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L'ASSEDIO DI UXELLODUNUM (Francia)

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RICOSTRUZIONE DELL'ASSEDIO DI CESARE A UXELLODUNUM
"Alla fontana di Loulie Cesare fece erigere una torre e scavare tunnel per deviare l'acqua dalla fonte. In questo modo assetò i cinquemila Galli assediati per due mesi da sei legioni romane nella parte superiore dell'oppidum di Uxellodunum (Puy Issolud - comune Vayrac) scampati alla resistenza dopo la sconfitta di Alesia nel 52 a.c."

Uxellodunum è il famoso Oppidum (fortezza), dove le truppe galliche, superstiti della battaglia di Alesia, combatterono nel 51 a.c. un'ultima lotta per l'indipendenza della Gallia. Le legioni di Giulio Cesare assediarono il sito per due mesi come riportato nell'ottavo libro delle guerre galliche. I combattimenti principali ebbero luogo intorno alla fontana Loulie, che si trova sul lato ovest dell'oppidum, dove la resa dei Galli pose fine alla conquista della Gallia.

La Puy a Issolud, a cavallo tra i comuni della Vayrac Lot e Saint Denis Martel, è stata ufficializzata 26 aprile 2001 dal Ministero della Cultura, come la posizione dell'oppidum di Uxellodunum. Gli scavi archeologici in tal senso sono stati effettuati in tempi diversi per 150 anni, prima sotto Napoleone III, poi nella prima metà del XX secolo, e, infine, tra il 1993-2006 sotto la guida di Jean-Pierre Girault. Così, tra gli elementi di pregio scoperti, delle gallerie scavate nel travertino dai romani per arrivare a deviare la fonte della fontana di Loulie, una fonte d'acqua che serviva appunto l'oppidum.

GIULIO CESARE
Secondo molti, l'assedio di Alesia e la resa di Vercingetorige nel 52 a.c. segnarono la fine della sanguinosa guerra in Gallia. Le ostilità continuarono invece tutto l'anno 51 e non si conclusero se non con la sconfitta di Uxellodunum.

Ultimo anno del conflitto:

Irzio ci dice che passato lo shock di Alesia, i Galli ripresero a combattere e si ribellarono contro gli occupanti romani. Per non lasciare alcuna speranza ai vinti, Cesare riprese il comando delle sue legioni e le condusse in una serie finale di campagne militari.

Dovette sconfiggere ancora diverse tribù:
- i Biturigi (presso Avarico Bourges).
- i Carnuti (regione Autricum, Chartres), 
- i Bellovaci (regione di Beauvais), 
- i Pictoni e assediò Lemonum ( Poitiers). 

I capi galli si denominarono:

- Comnios l'Atrebate (la gente stanziata intorno a Nemetacon, Arras), 
- Correos capeggiò i Bellovaci, 
- Drappes i Senoni (presso Agendicum, Sens), 
- Lutterio i Cadurcani (Divona Cadurcorum, Cahors) ... 
- Il territorio del vecchio nemico di Cesare, Eburone Ambiorix (Liegi, Belgio), venne sottoposto ad un trattamento speciale, "Cesare intervenne personalmente e mise a ferro e fuoco il territorio di Ambiorix; perché, non avendo più speranza di ridurre in suo potere questo nemico colpito dal terrore e fuggitivo, si sentiva obbligato a suo onore di non lasciare negli stati di quel principe né gli uomini né case, né bestiame, perchè se per caso poche persone sfuggissero al massacro, così grandi disastri avrebbero provocato tale odio contro Ambiorix, che il ritorno al suo paese diveniva impossibile per lui. (Libro VIII, 24.) "



Testo di Aulus Hirtius, Libro VIII

L'ottavo libro dei "Commentari sulla guerra gallica" contiene il tragico episodio della presa di Uxellodunum. Non è stato scritto da Giulio Cesare, ma da Aulus Hirtius, luogotenente di quest'ultimo e considerato un testimone dei fatti.

Champollion-Figeac, in particolare, insiste sul fatto che solo un "testimone oculare" può fornire dettagli tanto precisi quanto quelli forniti nel libro VIII, dettagli che richiedono "una conoscenza completa" del terreno. Nella sua "Nuova ricerca sulla città gallica di Uxellodunum", ci dice, pagina 22:
« ...  Nello scrivere il breve prologo che ha posto prima dell'ultimo libro dei Commentari, Hirtius ci dichiara che scrivendo sulla guerra dei Galli, sulla guerra d'Egitto e su quella dell'Africa, è di dopo quello che Cesare stesso ha imparato da lui o da ciò che ha visto. Come ha appena detto che non ha visto le guerre dell'Egitto o dell'Africa, può essere solo la guerra gallica di cui parlerà come testimone oculare. La sua precisione per quanto riguarda la topografia di Uxellodunum può essere utilizzata per dimostrarlo ...  »

Nel 51 a.c., dopo la capitolazione di Vercingetorige ad Alesia, tutta la Gallia si trovò soggetta a Roma con l'eccezione di una città fortificata situata ai confini del Quercy. Lì, più di trentamila tra i migliori soldati di tutti i tempi, con Caninio e Giulio Cesare in persona, assediano questo luogo difeso da 2000 galli irriducibili arroccati nelle sue mura e privati ​​dei loro capi (altre fonti ne riportano 5000).

LA FONTE
Sconfitti e cacciati, i capi Drappes e Lutterio si erano rifugiati nel territorio dei Cadurci nell'oppidum di Uxellodunum. Il legato Caio Caninio continuò ad inseguirli fin là. Però l'oppidum era fortemente fortificato sia per la sua posizione naturale (un fiume circondava quasi interamente la collina su cui era costruito) sia per le sue imponenti fortificazioni costruite dalla tribù Carduci. Inoltre, un lato del forte era protetto da una montagna che impediva qualsiasi avvicinamento da quella direzione. :
« Era difeso su tutti i lati da rocce scoscese, che se non avesse avuto mura sarebbe stato difficile da scalare con un esercito.»

Per queste ragioni, era impossibile assediarla nello stesso modo in cui i romani avevano usato nella battaglia di Alesia un anno prima. Senon Drappes e Cadurque Luctérios, per evitare appunto una nuova Alesia, uscirono a cercare cibo con i loro soldati. Non torneranno.

Perchè Cesare giunto immediatamente ai piedi del Uxellodunum studiò anzitutto di bloccare tutti gli accessi alla fortezza, di modo che nessuno potesse entrare e uscire. Poi, studiata la situazione, fece tagliare la fornitura di acqua per la popolazione ribelle. Come mai i Galli non avevano pensato a una soluzione simile? Strano perchè Alesia prima che per fame venne presa per sete. Scrisse Cesare che guai a quei soldati il cui generale basa le sue battaglie più sulla forza che sull'intelligenza. In effetti Cesare vinse le sue battaglie perchè aveva un'intelligenza superiore ai generali avversari.


"Drappes, che avevamo detto essere stato preso da Caninio, per indignazione o dolore causato dai suoi ferri, o per paura di una tortura più crudele, si lasciò morire per astenersi dal cibo per pochissimi giorni. 

Allo stesso tempo, Lucter, che era sfuggito al combattimento, era caduto nelle mani dell'Arverne Epasnact: costretto a cambiare spesso il suo rifugio, doveva anche impegnarsi nella fede di molte persone, non essere in grado di stare a lungo in sicurezza nello stesso posto, e sapendo bene che nemico aveva in Cesare. Epànda, molto devoto ai Romani, si affrettò, senza esitazione, ad arrendersi a Catherone legato a Cesare."

"Tutti desideravano proibire l'accesso agli assediati di questa fonte, ma solo Cesare vide i mezzi: si impegnò ad affrontare la sorgente, spingendo massi lungo il pendio e costruendo un terrazzamento con duro lavoro e continue schermaglie. Gli assediati, infatti, scendendo a un passo di corsa dalla loro posizione che dominava la nostra, combattevano da lontano senza avere nulla da temere e ferirono un gran numero di nostri uomini che persistono nell'avanzare; tuttavia ciò non impedì ai nostri soldati di avanzare nei massi e, a forza di fatica e di lavoro, di superare le difficoltà del campo. 

Allo stesso tempo, scavano segretamente condotte sotterranee in direzione dei corsi d'acqua e della fonte in cui vengono incuneate; questo tipo di lavoro poteva essere fatto senza alcun pericolo e senza il sospetto del nemico. È stato costruito un terrapieno di sessanta metri di altezza, è stata installata una torre di dieci piani, che probabilmente non ha raggiunto l'altezza delle mura (non occorreva raggiungere questo risultato), ma almeno, dominava il luogo in cui era nata la sorgente. 

Da questa torre, l'artiglieria lanciava proiettili e gli assediati non potevano venire a prendere l'acqua senza rischiare la propria vita in modo che non solo i bovini e animali, ma ancora la numerosa popolazione della città soffriva di sete."

RICOSTRUZIONE DELL'ASSEDIO DA UNA STAMPA DEL 1575
Cesare mentre saliva, scavava grandi trincee coperte. Arrivati allo stesso livello della fontana gallica, i Romani scavarono gallerie verso sud in direzione del pozzo e tagliarono ad uno ad uno le vene di approvvigionamento della sorgente. Il pozzo degli assediati si prosciugò improvvisamente.

La città si arrese dopo solo un paio di scaramucce, ma la sua punizione fu terribile. L'assedio di Uxellodunum, se finalmente mette fine alla conquista della Gallia, non è molto glorioso per gli invasori.

In effetti, era necessario il più grande capo militare di tutti i tempi alla testa di trentamila guerrieri di uno degli eserciti più potenti mai conosciuti, per sconfiggere duemila sfortunati Galli e la loro fortezza?

"Su Caesare è stata fondata la reputazione di clemenza, e non temeva di essere giudicato più crudele di quanto richiedessero le circostanze. Considerando inoltre che avrebbe potuto non giungere mai alla realizzazione dei suoi progetti, ruppe parecchie rivolte nello stesso modo e in luoghi diversi questa fama di clemenza, ritenendo le sue azioni idonee a intimidire altre nazioni con l'esempio di grandi supplizi: il tagliare le mani a coloro che avevano portato le armi, e lasciarli in vita, divennero la testimonianza evidente delle punizioni riservate ai malvagi."

PRESUNTO RITROVAMENTO DI UXELLODUNUM - DUE MANI MOZZATE
Così finì la resistenza dei Galli per l'invasione romana. Su Uxellodunum molto è stato scritto. Molti storici concordano nell'individuare il Puy di Issolud un imponente sperone roccioso non lontano dalla città di Vayrac (Lot). Ma altre città reclamano il privilegio di aver fornito il quadro per l'ultima battaglia delle guerre galliche: Capdenac, Luzech, Cantayrac.

Nel 1860, Napoleone III si identifica con Cesare. Stranamente anche Napoleone I si identificò con Cesare prendendone le vesti e i simboli e facendosi ritrarre con quelli.

Dopo aver riconosciuto il sito di Luzech come l'Uxellodunum autentico, l'imperatore riconsidera la sua decisione e rende ufficiale Puy d'Issolud. In effetti, per Napoleone III, è meglio non prendere in considerazione i risultati del "documento Morin" (ricerca archeologica su Uxellodunum che egli stesso aveva ordinato e che designava Capdenac), e far credere alla gente che il Grande Cesare avesse vinto una fortezza di 80 ettari, piuttosto che un piccolo oppidum come Capdenac.

I RESTI

IL SITO

Molti autori hanno cercato di situare Uxellodunum in vari luoghi, ma il sito che è ufficialmente riconosciuto "Uxellodunum due volte" (Napoleone III nel 1865 e rappresentanti del Ministero della Cultura nel 2001), è quello che corrisponde il minimo, (per non dire nulla ), alla descrizione di Hirtius. Sebbene non menzioni il nome del fiume, questo ci fornisce dettagli molto precisi sulla topografia dei luoghi:

"Uxellodunum è una città quasi circondata da un'unica valle in cui un unico fiume scorre alla base della montagna che sostiene l'oppidum ripido su tutti i lati. Questo fiume è indistruttibile. Cesare ha stazionato arcieri, bastoni e macchine da guerra sull'altra riva, per impedire ai Galli di venire ad attingere acqua dai ripidi pendii. Un'abbondante fontana sorge ai piedi del muro della città sul lato che lascia libero su una larghezza di 100 m, il circuito del fiume. Cesare aveva un terrapieno di 18 m su cui era stata edificata una torre di 10 piani (26 m) di fronte alla fontana.

I Galli rotolarono barili di sego e accesero il fuoco verso i Romani e allo stesso tempo ingaggiarono un feroce combattimento. I Galli scendono lungo il pendio e combattono da lontano, senza rischi. All'insaputa dei Galli, Cesare fece scavare gallerie nelle vene che rifornivano la fontana, per asciugarla. Credendo di essere abbandonati dai loro dei, i Galli si arresero dopo l'improvviso prosciugarsi della loro fonte".

