del pretorio, pose sotto il suo diretto comando tutte le coorti presenti a Roma, nominando lui stesso i centurioni e i tribuni. Volendo diventare erede di Tiberio divenne il suo consigliere personale, e iniziò ad avvelenare Druso attraverso un veleno ad effetto lento, in modo che sembrasse una malattia. Druso morì il 14 settembre del 23. Tiberio non sospettò l'omicidio e Seiano riuscì a far uccidere Agrippina e i suoi due figli Nerone e Druso. Svetonio afferma che Tiberio lasciò che Seiano uccidesse Druso e la stirpe di Germanico per favorire l'ascesa al trono del figlio di Druso, Tiberio Gemello.

      -Druso Cesare - (Giulio Cesare Druso Germanico), figlio secondogenito di Germanico e della moglie Antonia minore. Nacque nel 7 e nel 19 il padre Germanico morì, forse fatto avvelenare dallo stesso Tiberio con l'aiuto di Gneo Calpurnio Pisone, che si suicidò poco dopo. Sposò Emilia Lepida, figlia di Marco Emilio Lepido e di Vipsania Marcella. Nel 36 fu accusata di aver commesso adulterio con un schiavo e si suicidò, "poiché non c'era alcun dubbio sulla sua colpevolezza".

      Insieme al fratello Nerone, fu l'erede di Tiberio, dopo la morte del figlio naturale dell'imperatore, Druso minore, nel 23. I due fratelli ebbero il compito di pronunciare l'elogio funebre e Tiberio decise subito dopo di affidare i figli di Germanico direttamente al Senato. Vennero nominati principes iuventutis e la loro popolarità aumentò in tutto l'impero. Nel 26, però, Druso iniziò a frequentare il prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano, che sfruttando la sua gelosia verso il fratello, lo mise contro Nerone e la madre Agrippina, la quale favoriva il figlio maggiore.

      Nel 29 la madre e il fratello Nerone, furono accusati di tramare contro Tiberio e vennero imprigionati, esiliati ed infine uccisi. Druso venne allora chiamato a Capri da Tiberio, che voleva tenerlo vicino a sé. Nel 31 Tiberio, iniziando ad essere sospettoso, nominò Druso quale suo erede, poiché aveva paura di cadere vittima di qualche sommossa. Neanche questo salvò il figlio di Germanico che, infatti, dopo pochi anni dalla sua partenza, venne richiamato a Roma e incarcerato nelle segrete del Palatino. Morì di fame dopo nove giorni di segregazione. Dopo la sua morte Tiberio fece esporre in pubblico il corpo e infierì sul defunto, presentandolo come folle e depravato sessuale. Nel 7, subito dopo la morte di Tiberio, il nuovo imperatore Caligola pose le ceneri di Druso nel Mausoleo di Augusto concedendogli tutti gli onori.

      - Tiberio Claudio Druso Nerone Germanico - o Tiberio Claudio Nerone Cesare Druso era il nome dell'imperatore Claudio.
      - Druso Claudio, figlio dell'imperatore Claudio e della moglie Plauzia Urgulanilla. 



      MEMBRI PLEBEI CLAUDI MARCELLI (bellicosi)

      - Gaio Claudio - (Marcello), nonno del console del 331 a.c..


      MARCO CLAUDIO MARCELLO
      - Gaio Claudio - C. f. (Marcello), padre del console del 331 a.c.


      - Marco Claudio Marcello - console nel 331 a.c. insieme a Gaio Valerio Potito Flaco; fu nominato dittatore, al fine di tenere le elezioni del 327 a.c., ma gli venne impedito di ricoprire questa carica dagli auguri, che a quanto pare si opponevano a un dittatore plebeo.

      - Marco Claudio Marcello - Figlio, probabilmente, del console del 331 a.c. Marco Claudio Marcello, fu eletto console a sua volta con Gaio Nauzio Rutilo.console nel 287 a.c.

      - Marco Claudio Marcello -  padre del console del 222 a.c.

      - Marco Claudio Marcello - console per cinque volte (222, 215, 214, 210 e 208 a.c.), vincitore dei Galli Insubri nel 222 a.c.; eroe della II guerra punica, conquistatore di Siracusa; fu anche edile plebeo nel 216 a.c.;

      - Marco Claudio Marcello - console nel 196 a.c., trionfò su Boii e Liguri.

      - Marco Claudio Marcello - console nel 183 a.c.

      - Marco Claudio Marcello - pretore nel 188 o nel 185 a.c.; uno di questi fu console nel 183 a.c., e si tratta di due distinti individui.

      - Marco Claudio Marcello - tribuno della plebe nel 171 a.c.

      - Marco Claudio Marcello - console per tre volte nel 166, 155 e 152 a.c.; trionfò su Galli delle Alpi e Liguri.

      - Marco Claudio Marcello - nipote di Augusto e marito della figlia Giulia: sarebbe divenuto secondo imperatore romano dopo Augusto, se non fosse morto prematuramente nel 23 a.c.; in sua memoria venne eretto il teatro che ancora oggi porta il suo nome. Di lui parla Virgilio, Eneide, Canto VI.

      VILLA DI LOUPIAN (Francia)

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      La villa gallo-romana di Loupian è una villa romana del V secolo nel comune di Loupian (dipartimento dell'Hérault, regione della Linguadoca-Rossiglione, Francia).

      Il territorio del comune era compreso in una vasta tenuta agricola gallo-romana, attiva tra il I secolo a.c. e il VI secolo d.c. Nella tenuta si svolgevano varie attività produttive: pesca nella zona paludosa di pesce d'acqua dolce, di gamberi sempre d'acqua dolce e si cacciavano rane fin dall'epoca, un cibo tutt'oggi caro ai francesi.

      Sulla terra ferma invece si effettuava le coltivazione dei cereali e la produzione di vino e olio d'oliva. La coltivazione di uva e ulivi comunque fu di origine romana; furono i nuovi proprietari terrieri romani a sperimentare e infine trovare le qualità più adatte al suolo gallico, cioè francese. Insomma oggi lo champagne in Francia prospera per merito degli antichi romani.

      A partire dal II secolo tutto l'impero romano aveva conosciuto e apprezzato il consumo del vino, così la sua produzione divenne particolarmente importante essendo molto attivo il commercio da una terra all'altra e da una riva all'altra.

      Infatti è attestata una piccola officina che produceva le anfore da trasporto per la sua esportazione. Un piccolo porto nello stagno di Thau, permetteva di raggiungere il Mediterraneo ai carri che trasportavano i prodotti della tenuta.

      In epoca tardo-antica la villa al centro della tenuta divenne una residenza signorile lussuosa, decorata con mosaici e rivestimenti in marmo e dotata di un impianto termale. I romani avevano ormai romanizzato la zona donandole tutti gli agi e le ricchezze che l'epoca consentiva.




      GLI SCAVI

      La villa di Loupian è posta tra Montpellier e Béziers, il cuore della Gallia Narbonense. Nel sito sono stati scavati 3 ettari a sud del villaggio che hanno restituito i resti romani di una villa agricola con grandi mosaici Gallo-Romani del II sec..

      Il sito venne abitato per più di 600 anni, dapprima come una modesta fattoria costruita a pochi Km a sud della Via Domitia, sul versante di una collina che si ergeva sul Bassin de Thau, poi prosperò attraverso il commercio dei suoi prodotti e accrebbe notevolmente la sua estensione.




      Durante l'Alto Impero, nel I e II sec. d.c., la villa divenne una grande residenza patrizia fornita immancabilmente di terme. Vi si esercitava l'attività della viticultura, per cui contemplò anche un magazzino capace di stoccare 1,500 hl di vino.

      Durante questo periodo venne edificato un piccolo porto sul lato nord del Bassin de Thau, e in zona vi sorsero case, termopolii e botteghe di ceramiche, mobili e vimini, ma soprattutto negozi di vasai che producevano anfore atte al trasporto del vino.

      Nel V sec. la villa fu completamente ricostruita, e la casa del proprietario si trasformò in una piccola locanda. I pavimenti delle 13 stanze furono coperti di mosaici colorati.  Ormai i vasai delle botteghe che fiorirono all'esterno della villa producevano non solo anfore ma anche ceramiche per uso domestico.



      Per la conservazione e la visita del sito si è edificato un bellissimo museo, uno dei rari esempi francesi di una villa gallo-romana presentata "in situ". La storia della tenuta agricola e il suo funzionamento sono presentati in due sale contenenti reperti e modelli archeologici.

      Da lì si passa a un altro edificio, dove è possibile vedere il sito archeologico protetto dalla pioggia e dalle intemperie nonchè gli splendidi mosaici policromi che decorano la residenza del V secolo. Il sito è tipico delle grandi "villae" (proprietà agricole) che coprivano la campagna durante il periodo dell'impero romano. Un modo per vivere comodamente e riccamente della propria produzione agricola, tutto intorno alla villa padronale da cui il fondo veniva amministrato e controllato.

      Pertanto la villa accoglieva padroni e schiavi, merci di produzione e merci da esportazione, horree e magazzini, ma soprattutto tutti gli attrezzi adatti alle varie produzioni, una spesa che i piccoli coltivatori non si sarebbero potuti permettere, al contrario dei ricchi proprietari romani.



      I MOSAICI

      Le parti originali della casa vennero decorate con mosaici fin dal II secolo. Tuttavia, quelli nella villa posteriore sono unici in quanto non vi è altra villa in cui le influenze di due paesi geograficamente separati, l'Aquitania (Francia sud-occidentale) e la Siria (paese del Medio Oriente che si affaccia sul Mar Mediterraneo), si siano unite.

      DETTAGLIO DELLA VILLA (clicca per ingrandire)
      Sembra infatti che i mosaicisti appartenessero a queste due località, ambedue rinomate per gli ottimi mosaici ma di stile piuttosto diverso.

      Non sappiamo se questa mescolanza di provenienze e stili fu dovuta ai gusti particolari del proprietario che forse aveva viaggiato e apprezzato questa arte nei suoi viaggi in oriente, o se usò ciò che aveva più a portata di mano Di certo poteva attingere da maestranze sia aquitane che siriache, e magari l'uso di ambedue gli permise di completare il lavoro piuttosto esteso in tempi ristretti.

      Oggi si sa che un gruppo di quattro mosaicisti impiegherebbe un anno intero per coprire un pavimento di 500 mq. A Loupian invece, due squadre che avessero lavorato insieme potrebbero aver posato l'originale, di 450 mq completandolo tra i sei e i diciotto mesi di tempo.



      INFORMAZIONI PER I VISITATORI

      Un edificio di 1000 mq è stato edificato per proteggere i resti della villa e i suoi mosaici. Visite guidate del sito e del suo museo sono disponibili, ma solo in francese, tutti i giorni in estate e il mercoledì e nei fine settimana fuori stagione (chiuso a gennaio). I tour in inglese sono però disponibili in determinati orari prefissati.



      PUBLIO CLODIO PULCRO

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      PUBLIO CLODIO PULCRO

      Nome: Publius Clodius Pulcher
      Nascita: Roma 93-92 a.c.
      Morte: Bovillae 52 a.c.
      Professione: Politico


      Publio Clodio Pulcro (ovvero Publius Clodius Pulcher) nacque a Roma il 93 o 92 a.c. e morì a Bovillae nel 52 a.c. e fu un dibattutissimo politico romano.


      - 73 a.c. - Il re del Ponto, Mitridate VI.

      Nel 73 a.c. il re del Ponto Mitridate VI, alleato con il genero Tigrane II, invase la provincia romana di Bitinia, e successivamente quella d'Asia. Il comando delle legioni fu affidato a Lucio Licinio Lucullo, cognato di Clodio, che guidò con successo una controffensiva in Bitinia e Galazia e sconfisse Tigrane nel 69 a.c.

      Tuttavia i legionari, temendo di doversi addentrare nel territorio asiatico, si ammutinarono per ben due volte, costringendo Lucullo a ritirarsi verso sud. Clodio, che partecipando alla spedizione saliva il primo gradino del cursus honorum, ebbe in quel frangente modo di fomentare il malcontento che covava tra i legionari e contribuire al loro definitivo ammutinamento,che permise a Mitridate e Tigrane di riconquistare le terre che Lucullo aveva loro strappato.

      « Allora [Clodio] prestava servizio militare con Lucullo, senza essere tenuto - così credeva - in tanto onore quanto meritasse. Riteneva di essere il primo fra tutti, ma poiché per il suo carattere era lasciato dietro a molti, cominciò a metter su i soldati già appartenenti all'esercito di Fimbria e a incitarli contro Lucullo, diffondendo cattivi discorsi a uomini che non erano né mal disposti né disabituati a lasciarsi trascinare dalle arti della demagogia.... Colpito nel morale [dai discorsi di Clodio], l'esercito di Lucullo si rifiutò di seguirlo contro Tigrane e contro Mitridate. »
      (Plutarco, Vite parallele. Lucullo)

      La figura di Lucullo stava già subendo, all'epoca, un forte declino: il senato non ne tollerava l'arbitrarietà, i populares i trascorsi sillani, mentre gli equites lo accusavano di star prolungando la guerra in Oriente. Le province dell'Asia Minore furono riassegnate ad altri magistrati, in modo tale da diminuire sempre il territorio della giurisdizione di Lucullo.