Conquistato l'oppidum i Romani crearono una nuova fontana a circa trenta metri dalla fontana gallica.
Per approvvigionarla d'acqua, incanaleranno l'acqua delle vene tagliate in un acquedotto. Questa nuova fontana si chiamerà Fontana di Cesare.



DALLA PARTE DI CESARE

LA FONTANA ROMANA DI CESARE
francesi molto hanno deprecato la crudeltà di Cesare ma troppo poco quella dei Galli ad Alesia. Nell'assedio i combattenti galli posero fuori delle porte le loro donne e i loro bambini, senza cibo nè acqua, sperando che Cesare (appunto di solito misericordioso) avrebbe dato loro almeno da bere evitandogli una fine orribile.

Morire di sete è effettivamente una fine molto più crudele che non il morire di fame. Cesare non dette loro da bere, aveva nemici da ambe le parti dei due sbarramenti da lui stesso creati e non poteva uscire dall'accampamento, nè poteva privarsi delle provvigioni per le sue legioni.

Così lasciò morire di sete i figli e le mogli dei galli, ma questi non erano i loro figli o le loro mogli. E la cosa più turpe fu, che dopo aver assistito alla fine dei loro cari (cari si fa per dire), i galli di Vercingetorige si arresero con la speranza di aver salva la pelle.

Se si fossero arresi un po' prima avrebbero risparmiato figli e mogli, ma per loro questi non significavano nulla. Di fronte a ciò non si parli della crudeltà di Cesare.


CASA DEL LABIRINTO

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FIG.1

Indirizzo: Regio VI, Insula 11 - Area: 1869 - Numero di stanze: 24

La Casa del Labirinto (Domus Labyrinthi - Pompeia)  si trova a Pompei dietro la Casa del Fauno lungo il Vico del Mercurio (Vicus Mercurii).  La domus risale al periodo sannitico e venne scavata nel 1831 e, a seguire, negli anni 1834-1835. E' fornita di ben due atrio soggiorno, (a) e (b), ciascuno con il proprio ingresso sul lato nord della strada Vicolo del Mercurio, come indicato sul piano. Come si vede, la villa deve essere composta da due case, che sono state acquistate da un unico proprietario. Pertanto, alcuni elementi classici della casa romana risultano qui duplicati.

La domus è riccamente decorata con un mosaico e con pitture murarie del secondo stile (ma ce ne sono anche del I stile) e ben 17 stanze, delle complessive 24, recano tracce di queste decorazioni.  Secondo l'archeologo tedesco  August Mau (1840-1909), che però ancora non conosceva la Villa dei Misteri, queste pitture appartenevano agli inizi di questo stile. 

Oggi queste decorazioni sono datate a ca. il 70-62 d.c. e sembra evidente che siano frutto di una nuova decorazione della casa dopo il terremoto che scosse Pompei nel 62 d.c. (il terremoto che la distrusse accadde nel 79 d.c.)

FIG. 2 - PIANTA DELLA VILLA 


DESCRIZIONE

La domus è dotata di un atrio corinzio e di un altro atrio secondario in stile tuscanico in fondo al quale trovavano posto le lussuose sale di ricevimento. L’edificio ha subito nei secoli varie trasformazioni con aggiunte di vari ambienti e, verso la fine del I secolo a.c., anche di un impianto termale.

Nell'atrio (a), in basso nella figura 2, c'è un tetrastilo, ovvero un complesso di quattro colonne attorno alla piscina per raccogliere l'acqua piovana, dal compluvium all'impluvium. L'atrio dà accesso alla stanza della camera da letto (c) oltre al grande giardino interno del peristilio (d).

Sul lato nord della piscina c'è un tavolo di marmo bianco. L'atrio (b) è molto più piccolo e molto meno scenico dell'altro, con il suo semplice impluvium centrale a pozzetto e senza colonne.

FIG.3

Sia gli atrii che le stanze adiacenti sono in cattivo stato di conservazione, anche se alcune camere hanno conservato alcune decorazioni di notevole valore, tanto preziose che alcuni studiosi sospettano che l'autore degli affreschi sia lo stesso che ha dipinto la superba Villa dei Misteri.

La stanza (e) è un cubicolo, cioè una stanza da letto, posta sul lato occidentale dell'atrio (a), ed è decorata con pannelli alternati di fiori rossi e gialli sul fregio decorato, creando un motivo a scacchiera. Nel mezzo del pannello centrale giallo sulla parete nord è effigiata una scena mitologica, non meglio identificata.

FIG 4 - TESEO UCCIDE IL MINOTAURO
A nord del peristilio si trova un oecus decorato con 10 colonne corinzie, tutte prive di tinteggiatura, totalmente scanalate, con base in doppio gradino e con scanalatura realizzata totalmente in stucco, allo stesso modo delle colonne del peristilio. 

E' caratteristico dello stile sannitico, le colonne non sono di pietra ma di mattoni triangolari sovrapposti come focacce, per poi essere decorati all'esterno con un pesante strato di stucco bianco che conferisce il tradizionale aspetto scanalato.

Le pareti dell'oecus presentano pitture deteriorate anch'esse del secondo stile. Il pavimento è decorato da un mosaico che dà il nome alla casa rappresentando appunto un labirinto. Nel mosaico è raffigurato Teseo mentre uccide il Minotauro, e la rappresentazione è ambientata nel labirinto.

FIG.5 - RICOSTRUZIONE DEGLI AMBIENTI INTERNI
Nella figura 5 (durante gli scavi del 2005) si notano anche decorazioni del I stile, probabilmente risalenti al primo assetto della villa, quasi totalmente ridecorata, dopo il terremoto del 62 d.c.

Secondo Jashemski, il giardino sul retro della casa (scavato nel 1842) si raggiungeva attraverso un passaggio scoperto che si apriva sul retro del tablino. Nella ricostruzione si notino le colonnine corinzie, il finto marmo e il finto bugnato, nonchè gli archi da cui si intravede un mare con barche, un vero trompe l'oeil con i classici colori sfumati all'orizzonte.

Nella fig. 6 è possibile vedere la colonna di mattoni sullo stile sannita che ha perduto la sua copertura di stucco. Al centro del giardino è ospitato un labirinto fatto di siepi con una palma al centro, albero che i romani avevano già ampiamente importato dai paesi caldi. Gli alberi  ripiantati sono esattamente come apparivano nel giardino originario, in base alle radici semi carbonizzate rinvenute.

FIG. 6


CUBICOLO - STANZA 4 - figura 7

Come si nota il colore preferito dei romani era il rosso che abbondava ovunque, specie nei cubicoli, le piccole stanze da letto spesso nemmeno munite di finestre. I romani usavano il cubicolo esclusivamente per dormire, un passaggio dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia.

E' interessante questo poco spazio notturno rispetto allo spazio enorme dato al diurno. Noi moderni non faremmo in una casa di buone dimensioni camere tanto piccole perchè l'importanza della casa come isola familiare rispetto all'esterno è molto maggiore per noi rispetto ai nostri antichi avi.

I romani infatti davano molto più risalto alla vita all'esterno della casa che non quella che si svolgeva all'interno. Molto hanno contribuito a questo aspetto le terme pubbliche, frequentate assolutamente da tutti, poveri e ricchi, dove si incontrava gente, si ascoltavano le notizie, si incontravano gli amici o se ne facevano di nuovi, o si leggevano libri, visto che le grandi terme possedevano anche biblioteche.

FIG. 7
Ma nelle terme si potevano anche ascoltare degli oratori, che si esibivano con la speranza di poter poi essere chiamati in tribunale dai cittadini come difensori o accusatori di qualcuno.

Non mancavano poi gli spettacoli, con danze, canti, musica, ginnasti e funamboli, mangiatori di fuoco o declamatori delle proprie poesie, visto che all'epoca la poesia era tenuta in gran conto. facendosi ascoltare i poeti non solo potevano sperare di vendere le loro opere ma anche di essere invitati in qualche casa patrizia per declamare i loro versi in un importante banchetto, affinchè qualche ricco lo prendesse sotto la sua ala protettiva.

Pertanto i romani dell'urbe non solo si sentivano al sicuro da attacchi esterni, soprattutto durante l'impero, ma avevano una certa tranquillità anche verso il loro futuro lavorativo, perchè era sufficiente saper fare una qualsiasi cosa per trasformare la propria capacità in guadagno.

Ma anche sei il cubicolo era riservato solo al notturno e per giunta spesso in solitudine, anche perchè in genere i coniugi romani dormivano, potendoselo permettere, in cubicoli separati, anche questa piccola stanza poteva accogliere decorazioni di grande valore.



LA VITTORIA E LA SCONFITTA

FIG. 8 - DOPO IL RESTAURO
Infatti nel cubicolo dell'immagine n 7
c'è uno stupendo e articolato affresco rappresentante la Vittoria e la Sconfitta.

In questo caso la Vittoria non è la Nike greca nè la Victoria romana, perchè, strano a dirsi, è un uomo, mentre la sconfitta è una donna.

Si tratta della fine del combattimento tra galli, in cui uno ha il capo abbassato e sanguinante mentre l'altro l'osserva fiero dall'alto. Un ragazzino che non è un erote ma sembra piuttosto uno schiavetto porta all'uomo la lunga palma della vittoria, mentre un altro bambino resta accanto alla donna, portando le mani sul viso come a piangere la sconfitta.

Il maschio vincitore reca al fianco un oggetto lungo che può essere una ferula, un bastone o una lancia corta, mentre con la mano destra reca una corona d'alloro da cui pendono due lunghi nastri. Stranamente non incorona se stesso nè va ad incoronare il gallo, ma data la direzione sembrerebbe voler incoronare la donna che dal suo canto giace affranta da tanta sconfitta. Anche un erma posta su un alto piedistallo sembra guardare la donna piuttosto sconfortato.

Potrebbe significare anche la battaglia tra i due sessi in cui vince sempre l'uomo che però riconsola la donna consegnandole l'alloro. Lascia però un po' interdetti la lotta tra galli che sono maschi. Insomma il senso del mosaico è tutt'altro che chiaro.



LA FALSA PORTA

Sul fondo della fig. 8 si osserva un piccolo santuario (tholos) munito di una finta porta.
"Come osservava Picard, la pittura murale a porte false era un concetto generico e in quanto tale non richiedeva necessariamente la presenza di una porta.

Altrettanto pertinente alla sua realizzazione era la raffigurazione di un motivo di barriera oltre il quale sorgeva un santuario o un oggetto commemorativo, come una tholos, o una colonna di piedistallo sormontata da una statua o un'urna. Il tipo di composizione tholos è esemplificato da pitture murali nell'ecus corinthius di Casa del Labirinto, discusse precedentemente in relazione ai giardini del paradiso e alla casa come Santuario (fig.1).

Le composizioni specchiate sulle pareti laterali di questa stanza esemplificano la classica giustapposizione di motivi di barriera associati al concetto di porta falsa, senza rappresentare in realtà una porta. 

Descrivono ingressi murati o chiusi oltre i quali si trovano funerali o tholoi commemorativi. Picard associò questa immagine con "la tomba dell'eroe-antenato-protettore della famiglia". (Picard 1970: 97) Un'associazione che è supportata dalle immagini clipeatae (scudi faccia ancestrali) che pendono tra le colonne della tholos, che è ulteriormente rafforzato da motivi come l'edera sulle colonne che indicano la presenza di Dioniso e la corona di Zeus al centro della tholos.  

L'apoteosi ancestrale è ulteriormente rappresentata dall'aquila aperta di Zeus, appollaiata sopra la corona, che molto probabilmente simboleggia la sua fuga nell'eternità."


FIG. 9 - OECUS
Roma era da un lato il paese delle possibilità, e dall'altro il luogo delle continue feste, dei continui spettacoli, delle continue manifestazioni sia laiche che religiose. Girare per Roma era molto più divertente che non restare a casa. Infatti le vie romane erano stracolme di gente che andava ovunque, per lavoro o diletto.

I ricchi stavano a casa solo a patto di stare con i loro ospiti, cioè per i lauti banchetti che diventavano una lunga serata di conversazione e piccoli spettacoli nella stessa domus e durante lo stesso banchetto.

FIG. 10 - EMBLEMATA DEL LABIRINTO


L'EMBLEMATA DEL LABIRINTO

Il mosaico del labirinto, che ornava il pavimento di una delle sale da pranzo della casa, non è rimasto nella domus originaria ma viene conservato presso il Museo Archeologico Platina di Piadena, in provincia di Cremona, per ragioni a noi del tutto sconosciute. Sembrerebbe ovvio che dopo aver visitato Pompei i turisti vogliano vedere le immagini più preziose entrando in un museo che stia nei pressi, ma purtroppo non è così.