      - 67 a.c. - La guerra ai pirati

      Nel 67 a.c. il tribuno Aulo Gabinio propose, per contrastare il fenomeno dei pirati, una legge straordinaria che assegnasse a Gneo Pompeo l'imperium su tutta l'area mediterranea. Le pressioni del popolo, sobillato dal giovane Gaio Giulio Cesare, costrinsero il senato ad approvare la proposta, e Pompeo poté debellare i pirati in pochi mesi. Il tribuno Gaio Manilio, dunque, propose nel 66 a.c. una nuova legge con la quale fece assegnare allo stesso Pompeo il comando della guerra mitridatica.

      L'azione di Clodio, che aveva favorito il fallimento di Lucullo (anche fomentando una ribellione tra le sue truppe durante l'assedio di Nisibis), assecondava, dunque, quelli che erano gli interessi di Pompeo e della classe politica romana. Il giovane, tuttavia, per evitare la probabile vendetta legale di Lucullo, nel 67 a.c. decise di rifugiarsi nella provincia di Cilicia, che era stata assegnata al cognato Quinto Marcio Re.

      Marcio Re, che doveva anche a Clodio la sua nomina a governatore provinciale, confidando forse nelle doti militari del giovane, lo pose a capo di una flotta. Mentre si trovava in viaggio per mare, Clodio fu catturato da alcuni pirati, che lo tennero in prigionia fino alla vittoria di Pompeo.

      Per ottenere la libertà, il giovane chiese al re di Cipro Tolomeo XII di pagare il riscatto che i pirati chiedevano, ma questi offrì soltanto due talenti, suscitando lo sdegno di Clodio. Secondo Cicerone, il giovane fu costretto, durante la prigionia, a soddisfare i desideri sessuali dei suoi carcerieri. Tornato in libertà, Clodio si recò in Siria ad Antiochia dove, nel tentativo di favorire l'ascesa del protetto di Marcio Re, Filippo II, cercò di sobillare la popolazione contro gli Arabi che appoggiavano il rivale Antioco XIII; la sua iniziativa, tuttavia, non ebbe successo, e Clodio rischiò anche di rimanere ucciso.


      - 66 - 63 - Il divorzio

      Rientrato in patria ed evitata la vendetta di Lucullo, non poté far altro che divorziare da Clodia. 

      CLODIO CONDUCE LA'ACCUSA CONTRO CATILINA

      - 65 a.c. - Processo a Catilina

      Clodio fece il suo esordio nel mondo forense nel 65 a.c. Il nobile decaduto Lucio Sergio Catilina, che aveva presentato la sua candidatura per il consolato del 64 a.c., era stato accusato di concussione: prima che la sua candidatura potesse essere accolta, dunque, era necessario che venisse dichiarato innocente del reato di cui era accusato.

      Ad assumere il ruolo di accusatore in quel frangente fu proprio Clodio: era infatti uso comune che i giovani delle famiglie nobili esordissero nella vita pubblica della città nei processi a cittadini piuttosto in vista.

      La presenza di una personalità ambigua come Clodio nel ruolo di accusatore, tuttavia, fece pensare al grande oratore Marco Tullio Cicerone di assumere la difesa di Catilina: sembrava dunque facile corrompere l'accusatore in modo tale che l'imputato uscisse assolto dal procedimento.

      Per motivi personali, Cicerone abbandonò poi il proposito di difendere Catilina, ma questi fu comunque assolto grazie all'aiuto del ricco Marco Licinio Crasso.


      - 63 a.c. - La Congiura di Catilina

      Esponente dell'importante gens aristocratica dei Claudii, che vantava fra gli antenati Appio Claudio Cieco, si avvicinò alla fazione dei populares, naturalmente accusato dagli optimates di sovversione e corruzione. In occasione della congiura di Catilina, nel 63 a.c., collaborò con Cicerone, che tuttavia ebbe la memoria corta e testimoniò contro di lui nel 61 a.c., durante il processo per lo scandalo della Bona Dea, processo nel quale fu tuttavia assolto perché i giurati furono corrotti da Crasso e Cesare non si pose tra gli accusatori.

      La permanenza nella provincia, tuttavia, permise a Clodio di stringere una solida amicizia con Murena, che gli affidò probabilmente il ruolo di sequester per la sua campagna elettorale per il consolato, nel 63 a.c. Grazie anche alla corruzione dell'elettorato, Murena riuscì vincitore nelle elezioni, e fu sottoposto anch'egli ad un processo dal quale, tuttavia, uscì indenne.

      Risulta tuttavia poco chiaro il ruolo di Clodio nella vicenda, che, secondo Cicerone, si sarebbe appropriato delle somme destinate alla corruzione del popolo. A occupare la scena politica nel 63 a.c. fu comunque la congiura di Catilina: questi, che non aveva potuto presentare la candidatura al consolato nel 65 a.c. a causa del processo che lo vedeva accusato, non era stato eletto neppure nelle elezioni dell'anno successivo.


      - 62 a.c. - Matrimonio con Fulvia

      Nel 62 o nel 61 a.c., Clodio sposò Fulvia. Ella, sebbene di lontane ascendenze plebee, era stata adottata dal console del 62 a.c., Lucio Licinio Murena e possedeva un discreto patrimonio.
      Dotata di un carattere autoritario ed irruente, Fulvia riuscì a sottomettere a sé Clodio, ma non gli fece mai mancare il suo sostegno durante tutta la sua vicenda politica, e gli rimase sempre fedele.

      I due generarono due figli: un maschio, Publio Claudio, che raggiunse la pretura attorno al 30 a.c. e che morì poi ancora in giovane età a causa degli stravizi, e una femmina, Clodia Pulcra, che attorno al 43 a.c. divenne moglie di Ottaviano. Rimane sconosciuto il percorso educativo di Clodio, assieme al suo carattere e al suo aspetto: non se ne ha infatti nessuna rappresentazione.

      Ripresentò la propria candidatura anche per il 62 a.c., ma venne sconfitto, mentre risultò eletto, nonostante l'accusa di corruzione, Murena. Catilina, dunque, iniziò ad organizzare un complotto, che probabilmente godeva anche dell'appoggio iniziale di Cesare e Crasso, con il fine di impadronirsi del potere e cancellare il predominio dell'oligarchia senatoria.

      Nel suo programma proponeva provvedimenti rivoluzionari a favore del popolo, tra cui l'abolizione dei debiti e una radicale riforma agraria. Grazie all'intervento del console Cicerone, tuttavia, Catilina fu costretto a lasciare Roma, mentre i suoi complici rimasti nell'Urbe furono arrestati il 3 dicembre.


      - 62 a.c. - Lo scandalo della Bona Dea.

      Nel 62 a.c., Clodio fu eletto questore per il 61 a.c., e alla fine dell'anno era dunque in attesa di ricevere l'incarico di amministratore delle finanze in una provincia. La notte tra il 4 e il 5 dicembre, si festeggiavano, in onore della Bona Dea, i Damia: i riti, che quell'anno si svolgevano nella casa di Cesare, pontefice massimo e neoeletto pretore, erano interdetti agli uomini e officiati dalle sole donne.

      Clodio, che era amante della moglie di Cesare, Pompea, decise di intrufolarsi nella casa mentre erano in corso i preparativi per la festa: travestitosi da flautista per mantenere nascosta la propria identità, fu accolto da un'ancella di Pompea, di nome Abra, che era al corrente della relazione. Tuttavia, quando Abra si allontanò per avvisare Pompea dell'arrivo dell'amante, Clodio fu scoperto da un'altra ancella: al suo grido, accorsero le altre donne presenti in casa, e la madre di Cesare Aurelia Cotta, che coordinava i preparativi, scacciò Clodio.

      Non sono chiare le motivazioni che indussero Clodio a compiere un simile atto: non sembra sufficiente il semplice ricorso alla relazione amorosa con Pompea, ma si pensa piuttosto ad una bravata giovanile o ad un atto di sfida contro il console Cicerone, cui l'anno prima era stato rivolto, secondo le vestali, un auspicio favorevole dalla Bona Dea.

      La vicenda non ebbe, in principio, grandi conseguenze; lo stesso Cicerone, anzi, ne parlava così in una lettera all'amico Tito Pomponio Attico: « Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l'aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato. »
      (Cicerone, Lettere ad Attico)


      Processo ai congiurati di Catilina

      Cesare propose che i congiurati venissero semplicemente condannati al confino e alla confisca dei beni, ma ad avere la meglio fu Marco Porcio Catone, che sosteneva la necessità di una condanna a morte. A dover ratificare la condanna a morte fu lo stesso Cicerone, che evitò di concedere ai catilinari la provocatio ad populum, ovvero l'appello al popolo cui tutti i cittadini romani condannati a morte avevano diritto.

      Prima ancora che Catilina, nei primi giorni del 62 a.c. venisse sconfitto e ucciso a Pistoia, a Cicerone furono rivolte le prime accuse, destinate a rimanere senza alcun esito al momento, riguardo al suo comportamento. Durante tutta la vicenda della congiura, Clodio, profondamente legato a Murena, si mantenne fedele a Cicerone, di cui fu convinto collaboratore e guardia del corpo, allontanandosi da Catilina.

      Tutta la famiglia di Clodio aveva buoni rapporti con il console: il fratello maggiore, Appio, che rivestiva il ruolo di augure, previde nel 63 a.c. una guerra intestina che avrebbe sconvolto in quello stesso anno Roma, conquistandosi così le simpatie di Cicerone, e rivestì alcuni ruoli ufficiali durante il processo dei catilinari.

      Quando, più tardi, i rapporti fra Clodio e Cicerone si incrinarono, questi accusò il suo ex collaboratore di aver partecipato attivamente alla congiura e di essere stato vicino a Catilina fino al momento in cui egli fuggì da Roma.

      CERIMONIA DELLA BONA DEA

      - 61 a.c. - Processo per il reato contro la Bona Dea

      Il 1º gennaio 61 a.c. il cesariano Quinto Cornificio segnalò davanti al senato la vicenda, e fu dunque necessario istituire un processo contro Clodio, mentre le vestali e i pontefici ordinarono che si officiassero nuovamente i Damia.

      L'accusa mossa a Clodio era quella di incestus, e i consoli dovettero dunque far approvare da un'assemblea popolare una legge che stabilisse la composizione della giuria che avrebbe giudicato il reo. Il senato desiderava che si affidasse l'inchiesta ad un pretore urbano, per evitare che il popolo approvasse una lista di candidati tra cui sarebbero poi stati scelti i giudici.

      Per favorire Clodio, il console Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano presentò una legge che proponeva la selezione di una giuria; sapeva che non l'avrebbero approvata, ma avrebbe causato disordine e magari salvare salvare Clodio. Pompeo, tornato in patria non intervenne in favore di Clodio, visto che era nemico sia di Lucullo che di Catone.

      Infatti la proposta fu respinta proposta, ma i seguaci di Clodio, guidati dall'amico Curione, scatenarono gravi disordini nella città. Il senato allora accellerò il processo di Clodio, che venne aperto alla metà di aprile: le testimonianze contro Clodio furono schiaccianti, e molti ricordavano il suo pessimo comportamento passato. Clodio fu costretto ad allontanare parte dei suoi servi dall'Italia per evitare che si decidesse di interrogarli sotto tortura, ma a confermare la sua colpevolezza furono soprattutto la madre e la sorella di Cesare.

      Cesare, invece, decise di non testimoniare contro Clodio, desiderando probabilmente di ottenere l'amicizia di un uomo che godeva ampiamente del favore della plebe e di una personalità autorevole come Pompeo. Il pontefice massimo ripudiò tuttavia la moglie Pompea, sostenendo che sembrasse opportuno che della sua moralità non si dovesse neppure sospettare. Pompea, che appariva complice del reato, non fu infatti neppure chiamata a testimoniare.

      Di fronte a tante testimonianze, la difesa di Clodio decise di respingere le accuse avvalendosi di false testimonianze e sostenendo che il giovane durante i Damia si fosse in realtà trovato ben lontano da Roma. Tuttavia, per motivi politici o per prudenza, Cicerone, che era con Clodio in ottimi rapporti, testimoniò di aver incontrato Clodio a Roma poche ore prima che si intrufolasse nella casa di Cesare.

      La testimonianza suscitò meraviglia e stupore, scatenando nuovi disordini. Cicerone si giustificò così: « Constatato quanti pezzenti erano tra i giudici, ammainai le vele e nella mia testimonianza mi limitai a deporre quello che, essendo di dominio pubblico, non si poteva passare sotto silenzio. »
      (Cicerone, Lettere ad Attico)

      I sostenitori di Clodio, che ora rischiava la condanna a morte o l'esilio, assediarono il tribunale, e il pretore che gestiva l'inchiesta fu costretto ad assegnare una scorta armata ai giudici e a rinviare di due giorni la sentenza.

      Grazie all'aiuto finanziario di Crasso, tuttavia, Clodio riuscì a corrompere la maggior parte dei giurati, e pochi giorni più tardi fu assolto per trentuno voti a venticinque. I voti in favore dell'assoluzione furono espressi in prevalenza da equites e tribuni dell'Erario, mentre i senatori votarono per la condanna.

      Cicerone fu poi chiamato a relazionare sulla vicenda, e, paragonando Clodio a Catilina rinunciò all'amicizia con Clodio, che invece fu inviato ad esercitare la questura in Sicilia, dove si recò attorno alla metà di maggio per fare ritorno a Roma dopo un solo anno.

      Nell'Urbe, intanto, Catone spinse il senato a punire i cavalieri che avevano permesso l'assoluzione di Clodio: quando questi fecero però bloccare il processo che li vedeva indagati, il senato tolse loro l'appalto per la riscossione delle imposte nella provincia d'Asia, che costituiva per loro una delle maggiori fonti di reddito.


      - 60 a.c. - Da patrizio a Plebeo

      A distanza di soli due anni dagli episodi della Bona Dea, decise di disconoscere le proprie origini patrizie per farsi adottare da una famiglia plebea e poter ambire al tribunato della plebe piuttosto che all'edilità. Clodio aveva fatto proporre, da altri tribuni a lui fedeli, una legge che permettesse anche ai patrizi l'accesso al tribunato, ma un tribuno della plebe pose il veto.

      Allora Clodio, al suo ritorno a Roma dalla questura in Sicilia pronunciò il 24 maggio del 60 a.c. la "sacrorum detestatio", con cui disconosceva le proprie origini patrizie, un atto grave e difficile, che che richiedeva il consenso dei sacerdoti.

      Clodio portò a termine la complessa cerimonia, ma gli optimati gli impedirono la candidatura al tribunato. L'anno successivo però Cesare fu eletto console e si impegnò a soddisfare le richieste dei suoi alleati, Crasso e Pompeo. Permise dunque ai cavalieri di riscuotere nuovamente le imposte in Asia e concesse ai veterani di Pompeo le consuete assegnazioni di ager publicus.

      Con la transitio, Clodio si avvicinò alla plebe e divenne uno dei leader in grado di gestire le assemblee dei plebei, dove l'influenza degli ottimati poco poteva. Sebbene Clodio provasse una particolare riconoscenza nei confronti di Cesare, che lo aveva favorito anche in occasione dei fatti della Bona Dea, pensò, una volta plebeo, di contrarre un'alleanza con gli altri triumviri.
      Entrò poi in contrasto coi triunviri rifiutando l'incarico diplomatico in Armenia, per cui a loro volta gli negarono l'accesso alla commissione delle leggi agrarie cesariane.

      I triumviri negarono la liceità della transitio di Clodio, mentre questi avanzò la sua candidatura al tribunato per annullare i provvedimenti di Cesare, attirandosi così la simpatia di numerosi optimates. Ben presto, anche il popolo iniziò a dimostrare per Clodio una simpatia maggiore di quella che provava per lo stesso Cesare, che per rappresaglia minacciò la sospensione delle distribuzioni gratuite di frumento. Cesare tentò pure di attirare dalla sua parte Cicerone che però rifiutò.

      La "transitio ad plebem" fruttò a Clodio, che già beneficiava dell'appoggio del popolo, una immagine di grande leader. Tutti lo amavano e idolatravano. Per Cicerone invece, il giovane Clodio, dopo la morte di suo padre, si sarebbe lasciato andare a relazioni incestuose con le sorelle e a scandalosi rapporti con vecchi lussuriosi; ma il giudizio di Cicerone sembra poco attendibile. Anche se Clodio, assieme alla sorella maggiore, seppe radunare con sé un folto gruppo di amici, dissoluti eredi delle grandi famiglie aristocratiche, intavolando particolari rapporti con Gaio Scribonio Curione, Marco Antonio e Gaio Licinio Calvo.


      - 59 a.c. - Il tribunato

      Clodio entrò in carica come tribuno, assieme ai suoi nove colleghi, il 10 dicembre del 59 a.c. (per il 58), e presentò immediatamente quattro disegni di legge con i quali sperava di ottenere l'appoggio di plebei, cavalieri e senatori.

      Avrebbe così disposto di un'ampia fascia di sostenitori, la cui consistenza avrebbe a sua volta dissuaso i suoi colleghi tribuni dall'utilizzare il diritto di veto contro i suoi provvedimenti. In agosto, una presunta congiura contro Pompeo, ricompattò i triumviri, che permisero dunque che Clodio potesse essere eletto tribuno della plebe per il 58 a.c.


      - 58 a.c. - I Plebisciti

      Per intraprendere la sua carriera come populares, Clodio si era fatto adottare da una famiglia plebea e così poté essere eletto tribuno della plebe per il 58 a.c. Qui promosse un'attività legislativa molto intensa, riuscendo a far approvare una serie di plebisciti che indebolirono il senato rafforzando le assemblee popolari, stabilendo tra l'altro l'esilio di Cicerone da Roma.

      Grazie all'appoggio popolare, Cesare era riuscito a porre in secondo piano il suo collega nel consolato, Marco Calpurnio Bibulo, agendo liberamente come gli aggradava. Cicerone, nel corso di un processo in cui difendeva il suo collega nel consolato, Gaio Antonio Ibrida, pronunciò alcune dichiarazioni contro Cesare che per questo gradì l'appoggio di Publio contro Cicerone.

      Inoltre, godendo del ruolo di pontefice massimo, decise di consentire a Clodio la transitio ad plebem. Con l'assenso dell'augure Pompeo, Clodio fu adottato dal senatore plebeo Publio Fonteio, in realtà più giovane, pur senza ricadere sotto la patria potestas di Fonteio.


      58 a.c. - Il Velocissimo Legislatore

      Il 1º gennaio del 58 a.c. entrarono in carica i consoli Lucio Calpurnio Pisone Cesonino e Aulo Gabinio, fedeli alleati dei triumviri, che gestivano ormai l'attività politica dell'Urbe. Grazie alla ristabilita amicizia con Cesare, anche Clodio poté dedicarsi ad un'intensissima attività legislativa, che lo portò a far approvare dodici o tredici plebisciti in soli cinque mesi, evitando l'opposizione del senato inerme. I risultati che il tribuno ottenne furono notevolissimi, e paragonabili a quelli riscontrati solo nel biennio di attività di Gaio Gracco.

      Poiché la fonte principale sull'operato di Clodio è costituita dalle opere del nemico Cicerone, non si hanno giuste informazioni politico. Le prime quattro proposte furono votate, dopo circa venticinque giorni dal momento in cui Clodio le aveva avanzate, il 4 gennaio del 58 a.c.



      LE LEGGI DI CLODIO


      Lex de collegiis I collegia compitalicia

      erano organizzazioni cultuali, con  individui di ogni classe sociale, istituite dal re Numa Pompilio per celebrare i riti dei lares compitales, le divinità che sorvegliavano i crocicchi, erano stati sciolti con una legge nel 64 a.c. in quanto considerati fonti di idee sovversive.

      La legge prevedeva non solo che i collegia fossero nuovamente istituiti, ma che ne venissero istituiti di nuovi, che fruttarono a Clodio una gran parte dei suoi sostenitori. Pochi giorni prima del voto, Clodio, con l'appoggio del console Pisone, fece celebrare di sua iniziativa i ludi Compitalicii, i festeggiamenti annuali organizzati dai collegia compitalicia, che non si tenevano dal 64 a.c.
      Stranamente nemmeno Cicerone si oppose alla proposta di legge.


      Lex frumentaria

      La seconda proposta avanzata e fatta approvare da Clodio il 4 gennaio fu quella di una lex frumentaria. Dai tempi dei Gracchi c'era a Roma una periodica distribuzione di grano a prezzo politico per le famiglie meno abbienti. Clodio però propose distribuzioni completamente gratuite senza limitare il numero dei beneficiari. Per giunta affidò la cura dell'annona ad un liberto, Sesto Clelio. Fu un colpo per l'erario. Per finanziarlo risultò necessaria la spesa annuale di un quinto delle entrate che Roma riceveva dalle imposte, per 64 milioni di sesterzi.

      Le spese, tuttavia, dovevano essere compensate dalle nuove entrate previste a seguito della legge sull'annessione di Cipro, e garantivano a Clodio l'appoggio incondizionato della plebe urbana. A seguito della lex frumentaria, vi fu un netto aumento nelle emancipazioni, poiché i nuovi liberti potevano essere iscritti alle liste dei beneficiari delle distribuzioni.

      Così Clodio tentò anche di ostacolare le riforme dell'anno precedente dal console Cesare, che aveva minacciato la cessazione delle distribuzioni di grano. In questo modo il tribuno della plebe sperava di poter acquisire il ruolo di capofazione dei populares, sostituendosi allo stesso Cesare. Quando questi, più tardi, rivestì la dittatura, infatti, dovette tempestivamente ridurre il numero dei beneficiari delle distribuzioni frumentarie.


      Legge sull'ostruzionismo

      La terza proposta di legge di Clodio liberava l'attività politica dalle costrizioni di carattere religioso cui essa era sottoposta. La legge impediva che, da quel momento in poi, si potessero rinviare le sedute delle assemblee in base agli auspici, e permetteva invece che le sedute si tenessero anche in quei giorni in cui, sempre secondo le antiche consuetudini religiose, non era stato fino ad allora possibile convocarle. La legge impedì agli optimates di bloccare le decisioni delle assemblee popolari.


      Legge sul potere dei censori 

      L'ultima delle proposte avanzate da Clodio il 4 gennaio fu una legge con il compito di regolamentare i poteri dei censori. I provvedimenti proposti furono accolti, e rimasero in vigore fino al 52 a.c.

      Fin dal 312 a.c. ai censori spettava la redazione della lectio senatus, la lista di coloro che erano degni di prendere parte all'assemblea. I censori si occupavano inoltre della suddivisione dei cittadini in più categorie secondo il censo di ognuno. La decisione di uno dei due censori non poteva essere contestata, se non con un'onerosa opposizione del collega.

      Con questa legge le decisioni dei censori venivano vagliate da un giudizio collegiale, evitando che alcuni entrati di recente nel senato, rischiassero di esserne espulsi per indegnità.



      PROCESSO A VATINIO

      Dopo i primi successi come tribuno, Clodio si assunse l'incarico di difendere un tribuno filocesariano dell'anno precedente, Publio Vatinio, accusato di aver commesso irregolarità nella sua attività legislativa. Il processo contro Vatinio era un attacco a Cesare, e Clodio poté, difendendo il tribuno sotto accusa, ribadire la sua fedeltà al leader popolare. Clodio  si servì dei propri sostenitori e di quelli di Vatinio per esercitare pressioni su coloro che erano incaricati di celebrare il processo.


      Annessione di Cipro

      Tra febbraio e marzo, Clodio promosse altri tre plebisciti che decretarono l'annessione di Cipro allo Stato romano, il rimpatrio di alcuni esuli a Bisanzio e infine l'allontanamento di Catone da Roma perché sovrintendesse all'esecuzione dei precedenti decreti.

      Clodio riuscì a far prevalere, attraverso il volere della plebe, le sue intenzioni su quelle degli aristocratici. Alla sua morte, nell'87 a.c., il re d'Egitto Tolomeo X aveva lasciato il suo regno in eredità a Roma, ma l'Urbe non l'aveva annesso, e nel 59 a.c., anzi, aveva riconosciuto come suo legittimo successore il re Tolomeo XII Aulete, dopo che questi aveva dato ai triumviri 140 milioni di sesterzi.

      Clodio, dunque, decise di proporre l'annessione di Cipro, il cui re era fratello minore di Tolomeo XII, per finanziare i provvedimenti conseguenti alla sua lex frumentaria e per risanare il bilancio pubblico: alla proposta seguirono le reazioni favorevoli della plebe e dei cavalieri, che vedevano come un'ulteriore possibilità di arricchimento quella di aggiudicarsi i diritti per l'esazione delle tasse.


      Rimpatrio degli esuli di Bisanzio

      Dopo l'approvazione della legge sull'annessione di Cipro, Clodio riuscì senza problemi a far approvare un'altra legge che prevedeva il rimpatrio di alcuni esuli nella città autonoma di Bisanzio, da cui erano probabilmente stati espulsi a seguito di qualche avvenimento dell'epoca delle guerre mitridatiche.

      Clodio, infine, fece approvare un terzo ed ultimo provvedimento che incaricava Catone di accompagnare gli esuli durante il loro ritorno a Bisanzio e, in seguito, di impossessarsi nel nome di Roma dei beni del re di Cipro, suicidatosi dopo l'approvazione del primo plebiscito clodiano.
      Pare che lo stesso Cesare si sia congratulato con Clodio per aver eliminato Catone momentaneamente dalla politica.