Il labirinto è un antichissimo simbolo che indica la situazione senza via d'uscita che imprigiona chi è troppo condizionato dal pensiero degli altri, colui che non riesce ad avere una lucida visione d'insieme perchè è vissuto di regole da un lato rassicuranti ma dall'altro segreganti. Insomma il labirinto è la mente elucubrante che non tace mai e non mostra mai una via d'uscita. Infatti dentro il labirinto non vediamo il mondo esteriore, siamo come ciechi, ma non ce ne accorgiamo.

FIG. 11

PITTURE DEL II STILE

Il secondo "stile", detto anche "Stile Architettonico" o "architettonicamente prospettico", secondo l'archeologo tedesco August Mau, dominava il progetto delle dimore pompeiane nell'80 a.c.. - 15 d.c.
A differenza del primo sistema, gli elementi architettonici qui non sono stati rappresentati nella modellazione, ma nella pittura manca il rilievo.

I dipinti del secondo "stile" possono essere condizionatamente suddivisi in più fasi, ognuna delle quali è caratterizzata da dettagli sempre più complicati della decorazione. Ghirlande e maschere della prima fase sono sostituite da colonne e pilastri, l'area principale del muro è la composizione.
Con lo sviluppo dello stile, gli artisti iniziano a raffigurare paesaggi, creando un'illusione di spazio nelle stanze, introducendo figure di persone in composizioni, spesso utilizzando soggetti mitologici.



GLI ACQUARELLI DI F. BOULANGER

"Soggetto: Casa del Labirinto,

- calidario (22) -
parete nord della nicchia rettangolare est (altezza dell'intonaco cm 297, larghezza cm 121).

Descrizione: zoccolo nero: zona mediana rossa bipartita da uno stretto scomparto nero con candelabro argenteo a volute riempite sovrastato da airone di profilo verso sinistra, e con un
candelabro sovrastante composto da aironi alternati a tralci che ambienti spazi lentiformi riempiti di giallo e rosso (tav. V.2); fregio nero con vaso agonistico e bipartito da un quadretto rosso con grifo di profilo verso destra (NICCOLINI II 1862).

LA PERNICE fig. 12
Descrizione generale tav. 53, e MAU 1882 tav. 17 (qui fig. 20): verso sinistra): zona superiore rossa: edicola con due maschere appese a ghirlande, ai lati di un pannello rettangolare giallo bipartito da uno stelo vegetale (a rami fioriti: cfr Niccolini e Mau citate sopra).

L'edicola è sovrastata da un epistilio viola a metope verdi e con voluta acroteriale alle estremità. dalla quale pende una collana di perle.
Stato di conservazione attuale della pittura: I colori sono leggibili, non i particolari.

Considerazioni iconografiche: Le tabelle citate di Niccolini e di Mau sono più dettagliate e più precise.

Boulanger: appartiene qui un candelabro (quello sottostante, argenteo), che in realtà figura nella parete est della nicchia rettangolare sud. É un candelabro simile a quelli della villa di Agrippa Postumus a Boscotrecase, della villa rustica in contrada Villa Regina, e della Casa di Spurio Mesor (Pompei VII 3,29)".

"Candelabri composti da uccelli (specie di aironi) e tralci, con la funzione di dividere i pannelli, sono molto comuni nel terzo stile: per esempio nella bottega VII 9,68 dell'Edificio di Eumachia, nel cubicolo (6) della Caupona di Alessandria (1 12,5), nell'ambiente demolito a nord del giardino VII 11.14, per citare alcuni esempi pompeiani inediti.

Il motivo del candelabro costituito da spazi lentiformi seriati c riempiti di colori contrastanti, confronta anche in una pittura in terzo stile di Aventicum (Gallia belgica)".

IL PERISTILIO MOSAICATO


GLI SCAVI

I nuovi scavi, concentrati in un primo momento intorno alle strutture già note della domus, hanno assunto col tempo carattere estensivo, raggiungendo un'estensione di ben 768 mq, per esplorare le aree circostanti e comprendere lo sviluppo urbanistico di questa zona residenziale. La casa era anche dotata di bagni privati e una panetteria con tre macine. 

A differenza di altre case più o meno estesamente rinnovate durante quegli anni nelle aree marginali e suburbane della città, la Casa del Labirinto è ancora nella tipologia della grande domus con atrio, anzi con due atrii per l'esattezza.



CLIVUS SUBURANUS

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PORTA ESQUILINA

Il clivus Suburanus era una strada irregolare della valle della Subura, il vasto e popoloso quartiere situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino alle propaggini dell'Esquilino, che saliva tra il colle Oppio e il Cispio fino alla porta Esquilina che si apriva sulle Mura serviane. I resti della pavimentazione mostrano come seguisse il tracciato delle moderne via di Santa Lucia in Selci, via di San Martino e via di San Vito.

La Subura (o Suburra) divenne parte dell'antica area urbana di Roma, quando il re di origine etrusca Servio Tullio sceglie questa zona per la propria residenza. Il Clivus Suburanus costituiva inoltre, una diramazione dell'Argiletum (odierna via Madonna dei Monti), la lunga via che dopo aver percorso la Valle Suburana, presso la sommità del Cispius (che insieme al Fagutal e all'Oppius forma il colle Esquilino), si divideva poi nel Vicus Patricius, attuale via Urbana, e Clivus Suburanus, attuale via in Selci. Nel malfamato quartiere abitato da artisti e malfattori, risedettero comunque Giulio Cesare e Giovenale.

Il nome della Via "in selci" deriva dal latino "in silices" (nei selci, roccia a base di silice) per il lastricato romano ritrovato durante un restauro in questa zona intorno all'anno Mille, e cioè il "clivus Suburanus", che nella parte iniziale ricalcava esattamente via in Selci, proseguiva fino alla "porta Esquilina" e di lì, forse già con il nome di "via Labicana", fino a Porta Maggiore.

CONDOTTA FOGNARIA SOTTO CLIVUS SUBURANUS
Sul "clivus Suburanus" si apriva l'ingresso principale, preceduto da una gradinata, del "Portico di Livia", la moglie di Augusto, alla quale l'imperatore dedicò questo edificio fatto costruire tra il 15 ed il 7 a.c., ottenuto facendo demolire la splendida casa che Vedio Pollione aveva lasciato in eredità all'imperatore. 

Come risulta dai frammenti della pianta severiana, l'edificio, lungo circa m 120 e largo m 95, era situato, con i lati brevi, tra il "clivus Suburanus" (grosso modo dove oggi sorge la chiesa di S.Lucia) ed il parallelo "clivus Sabuci" (oggi corrispondente alla via delle Sette Sale).

Il Clivus Suburanus era una arteria viaria di grande importanza, che congiungendo la via Tiburtina e la Labicana al centro vitale dell’Urbe, rappresentato dal Foro, dal Palatino e dal Campidoglio, consentiva il  transito di uomini e merci notte e giorno.

Infatti se ne lamenta parecchio Giovenale per la pericolosità dei carri carichi di marmi, che transitavano tra la folla, provenienti da Luni o i travertini di Tivoli (tra i pochi che potevano viaggiare in città anche di giorno).

Si pensa che una arteria viaria così lunga ed importante, asse centrale di un quartiere ad alta intensità abitativa fosse servita da un impianto fognario di grande portata, sicuramente congiunto alla Cloaca Massima che rappresentava l’unica via di drenaggio verso il Tevere presente a fondovalle.

Il lavoro di studio sulla Cloaca Massima in corso dal 2005 intrapreso dagli archeologi della Sovrintendenza Capitolina in collaborazione con gli speleologi dell’Associazione Roma Sotterranea, sta proseguendo infatti con l’analisi dei condotti fognari afferenti al canale principale della Cloaca Massima.

PERCORSO DEL CLIVUS SUBURANUS


IL COMPITUM NEL CLIVUS SUBURANUS

Nel 1888, lungo la via di S. Martino ai Monti, ultimo tratto del Clivus Suburanus che risale verso la Porta Esquilina, dei lavori all'interno della cantina hanno riportato alla luce un altare in marmo posto su un alto podio preceduto da una piattaforma in blocchi di tufo munita di due scalette laterali. L'ara marmorea, sicuramente la base di una statua oggi perduta, era dedicata a Mercurio, ed eretta per volontà dell'imperatore Augusto. Sulla base si legge:

"IMP CAES DIVI F AUGUST PONTIF MAXIMUS COS XI TRIBVNICIA POTEST XIIII E STIPE QUAM POPULUS ROMANUS K IANUARIIS APSENTI EI CONTULIT IULLO ANTONIO AFRICANO FABIO COS MERCUSRIO SACRUM"

"L'imperatore Cesare Augusto, figlio del divo Giulio, Pontefice Massimo, Console per l'undicesima volta, investito del potere tribunizio per la quattordicesima volta dedicò questo monumento con il denaro che il popolo romano donò il primo gennaio, mentre lui era assente, durante il consolato di Iullo Antonio e Fabio Africano. Consacrato a Mercurio".

Le cariche pubbliche dell'imperatore Augusto ci permettono di datare la dedica dell'ara al 10 a.c., nel XVII anno del suo impero. La dedica dell'altare nei primi giorni di gennaio è legata ai compitalia, antichissima festività tradizionale romana ripristinata da Augusto: i compita erano i crocicchi, gli incroci stradali, consacrati spesso ai lares compitales, protettori di chi percorreva le strade.

VIA IN SELCI

SECONDO E PROGETTA

"Nel luglio del 1793, dietro il coro delle suore di S. Francesco di Paola, a Via di S. Lucia in Selci, fu trovato un ambiente di una casa privata romana e, in un angolo di questo, un magnifico servizio in argento, che una volta era appartenuto a Progetta, moglie di Turcio Asterio Secondo, il Praefectus Urbis nel 362 d.c.

La scoperta fu testimoniata e descritta da Ennio Quirinio Visconti e Filippo Aurelio Visconti. Gli oggetti erano d’argento puro, con una consistente placcatura d’oro, e pesavano 29 Kg. Oltre a piatti e sottocoppe, forchette e cucchiai, candelabri di vari tipi e forme, c’era uno scrigno nuziale con bassorilievi rappresentanti lo sposo e la sposa coronati con ghirlande di mirto.

La sposa era rappresentata con trecce che giravano molte volte intorno alla sua testa, secondo la moda in uso all’epoca dell’Imperatrice Elena; lo sposo era rappresentato con la barba modellata secondo lo stile adottato da Giuliano l’Apostata e da Eugenio. I rilievi del corpo dello scrigno rappresentano scene d’amore, Venere e Nereide, le Muse ed altri soggetti pagani; sotto di loro era inciso il saluto:

"Secondo e Progetta, possiate vivere in Cristo".
Lo scrigno era pieno di articoli da toilette e di gioielli. Successive scoperte portarono il peso complessivo a 44 Kg."

(Rodolfo Lanciani)



IL PAGANESIMO

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GLI DEI PAGANI
Con il paganesimo intendiamo tutto il rapporto religioso che avevano i romani con il mondo che li circondava, e poichè paganesimo viene da pagus = villaggio, tratteremo non della religione ufficiale ma di quella che in modo ufficioso si svolgeva nei paesi e nelle campagne.

Il termine pagus fece parte del linguaggio amministrativo romano, indicando una circoscrizione territoriale rurale (al di fuori dei confini della città), di origine preromana e poi romana, aventi un culto locale.

All'interno del pagus vi erano diversi vici, in ognuno dei quali risiedeva il Magister. Il vicus, era un aggregato di case e terreni, rurale o urbano, appartenente ad un pagus che non aveva alcun diritto civile come il municipium o la colonia romana.

Nel pagus non c'erano i sacerdoti ufficiali pagati dallo stato, l'unica comunicazione che i villaggi ricevevano mediante i messi postali erano le date delle feste mobili, ma il resto era affidato ai rurali, ai contadini pater familias per alcuni riti, ma per il resto alle donne.

BRONZO ROMANO I SEC. (FATTURA ETRUSCA)
Se nel periodo monarchico fu Numa Pompilio a sollecitare il culto degli Dei aggiungendo le divinità più antiche del suolo sabino, e se al tempo di Romolo, col ratto delle sabine, furono le sabine stesse a portare a Roma i loro Dei, nell'impero romano fu grazie ad Augusto che le vecchie divinità, a volte abbandonate o almeno trascurate, ebbero nuova vita, attraverso i nuovi templi, il restauro degli antichi e i nuovi sacerdoti preposti.