      Leggi sulle Province Consolari

      Clodio decise di determinare per legge le province in cui i consoli in carica si sarebbero recati come proconsoli l'anno seguente. Furono votate, tra marzo e maggio, due leggi sull'argomento: con il primo provvedimento, a Pisone fu affidata la Macedonia, a Gabinio la Cilicia. Qui i proconsoli avrebbero potuto reclutare uomini per l'esercito e nominare i legati, amministrare i fondi pubblici e imporre il proprio volere anche su genti libere.


      Lex de capite civis Romani 

      Nel marzo, Clodio propose una legge per garantire i "diritti costituzionali" del cittadino, limitando il potere del senato e degli ottimati nel corso dei processi: si metteva in discussione la liceità dei senatus consulta ultima, i provvedimenti che il senato poteva adottare in caso di estrema necessità per garantire l'incolumità dello Stato.

      Si doveva concedere ai condannati la facoltà di appello al popolo, la provocatio ad populum: sanzionando retroattivamente il comportamento di Cicerone, che nel 63 a.c. aveva permesso la condanna dei Catilinari senza appello al popolo. Cesare fu d'accordo anche per togliersi di torno Cicerone per un pezzo.


      Lex de exilio Ciceronis 

      Molti manifestarono in favore di Cicerone: i cavalieri, appoggiati da buona parte delle popolazioni italiche, si vestirono a lutto e assediarono pacificamente il Campidoglio, ma furono poi costretti a cedere.

      Poco tempo dopo alla lex de exilio Ciceronis fu aggiunta una clausola che impediva a Cicerone di avvicinarsi a 400 o 500 miglia dai confini dell'Italia, per cui non poteva rifugiarsi presso i suoi clientes siciliani, e chiunque lo avesse ospitato mentre si trovava all'interno della zona proibitagli avrebbe rischiato la confisca dei beni e la condanna a morte.

      Clodio fece vendere, in vantaggio del popolo, gli schiavi e i terreni di Cicerone, e fece abbattere le sue proprietà a Roma, Tusculum e Formia. Lo stesso Clodio si impadronì di parte del terreno su cui sorgeva la casa di Cicerone sul Palatino allargando le sue proprietà.

      Il tribuno ordinò inoltre la costruzione, sui suoli appartenuti a Cicerone, di un tempio intitolato alla Libertà, cui fu anche dedicata una statua. I provvedimenti contro Cicerone colpirono anche i suoi familiari: la moglie Terenzia fu più volte vittima di aggressioni, e il fratello Quinto, governatore d'Asia, fu costretto a tornare a Roma per sottostare a un processo per concussione, dal quale uscì però assolto.


      Il culto della Grande Madre

      Clodio propose entro la metà di maggio un nuovo plebiscito che riguardava l'assetto della Galazia, confermava il titolo di re all'alleato di Pompeo, Deiotaro, riconosciuto da Roma l'anno precedente, ma gli affiancava il genero Brogitaro, a cui veniva attribuita la stessa dignità. A Brogitaro, inoltre, veniva affidato il controllo del santuario di Pessinunte, dedicato alla Grande Madre, che fino ad allora era stato amministrato da Deiotaro. Probabilmente Clodio voleva reimpossessarsi del culto della Grande Madre, che era stato introdotto in Roma dalla sua gens.

      Allo stesso tempo, il tribuno colpiva gli interessi di Pompeo nell'area dell'Asia Minore, ponendo i presupposti per il conflitto che di lì a poco lo avrebbe contrapposto al triumviro e ai suoi uomini. Inoltre Brogitaro avrebbe sborzato a Clodio ingenti somme di denaro, ospitalità e aiuto.



      CONTRO POMPEO

      Approvata la legge sulla Galazia, Clodio, forse sobillato da Cesare, diede inizio all' opposizione nei confronti di Pompeo. Nel mese di maggio, infatti, forte dell'inviolabilità garantitagli dalla carica tribunizia, rapì il principe Tigrane, figlio dell'omonimo sovrano d'Armenia, mentre si trovava in Roma.

      Gli uomini di Clodio, sbarcati ad Anzio, si scontrarono con alcuni seguaci di Pompeo ma i Clodiani riuscirono ugualmente a portare a termine la loro missione, riaccompagnando Tigrane in patria.
      Le bande armate dei seguaci di Clodio attaccarono i littori del console pompeiano Gabinio, rompendo i loro fasces.

      Il 1º giugno, dunque, mentre Clodio era fuori Roma, un tribuno degli optimates, Quadrato, propose una legge che consentisse il ritorno a Roma di Cicerone, ma il provvedimento, approvato all'unanimità, fu reso nullo dal veto di un altro tribuno, Elio Ligure.

      Clodio decise di andare contro le leggi approvate dallo stesso Cesare durante il suo consolato dell'anno precedente: convocata l'assemblea, chiamò l'ex console Bibulo, collega di Cesare, a testimoniare che le leggi approvate nel 59 a.c. erano passate in modo illegale, senza gli auspici. Lo stesso Bibulo, tuttavia, in un'altra assemblea dichiarò che l'adozione di Clodio era in realtà nulla, e che dunque altrettanto nulla doveva considerarsi l'opera del tribuno.

      Il 29 ottobre l'intero collegio tribunizio, a eccezione di Clodio e di Ligure, propose una legge che prevedeva la riassegnazione a Cicerone dei diritti civili e delle dignità di senatore che possedeva prima di essere esiliato, senza che tuttavia si facesse menzione di eventuali risarcimenti materiali per compensare la perdita delle numerose proprietà. La proposta fu però ritirata.

      - Lex Clodia de iniuriis publicis

      riguardava le pene da infliggere a chi si fosse reso colpevole di atti oltraggiosi, per abolire le severe normative sillane..

      - Lex Clodia de scribis questoriis

      che vietava agli scribi dei questori la pratica del commercio.

      PATRIZI E PLEBEI

      IL RITORNO DI CICERONE

      L'aristocrazia senatoria voleva il ritorno di Cicerone dall'esilio, per per cui l'intero collegio tribunizio presentò il 23 gennaio alla plebe una legge che segnasse la fine del suo esilio. Alla vigilia dell'assemblea, Clodio, assieme ai suoi compagni e ad alcuni gladiatori, occupò il Foro, scatenò gravissimi disordini che costrinsero a rinviare l'assemblea della plebe. Le bande di Clodio poi assediarono la casa del tribuno Milone, ma questi  riuscì ad arrestare i gladiatori di Clodio, e tentò inutilmente di ottenere la loro condanna.

      Clodio continuò a minacciare, mediante le sue bande, Milone e Sestio: questi tentarono di portarlo in tribunale, ma, per proteggerlo, il console Nepote arrivò a interrompere ogni attività pubblica. Milone e Sestio decisero quindi di assoldare a loro volta bande di gladiatori per contrastare la violenza di Clodio.

      Pompeo allora fece approvare in maggio una proposta di Lentulo che consentiva ai governatori provinciali di accogliere Cicerone, invitando a recarsi a Roma tutti coloro che volevano il suo ritorno.
      Si dichiarò nemico pubblico chi avesse tentato di impedire il ritorno dell'esule.

      Ottenendo anche la restituzione delle proprietà e dei beni confiscati, Cicerone fece ritorno e il 4 settembre fu trionfalmente accolto in Roma presso la porta Capena, e di lì fu condotto nel Foro e sul Campidoglio. Qui pronunciò l'"Oratio cum populo gratias egit" e l'"Oratio cum senatui gratias egit", accusando i consoli Gabinio e Pisone di aver appoggiato per interesse personale la politica di Clodio.


      - 57 a.c. - LA CARESTIA

      A causa degli scarsi raccolti e delle politiche economiche delle provinciae frumentariae, gli approvvigionamenti di grano calarono, e si paventò una carestia. Il 6 o il 7 settembre in occasione dei ludi Romani, la folla si radunò presso il Campidoglio, dov'era riunito il senato, e accusò Cicerone come responsabile della scarsità di cibo.

      A Pompeo venne affidata per cinque anni la cura annonae, cui Clodio aveva proposto Sesto Clelio: alla fine di settembre il prezzo del grano tornò equo, ma la lex frumentaria, con cui Clodio aveva guadagnato il favore della popolazione dell'Urbe, era stata fortemente modificata con la concessione di pieni poteri per l'annona a Pompeo.



      LA DOMUS DI CICERONE SUL PALATINO 

      Il 29 settembre il collegio dei pontefici si riunì, su richiesta di Marco Calpurnio Bibulo, per deliberare sul terreno di Cicerone sul Palatino, dove Clodio, dopo l'esilio dell'oratore, aveva fatto costruire un tempio alla Libertà. Cicerone pronunziò l'orazione De domo sua, in cui dichiarava irregolare la lex de exilio, perché non autorizzata, la consacrazione del suo terreno alla Libertà.

      Il senato, nonostante l'ostruzionismo di Clodio, approvò per legge la ricostruzione della dimora di Cicerone, donandogli 2 milioni e 750.000 sesterzi per le spese di ricostruzione della domus sul Palatino e delle ville di Tusculo e Formia.

      Clodio il 3 novembre assaltò il cantiere della casa di Cicerone, e tentò di incendiare anche l'abitazione di suo fratello Quinto. L'11 novembre Cicerone in persona fu aggredito assieme alla sua scorta sulla via Sacra, mentre il giorno successivo, Clodio e i suoi uomini presero d'assalto la casa di Milone, ma i suoi sostenitori uccisero molti dei Clodiani e arrivarono quasi a uccidere lo stesso Clodio.



      ELEZIONI DA EDILE

      Il 14 novembre il senato decise di processare tutti i responsabili. Clodio si era intanto candidato all'edilità curule e, se fosse stato eletto, avrebbe ottenuto per l'intera durata della carica l'immunità dai processi giudiziari.

      Se però fosse stato processato e condannato prima della data delle elezioni, la sua candidatura non sarebbe più stata valida. Milone decise di ostacolare le elezioni perché il processo a Clodio potesse svolgersi prima di esse: dichiarò infatti che avrebbe costantemente scrutato il cielo per ricevere auspici. Clodio, tuttavia, lo costrinse a prendere gli auspici in pubblico, nel Campo Marzio, dove si sarebbero dovute svolgere le elezioni. Clodio fu eletto edile attorno al 20 gennaio del 56 a.c. per l'anno in corso.


      - 56 a.c. - CLODIO EDILE

      Dopo  l'annessione di Cipro, il faraone Tolomeo Aulete era stato scacciato dall'Egitto e costretto a rifugiarsi in Italia, presso Pompeo.

      Milone era stato accusato di aver causato violenti disordini nell'anno precedente, ma in sua difesa intervenne, il 7 febbraio, Pompeo, che accusò Clodio. Nuovi disordini e il processo fu rinviato.
      Il giorno dopo il senato attribuì ai sostenitori di Milone i disordini alle udienze, ed emanò contro Pompeo un decreto con cui gli proibiva di occuparsi della questione egiziana.

      Per porre fine allo squadrismo di Clodio, dichiarò illegali tutte le associazioni segrete, e Clodio accusò di corruzione e violenza il tribuno degli optimates Publio Sestio, che venne però assolto, in particolare per l'orazione "Pro Sestio" di Cicerone, in cui questi criticò aspramente Clodio.

      Clodio portò un ulteriore attacco a Pompeo tramite lo scriba Sesto Clelio, che dette alle fiamme il tempio delle Ninfe contenente il censimento di Clodio sui beneficiari delle distribuzioni frumentarie. Così Pompeo non potè modificare la lista dei beneficiari, tra essi erano inclusi numerosi liberti, che mantennero i diritti della lex frumentaria.

      Intanto gli ambasciatori egiziani chiesero ai Romani di non restaurare Tolomeo sul trono, ma subirono attacchi da uomini vicini a Pompeo, che però vennero assolti grazie a Crasso e Cicerone.

      Clodio fu incaricato di organizzare, in quanto edile, i ludi megalesi in onore della Grande Madre. Durante le celebrazioni egli fece entrare centinaia di schiavi in teatro insieme alla popolazione di Roma, per togliere alla nobilitas il monopolio del culto della Grande Madre.

      La legge agraria approvata da Cesare durante il suo consolato ledeva gli interessi della nobiltà terriera, per cui Cicerone si pronunciò contro le assegnazioni. A Lucca Cesare, Pompeo e Crasso  rinnovarono la loro alleanza politica e prolungare di altri cinque anni il proconsolato di Cesare nella Gallie, decidendo la candidatura di Pompeo e Crasso al consolato per il 55 a.c.

      A Lucca venne anche il fratello di Clodio, Appio, che riappacificò Clodio e Pompeo. Cicerone pensò di abbandonare la politica anticesariana ma non si placarono, invece, i contrasti fra Clodio e Cicerone. Quest'ultimo prese le difese dei publicani fortemente osteggiati dal proconsole di Siria, Gabinio, eletto tramite il plebiscito clodiano. Clodio accusò Cicerone di aver suscitato, con la sua condotta empia, la collera divina. Nei giorni precedenti si erano succeduti, infatti, una serie di presagi, che l'edile attribuì alla ricostruzione della dimora palatina di Cicerone sull'area impiegata per costruire il tempio alla Libertà.

      L'oratore pronunciò allora la "De haruspicum responsis", in cui l'ira divina l'avrebbe prodotta Clodio, e  poi, recandosi di notte al Campidoglio con i suoi sostenitori, Cicerone trafugò le tavole di bronzo che recavano scritti i testi dei plebisciti clodiani del 58 a.c. In difesa di Clodio si schierò, tuttavia, Catone che interessato a mantenere i privilegi dell'incarico a Cipro, sostenne la liceità dei provvedimenti del tribuno, alienandosi però molti  optimates.

      Clodio, invece di mostrare gratitudine a Catone, su richiesta di Cesare, richiese che coloro che erano stati ridotti in schiavitù a Cipro fossero chiamati Clodii. Catone si oppose e ottenne che fossero denominati semplicemente Ciprii..

      Clodio intervenne a favore dell'elezione di Pompeo e Crasso al consolato, cui si opponevano  numerosi senatori, che speravano invece nell'elezione di Lucio Domizio Enobarbo. Clodio espresse pubblicamente il suo appoggio all'elezione dei triumviri: Pompeo e Crasso, grazie all'ulteriore sostegno dei soldati di Cesare, furono eletti al consolato.

      VILLA DI CICERONE A FORMIA

      - 55 - 54 a.c. - LA MISSIONE A BISANZIO

      Terminato il mandato, Clodio non partecipò alla discussione del provvedimento con cui ai consoli Pompeo e Crasso furono assegnati il proconsolato quinquennale in Spagna e in Siria, a partire dal 54 a.c. Partì da Roma nell'inverno per recarsi in Oriente, in missione a Bisanzio, probabilmente ricompensato con molto denaro per l'approvazione della legge sul rimpatrio degli esuli. Tornò a Roma nell'estate, e poté finanziare, con il denaro ricevuto, la campagna elettorale del fratello Appio, candidatosi al consolato.

      Questi fu dunque eletto per il 54 a.c. assieme a Lucio Domizio Enobarbo. Fu proprio il successo del fratello che spinse Clodio a considerare l'idea di una candidatura alla pretura per il 53 a.c.; i comizi elettorali, tuttavia, furono più volte rimandati, e, secondo Cicerone, Clodio preferì per questo motivo evitare di presentarsi.

      Si pensa invece che Clodio abbia posticipato la candidatura per motivi politici: il triumvirato, dopo la partenza di Crasso per l'Oriente e la morte della figlia di Cesare, Giulia, moglie di Pompeo, si indeboliva, e Clodio sperava di poter approfittare del vuoto di potere e dei disordini conseguenti.

      Suo fratello Appio si accordò con il collega e con due candidati consoli per il 53 a.c. per ottenere illegalmente l'assegnazione di una provincia in Oriente, onde arricchirsi indebitamente, ma fu  scoperto, e non se ne fece nulla. Invece Appio Claudio accusò Marco Emilio Scauro, rivale elettorale del fratello Gaio Claudio, per concussione, ma fu assolto con la difesa di Cicerone, cui si unì stranamente nella difesa lo stesso Clodio.


      - 53 a.c. - LA PRETURA

      Clodio intraprese la campagna elettorale per la pretura e Milone avanzò la propria candidatura al consolato. Seguirono molti scontri tra i partigiani di Clodio e quelli di Milone, dove entrambi rischiarono la vita. A causa di ciò i comizi elettorali furono rinviati al gennaio del 52 a.c., e soffrirono le finanze di Milone, investite grandi somme in spettacoli per attirarsi le simpatie del popolo. Clodio, invece, acquistò, per 14 milioni e 800.000 sesterzi, un'enorme abitazione sul Palatino.

      Clodio nel suo programma proponeva una legge che distribuiva i liberti in tutte le tribù dei comizi, e voleva cambiare l'ordinamento sui liberti affrancati, liberandoli probabilmente dal controllo del loro patronus. La lex frumentaria approvata dallo stesso Clodio, che aveva aumentato i beneficiari delle distribuzioni di grano, aveva causato un sensibile aumento del numero dei liberti, suoi sostenitori.


      - 52 a.c. - LA MORTE
       
      Il 17 gennaio del 52 a.c., Clodio si allontanò da Roma per recarsi ad Ariccia, come patronus del municipio. Accompagnato da due amici e da trenta schiavi armati, pernottò fuori Roma, e il giorno successivo, di ritorno verso l'Urbe, si fermò nella sua villa a Bovillae. Lo stesso giorno anche Milone si allontanò da Roma per recarsi a Lanuvium, dove doveva presiedere all'elezione di un sacerdote: viaggiava su di un carro assieme alla moglie, scortato da numerosi schiavi e gladiatori armati, tra cui Eudamo e Birria.

      I due gruppi si incrociarono, nel pomeriggio, presso il tempio della Bona Dea di Bovillae, e i gladiatori che componevano le retroguardie diedero allora inizio ad un feroce scontro. Clodio, che si trovava in testa al suo corteo, tornò indietro verso il luogo dove si era scatenata la zuffa, ma fu gravemente ferito alla spalla da Birria. Si rifugiò in una vicina osteria ma Milone ordinò di trascinare Clodio fuori in strada, lo massacrarono e lo abbandonarono lì.

      La versione di Cicerone nell'orazione "Pro Milone"è molto diversa, ma falsa:
      « Accadde che Milone si imbatté in Clodio verso le cinque del pomeriggio. Subito, da un'altura, molti uomini in armi si lanciarono contro di lui, e alcuni, attaccando di fronte, uccisero il cocchiere. 
      Milone, allora, toltosi il mantello, scese giù dal carro e si difese alacremente; gli uomini che si trovavano con Clodio, dunque, sguainate le spade, tornarono verso il carro per attaccare Milone alle spalle, mentre gli altri, pensando che Milone fosse già morto, si diedero a ucciderne gli schiavi. 
      Tra questi, che dimostrarono grande coraggio e fedeltà al padrone, alcuni furono uccisi, mentre altri, vedendo che si era scatenata una zuffa attorno al carro, non riuscendo a soccorrere Milone e credendo anzi che, come avevano sentito dire dallo stesso Clodio, fosse morto, senza che il padrone lo ordinasse, senza che lo sapesse o che fosse presente, fecero quanto ciascuno avrebbe desiderato che i propri uomini facessero in una simile circostanza. »
      (Cicerone, Pro Milone)

      Fu il senatore Sesto Teidio, di passaggio a Bovillae, a raccogliere il cadavere di Clodio e a farlo trasportare su una lettiga fino a Roma. La salma giunse in città la sera del 18 gennaio, e fu deposta nella dimora di Clodio sul Palatino. Alla vista del corpo straziato del loro leader, le masse popolari scatenarono violenti tumulti, e la mattina del 19 gennaio trasportarono il cadavere nel Foro e lo deposero nella Curia Hostilia.

      Qui il cadavere fu cremato, e le fiamme della pira finirono per bruciare l'intero edificio, simbolo del senato e del potere repubblicano, danneggiando l'intera zona circostante. La folla, fomentata da Sesto Clelio e da alcuni tribuni della plebe che mostravano il testo delle leggi che Clodio, eletto pretore, avrebbe voluto proporre, si diresse prima verso la domus dell'interrex, poi verso quella di Milone. Infine, depositò i fasci del tempio di Libitina presso la dimora di Pompeo, come l'unico in grado di prendere il controllo dell'Urbe.



      POMPEO CONSOLE

      I senatori votarono un nuovo "senatusconsultum ultimum", il primo dall'epoca della congiura di Catilina, con cui incaricavano Pompeo di reclutare truppe sull'intero territorio italiano. Pochi giorni più dopo lo nominarono console sine collega, e riportò l'ordine nella città.

      Nell'aprile si tenne il processo contro Milone per la morte di Clodio, affidando la presidenza della corte a Lucio Domizio Enobarbo, e si scelsero giurati di indubbia moralità.
      Il clima era teso, Cicerone, atterrito dalla folla che circondava i rostra e dai soldati di Pompeo che presidiavano in armi il foro, non riuscì a pronunciare la sua orazione:
      « ....Uscito dalla lettiga, quando vide Pompeo che presidiava il foro, in alto, come in un accampamento, e tutto in giro le armi che splendevano, si confuse, e diede inizio a fatica al suo intervento, tremando da capo a piedi e con la voce alterata, mentre Milone assisteva al dibattimento con audacia e sfrontatezza.... »
      (Plutarco, Vite parallele. Cicerone).

      Milone venne condannato per i voti di 12 senatori su 18, 13 equites su 17 e 16 tribuni dell'erario su 19, e si ritirò in esilio a Marsiglia.



      I FATTI SECONDO CICERONE (Pro Milone)


      - Clodio va incontro a Milone, a cavallo, senza carrozza, senza impedimenti, senza compagni greci, come era solito; senza moglie, cosa che non avveniva mai: Milone, veniva accusato da costoro che lui avesse preparato ogni cosa per uccidere Clodio, con la moglie era trasportato in carrozza, con un mantello, con una grande e impacciata scorta di fanciulle e di fanciulli. Venne incontro a Clodio prima del suo campo, all'undicesima ora non molto più tardi. 
      CICERONE

      Immediatamente da un luogo superiore molti uomini assalgono Milone con le frecce: quelli che stavano di fronte uccidono il conducente della carrozza. Essendo pertanto Milone sceso dalla carrozza, dopo essersi tolto il mantello, difendendosi con molto coraggio, quelli che erano con Clodio, estratte le spade, in parte incominciano a correre dietro il carro per assalire Milone alle spalle, in parte, poichè credevano che questo fosse stato ormai ucciso, incominciano a uccidere i suoi servi, che erano indietro. E così i servi che erano stati fedeli e presenti verso il padrone, furono in parte uccisi.  -

      (Cicero parla in I persona) - «Clodio non ha mai fatto nulla con la violenza, Milone, al contrario, se ne è sempre servito per tutto!». Cosa? Quando nel cordoglio generale, giudici, mi sono allontanato dalla città ho avuto forse paura di un processo? O di schiavi, di armi, di reazioni violente? Quale giusto motivo per farmi tornare si sarebbe trovato, se quello della mia espulsione non fosse stato ingiusto?

      - Lui, credo, mi aveva fissato il giorno, mi aveva inflitto una multa, aveva intentato un processo di alto tradimento e io avrei dovuto temere il processo in una causa così malvagia o fatta apposta per me, e non illustre e diretta a tutti voi!
      Non volli che al posto mio i miei concittadini, salvati con pericolo dai miei consigli, fossero esposti alle armi di schiavi, di miserabili, di scellerati. Io ho visto, ho visto davanti a me Quinto Ortensio qui presente, faro e onore dello stato, che a momenti veniva trucidato da una schiera di servi, perché prendeva le mie parti; in quella confusione il senatore Caio Vibieno, ottimo uomo, dato che si trovava con lui fu conciato talmente male che morì.

      Quando dunque, dopo di allora si riposò quel suo pugnale, che aveva ereditato da Catilina? Contro di me fu puntato, - ma non ho permesso che veniste coinvolti voi al posto mio -, fu rivolto contro Pompeo, macchiò di sangue con la strage di Papirio questa famosa via Appia, ricordo del nome di Clodio, infine, dopo un lungo intervallo di tempo, fu di nuovo puntato contro la mia persona; recentemente quasi mi uccise, come sapete, nei pressi della reggia.

      - Si può dire lo stesso di Milone? Lui ha speso sempre ogni energia per impedire a Publio Clodio di tenere questa città schiacciata con la violenza, visto che non lo si poteva trarre in giudizio. Ma se avesse voluto ucciderlo, quali e quante splendide occasioni ci sarebbero state! Forse non avrebbe potuto a buon diritto vendicarsi, nel tentativo di difendere la sua casa e gli dei penati, quella volta in cui Clodio fece irruzione in casa sua?
      Non avrebbe potuto farlo quando fu ferito un cittadino illustre e uomo fortissimo, il suo collega Publio Sestio? E la volta in cui Quinto Fabrizio, persona irreprensibile, fu cacciato durante una ferocissima rissa nel foro, poiché proponeva una legge circa il mio ritorno? E quando fu assalita la casa di Lucio Cecilio, valorosissimo e integerrimo pretore?
      Non avrebbe potuto farlo nel giorno in cui fu presentata la legge relativa al mio rientro, quando la gente, accorsa da ogni parte d'Italia, spinta dalla volontà di salvarmi, avrebbe appreso con gioia la notizia di tale azione, al punto che tutta la cittadinanza, se anche l'avesse fatto Milone, avrebbe rivendicato come sua quella gloria? -

      (Cicerone - Pro Milone)



      POMPEO DITTATORE


      Nel 60 a.c., il I Triumvirato permise ai tre uomini più potenti di Roma (Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno) di porsi al di sopra delle istituzioni repubblicane e di prendere importanti decisioni che gli ottimati non ebbero più la forza di contrastare.
      Il denaro di Crasso e Pompeo, unito all'abilità politica di Cesare e al suo carisma nei confronti delle masse popolari, potevano tutto. L'accordo venne rinforzato 4 anni più tardi (56 a.c.), con un incontro a Lucca, dove venne decisa un'ulteriore spartizione di incarichi. L'alleanza tra Cesare e Pompeo era stata poi cementata da un legame di carattere familiare: Giulia la figlia di Giulio Cesare era andata infatti in sposa a Pompeo Magno.