Dunque i romani avevano i nuovi Dei, i vecchi Dei e gli Dei di importazione. Verso le altre religioni avevano tolleranza assoluta, o almeno erano tolleranti con chi era tollerante con loro. Vero è che il politeismo è portato alla tolleranza al contrario dell'intollerante monoteismo, in quanto il primo già presuppone divinità diverse mentre il secondo riconosce un'unico Dio, ma comunque si ammettevano a Roma anche divinità straniere, purchè non pretendessero di dettare legge sulla religione romana.

Ma per capire tutto ciò occorre tener conto della mentalità religiosa romana, che era passata da una religione animistica ad una politeistica senza aver perduto la prima. Accanto alla rigida liturgia della Triade Capitolina con tutti gli altri Dei del resto importati soprattutto dalla Grecia ma pure dall'Etruria, e accanto poi alle arcaiche divinità italiche, costituite da una Dea Madre che partoriva un Dio figlio, c'erano gli spiriti o geni della natura, che non erano nè buoni nè cattivi, ma assolvevano come potevano alle loro funzioni.

I romani credevano non solo agli Dei, ma ad un mondo vivo e animato che stava in ogni luogo della natura, là dove c'era un albero, una roccia, una grotta, un torrente, una collina, un bosco, una fonte, un cespuglio, una pianta, un fiume, un lembo di mare. C'erano così i geni dei luoghi, e le ninfe e i satiri.

Per cui, ma sempre e solo nelle campagne, si poteva fare un'offerta alla ninfa di un'albero, o a alla ninfa di una fonte, o di un torrente, o al genio di un luogo isolato e particolare, soprattutto se un po' nascosto. Questi geni o spiriti o ninfe o satiri che fossero potevano a loro volta accordare delle grazie a chi li pregava.

MARTE
Non è infrequente ritrovare le tracce degli antichi Genius Loci, anche i circoli delle fate sono dei Genius Loci, nel senso che una persona andava in un luogo piuttosto riservato che lo ispirava, coglieva la presenza di un genio, creava un circolo di pietre e gli poneva un'offerta e o una preghiera.
In questo caso però l'offerta era davvero minima, in genere un pezzo di focaccia, più raramente un po' di vino al centro del cerchio o un po' di miele.

Questa offerta andava però ripetuta, affinchè il genio familiarizzasse con la persona, l'accettasse e in cambio la ispirasse per rintracciare le erbe commestibili o curative, o gli permettesse di cacciare animali o di fare una buona raccolta di bacche o cereali selvatici.

Se qualcuno trovava quel cerchio di pietre ne approfittava per fare offerte a sua volta, perchè un genio nutrito era sicuramente più generoso e disponibile con chiunque. L'Italia ne ha molti di questi cerchi sacri nei suoi monti e nei suoi boschi ma ogni volta si è pensato al gioco di alcuni ragazzi. L'immagine di un mondo animato in ogni sua parte è molto diversa dall'immagine di un mondo vuoto e disanimato, in ogni caso era una visione religiosa più allegra.

GIOVE

LA MENTE DEI ROMANI

I romani non pensavano di poter cambiare la mente o il carattere dei loro Dei, un Dio della guerra non poteva essere buono e se veniva trascurato si vendicava facilmente, però se si combatteva gli si potevano dedicare i nemici uccisi e questi si placava. Infatti si raccomandava alle spose di non invocare Venere, affinchè non le inducesse a innamorarsi di qualcuno e a tradire il marito.

I romani pensavano alla religione come un DO UT DES, una specie di mercato, io ti offro una cosa e in cambio me ne dai un'altra. Questo avviene anche nel cattolicesimo, io mi comporto bene tu divinità mi proteggi, anzi addirittura si possono fare fioretti, io mi astengo da qualcosa che mi piace tu esaudisci un mio desiderio, ma non è così, anzi c'è un'enorme differenza tra romani e cattolici.



MAI NULLA IN ANTICIPO

I romani non offrivano mai nulla in anticipo, l'iter era così:
- io umano prometto a te divino un regalo (vittime animali, un'epigrafe, un altare, un'edicola, un tempio).
- ma solo se tu mi concedi l'attuazione di un mio desiderio (un guadagno, un ufficio politico, la vittoria in guerra e così via).
- Se soddisfi il mio desiderio io compio la promessa e faccio sapere a tutti che tu sei munifico, cosicchè altri ti preghino promettendoti regali. -

Nelle epigrafi infatti si leggono in genere due tipi di formule: una che significa "ho fatto al Dio un regalo davvero meritato (dal Dio perchè si è comportato bene dandomi ciò che volevo), l'altra che dichiara esplicitamente che il dono è stato fatto perchè la divinità si è comportata bene con il questuante, cioè con lui. "gli ho dedicato un'ara perchè se l'è meritata", oppure "Perchè si è comportato bene con me".

Da qui deriva il concetto che se la divinità concede adempimento alla preghiera, non è perchè è buona e ama, ma perchè ha un buon comportamento, cioè si comporta come dovrebbe sempre comportarsi un Dio.

Non oseremmo mai comportarci così con un Dio Unico, cioè in una società monoteista, dove è l'uomo a doversi conquistare la benevolenza del Dio, il quale invece lo provoca e lo mette alla prova perchè pretende di essere amato seppure dispotico, vendicativo e violento. Nell'Antico Testamento Dio mette alla prova Giobbe per vedere se, malgrado lo faccia diventare povero e ammalato, il poveretto lo ami e lo rispetti ugualmente. Per un romano sarebbe stato inconcepibile.

Per comprendere meglio basta guardare gli atteggiamenti dell'uomo moderno e del romano nella preghiera. Bada bene che gli antichi orientali erano più simili ai moderni che non agli antichi romani.
I popoli orientali si prostravano e si prostrano dinanzi a Dio. Noi non ci prostriamo dinanzi a Dio ma costringiamo le monache a farlo quando vengono iniziate al monacato. I romani non si prostravano nè davanti agli Dei nè all'imperatore.

VENERE

NE' A DIO NE' ALL'IMPERATORE

Noi ci inginocchiamo davanti a Dio, i romani non si inginocchiavano agli Dei come del resto non si inginocchiavano agli imperatori. Insomma inginocchiarsi per i romani non esisteva, ma nemmeno si inchinavano, da quel popolo fiero che era. Quando pregavano gli Dei inoltre non giungevano le mani in senso di implorazione, bensì alzavano le braccia fino alle spalle con le palme in avanti, un gesto di comunione ma non di sottomissione.

LE CAPUZZELLE

LE ANIME PEZZENTELLE

A Napoli, nel Cimitero delle Fontanelle, si svolgeva un particolare rito, detto il rito delle "anime pezzentelle", che prevedeva l'adozione e la sistemazione in cambio di protezione di un cranio (detta «capuzzella»), al quale corrispondeva un'anima abbandonata (detta perciò «pezzentella»)
Queste Anime Pezzentelle erano cosiddette perchè nessuno ne conosceva l’identità, per cui venivano adottate come se fossero di famiglia, per curarli nell’aldilà, in cambio della richiesta di grazie.

In realtà più che dirgli preghiere la gente se ne prendeva cura fisicamente, lustrava i crani, li poggiava su un panno di velluto, gli costruiva una teca e magari lo ornava con collanine varie. Fin qui la cosa concorderebbe con la religione cattolica che offre anticipatamente il proprio sacrificio o dono. In realtà c'è una grossa differenza perchè se il defunto preso in cura non concedeva la grazia, la cura ad esso dedicata diminuiva col passare del tempo fino a svanire, ma non solo, perchè il teschio veniva girato con la faccia al muro, ricevendo la punizione per non aver adempiuto al proprio dovere.

Comunque sembra che molte capuzzelle facessero miracoli, cosa che scandalizzò non poco la Chiesa, come si permettevano delle ignote capoccette non santificate e anonime di fare miracoli? Nel 1969 un decreto del "Tribunale Ecclesiastico per la Causa dei Santi" (cioè proteggono i santi da concorrenze non autorizzate) proibì il culto individuale delle capuzzelle, oggetto di una fede pagana, consentendo che fosse celebrata una messa e una processione per gli ignoti defunti. 

Il culto libero si sa alla chiesa non piace, solo lei può decidere chi fa miracoli e chi no, e i miracoli avvenuti non devono essere considerati miracoli. Così si chiusero le porte del cimitero e le ossa giacquero di nuovo in abbandono. Recentemente il cimitero è stato riaperto, ma so dai napoletani che la gente continua a mercanteggiare grazie con gli ignoti defunti, anche se stavolta ci sono solo preghiere e niente cura per le capuzzelle in cambio di grazie ricevute.

La Chiesa non ha tutti i torti, il culto delle capuzzelle è pagano, perchè è basato sul DO UT DES, esattamente come facevano i romani.

CORA - CORI (Lazio)

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LE ANTICHITA' DI CORA -
RACCOLTA DI INCISIONI SUI MONUMENTI DI CORA FATTI DAL PIRANESI
Nel Lazio, a circa 70 chilometri da Roma, si trova la suggestiva Cori abitata da poco più di 11 mila persone. Si tratta dell’antica città di Cora le cui origini risalgono al XIII secolo a.c. A Cori si erano sistemati i Volsci che avevano fatto parte della Lega Latina che si era opposta, sotto la guida di Anco Publicio di Cora, all’espansione di Roma.

Secondo una leggenda Cora sarebbe stata fondata dal troiano Dardano (che però venne sgozzato da Achille a Troia), un'altra mitologia racconta che il paese sarebbe stato costruito da un re di Alba Longa (ma non si sa quale), un'altra invece che il suo fondatore fu Enea. In un'altra leggenda, dopo che il paese fu distrutto (non si sa da chi), Corace, un reduce della guerra di Troia (attorno al 1250 a.c.), sarebbe approdato sui suoi resti dello stesso e lo avrebbe ricostruito, dandogli il suo nome. Ma il nome potrebbe derivare in realtà dal latino arcaico (prima del 75 a.c.)  Corax (Corvo), inteso come animale totemico.
Cora compare per la prima volta nelle fonti storiche al tempo di Tullo Ostilio (VII secolo a.c.), il terzo re di Roma, quando il corano Anco Publicio fu nominato dictator della lega Latina.

"Roma nondimeno crebbe delle rovine d' Alba, facendo di due popoli un popol solo, e tenendo aperte le vie a nuovi abitatori. II disprezzo però de' vicini era si grande, che alcuni mercatanti Romani, 
recatisi nel paese Sabino per le ferie della Dea Feronia, vi furono arrestati in pien mercato. Quest'oltraggio fu quindi motivo o pretesto di nuova guerra, la qual terminò colla restituzione scambievole dei prigionieri ed una indennità in danaro. 

L'ullio, rianimato da queste imprese, e fatto dovizioso per le ricchezze che trasse dalle spoglie d' Alba intima alle trenta colonie, per I' innanzi dipendenti da quella città, di riconoscer Roma per metropoli, adducendo per ragione, che vinti una volta gli Albani ad essa sola si appartenevano i diritti del popolo conquistato. 


Reclamarono quelle libere città I'assistenza de' confederati Latini, che avendo convocato un pubblico concilio in Ferentino, deliberarono concordemente non doversi riconoscere il dominio di Roma. Anco Publicio di Cora e Spurio Vecilio di Lavinio, furono da quell' istante creati Dittatori, con assoluto potere di trattar la guerra o la pace. La guerra ebbe realmente effetto, e durò pel corso di cinque anni: ma in vigor dei prischi costumi fu fatta all' antica maniera senza rovine e stragi nè con molto spargimento di sangue. 

Ammetteva il diritto delle genti, allora dominante, la massima singolare, che i trattati fatti con un Re non obbligassero verso il di lui successore: quindi coloro che per le vicende della guerra erano stati un tempo sottomessi, si credevano di piena ragione liberi in un altro. Perciò i Latini avendo commesse sotto Anco Marzio le prime ostilità, fieramente risposero ai Legati Romani di non aver 
patti col muovo Re, nè d'esser tenuti a riconoscere I' imperio di lui. 

Si fidavano que' popoli nell' indolenza d' Anco; ma egli, postosi inaspettatamente alla testa de' suoi, si mosse, prese d' assalto Politorio, e ne trasportò in Roma gli abitanti, innanzi che potessero trovar difesa nella lega Latina. Continuò la guerra per piü anni con varia fortuna: in fine Tellene e Picana furono espugnate e Politorio, vinto per la seconda volta, fu arso e distrutto. Tante città e borgate 
soggette, mal soffrendo il nuovo giogo, spesso si ribellavano, sebbene anco i popoli cofinanti, per appagar l'odio proprio, ora accendessero gli animi de' sollevati ed or depredassero i campi romani. 

Con egual disegno i bellicosi Volsci si mossero per la prima volta a danno di Roma; ma questa, che all' ira de' vicini dovette quasi unicamente la militar virtù, e la costanza de' suoi principi, ampliava 
ognora più il territorio e i confini. Quindi avendo tolta ai Vejenti la selva Mesia lungo la maremma del Tirreno estese il suo dominio sino al mare, e fondò alla foce del Tevere la città d' Ostia, primo stabilimento marittimo de' Romani."