      POMPEO
      La lontananza di Giulio Cesare, impegnato in Gallia, rendeva più facile l'azione di chi mirava a logorare l'alleanza. Inoltre nel 54 a.c., morì Giulia, e nel 53 a.c., morì Crasso e gli ottimati premettero su Pompeo, per riportarlo dalla loro parte, dopo l'allontanamento con la sua politica anti-sillana durante il suo consolato del 70 a.c..

      Pompeo contrappose Tito Annio Milone a Codio, scatenando ulteriori violenze. Il 52 a.c. iniziò senza magistrati, un vuoto di potere assoluto, dato che Pompeo aveva impedito si nominasse un interrè in loro vece. Il 1° gennaio venne ucciso Clodio e la sera stessa, sua moglie espose il suo cadavere provocando l'ira del popolo romano. La mattina dopo  il corpo di Clodio venne portato in Senato e lì venne cremato, con la Curia trasformata in una grande pira.

      I senatori riunitisi in una sede straordinaria attribuirono la carica di interrex a Marco Emilio Lepido che avrebbe esercitato poteri speciali insieme ai tribuni e al proconsole Pompeo a cui Giulio Cesare concesse di arruolare truppe nella Gallia Cisalpina, in cambio dell'impegno a combattere Milone e le sue bande. Il 26 febbraio del 52 a.c gli ottimati convocarono i comizi e fecero eleggere Pompeo console unico, cioè la carica di dittatore, pur con parvenza di legalità repubblicana.

      Inizialmente Pompeo mantenne fede all'accordo con Cesare e fece  condannare a morte Milone, che però era già fuggito a Marsiglia. Nel 48 a.c., Milone,  venne ucciso colpito da un sasso mentre assediava il forte di Conza  in Lucania, come testimoniano Plinio Velleio Patercolo e Plutarco.



      CESARE 

      CESARE
      Nel 58 a.c. Cesare lascia Roma per recarsi in Gallia, come narra nei Commentarii de bello Gallico.

      Al suo posto a Roma rimase Clodio, cui Pompeo contrappone Milone.

      Tra il 58 ed il 56 a.c. Cesare conquista di tutta la Gallia. Pompeo e Crasso, allarmati per l'enorme potere e favore popolare di Cesare, si incontrano con lui a Lucca nel 56 a.c..

      Accordatisi Pompeo si recò in Spagna, Cesare in Gallia, dove tra il 54 ed il 52 a.c. sconfisse Vercingetorige nell'assedio di Alesia, e Crasso partì per la Siria, dove nel 53 a.c. trova la morte assieme alle sue legioni per mano dei Parti, che ne catturarono le insegne militari. Per Roma una grande onta. 

      Nel 52 a.c. Clodio viene ucciso da Milone. Pompeo ed il senato, di comune accordo, ordinarono a Cesare di cedere la provincia della Gallia ad un successore ed a congedare il proprio esercito.

      Cesare, dopo aver respinto la proposta, nel 49 a.c. varcò il Rubicone, che segnava il confine dell'Italia con la Gallia Cisalpina, e marciò su Roma.



      PUBLIO CLODIO

      Cicerone lo rimandò alla storia come un uomo crudele e corrotto, ma egli aveva un notevole disprezzo per la plebe a cui non volle mai accordare un sollievo alla miseria. Fu Cicerone che consigliò ad un amico di vendere i propri schiavi quando cominciavano a invecchiare, affinchè non gli rimanessero sulle spese mentre non potevano più lavorare. Ora l'aristocrazia senatoria cercò di cancellarne le leggi a favore del popolo.

      Gli autori antichi descrissero Clodio in maniera negativa, rappresentato da Cicerone, nelle sue orazioni, come simbolo di corruzione e sovversione. Il giudizio del celebre oratore è tuttavia falsato e poco attendibile, perché fortemente condizionato dai fatti collegati alla lex de exilio.

      Nella "Pro Sestio", Cicerone descrive Clodio come una bestia infuriata, accusandolo delle peggiori nefandezze e imputandogli una totale immoralità:

      « Il console [Cesare] improvvisamente liberò, con una legge curiata, questa belva abominevole, tuttavia vincolata agli auspici, legata al costume degli antenati, costretta tra le catene delle sacre leggi. Sia che lo abbia fatto, come credo, piegato dalle sue insistenze, sia, come alcuni ritenevano, per ira nei miei confronti, agì ignaro e senza prevedere le infamie e i delitti di cui quegli si sarebbe macchiato. 
      Quella specie di tribuno ha ottenuto di mettere a soqquadro lo stato non con le proprie forze, ma grazie alla fortuna; ed infatti quale forza d'animo poteva risiedere in chi vive in quella maniera, depravato per le turpitudini commesse assieme al fratello, per l'incesto con la sorella e per ogni altri genere di disumana libidine?»

      (Cicerone, Pro Sestio)

      Nel giudizio di Cicerone, Clodio, depravato e corrotto, assommava in sé ogni vizio, avvicinandosi alla figura di Catilina, cui Cicerone lo paragonò apertamente nelle orazioni Filippiche. Scarsi i riferimenti concreti agli atti politici di Clodio nelle opere di Cicerone, perchè sarebbero andati a favore di Clodio.

      Nel 64 a.c. Clodio fu inviato nella Gallia Narbonense, dove era governatore il suo futuro suocero Murena. Non si sa quali furono gli incarichi ufficiali che Clodio svolse in Gallia, ma secondo Cicerone anche in quel frangente si comportò in modo immorale falsificando documenti ufficiali e macchiandosi di omicidi e altri crimini. Però nulla dimostra che quanto asserito da Cicerone su Clodio fosse vero.

       Uguale giudizio diedero di Clodio gli storiografi antichi, per i quali le orazioni di Cicerone rappresentavano l'unica fonte esauriente disponibile sul personaggio.

      « Ovunque, nelle strade, [a Cicerone] si opponeva Clodio, con uomini violenti e audaci, che facevano dello spirito insolente e canzonatorio sul suo atteggiamento, e spesso impedivano le sue petizioni al popolo lanciandogli contro dei sassi.» (Plutarco, Cicerone)

      Lo storico tedesco Theodor Mommsen, nella sua Storia di Roma antica:
      « I condottieri delle bande avevano un colore solo in quanto perseguitavano inesorabilmente i loro nemici personali; così Clodio perseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, per cui la loro posizione di partito in queste contese personali serviva come una mossa scacchistica. Il protagonista su questo teatro politico di mascalzoni era Publio Clodio. 
      Abbandonato a se stesso, questo partigiano influente, capace, energico, e, nel suo mestiere veramente esemplare, seguì durante il suo tribunato del popolo una politica ultrademocratica... se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e come pretore del 52 a.c. pensava di far adottare, accordava ai liberti e agli schiavi che erano liberi di fatto gli stessi diritti politici dei nati liberi, l'autore di queste energiche riforme costituzionali poteva ben dire di aver portato al colmo la sua opera e, come novello Numa della libertà e dell'uguaglianza, invitare la dolce plebe della capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tempio della libertà, eretto sul Palatino, su qualche teatro dei suoi incendi, per inaugurare gli allori dell'era democratica. 
       Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico che naturalmente si faceva delle leggi comiziali; come Cesare, così anche la scimmia di Cesare concedeva per danaro ai suoi concittadini luogotenenze e altri posti e posticini, e ai re vassalli e alle città suddite i diritti sovrani dello stato. »

      (Theodor Mommsen, Storia di Roma antica)

      Mommsen, dunque, raffigura Clodio come un individuo corrotto ma abile, in grado di radunare attorno a sé le masse popolari, ma il suo piano politico appare ideato esclusivamente da Cesare: la scimmia di Cesare, esegue gli ordini di chi lo manovra, creando i presupposti per l'affermazione del potere imperiale.



      LA REALTA' SU CLODIO PULCRO

      La gens Claudia ebbe sempre un comportamento altezzoso e violento nei confronti della plebe, ma Clodio fu decisamente a favore del popolo. A chi obietta che lo facesse solo per ambizione si può rispondere che avrebbe potuto benissimo fare fortuna tra i patrizi, essendo patrizio egli stesso e per giunta di nobile e gloriosa famiglia.

      Seppe imporre, tramite le assemblee popolari, il suo volere su questioni religiose, amministrative e riguardanti la politica interna, provinciale ed estera. Intelligente e ambizioso, ricorse all'uso della violenza per raggiungere gli obiettivi, ma fu comunque autore di un progetto politico che avrebbe cambiato la società romana rendendola molto più democratica.

      Non è difficile diventare violenti di fronte a un nemico violento, anzi violentissimo, ricordiamoci che impedire l'attuazione della legge Agraria per sei legislatori che la proposero vennero assassinati dagli ottimati. Solo Cesare vi riuscì e ne rimase indenne.

      LE ALAE I (PRIMAE)

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      Ala I Asturum - quingenaria, documentata in Germania, durante la dinastia Flavia viene trasferita nell'anno 99 nella Moesia inferiore e partecipa alla conquista della Dacia, poiché secondo CIL IX 4753 il suo PraefectP. Prifernius Paetus don. don. Exped. Dac. da imp. Chiamato Traiano. all'inizio del II secolo è stanziata a Gemisara, nell'attuale Romania.

      Ala I Augusta Parthorum - Con il soprannome Augusta e il numero solo dalla fine del II secolo. si attesta questa ala. Tra gli ausili mauritani, c'è il diploma XXXVI per l'anno 107, poi un certo numero di iscrizioni assicurano la presenza dell'Ala nella provincia fino al III secolo. Il loro campo doveva essere nell'estremo ovest della Provincia Caesariensis, poiché quasi tutte le iscrizioni dell'Ala provengono da questa zona.

      Ala I Augusta Gallorum civium Romanorum - la troviamo in Mauretania Tingitana nel 153, 157, e 161.

      Ala I Augusta Gallorum Proculeiana la troviamo in Britannia nel 127, 133 e nel 158.

      Ala I Augusta Gemina colonorum - Prese parte alla guerra ebraica di Adriano, combatté in Cappadocia nel 135 e si trovava ancora nella parte orientale nel V secolo.

      Ala I Augusta "ob virtutem" appellata, in seguito Gordiana, è possibile fosse a Lancaster nel tardo I secolo, poi a Chesters sul Vallo di Adriano con Adriano. L'unità viene spostata con Antonino Pio ed inviata in Scozia, anche se non conosciamo la destinazione finale. La ritroviamo ad Old Carlisle nel 188, dove rimarrà fino al 242. 

      Ala I Augusta Thracum - si incontra per la prima volta sotto Traiano, dove era sotto il prefetto Q. Attius Priscus, CIL V 7425. A quel tempo apparteneva all'equipaggio di Raetia. Da Traiano o Adriano venne trasferita a Norico, probabilmente a Trigisamum sul Danubio, come dimostra l'iscrizione CIL III 5654, posta tra 140 e 144 in onore dell'imperatore Pio; c'è anche la lapide di un veterano dell'Ala. Due iscrizioni di Decurioni dell'Ala 4806. 4839 provengono dalla capitale provinciale di Virunum, e anche la pietra da Solva, ibid., Pp. 5340, dove si trova " I AVG • THR".

      Ala I Afrorum veterana si trovava in Germania inferiore ai tempi dell'imperatore Traiano, e Adriano  in località Ara Ubiorum e poi a Novaesium. 

      Ala I Agrippiana Flavia fu reclutata tra la popolazione dei Treviri, posizionata in Germania superiore (forse dai tempi di Augusto ), poi in Mesopotamia in epoca tetrarchica. 

      Ala I Asturum - La sua presenza è stata documentata in Germania inferiore nell'era flavia ad Ara Ubiorum. Fu reclutata nel I secolo tra la gente di Astures di nuova conquista, da dove venne trasferita in Mesia. Partecipò alla conquista della Dacia da parte di Traiano e all'inizio del II secolo viene trovata alloggiata a Gemisara, nell'attuale Romania.

      Ala I Batavorum milliaria  - fu dislocata inizialmente nella Germania inferiore fino al suo scioglimento dopo la rivolta di Gaio Giulio Civile del 69-70. La troviamo ancora in Germania inferiore nel 99 al tempo di Traiano. Durante la conquista della Dacia da parte di Traiano, fu dislocata in Pannonia superiore. Negli anni successivi fu trasferita definitivamente in Dacia, inizialmente nei pressi di Apulum. Sotto Antonino Pio era forse nel forte di Critesti, o in altri forti della Dacia Porolissensis.