(Giuseppe Micali - L'Italia avanti il dominio dei Romani)


La Lega venne sconfitta nel 642 a.c. da Tullo Ostilio, il III Re di Roma (672 – 640 a.c.) che concesse a Cora la condizione di città federata, cioè di città alleata, un privilegio rimasto inalterato fino alla riforma amministrativa complessiva intrapresa a Roma dopo la guerra civile.

IL PONTE ROMANO

ANTONIO NIBBY

I Corani rimasero in quiete fino all' anno di' Roma 251 , nel quale, al dire di Livio lib. a.c. 10 passarono nel partito degli Aurunci: "Eodem anno duae coloniae Latinae Pometia , et Cora ad Àuruncos deficiunt" etc. Pomezia fu dai Romani distrutta, ma nulla da Livio si aggiunge di Cora, segno evidente che rimase impunita. Anzi poco dopo, ancorchè si concluse la Lega generale contro i Romani per ristabilire i Tarquinii sul trono, essi vi presero parte cogli altri popoli, come Dionigi stesso afferma nel lib.V pag.326.

Non giunsero però, come neppur gli altri Volsci, in tempo per soccorrere i latini alla battaglia del lago Regillo, siccome si trae da Livio al capo del secondo libro; e dopo che i Latini ebbero conchiusa la pace co' Romani, i Volsci, nella cui lega entravano i Corani, diedero ai Romani 300 ostaggi da Cora, e da Pomezia in pegno della loro fedeltà.

Dopo questo fino all' altra lega generale del Lazio contro Roma, nulla si conosce di Cora; però probabile, che questa città vi prendesse parte, e che siccome non fu di quelle, che più accanite si mostrarono ai Romani, perciò non si fa di essa particolare menzione.

Quella lega fu l'ultimo sforzo del Lazio, e dopo le tre disfatte, che i Latini riceverono, la prima non lungi dalle falde del Vesuvio, l' altra presso Pedo, e la terza sulla Stura, vennero forzati a sottomettersi alle condizioni, che al Senato piacque loro d' imporre. Da quel momento i Corani si mostrarono sempre fedeli ai Romani; nella famosa guerra Annibalica conosciuta sotto il nome di seconda guerra punica Silio ( libro r Ill. v. 377. ) ci mostra Cora, come una delle città, che mandarono il loro contingente ai Romani, e che ebbe parte insieme con loro nella famosa giornata di Canne:
"At quo ipsius mensis seposta Lyaei 
Setia, et e celebri miserunt valle Velitrae, 
Quos Cora, quos spumans immiti Sign:a musto".

Cora svolse poi un ruolo importante anche nel corso delle guerre puniche e venne coinvolta nel conflitto tra Mario e Silla. Nel I sec. a.c. ottenne la cittadinanza romana con l’elevazione della cittadina a Municipium. 

(Antonio Nibby)

All'inizio del I secolo a.c. con l'acquisizione della cittadinanza romana e l'erezione a municipium Cora venne attribuita alla tribù Papiria. Successivamente fu coinvolta nella guerra tra Mario e Silla (90-88 a.c.). Cori mantenne una larga autonomia politica ed amministrativa come città alleata di Roma, tanto che si fregiava dell'acronimo SPQC.

MURA CICLOPICHE DI CORI

LE MURA

Tra i resti archeologici di maggiore antichità vanno annoverate le mura urbane, che con un circuito di circa 2 km racchiudono un'area di quasi 22 ettari, e i principali terrazzamenti interni, tra i quali quello del foro (odierna via delle Colonne), realizzati in opera poligonale di I maniera e databili nella seconda metà del VI secolo a.c.

Le aggiunte e i restauri in opera poligonale di III maniera o in blocchi squadrati di tufo, che interessano il circuito murario, sono invece generalmente assegnati ad età medio-repubblicana, quando vennero aggiunte anche molte terrazze interne.

Nello stesso orizzonte cronologico va collocato il Ponte della Catena, che permetteva il superamento del Fosso del Formale, in direzione della città di Norba; sulle due spalle in opera poligonale di IV maniera si appoggia un arco a tutto sesto di tufo che presenta ben tre ghiere sovrapposte a conci sfalsati.

TEMPIO COSIDDETTO DI ERCOLE

IL TEMPIO COSIDDETTO DI ERCOLE

Nella parte più alta della città, l’Acropoli, si trova il Tempio di Ercole, risalente al I sec. a.c. Di stile dorico, cioè del più antico degli ordini architettonici greci, ma di cui invece è ignota la divinità anche se attribuita ad Ercole, e che tanta ammirazione ha suscitato in artisti, architetti e viaggiatori fin dal primo Rinascimento.

Il tempietto dorico, tetrastilo, su podio, dichiarato monumento nazionale con regio decreto n. 359 del 24 luglio 1898, conserva ancora intatti il pronao e il bel portale della cella con iscrizione dedicatoria.
Il Tempio offre una splendida veduta sull’intera vallata di Cori.


ANTONIO NIBBY

"Cora si può dire separata in due città alta, e bassa, che il volgo di questo luogo appella Cora 
a monte, e Cora a valle.. Queste due parti di Cora equivalgono alla antica città, cd alla cittadella, e sono fra loro divise da un oliveto. Le rovine descritte esistono nella città propriamente detta. Salendo verso la cittadella si trova un altro gran pezzo di muro di pietre poligone, che forma tre angoli, o risalti a guisa di bastioni, e di torri. 

Sull'alto poi della cittadella nel luogo dove esiste la Chiesa di S. Pietro, che è anche essa edificata sopra sostruzioni di mura nel luogo dove esiste la Chiesa di S. Pietro, che è anche essa edificata sopra sostruzioni di mura, uno degli avanzi a massi poligoni più belli che esistano nel Lazio, e si gode una veduta assai vasta delle Paludi Pontine, da Civita Lavinia fino al mare presso Terracina.

TEMPIO COSIDDETTO DI ERCOLE
L' avanzo del quale io tratto è il famoso Tempio di Ercole, che può considerarsi come un modello dell' ordine dorico della quarta epoca, del quale tanta stima faceva Raffaello, che ne fece un disegno 
che insieme con altri esisteva nel museo del celebre Barone di Stosch. Ciò che rosta di questo tempio sono otto colonne, quattro che formavano la fronte, e due per parte ne' fianchi tutte di ordine dorico, scanalate dal terzo in su, di pietra calcarea simile al travertino, e coperte di stucco.

Queste colonne sostengono ancora il frontespizio ed hanno tre palmi, e un quarto di diametro ai 
piedi, e due palmi e otto once in cima; esse sono alte sette diametri non compresa la base, il capitello , ed hanno di altezza totale dieci palmi, e dieci once. Posano sopra la base, cosa che non si osserva generalmente nel dorico antico greco, ed il capitello molto si accosta al capitello toscano, onde Raffaello le giudicò di ordine toscano. Dal punto centrale di una colonna fino al centro dell' altra vi sono dieci palmi, onde il loro intercolumnio è di circa due diametri.

Queste colonne servivano di pronao al tempio; sulla porta della cella, che oggi è murata, e di cui gli stipiti sono di marmo bianco, si legge in due righe la seguente iscrizione:

M • MANLIUS M S V L • TVRPILIVS • L F • DUOMVIRES • DE SENATUS SENTENTIA • AEDEM • FACIENDAM •  COERAVERUNT • EISDEMQUE • PEOSAVERE

Questi Duomviri sono da WinKelmann nelle osservazioni sull' Architettura degli Antichi, pag. 52. 
e seg. ( Storia delle Arti Tom. III. Ediz. Rom. ) definitivamente stabiliti come contemporanei di Tiberio, onde assai strana riesca la ortografia delle parole DUOMVIRES, COERAVERVNT, EISOEMQVE invece di DUUMVIRI, CVRAVERVNT , IIDEMQVE ,  che potrebbe far credere questo edificio molto più antico.

PIRANESI - TEMPIO DI ERCOLE
E' da notarsi inoltre, che Livio nel c. XII del IV libro asserisce che dopo il supplicio di M. Marco Capitolino, la gens Manlia asserì che nessuno più prendesse il prenome di Marco:
- Adjectae mortuo notae sunt: publica una... gentilitia altera, quod gentis Manliae decreto cautum 
est, ne quis deinde Marcus Manlius vocaretur - 
quindi conviene credere che a' tempi di Tiberio questa legge di famiglia fosse ita in disuso, poichè troviamo in questa iscrizione un M. Manlio. 

Finalmente, che questo Tempio appartenga ad Ercole lo mostra chiaramente una iscrizione ivi trovata e riportata dal Volpi nel suo Lazio Tora. IV pag. 140, la quale diceva : 
HERCVLI • SACRVM 

Nella Chiesa di S. Pietro addossata a questo tempio, si conserva una bella ara quadrata, decorata ai quattro angoli di teste di ariete, ed ornata egualmente nelle quattro facce con festoni, e figura del Sole in mezzo, lavoro de tempi migliori dell' arte, e probabilmente contemporaneo alla edificazione del Tempio. "

(Antonio Nibby)

Proprio a causa di questa ara si è supposto che il suddetto tempio non fosse dedicato ad Ercole ma bensì al Sol Invictus o ad Elios. Del resto la testa di ariete era sacra al sole.

TEMPIO DI CASTORE E POLLUCE

IL TEMPIO DI CASTORE E POLLUCE

Ma ai Dioscuri è dedicato il maggiore dei santuari cittadini di Cora, presso la chiesa di S. Salvatore, nel foro dell’antica Cora ci sono infatti i resti del Tempio di Castore e Polluce risalenti ugualmente al I sec. a.c., tempio che si sovrappone a un santuario del V sec. a.c. ed ha favorito la nascita di un tempio corinzio (stile greco adattato a Roma). 


ANTONIO NIBBY

"Da S. Maria si possono passare a vedere gli avanzi del Tempio di Castore , e Polluce esistenti 
presso la Chiesa di S, Salvatore, edificio de' secoli bassi come la sua costruzione di opera saracinesca lo mostra.

Il Tempio di Castore però è uno de' più belli avanzi, che ancora ci restino dell'antichità. Che esso fosse dedicato a Castore, e Polluce l'iscrizione, che ancora si legge sul fregio e sull'architrave, il dimostra : 
• • • • CASTORI . POLLVCI DEC • S • OC... 
• CALVIVS •

cioè Templurn Castori Polluct Decurtonum sententia aciundum curavit Marcus Calvius Marci filius 
Publii Nepos.

Questo M. Calvio era contemporaneo di Claudio, ed in conseguenza a quella epoca appartiene il Tempio.

Una iscrizione già esistente presso il Tempio di Ercole serve di testimonio alla mia asserzione : 
M CALVIVS • M • F • PAP • PRISCI 
ADLECTVS • IN • OROINEM • SENATORIVX 
A • TI • CLAVDIO • CAESARE • AVG • GERMANICO
D. S. P. F. 

Di questo edificio rimangono ancora tre colonne scanalate di ordine corintio, intere, ed una 
rovinata de' capitelli uno è intero; l' altro manca di un corno ed il terzo è segato. Queste tre 
colonne, che venivano a formare un angolo del tempio stesso, come le tre di Giove Tonante sul clivo Capitolino in Roma, sono di buona proporzione, hanno uno stucco assai fino che le ricopre, e 
poggiano sopra un basamento di travertino, o pietra calcarea. della quale sono esse stesse formate." 

(Antonio Nibby)



TEMPIO DELLA MATER MATUTA

La Mater Matuta è una Dea italica preromana e non proveniente dalla Grecia, anche se poi vi fu un assimilazione con la Leucotea ellenica. La Mater Matuta è la manifestazione della Dea Natura, anticamente c'era la Mamma Mammosa, detta anche Mammona, e la Mater Matuta, di cui la prima era la parte invisibile della Dea, e di cui la seconda, la terra, era la parte visibile. 

Nella destituzione patriarcale della Grande Madre, Mammona decadde e nel Nuovo Testamento diventò il diavolo. Successivamente, quando il cristianesimo proibì i culti pagani, gli autori parlarono di Natura Naturans e Natura Naturata, era la stessa cosa detta in modo più ermetico.
Poichè il ciclo naturale delle messi implica la morte del seme, perché esso possa risorgere nella nuova stagione, la Grande Madre è connessa al ciclo di morte-rinascita.