      Ala I Bosporanorum - Nel I secolo si accampò vicino all'Eufrate. Era in Dacia nel II secolo, perché c'erano resti di esso. Per un po' fu a Vecel, da dove andò a Maroskeresztúr, dove compaiono timbrati i mattoni delle sue opere edilizie. La troviamo in Pannonia superiore nel 116.

      Ala I Britannica Flavia milliaria civium Romanorum  - fu in epoca Flavia nel forte di Vindobona (in Pannonia superiore), prima che diventasse fortezza legionaria. Fu trasferita in Siria ad Apamea sull'Oronte, in seguito alla crisi scoppiata con i Sasanidi degli anni 252/253.

      Ala I de Campani - " Tito Livio LX n 29 narrando la guerra che i Romani fecero a Sanniti e ai Galli nell'Anno di Roma 457 ricorda l'Ala de Campani ed un Ala di tal nome è mentovata ancora in una lapide del Grutero p 429 n 1"

      ELMI DELLE ALAE ROMANE

      Ala I Cananefatium (o Cannenefatium) civium romanorum - era posizionata durante la rivolta Batava in Germania superiore (diplomi del 74 e 82). In seguito a questa rivolta, viene inviata in Pannonia superiore a Gerulata, l'odierna Rusovce (cfr. diplomi del 116, 133, 138, 148, 149, 151, 154 e 161). Partecipa per un breve periodo alle campagne in Africa sotto il regno di Antonino Pio, a supporto della legio III Augusta. Potrebbe essere quella stessa Ala che troviamo in Pannonia inferiore, denominata Ala I Civium Romanorum, come da diploma del 156 e dislocata a Teutoburgium.

      Ala I Civium Romanorum - Si sa che era in Pannonia negli anni ottanta del I secolo, ma è stata menzionata in Dacia nel 110. Da lì, è andata nella Pannonia inferiore, presumibilmente il suo campo era a Teuroburgium.

      - Ala I Claudia Gallorum - Nel 105, nella Mesia inferiore viene menzionata in una lettera sprezzante. Era ancora lì nel IV secolo, ma non sappiamo dove. Ne conosciamo solo due testimonianze.

      Ala I Colonorum Augusta era in Cappadocia con Arriano governatore nel 134. 

      - Ala I Commagenorum milliaria sagittaria è possibile sia nata sotto Tiberio (posizionandola subito in Oriente) o con Tito Flavio Vespasiano nel 72, posizionandola presso il forte di Commagena nel Norico, dove la troviamo ancora nel 151.

      Ala I Communaorum   - Nell'83 era in Egitto, nota a Cele (Dacia) nel II secolo. Forse la stessa dell'Ala Commagenorum.

      Ala I Contariorum Ulpia milliaria fu formata da Traiano durante la conquista della Dacia degli anni 101-106 e subito posizionata in Pannonia superiore (diploma del 116). Si trovava ancora qui al tempo di Adriano (diploma del 133) e Antonino Pio (sulla base dei diplomi militari del 139, 147, 151, 153, 154 e 161), nei pressi di Arrabona e forse per un breve periodo anche Carnuntum. Fu trasferita dopo il principato di Caracalla in Siria ad Apamea, dove la troviamo nel 252. Sue vexillationes parteciparono nel corso del II secolo a qualche operazione militare in Mauretania.

      Ala I Dacorum Ulpia era in Cappadocia con Arriano governatore nel 134. 


      Ala I Flavia Augusta Britannica miliaria civum Romanorum bis torquata ob virtutem - presumibilmente così chiamata a causa del suo stazionamento era Britannica, ma potrebbe significare anche Britannorum, dei Britanni. La I Flavia non ha preso il nome dal suo fondatore perché è stata citata in precedenza. Per un certo periodo fu di istanza a Vindobona, un diploma militare fu menzionato da 114 nelle squadre della Pannonia superiore, dove appare però già citata prima. Allora la squadra era già sulla missione orientale, spedita poi sul campo di battaglia; qui ottenne l'aggettivo torquata, poi tornò alla Pannonia inferiore, dove la sua stazione poteva essere intorno a Tolna.

      Ala I Flavia Gallorum Tauriana - L'unica cosa che sappiamo di lei è che era a Lugdunum con la Legio I Italica all'inizio dell'anno, 69 anni, e si schierò dalla parte di Vitellio. Un prefetto dell'Ala è su delle iscrizioni a Thamugadi in Africa, CIL VIII 2394. 2395 e Comptes rend. de l'acad. d'Hippone 1888, 107. Il soprannome Flavia può in seguito essere adottato da uno degli imperatori Flaviani, poiché esistevano già prima di Vespasiano.

      Ala I Flavia Gemina - si trovava in Germania superiore nel 74 e nell'82. Presumibilmente Vespasiano la fondò dai resti di una vecchia ala. Fu di stanza in Germania superiore senza interruzione, dove può essere trovata ancora nel II secolo. 

      Ala I Gaetulorum Flavia - al più tardi venne stabilita nel 99 nella Mesia inferiore, poi nella Pannonia inferiore dopo le campagne dei Daci. Alcune fonti dicono che era in oriente a metà del III secolo, ma non è dimostrato.

      Ala I Gallorum Atectorigiana - fu formata nella Gallia Lugdunense e dislocata in Mesia inferiore, forse nel forte di Appiaria (oggi Ryahovo), con vexillationes anche nel regno del Bosforo Cimmerio (a Balaklava). 

      Ala I Gallorum et Bosporanorum - Nota solo con il diploma LXVII conferito ad un soldato che si trovava in Dacia superiore nel 158. Presumibilmente la truppa è stata creata dall'unificazione di tutta l'ala Daciana, la I Bosporanorum e un'ala Gallorum o solo una parte di ciascuna.

      Ala I Gallorum Claudia - era posizionata in Mesia inferiore e potremmo identificarla con l'Ala I Gallorum Flaviana (riformata in epoca posteriore?). Si trova in Mesia inferiore già nel 99 (diplomi del 99 e 105). La troviamo nel 160/161 nella vicina Mesia Superiore.

      Ala I Gallorum et Pannoniorum catafractaria - era in Mesia inferiore con Traiano ed Adriano. È possibile che Antonino Pio la destini in Dacia (diplomi del 145-161). erano catafratti, cioè cavalleria pesante, formata dai Sarmati Roxolani, che dalla Russia erano migrati nel Danubio, nella pianura di Baragan.

      Ala I Gallorum Flaviana - era posizionata in Mesia Superiore nel 160.

      Ala I Gallorum Indiana  - prese il nome dal suo primo comandante, il nobile Giulio Indo e fu creata attorno al 21 (epoca tiberiana) ed è posizionata subito in Germania inferiore. È possibile che abbia preso parte alla spedizione di Claudio del 43, benché la sua presenza in Britannia sia di epoca flavia (a Corinium, oggi Cirencester). Qui soggiornò fino probabilmente all'84, per poi essere trasferita in Germania inferiore (diplomi del 94, e 101) ed in seguito in Germania superiore (almeno dal 134). 

      Ala I Gallorum Picentiana - si trovava nel distretto di Germania nell'82.

      Ala I Gallorum Tauriana civium Romanorum torquata victrix Flavia - esisteva già da prima 
      dell'epoca flavia, posizionata in Gallia. La troviamo in Mauretania Tingitana (dipl. dell'86, 105, 109, 122, 135, 153, 157, e 161). Potrebbe essere stata posizionata per brevi periodi anche nella vicina Numidia, a Zraia o nei pressi della fortezza legionaria di Lambaesis.

      Ala I Gallorum Veterana - è costituita in epoca tarda, o comunque non prima del regno di Adriano. È posizionata in Egitto (diploma del 199) dove rimane fino al IV sec. 

      Ala I Gemelliana, o Ala I Gemelliana civium Romanorum - la troviamo in Mauretania Tingitana nel 153, 157, e 161. 

      Ala I Flavia Gaetulorum - Quest'ala quinquagenaria prese il nome di Flavia in onore della dinastia imperiale (Vespasiano, Tito e Domiziano. Il termine Gaetulorum invece derivava dai Gaetuli, ovvero Getuli, una popolazione antica del Nordafrica, nomade, che abitava nelle regioni predesertiche e desertiche degli attuali Algeria e MaroccoEra di stanza nelle province della Mesia inferiore e della Pannonia inferiore, ed è citata sui diplomi militari per gli anni dal 92 al 152/153.
      In un diploma del 92 della Mesia inferiore l'Ala è elencata come parte delle truppe di stanza nella provincia. Ma altri diplomi dal 97 al 152/153 attestano ancora l'unità in Mesia. Altri diplomi del 114 mostrano che l'unità è rimasta sia in Moesia inferiore che in Pannonia inferiore almeno in quell'anno.
      Certamente avrà partecipato alle guerre daciche Dal diploma del 152/153 risulta che un vexillation dell'Ala era stata temporaneamente trasferita nella Mauretania Caesariensis per domare una rivolta. L'ultima iscrizione dell'Ala è datata 215 ( AE 1998, 1618 )
      Risiedette a Carsium (Hârşova) dove sono stati rinvenuti dei mattoni con il timbro AL FL, e nella Pannonia inferiore risiedettero ad Albertfalva (Budapest).Membri Noti:
      Comandanti:
      - Betuus Cilo - Q(uintus) Naevius - M(arcus) Ulpio Attianus - Publius Isle Ammonios
      - Q(uintus) Planius Sardus Truttedius Pius - L(ucius) Flavius ​​S(a)ecularis, prefetto
      - Sex(tus) Attius Senecio, prefetto - T. Antonius Claudius Alfenus Arignotus, prefetto
      e poi:
      - Cl(audius) Marcianus, una guida - Stephen, un decurione
      - T(itus) Aelius Mucatral. un veterano - Bithus - C(aius) Annius  - Dolazenus
      - Lucius Satur - Magius Ver(noi) - Veladatus.

      Ala I Flavia Gemelliana - la troviamo in Rezia nel 157. Prese il nome Flavia sotto uno degli imperatori Flavi. Il Diploma III dell'anno 64 rilasciato a un cavaliere dell'Ala menziona solo a.ala Gemelliana. A quel tempo le truppe appartenevano alla guarnigione di Raetia, e in questa provincia sembra essere rimasta permanente; per l'anno 166 la loro presenza lì assicura il diploma LXXIII (LXI) e l'iscrizione CIL V 8660 impostata dai Decurioni delle tre alae.

      Ala I Flavia Singularium civium Romanorum pia felix

      Ala I Hamiorum Syrorum sagittaria era originaria della Siria romana. Venne posizionata in Mauretania Tingitana come dimostrano i diplomi degli anni 109, 122, 135, 153, 161.

      Ala I Herculaea - La prima ala erculea, si pensa che questa unità sia stata costituita da un altra ala, ribattezzata in onore dell'imperatore Massimiano (286-305), che ha adottato il titolo di 'Erculeo' subito dopo la sua elezione nel 286. L'unico ricordo di questa unità è l'Olenacum citata nel Notitia Dignitatum, che è stata per ora identificata con Elslack vicino a Skipton nello Yorkshire.

       Ala I Hispanorum - un diploma militare del 128 venne reperito nella Dacia inferiore, e l'Ala fu qui per un quarto di secolo dopo. Probabilmente era di stanza in Germania superiore nel I secolo. Certamente Traiano la condusse in Dacia.

      Ala I Hispanorum Asturum - Venne reclutata nel I secolo tra la gente delle Astures (Asturie) di nuova conquista. Probabilmente fu trasferita in Britannia durante il regno di Domiziano, anche se il primo riferimento certo è del 98 durante il regno di Traiano. Aveva il suo quartier generale a Condercum, l'attuale Benwell, probabilmente dall'anno 175 fino alla fine dell'occupazione romana della Gran Bretagna come parte della guarnigione del Vallo di Adriano. Appare menzionato come parte dell'esercito degli anni di Britania nel 122 , 124 , 126 , 158 , 175 , 200 , 205 e 400. La tomba di un cavaliere di questa unità, di nome Victor, di 20 anni, nativo della Mauritania, è stata rinvenuta in Arbeia, nel South Shields, in Scozia.


      Ala I Hispanorum Aravacorum (o Arevacorum) è posizionata nella Pannonia superiore, a Celemantia, con la fine delle guerre daciche di Traiano (diploma del 116). Una sua iscrizione è stata trovata a Carnuntum. Esistono alcuni suoi diplomi che ne attestano la presenza in Pannonia superiore nel 133, 151, 154 e 161. È possibile si faccia riferimento a questa ala in un'iscrizione dell'epoca di Antonino Pio / Marco Aurelio. 