CHIESA DI SANTA OLIVA CON LE COLONNE DEL TEMPIO DI GIANO

TEMPIO DELLA DEA MENS - O DI GIANO

Si suppone fosse venerata nel tempio anonimo sotto la chiesa dedicata a Santa Oliva, patrona fin dal medioevo di Cori, secondo A. Nitty. In base ad una iscrizione, che era affissa sulla facciata della chiesa, alcuni storici hanno affermato che in questo luogo esisteva un edificio di culto cristiano già dal II secolo, costruito sui resti di un tempio romano dedicato però a Giano. 

L’analisi archeologica ha confermato che effettivamente la struttura della chiesa insiste su un edificio romano. All'interno della Chiesa di Sant'Oliva, sul lato destro, sono visibili parte delle colonne di quello che erano dell'antico tempio devastato e reimpiegato solo a pezzi, con colonne più alte e più basse, con base e senza base con capitelli utilizzati altrove o distrutti.



TEMPIO DELLA FORTUNA OBSEQUENS

Letteralmente la fortuna che segue, che in genere era invocata in una determinata occasione per una determinata impresa. Di questo tempio purtroppo, come per tanti altri templi di Cora nulla è rimasto a causa della distruttività cristiana degli edifici di culto pagani.



TEMPIO DELLA CONCORDIA

La concordia riguardava l'ordine a l'armonia del popolo, soprattutto rispetto ai problemi tra patrizi e plebei.

STAMPA DELL'ANTICA STATUA DEL TEMPIO DI MINERVA A CORI

TEMPIO DI MINERVA 

della quale è stata rinvenuta, alla fine del Cinquecento, una preziosa statua in porfido, oggi a Roma, in piazza del Campidoglio, nella nicchia centrale del Palazzo Senatorio.

Infine, tra i monumenti pubblici più rilevanti per l'età tardo repubblicana, che vede Cora attivamente partecipe a quella fase di intensa attività edilizia che caratterizza tutte le città italiche, va segnalato l'imponente edificio di sostruzione in opera incerta, che sorregge l'odierna piazza Pozzo Dorico.
Esso si articola in sette ambienti voltati a botte, di cui tre adibiti a cisterna e quattro di ignota destinazione; di questi ultimi, tutti affacciati sull’attuale via Ninfina e separati dal banco roccioso retrostante mediante una stretta intercapedine, due conservano ancora le tracce di una fontana e di una vasca.

Altre due località da visitare sono il Ponte romano della Catena ( I sec a.c.) che permetteva di attraversare il ‘Fosso della Catena’ localizzata vicino alla porta Ninfina e il Pozzodorico, una grande cisterna sistemata su un edificio romano del II sec. Buona parte di Cori è poi circondata dalle mura ciclopiche di circa 2 km.

MUSEO DI CORI

REPERTI ARCHEOLOGICI

Nel Museo storico della città vi sono i resti di un tempio romano (IV-II sec. a.c.).
Le principali evidenze archeologiche oggetto di studio, tutte inglobate in epoca medievale, sono tre tratti di sostruzioni piene di edilizia pubblica romana in opera quadrata di tufo, in opus incertum e in opera poligonale, che regolarizzano, in fasi successive e a più livelli, il versante sud-occidentale del colle, in particolare sostengono e delimitano un asse viario di fondamentale importanza per il collegamento tra la città alta e quella bassa, una strada che, originata alla Porta Ninfina, raccorda le principali aree sacre della città.

Le strutture si inseriscono, per cronologia, tecnica muraria e dislocazione topografica, tra la seconda (IV-III a.c.) e l’ultima fase edilizia (primo decennio del I secolo a.c.) del tempio dei Dioscuri. Con l’arrivo della piena età medievale, l’area venne completamente distrutta e depredata per dar luogo a nuovi edifici e chiese.


SCOPERTI I RESTI DI UNA BASILICA CIVILE DI CORA ROMANA

Nelle cantine di Palazzetto Carpineti, in via delle Colonne, nel centro storico di Cori valle sono stati rinvenuti i resti di quella che potrebbe essere una basica civile all’interno del Foro dell’antica Cora. Ha parlato del ritrovamento il professor Domenico Palombi, docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma e Direttore Scientifico del Museo di Cori. Palombi ha parlato di impronte di basi di colonne, di una pavimentazione “a stuoia” e di un’iscrizione commemorativa dedicata alla Gens Curtia. 

Sulla base del diametro delle impronte delle colonne si è ricostruita la loro massima altezza (9 m comprensiva di capitello), identica a quelle superstiti del vicino tempio dei Dioscuri, tanto da ipotizzare un unico progetto urbanistico per i due edifici. 

Altri elementi hanno permesso di comprendere meglio l’articolazione dello spazio interno e formulare ipotesi ricostruttive per la facciata, confrontabile con la basilica di Fano e con quella Vitruviana. Ulteriori conferme all’indagine in corso verranno da un puntuale sondaggio archeologico da effettuare nei prossimi mesi. 



CULTO DI QUIRITIS

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IUNO

Quiritis, o Curitis, o Curritis, o Curis, i nomi cambiano a seconda dei pagus, fu un'antica Dea italica riscontrata soprattutto a Falerii, e in seguito assimilata a Giunone arricchendola del secondo nome di Iuno Curite. Era una Dea guerriera armata di scudo e di lancia come Minerva, eppure «le matrone si trovano sotto la tutela di Giunone Curite» Che avevano a che fare delle matrone con una Dea guerriera?

G. Radke fa derivare Curitis (cursitis) da cursire, cursis, quindi currere, inteso come «correre in aiuto», ma può essere riferita invece alla città sabina di Cures, come si legge in Persio (IV 26): «A Cures: da tale toponimo Giunone è detta anche Curite poiché colà è venerata con particolare fervore». Dionigi di Alicarnasso narra che questo culto riguardasse particolarmente le donne, in veste di sacerdotesse. 

Ovidio del resto assistette in prima persona al rito celebrato in onore della Dea nel suo tempio presso Falerii, città natale della moglie, ed esso comprendeva giochi solenni, una processione composta da giovani e giovinette che cantavano inni, dalle sacerdotesse del culto e dalla statua della divinità. Vi era poi il sacrificio di giovenche bianche, di un maiale e di un ariete, oltre ad un rito più cruento in cui si cacciava una capra, che andava in premio al giovane che riusciva per primo a ferirla. 

Il rituale era guidato da una fanciulla nubile detta kanephoros, ma esisteva anche un pontifex sacrarius Iunonis Curritis. Si sa che la processione procedeva dall’area in fondo al Fosso dei Cappuccini, in cui infatti si trovano un altare, una vasca e tracce di una strada abbastanza impervia che conduce al santuario di Celle.

Da questo tempio dovette essere evocata la Dea nel 241 a.c., poiché nell’ultimo anno della I guerra punica i Falisci si erano ribellati a Roma.

I RESTI DEL TEMPIO
L’essersi la città consegnata in fidem non evitò la sua distruzione ma i templi più importanti furono risparmiati probabilmente per l'evocatio, a seguito della quale gli Dei locali erano passati dalla parte dei Romani.

Non si distrugge la vecchia casa degli Dei propizi, perchè potrebbero cessare di essere propizi.

A seguito di ciò Quiritis divenne Giunone Curite e ricevette un tempio a Roma, nel Campo Marzio: "Iovi Fulguri Iunoni Quiriti in campo". L’ubicazione del santuario nella zona del Campo Marzio, forse si può identificare il tempio in uno dei due edifici rappresentati nella Forma urbis Romae del Lanciani (fr. 234b-c), in relazione con i templi di Vulcano e Iuppiter Fulgur, subito a S dell’area sacra di Largo Argentina e a O della cavea del theatrum Balbi.

Anche Coarelli localizza il tempio di Iuno Curitis alle spalle del Teatro di Balbo, sempre in connessione con il tempio di Iuppiter Fulgur, ed entrambi gli Dei sarebbero stati evocati da Falerii.
Viene da rammentare che anche Giunone Caprotina era armata di lancia, e anche qui aveva a che fare con la capra di cui la Dea indossava la pelle, ed alla capra era collegato il culto della Dea anche se in modo crudele.

Nonostante il più che probabile trasferimento del simulacro a Roma, il culto della Dea nel suo santuario di Celle non cessò, come dimostrano gli ex voto databili alla seconda metà del III e al II sec. a.c.. Ma è evidente che la Dea pur senza il simulacro originario non potesse essere abbandonata, perchè si trattava della Grande Madre, la Grande Dea Trinitaria, Dea della nascita, della crescita e della morte.

Riteniamo che la Dea fosse di origine sabina e che la Dea Quiritis, o Critis, fosse la Dea delle Curie, non a caso i romani l'assimilarono a Giunone, regina tra gli Dei. Viene infatti da chiedersi come mai 
una Dea armata di lancia e scudo non sia stata assimilata a Minerva che possedeva esattamente questi attributi. E' logico, Quiritis era la Regina degli Dei, e quindi poteva solo essere assimilata alla regina romana. Ed è anche evidente che, come tutte le Dee Trine, nel suo aspetto mortifero fosse una Dea Guerriera, quindi portatrice di morte.

Sicuramente il Dio Quirino, appunto anch'esso di origine sabina, fu suo figlio, nato da una vergine di cui, una volta cresciuto, divenne il paredro. Del resto in alcune culture etrusche, e sicuramente greche, Giunone era la madre di Giove e successivamente sua moglie, divenendo in seguito a lui sottoposta. 

VILLA MARCO NONIO (Toscolano Maderno - Garda)

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RICOSTRUZIONE DELLA VILLA

Tra le ville romane del bresciano quelle Toscolano Maderno e presso la Pieve di Nuvolento non solo per i resti pregiati, ma anche perché entrambe appartennero nel Il sec. d.c. a due senatori originari di Brixia: la villa di Toscolano aderno a Marcus Nonius Macrinus, quella di Nuvolento probabilmente a M. Lae/ius Firminus L'identificazione del proprietario della villa di Toscolano Maderno risale già alla fine dell'Ottocento e si fonda sul ritrovamento della dedica in marmo botticino, che il senatore pose ai Dii Conservatores per la salute della moglie Arria:

Dis Cop Conservatorîb(us) pro salute
Arriae sune
M(arcus) Nonius
Macrin(us) consecdavit).

La dedica dovette essere posta nel larario della villa o in qualche edicola o tempietto, la cui presenza all'esterno delle residenze di campagna è documentata da Plinio il Giovane per la sua villa di Tifernum Tiberinum. I Nonii erano una famiglia senatoria famosa nell'epigrafia bresciana, grazie anche alle iscrizioni di schiavi e liberti.


M. Nonio Macrino console nel 54, è il primo e unico esponente di questa gens di cui conosciamo la carriera, svolta sotto tre imperatori: Adriano, Antonino Pio e M. Aurelio. A Cellatica, località di collina ai margini settentrionali della pianura, è stata reinvenuta la dedica del figlio per il consolato di M. Nonio Macrino. 

A Brixia, la colonia lo aveva già scelto quale patrono e gli aveva dedicato una statua nel foro. Altre due statue gli erano state già dedicate da due ufficiali equestri quando lui era stato governatore della Pannonia inferiore, e poi governatore della Pannonia superiore, lodato come praeses optimus e rarissimus.

La lunga carriera di Macrino ci è nota dalla dedica bresciana del foro e da una dedica di statua proveniente da Efeso, pubblicata già agli inizi del '900 e risalente agli anni del proconsolato d' Asia. La data del suo consolato suffetto, compare nei Fasti Ostienses avvenuta nel 154, quando Macrino, allora quarantenne,  sostituì Lucio Vero, figlio adottivo dell'imperatore Antonino Pio


Dopo il consolato Macrino fu chiamato al controllo dell'alveo e delle rive del Tevere; poi fu nominato legatus Augustipro praetore della Pannonia superiore, dove egli era già stato come comandante della legione XIV Gemina stanziata a Carnuntum. Sono questi gli anni in cui Macrino, a Brescia, ricevette sia la statua da parte di Tito Giulio Giuliano, sia la statua nel foro da parte dell'intera comunità, che proprio allora lo scelse quale patrono.

Morto prematuramente Lucio Vero nel 169, Macrino fu chiamato a far parte con altri amici del principe del sodalizio degli Antoniniani Veriani, incaricato del culto del divo Vero, ma in precedenza aveva fatto parte del prestigioso collegio dei XVviri sacris faciundis.

Nello stesso anno, nel 169 Macrino fu chiamato da Marco Aurelio alla nuova spedizione Germanica, come suo luogotenente e consigliere. Nel 170/171 ottenne la carica di proconsole d'Asia, minacciata da un'invasione di Bastarni. In questi anni, a Efeso, Macrino venne onorato con una statua dal sofista Flavio Damiano, che lo definisce "soter tes eparcheixs" (salvatore della provincia), titolo eccezionale per un governatore provinciale.