      Ala I Hispanorum Asturum quingenaria - La prima ala spagnola di Astures dislocata in Britannia con Domiziano. Probabilmente prima di stanza in Gran Bretagna durante il regno di Domiziano (81-96), sicuramente al tempo di Traiano (98). Probabilmente stanziati a Benwell nel 175, certamente nel 205-208. Una tessera recante il francobollo dell'unità trovata a Wallsend, e la lapide di un liberto di South Shields non dimostrano che l' ala sia mai stata collocata in uno di quei luoghi. L'unità risiedeva a Benwell fino alla fine del dominio romano in Gran Bretagna.Troviamo diplomi che ne attestano la sua presenza nell'isola nel 98, 122, 124, 126, 135, 146 e 158. Con la fine del regno di Marco Aurelio è posizionata a Condercum (oggi Benwell sul Vallo di Adriano, almeno dal 175), nel 200 a Segedunum (Vallo di Adriano), torna a Condercum nel 205/208 dove rimarrà fino al IV Secolo (Notitia dignitatum).

      Ala I Hispanorum Auriana - posizionata dai tempi di Claudio, nel 71, ad Aquincum  (non ancora castra legionario), fino a quando non fu trasferita per la costruzione del vicino castra legionario attorno al 90. È possibile si faccia riferimento a questa ala in un'iscrizione dell'epoca di Antonino Pio / Marco Aurelio. Era certamente nell'Illyricum sotto Nerone. Fu quindi trasferita nel Norico forse in seguito alla guerra civile. A partire da Domiziano fu trasferita in Rezia, dove la troviamo ancora al tempo di Antonino Pio (nel 157). 

      Ala I Hispanorum Campagonum - Dagli anni Cinquanta del II secolo, ci sono due monumenti commemorativi, dai Diplomi Militari e da Micia, questi ultimi dalla fine del II secolo e dalla prima metà del III secolo. Sembra che sia stato già prima di stanza in altre parti della Dacia.

      Ala I Illyricorum -  Compare solo una volta sull'iscrizione romana di un eques singularis (CIL VI 3234 nazione Dacus ex ala I Illyricor.).Dei mattoni col bollo della I Illicorum si trovano non molto distanti tra loro nei castelli di Burghallen e Vécs e dimostrano che lì nell'estremo nord-est della provincia l'Ala aveva il suo accampamento.

      ELMO ORIGINALE
      Ala I Ituraeorum Augusta sagittaria è attestata in Pannonia superiore ad Arrabona, e anche nella vicina Pannonia inferiore (probabilmente ad Intercisa) in un periodo non precisato (forse sul finire del I secolo). Potrebbe aver partecipato alla guerra di conquista della Dacia sotto Traiano. Fu trasferita in Mauretania Caesariensis forse sotto Adriano. La troviamo in Pannonia inferiore nel 139, nel 148, nel 149 e nel 156 sotto Antonino Pio, nel 167 sotto Marco Aurelio e Lucio Vero e nel 192 sotto Commodo.

      Ala I Pannoniorum Sabiniana (milliaria?) La prima ala sabinica dei Pannoni era posizionata in Britannia nel 122. È molto probabile che questa unità abbia preso il nome da un ex comandante, un Sabino, la cui identità esatta, tuttavia, rimane sconosciuta. L'unica prova epigrafica su pietra per questa unità in Gran Bretagna è una sola lapide Halton Chesters sul Vallo di Adriano, che è stato datato alla prima metà del III secolo annuncio; erano di stanza lì per il resto del dominio romano. I sigilli di piombo che identificavano l'unità, da South Shields e Corbridge, erano probabilmente prodotti mentre l'unità si trovava a Halton Chesters.

      Ala I Pannoniorum Tampiana milliaria fu posizionata probabilmente nel I e II secolo in Britannia (vedi diploma del 122). La troviamo nel 151 nel Norico. Sue vexillationes furono probabilmente inviate a Carnuntum forse al tempo dell'Imperatore Antonino Pio o durante il periodo delle guerre marcomanniche sotto Marco Aurelio.

      Ala I Pannoniorum Tampiana - ovvero: Ala Primae Pannoniorum Tampiana Victrix ( La prima ala vittoriosa dei Pannoniani, da Tampiana). Probabilmente prende il nome dalla loro città d'origine piuttosto che da un ex comandante. I militi sono registrati in Gran Bretagna solo su un diploma militare con il nome degli uomini dimessi dall'unità durante una cerimonia eseguita al Caerleon fortezza legionaria nel Galles meridionale, all'inizio del II secolo; è possibile che il reggimento fosse stanziato nel Galles o nel sud-est della Gran Bretagna, e in seguito trasferito a York. Il reggimento era stato trasferito a Noricum nel 130 e poco dopo è stato aumentato a milliario (di 1000 uomini), rimanendo in stazione dal Danubio fino alla fine del dominio romano.



      Ala I Praetoria Civium Romanorum - Praetoria era la guardia del corpo a cavallo di un comandante romano; forse di Germanico (successore di Tiberio se fosse vissuto). Il nome dell'unità deriva dal Praetorium, la sede di un generale. Civiorum Romanorum perchè l'Ala aveva meritato con il suo valore il premio ci conseguire la cittadinanza romana, che tra l'altro gli aumentava pure lo stipendio di soldato.

      Ala I Sarmatarum -  La prima ala dei Sarmati. Cassio Dione ( Historiarum Romanorum quae supersunt LXXI.xvi.2) riporta che 5.500 cavalieri Sarmati vennero inviati in Gran Bretagna, suddivisi in undici Alae di Cavalleria quinquigenaria (500 truppe per unità), o potrebbe essere stato usato per fornire un contingente di cavalleria per circa venti unità di fanteria, formando così delle cohortes equitatae. È molto improbabile che qualcuno di loro sia stato formato in una grande ala milliaria di cavalleria, poiché sono molto rari, di solito c'è un solo esempio in ogni provincia, e l'unico registrato in Gran Bretagna è stato ospitato nel Forte Stanwix sul Vallo di Adriano, l' Ala Petriana. Questi soldati di cavalleria devono essere stati alloggiati nei forti disseminati nel nord della Gran Bretagna e nel Galles; alcuni dei quali erano apparentemente formati nell'Ala Sarmatarum e di stanza al forte di Ribchester. L'unità è attestata solo su due iscrizioni non datate. Come l' ala si impoverì soprattutto per il pensionamento, divenne un semplice 'cuneo' dalla fine del IV secolo. La tessera timbrata BSAR trovata a Catterick, potrebbe avere connessioni con questa unità. Durante la sua intera vita, l'unità era di stanza a Ribchester, in Gran Bretagna.

      Ala I Scubulorum - la troviamo nel 74 lungo il Reno, proveniente dalla Pannonia. Era ancora nel distretto militare di Germania nell'82.

      VESSILLO I ALA THRACUM
      Ala I Thracum - La prima ala dei traci - anche in questo caso abbiamo alcune unità di cavalleria omonime, alcune delle quali potrebbero rappresentare la stessa unità in differenti periodi, come segue:
      Ala I Thracum era forse dislocata durante il I secolo nel distretto militare delle due Germanie a Colonia Agrippina. In seguito fu trasferita in Britannia, forse a Caerleon-Isca Silurum, come sembra risultare dal diploma del 103.
      Molto probabilmente reclutata nel 30 nelle loro terre nel sud della Romania e Bulgaria, vennero inviate in Germania, dove dovettero sostenere l'invasione dell'esercito claudia di Aulo Plauzio.
      Considerando il destino della sventurata IX legione (non per citare le città fiorenti di Colchester, St. Albans e Londra) durante la rivolta di Budicca, è possibile che l'unità era già stata spostata altrove, visto che sono state individuate a Cirencester subito dopo.
      I militari si ritirarono da Cirencester verso l'anno 70, ed è possibile che l'unità fosse tenuta in riserva nel Galles meridionale fino al suo ritiro nella Bassa Germania entro la metà del II secolo, dove apparentemente sarebbe rimasta.

      Ala I Thracum Classiana c.R. Victrix  - era nel 127 in Germania inferiore, insieme all'altra Ala I Thracum et Gallorum.

      Ala I Thracum et Gallorum - era nel 127 in Germania inferiore, insieme all'altra Ala I Thracum Classiana c.R. Victrix.

      Ala I Thracum Augusta (sagittaria civium Romanorum?) - la troviamo posizionata in Arabia. potrebbe forse itentificarsi con l'omonima I Thracum Classiana. Era dislocata sotto Antonino Pio nel Norico (diploma del 151) sembra a Trigisamum (Traismauer).

      Ala I Thracum Classiana civium Romanorum torquata Victrix - era nel Norico come risulta dai diplomi del 76 e del 92, dislocata probabilmente a Lentia (Linz). In seguito fu posizionata per un breve periodo, sotto i Flavi fino al regno di Nerva, a Vindobona nella Pannonia superiore, prima che diventasse fortezza legionaria. Nel 127 era certamente posizionata in Germania inferiore insieme all'altra Ala I Thracum et Gallorum, forse ad ad Utrecht o ad Ara Ubiorum. La troviamo nel 133, poi ancora nel 139, nel 146, nel 154 e nel 161 in Pannonia superiore, molto probabilmente nel forte alare di Carnuntum, non molto distante dalla fortezza legionaria. 


      Ala I Thracum Mauretana - potrebbe essere stata posizionata sotto il regno di Claudio in Mauretania Tingitana. Sotto Domiziano risulta facente parte della guarnigione della Giudea (diploma dell'86). La troviamo in Egitto, fin da Adriano, poi sotto Antonino Pio (nel 142), Settimio Severo e Diocleziano.

      Ala I Thracum Sagittaria Veterana - era posizionata in Pannonia inferiore sotto Traiano (diploma del 116), Antonino Pio (diplomi del 148, 150), sotto Marco Aurelio e Lucio Vero (diploma del 167), e sotto Commodo nel 192. La troviamo dislocata molto probabilmente ad Annamatia, considerate le numerose iscrizioni rinvenute a Bolcske. Altre evidenze epigrafiche della zona (fine del II secolo?) le troviamo anche nella vicina Intercisa (Dunaujvaros). Vi sono anche testimonianze epigrafiche ad Aquincum o nella vicina Campona (Nagyteteny), databili ai Severi, ed una a Treboniano Gallo.

      Ala I Thracum milliaria - la troviamo in Siria Palestina sotto Antonino Pio (alla fine del 138) e sotto Commodo nel 185 (in Siria Palestina).

      Ala I Thracum Veteranorum Sagittariorum civium Romanorum - Si trattava di un'ala tracia composta da arcieri a cavallo veterani che avevano ottenuto la cittadinanza romana grazie al loro valore e coraggio.

      Ala I Thracum victrix - Nel II secolo. l'Ala è nella Pannonia superiore, negli anni 133, 138, 148, 149, 154 i diplomi XLVII. LI (XXXVI). LX. L'unica iscrizione della Pannonia superiore, che menziona la compagnia, è la pietra di Mattersdorf CIL III 4244, che potrebbe essere ancora nel I secolo.

      Ala I Tungrorum - I Tungri erano una tribù che abitava nelle Ardenne occidentali dell'Europa centrale. L'unica prova concreta per la presenza di questa unità in Gran Bretagna è un altare non datato di Ercole portato alla luce a Mumrills sul Muro Antonino, dove probabilmente furono la prima guarnigione. Gli unici altri documenti del servizio di questo reggimento in Gran Bretagna sono sulla diplomazia militare di Chester e York.

      Ala I Tungrorum Frontoniana si trovava in Germania inferiore fin dal I secolo, inizialmente in località Moers-Arsberg (l'antica Asciburgium), più tardi a Novaesium ed infine a Bonna. Nel 105 si trovava in Britannia. Sappiamo che soggiornò almeno al tempo di Traiano a Carnuntum Risulta ancora posizionata in Britannia nel 122. 

      Ala I Ulpia Contariorum Civium Romanorum - Fondata da Traiano e nominata ad Arrabona (Gyor). Un distaccamento era probabilmente anche in Mauritania.

      Ala I Ulpia Dacorum - Traiano la organizzò e la mandò in Cappadocia. Fu nella provincia dell'Armenia all'inizio del V secolo.

      Ala I Ulpia Dromedariorum Miliaria - Usava i dromedari, agiva in Siria nel II secolo.
      «Marco Caecilio Fusciano Crepereiano Florano legato Augusti pro praetore et Marco Caecilio Rufino filio eius equites singulares exercitus Arabici item dromedarii
      (Arabia, Bostra, CIL III, 93 (p 969).) «Iulius Candidus veteranus ex duplicario Valeriae dromedariorum.» (Siria, Rimet el-Lohf, CIL III, 14160,1.)

      Ala I Ulpia Singularium -  forse venne ricostruita da Traiano. E' menzionata solo una volta nel Cursus honorum CIL X 6426. Non apparendo mai nelle province occidentali dell'impero, le cui truppe sono essenzialmente conosciute, potrebbe essersi fermata in Oriente, e quindi considerarlo al servizio di Traiano,, un corpo di cavalleria mista di Valerio Lollianus (CIL III 600) per combattere nella guerra partica. Questa ala orientale Singularium si riscontra anche nel Cursus honorum greco CIG 3439, poiché gli ufficiali di nazionalità greca di solito prestavano servizio nelle truppe orientali.

      Ala I Vespasiana Dardanorum -  venne fondata nella Mesia inferiore, ad Arrubium e rimase sempre qui in stanziamento. Risulta ancora qui all'inizio del III secolo.

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