Negli scavi che la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sotto la direzione di Daniela Rossi, sta conducendo dal 2008 all'altezza del km 8,5 della via Flaminia sono venuti in luce molti reperti marmorei di un importante monumento funerario in marmo, in cui compare:

[M.] Nonio M. fil. Macrino consuli, proconsuli Asiae, XV L'ido) sacrisflac(iundis), 
sodali Verian[o Antoniniano, amico Augustodum)?], / 
comiti, leg(ato) imperatoris) Antonini Aug(ustl) ex peditionis Germanic(ae) et Sannatic(ae)?, legato] Aug(ustz) pr(o) pdaetore) p[rovinciarum Baeticae? et Hispa]niae / 
citerioris item Pannoniae sup[erioris item Pannoniae in erioris, curato]ri a[/
vei Tiberis, leg(ato) leg(ionis) XII II Gem(inae), praet(orz), tr(ibuno) p/(ebis) , le?] ato /
provinciae Asine, quaestodi, tribuno militum leg(ionis) X Fretens(is)? item leg(ionis) VI/ 
Geminae, Xvh(o) stlitibus iudican]dis / 
patri optimoet Havi[ae - - -l /
M. IVoniu[s Arrius -

Sappiamo così che dopo il proconsolato d'Asia, Macrino fu destinato ad un ulteriore incarico nella provincia di Spagna citeriore, evidentemente con il grado di legatus Augusti pro praetore. Pertanto dopo il 154, svolse quattro incarichi di rango consolare: la curatela del Tevere, il governatorato della Pannonia superiore, il proconsolato d'Asia e il governatorato della Spagna citeriore. Nella Spagna attorno al 172/173 le province spagnole si trovavano sotto la pressione dei Mauri, che minacciavano l'intera Spagna.



  
DA ROMANO IMPERO:

MAUSOLEO di MARCO NONIO MACRINO

Nel rinvenimento archeologico, in parte prevedibile data la collocazione a margine della strada antica, è avvenuto nel 2008 in via Vitorchiano, nella zona di Saxa Rubra sulla via Flaminia.

DECORO DEL MAUSOLEO
All’altezza del Km 8,500 della via Flaminia, l’epigrafe dedicatoria consente di identificare il mausoleo di Marco Nonio Macrino, prestigioso esponente della famosa famiglia bresciana nel II sec. d.c., che svolse parte della carriera sotto Antonino Pio concludendola poi con Marco Aurelio di cui fu compagno nella spedizione contro i Quadi ed i Marcomanni e che rivestì anche importanti ruoli sacerdotali.

Sembra che a questo personaggio si sia ispirato il film Il Gladiatore.
Del mausoleo di età imperiale scoperto nel corso degli scavi preventivi realizzati dalla Soprintendenza di Roma, non rimane solo la struttura. Ma anche il rivestimento marmoreo, compreso il monumentale timpano, appoggiato accanto ai basoli dell´antica strada consolare.




MARCO NONIO MACRINO

Marco Nonio Macrino, ovvero Marcus Nonius Macrinus, generale romano dell'imperatore Marco Aurelio, durante le guerre settentrionali contro Marcomanni, Quadi e Sarmati Iazigi. 
È stato console suffetto nel 154 sotto Antonino Pio, e diverse volte proconsole.

Era originario di Brescia, appartenente alla facoltosa e potente famiglia dei Nonii, sposato ad Arria e gli è pure attribuita la proprietà di una grande villa a Toscolano Maderno, sulle rive del lago di Garda.

Ricoprì la prestigiosissima carica di Comes di Marco Aurelio, e pure di proconsole delle province romane di Asia, Pannonia inferiore ( 153-154) e Pannonia superiore (159-161).

Nell'ottobre 2008 a Roma, durante la costruzione di alcuni edifici sulla via Flaminia, è stato rinvenuto il suo mausoleo a forma di tempietto, alto circa 15 metri e rivestito in marmo, edificato da suo figlio Macrino.

La notizia ha suscitato l'attenzione dei media nazionali ed internazionali a causa di un fraintendimento delle parole degli archeologi che hanno paragonato la vita del generale a quella del personaggio "Massimo Decimo Meridio", protagonista del film di Ridley Scott "Il gladiatore", per somiglianza di carriera politico-militare e periodo storico di appartenenza.




VILLA TOSCOLANO MADERNO

La villa di Toscolano Maderno è solo parzialmente scavata, anche se si è compresa la planimetria generale, ma ne è visibile solo il suo settore meridionale.

DEDICA DI MACRINO PER LA SALUTE DELLA MOGLIE ARRIA
La villa aveva in origine un loggiato frontale sul lato orientale, verso il lago, con avancorpi sui due lati nord e sud. Il loggiato si apriva su un grande bacino-fontana di 47 m di lunghezza. 

La villa, del I secolo d.c., subì interventi e trasformazioni sino all’inizio del V sec., conservando sempre caratteristiche di grande lusso. Tra la fine del I e la prima metà del II secolo appartenne a Marco Nonio Macrino, console nel 154 d.c.. 

La parte oggi visibile comprende diversi vani, alcuni dei quali conservano ancora ampi tratti di intonaco dipinto e pavimenti a mosaico con motivi geometrici, in sole tessere bianche e nere e anche con tessere colorate. 

A questi vani si accedeva da un lungo ambiente, solo parzialmente scavato, che conserva ancora parti dell’intonaco dipinto. Il vano presentava in una sua prima fase due esedre lungo il lato settentrionale, successivamente tamponate.



LE FALERE ROMANE (PHALERAE)

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FALERE AUTENTICHE SU CORAZZA RICOSTITUITA
Le falere (dal latino phalera, pl. phalerae) erano in origine i due dischi laterali dell'elmo a cui si fissavano gli allacci, ma il termine si estese poi a un qualsiasi disco decorativo in metallo, che serviva a ornare sia le corazze dei soldati sia le bardature dei cavalli, ma pure un elemento decorativo tondo e a rilievo applicato ovunque, anche su un muro, fino a che non divenne il termine per eccellenza delle decorazioni militari romane.

In popoli più primitivi le falere, ovvero gli umboni, si indossavano attraverso lacci in corrispondenza dell'impugnatura, e servivano a proteggere la mano da frecce e colpi, ma anche per rimandare i colpi, in seguito fu usato anche per colpire gli avversari soprattutto per stordirli. 

Furono pertanto usati come piccoli scudi primitivi. A volte erano in legno e quindi piatti con applicazioni ricurve in bronzo, poi divennero interamente in bronzo e in argento, e pure in oro, ma anche, e più raramente, di ottone e rame.

Queste decorazioni al valor militare riguardarono varie epoche e diverse popolazioni celtiche, etrusche e romane, ma divennero importantissime presso questi ultimi. La falera era in genere costituita da un disco con un rialzo centrale semisferico detto umbone.
FALERA BRONZO I SEC. A.C.
Venne poi l'uso di applicare le falere sulla corazza, sia che fosse di cuoio. o di lino, o di metallo. Le falere sulle corazze ebbero più di un fine od effetto: 

- di poter mostrare ai nemici il proprio valore e quindi intimidirli in battaglia;

- di poter sfilare nelle parate con le falere raccogliendo l'ammirazione del popolo che l'avrebbe ripagato non solo con la stima ma a volte con regali o riguardi particolari;

- di potersi presentare ad una candidatura politica con questa favorevole presentazione, perchè i romani apprezzavano negli uomini soprattutto le qualità militari;

- di avere più possibilità in combattimento e da parte dei propri capi, di ricevere incarichi particolari nella battaglia, con operazioni che potessero metterli ancora di più in luce e magari fargli acquistare più meriti;

- oppure di ricevere direttamente una nomina a un grado superiore nell'esercito, grazie ai meriti di valore conquistati e riconosciuti;

- e per ultimo, ma non ultimo come importanza, di essere accolto dalla sua familia e soprattutto dalla sua gens, come un membro che a saputo dare lustro ad ambedue, con relativi riconoscimento, affetti e riconoscenza.
FALERA DI OTTONE - II - III SEC. CON MINERVA, AQUILA IMPERIALE, 2 SERPENTI E 4 TESTE DI PROFILO
In epoca romana le falere furono molto utilizzate come ricompense militari per gli ambasciatori esteri, specialmente di origine gallica. 

Fare i mediatori con i popoli barbari non era cosa da poco e meritava i giusti riconoscimenti, ma soprattutto l'ambasciatore con molte falere veniva apprezzato anche se non rappresentava un grado alto nell'esercito.

Ciò aveva anche un certo vantaggio, visto che nessun ambasciatore era sicurissimo sulla sua incolumità, specie se portava cattive notizie, come ad esempio di intimare la resa a condizioni disastrose per quel popolo.

Ora se l'ambasciatore era di alto grado nell'esercito, come ad esempio un generale, la tentazione di sopprimerlo era certamente più alta, mentre un milite di basso grado incentivava meno. ma per contro non si aveva l'impressione, da parte del nemico contattato, di aver ricevuto un milite di scarso valore, il che avrebbe costituito un ulteriore oltraggio.

FALERE IN ARGENTO - BERLINO
Le falere venivano utilizzate anche dagli Etruschi che le introdussero a Roma attraverso quinto monarca, Tarquinio Prisco, che poteva concederle a chiunque ma pure i suoi generali in capo se ne vedevano l'opportunità.

Al tempo di Polibio, in età repubblicana, le decorazioni erano concesse con molta difficoltà, infatti occorreva che il milite dovesse essere anzitutto un cavaliere, e che avesse riportate le spoglie di un nemico di un certo valore in battaglia, quindi spoglie di un certo lusso. In età imperiale invece, si avevano meno pretese, e le falere venivano concesse alla truppa, ovvero ai legionari o ausiliari  che si fossero in qualche modo distinti in battaglia. 

Le falere venivano concesse anche collettivamente sia alle ali che alle coorti. Vale a dire che tutta un'ala o una coorte riceveva una falera per combattente e ognuno di loro poteva dirsi pertanto "falerato" (faleratum). Il che faceva di quel corpo una truppa gloriosa.
FALERA COL VOLTO DI AUGUSTO
Le falere più antiche erano fornite di buchi o asole attraverso cui venivano fissate con del filo metallico o delle fettucce di cuoio o di stoffa, a seconda della pesantezza delle suddette, alle armature. Non venivano mai saldate in quanto potevano essere sfoggiate anche su armature leggerissime da cerimonia, come indossavano in genere gli imperatori.

Anzi spesso le corazze imperiali, specie da cerimonia, erano lavorate a sbalzo e a cesello mostrando delle falere come un tutt'uno con la corazza. Le Falere d'oro in particolare non venivano solitamente sfoggiate sulle armature in combattimento, dato che si rischiava di perderle o di venire inseguiti solo per appropriarsi di tali preziosità.

FALERA CON GIOVE
Sui monumenti romani le falere appaiono di solito nel numero di nove, per l'ancestralità delle forme geometriche, vale a dire tre triangoli, il triangolo è la forma più semplice e più arcaica delle figure piane. Dunque indosso ai soldati le falere venivano disposte su tre linee, legate con corregge ortogonali in modo da formare un pettorale.

Tale pettorale veniva poi indossato poi sulla corazza, in modo da poter essere agganciate, in genere con delle catenelle. Il sistema faceva si che con un solo aggancio si indossavano tutte le falere. Le falere potevano essere anche esibite sulle insegne (vexilla e signa) a onore e gloria dei reparti militari.

Le falere potevano avere svariate immagini:

- le più antiche, in genere barbare, riportavano spesso motivi geometrici, o animali o due animali che si affrontano con un palo o una Dea al centro.
FALERA DI DRUSO PADRE CON FIGLI
- l'immagine dell'imperatore, in genere in argento o in oro, di norma donato dallo stesso imperatore su richiesta di un suo generale o donato al generale stesso.

- a volte l'immagine della moglie o del figlio, o dei figli dell'imperatore, o di altri suoi parenti.

- l'immagine di un animale, in genere l'emblema della legione, come il toro, o il leone, o un animale emblematico, come il grifone, o il capricorno o l'aquila ecc., oppure l'immagine di un cavallo, o di un uccello.

- Molto spesso vi erano rappresentate immagini di divinità, sia maschili che femminili, con prevalenza Minerva, Ercole, Marte o Giove, o una Grande Madre tipo Cibele, oppure Mitra, o il Sole Invitto, molto venerati dai soldati.

- Spesso vi erano impressi volti di eroti, o di fanciullini sorridenti come Ercole bambino, o di fauni, o di ninfe, o di maschere, o di cavalieri a cavallo.

FALERA DI MALERBO


FALERE DI MALERBO

Si pensa che siano ornamenti per i finimenti di due cavalli le quattordici falere conservate nella sezione della protostoria del bresciano del Museo di Santa Giulia. Quattordici dischi d’argento decorati a sbalzo, due più grandi (diametro medio 19 cm) e dodici piccoli (10 cm), rinvenuti insieme ai frammenti di quattro elementi longitudinali ricurvi e tre catenelle, sempre in argento.

Fu una scoperta casuale quella delle falere, come spesso accade in archeologia, a 50 cm. sotto il manto stradale, gli oggetti rinvenuti nel 1928 da contadini per ampliare la buca del letame presso la Cascina Remondina, poco distante da Manerbio. 

FALERA DI ORIGINE LONGOBARDA - REGGIO EMILIA
Il tesoretto passò prima ai carabinieri e l’anno dopo le Civiche Raccolte d’Arte di Brescia (oggi Musei civici d’Arte, Storia e Scienze) dove ancora oggi li troviamo. Sono di arte celtica e risalgono alla prima metà del I secolo a.c. probabilmente prodotti da artigiani boi o taurisci.

I dischi d’argento sono decorati a sbalzo dal rovescio come si usa ancora oggi, con una parte centrale a rilievo, l’umbone, circondata da una cordonatura, dove è raffigurata una triskele (come il simbolo della trinacria). Gli altri dischi, più piccoli hanno invece un bordo liscio. Lungo il registro esterno tutti i dischi presentano una serie continua di teste umane frontali e stilizzate, con l’acconciatura dei capelli tipica dei Celti.


SOTTO LE CHIESE DI ROMA - II

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SANTA MARIA IN ANTIQUA

1)  BIBLIOTECA DI AUGUSTO - OGGI SANTA MARIA ANTIQUA

Sotto la Chiesa di Santa Maria Antiqua giace la Biblioteca di Augusto (63 a.c. - 14 d.c.). La chiesa è situata nel Foro Romano, ai piedi del Palatino, sotto cui, all' incrociamento della Nova Via e del Vicus Tuscus, sorgevano delle case private.

Tiberio (42 a.c. - 37 d.c.) consacrò ivi, dietro il tempio dei Castori nel Vicus Tuscus, un tempio in onore di suo padre divinizzato, il "Templum divi Augusti".

L' imperatore Caligola (12 - 41 d.c.), sulle cui monete il tempio appare effigiato con sei colonne corinzie sulla fronte e riccamente ornato di statue, se ne servì per appoggiarvi uno dei piloni del famoso ponte costruito per congiungere il palazzo imperiale col tempio di Giove Capitolino. 

Egli stesso poi allorchè ingrandì il palazzo di Tiberio fino al Foro, fece del tempio dei Castori il vestibolo del palazzo.

MONETA DI CALIGOLA COL TEMPIO DI AUGUSTO
Nell'incendio neroniano il tempio di Augusto fu distrutto; Domiziano lo restaurò costruendovi dietro un santuario in onore di Minerva, Dea per la quale egli aveva un culto speciale. 

"Presso Minerva, dietro il tempio del Divo Augusto" ogni anno, come attestano numerose iscrizioni, erano affisse le grandi tavole di bronzo con i nomi di quei soldati delle coorti ausiliarie, delle armate ecc., i quali, dopo aver compiuti gli anni prescritti di servizio, ottenevano il loro congedo ed erano ricompensati col diritto di cittadinanza, del connubio, delle terre ecc.

Domiziano (51 - 96 d.c.) poi vi costruì accanto un ingresso e raccordo tra i palazzi imperiali sul Palatino e il Foro sottostante, dove probabilmente stazionava la guardia di pretoriani.

E non soltanto questo "archivio della cancelleria militare" stava sotto la protezione di Minerva, ma anche una biblioteca, dedicata ad Augusto, aperta da Tiberio e rinnovata dopo l' incendio da Domiziano. Il tempio stesso fu restaurato da Antonino Pio, come attestano le monete di quest'imperatore; quando sia stato distrutto, non si sa esattamente.

L'effigie di fianco è una moneta di Antonino Pio dell'anno 159, in cui è scritto: 
"Templum Divi Aug(usti) rest(itutum)" che riguarda i lavori di risanamento e conservazione del tempio del suo padre adottante Augusto.



2)  SACELLO DI ERCOLE CON ARA MAXIMA - OGGI S. MARIA IN COSMEDEN 

Dalle fonti antiche e da alcune iscrizioni rinvenute nei pressi di S. Maria in Cosmedin, è possibile identificare questo altare con la massiccia struttura situata nella parte posteriore della chiesa, all’interno della quale è stata ricavata la cripta. Si tratta di un monumento di grandi dimensioni in tufo dell’Aniene, con un centro di culto sorto prima della fondazione di Roma stessa nell'VIII secolo a.c.

ARA MAXIMA NEL TEMPIO DI ERCOLE INVITTO
Venne ricostruito nel II secolo a.c. quando fu rialzato il livello di tutta la zona. Il monumento era
l'Ara Maxima, edificata con i blocchi di tufo che ora formano la cripta della chiesa.

All'interno infatti si osserva una serie di colonne corinzie incastonate nelle pareti ovest e nord. Questi originariamente formavano parte di una galleria costruita nel IV secolo d.c. e collegata all'Ara Maxima.

Una volta si credeva che la galleria fosse una sorta di centro amministrativo ma è più probabile che fosse semplicemente parte del santuario. Dal VII secolo la struttura era diventata una chiesa cristiana  e nell'VIII secolo i blocchi di tufo che formano le fondamenta dell'altare furono scavati per creare la cripta della chiesa.

Il secondo complesso antico, conservato ancora in parte, era costituito da una loggia porticata con colonne e pilastri angolari, costruita in età flavia contro un lato dell’Ara Maxima, le cui strutture sono attualmente inglobate nei muri perimetrali della chiesa.

Il singolare edificio, già identificato con la Statio Annonae o sede del Prefetto, è da interpretare invece come un sacello connesso con l’Ara stessa, all’interno del quale erano conservate delle reliquie di Ercole, divinità molto seguita e adorata dai fedeli.

DIETRO AL TEMPIO DI MARTE ULTORE

3) TEMPIO DI MARTE ULTORE - CON SOPRA CHIESA Di S. BASILIO

La chiesa di San Basilio al Foro di Augusto è un luogo di culto cattolico scomparso di Roma, nel rione Monti, in via Tor de' Conti. 

La chiesa, con annesso monastero, vennero fondati sul podio del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, a coprire e cancellare il tempio pagano, come menzionato in una bolla di papa Agapito II del 955. 

CHIESA DI SAN BASILIO CON RISPETTIVO CAMPANILE
Il nome della chiesa era di "San Basilio in scala mortuorum", dalla scaletta che portava ad un cimitero sotterraneo, nome che ricompare poi in un documento del 1088 nel Regestum Farfense. 

Il complesso era addossato all'alto muro di recinzione del foro.

Sotto Pio V, nel XVI secolo, il monastero venne concesso alle suore domenicane neofite, le quali ricostruirono la chiesa, aprendo delle finestre e un portale nel muro di recinzione del foro verso la via retrostante, e ne cambiarono il nome in quello della Santissima Annunziata, nome col quale era conosciuta prima della sua demolizione.

Marte Ultore era il Dio Marte vendicatore, detto "COLUI CHE DALLA SCONFITTA RISOLLEVA"
e il suo tempio chiudeva il lato di fondo del foro di Augusto a Roma.

Detto in latino "Mars Ultor", al quale Augusto aveva promesso in voto un tempio prima della vittoria nella battaglia di Filippi, onde vendicare l'assassinio del suo padre adottivo Gaio Giulio Cesare.

Uccisi gli assassini di Cesare, Augusto adempì al suo voto facendo erigere uno dei più bei templi mai visti.
Chiesa e monastero furono distrutti nel 1924 in seguito agli scavi archeologici della zona atti a riportare all'origine i Fori romani. 

Della chiesa rimane solo il portale d'ingresso, murato, come si vede nella figura, ma lasciato nella sua posizione originaria sul lato esterno del muro di recinzione del foro su via Tor de' Conti.

CURIA HOSTILIA

4)  CURIA HOSTILIA - CON SOPRA CHIESE DI S. MARTINA E S. LUCA

"Nella Curia Hostilia vennero edificate due chiese; una nel sotterraneo al presente, prima al piano antico, dedicata a s. Martina, martirizzata nell'Anfiteatro Flavio; fu fondata nel VII secolo, presumibilmente da Onorio I, al quale si attribuisce anche la fondazione della vicina chiesa di sant'Adriano nella sede della Curia Senatus".

Decaduta, restaurata e nuovamente consacrata da Alessandro IV nel 1256, come ricorda la lapide murata nella cappella di destra, la chiesa è attestata nel Catalogo di Cencio Camerario, anche se Martina non è citata tra i santi di cui vi si custodivano le reliquieLa chiesa superiore, ancora più rialzata nel ricostruirla, venne dedicata a s. Luca Evangelista.

CHIESA DI SAN LUCA E MARTINA
La gloriosa Curia Hostilia divenne così la chiesa dei Ss. Luca e Martina.

La chiesa venne infatti situata sul luogo dove un tempo sorgeva l'antica "Curia Hostilia" (così denominata perché fondata, secondo la tradizione, dal re Tullio Ostilio) ed ai margini del "Comitium".

Si proseguì così l'opera di cancellazione e seppellimento di ogni glorioso resto dell'impero romano e di ogni sua vestigia, pagana e non. Da non confondere la Curia Hostilia con la Curia Iulia.

Il grande edificio in mattoni che occupa l'angolo tra l'Argiletum, l'antica via romana che usciva dal Foro Romano costeggiando il fianco sinistro della Curia per dirigersi verso la Subura ed il Comizio è infatti la "Curia Iulia", la sede del Senato, iniziata da Gaio Giulio Cesare per sostituire la precedente "Curia Hostilia", incendiata nel 52 a.c., e terminata da Augusto che la inaugurò il 28 agosto del 29 a.c."



5) ERARIO DI SATURNO - ORA CHIESA DI S. SALVATORE IN ERARIO

L'Erario di Saturno, Pomponio Leto, Pirro Ligorio, il Nadini, l'Olstenio, e tanti altri, lo riportavano sotto il Campidoglio, ove era anticamente una chiesetta di s. Salvatore in Aerario, sopra l'ospedale di s. Maria in Portico.

Tutti gli autori antichi Varrone, Livio, Svetonio, Solino, Servio, Macrobio, Asconio, riportati dallo stesso Nardini, quì lo pongono in faccia, e presso il Clivo, la Concordia, il Milliare aureo, ed il Carcere: gli ecclesiastici vi surrogano la chiesa di s. Adriano martire.

Incontro sul Clivo era il tempio di Giunone Moneta, ossia la zecca e depositaria, messe vicine sotto la protezione della divinità, per assicurarle maggiormente.

Era diviso in due corpi: interiormente vi era l'Erario sanziore, dove era custodito l'oro, detto vicesimario, riservato secondo Livio per gli estremi bisogni. In questo tempio si conservavano gli atti relativi al "tesoro publico;" e vi si registravano tutte le nascite di bambini in Roma, e suburbi, secondo Servio.

È molto incerto chi ne sia stato il fondatore: dovrebbe rimontare alla più alta antichità, mentre la porta della città, che era da quella parte verso il Campo Marzo, fu detta di Saturno dalla vicinanza. In chiesa fu convertita, secondo Anastasio, da Onorio I nel 630. dedicata a s. Adriano martire (ma questa notizia sembra falsa).


FABIANO NARDINI

"E perchè l' Erario, crescendo sempre più il Romano Imperio, dovette andar richiedendo fabbrica capace tanto per la moneta, per le Tavole gli atti pubblici, i quali vi si conservavano: pare me giusto doversi supporre, che di tempo in tempo in tempo la fabbrica dell'Erario si ampliasse. 

Quindi vi fu poi aggiunta parte che Sanctius mrarium si diceva, di cui Cicerone nella terza Verrina, e nella seconda Epistola del settimo ad Attico fa espressa menzione; il quale perciò essere Stato nella parte più intima ragionevolmente conchiude il Dempstcro ne' Paralipomeni alle antichità del Rosino. 

Nell' Erario detto più Santo essere stato quell' oro, che Vicesimario dicevasi, mostra Livio nel settimo della terza c. 13.: "Cetera expedientibus, quae ad bellum Opus erant, Consulibus, aurum vicesimarium, quod in sanctiore aerario ad ultimo casus servaretur promi placuit."

Quindi Cesare nel libro I De Bello Civili, cap 14, "Quibus rebus Romam nunciatis tantus repenre terror invasit, ut cquum Lentulus consul ad aperiendum aerarium venisset ad pecuniam Pompeio ex S.C. proferendam, protinus aperto sanctiore aerario ex Urbe profugeret"

A chi poi fisso nelle denominazioni dei luoghi moderni non piace credere che S. Salvatore sia detto In Statera, et in Aerario vanamente, si può col Donati soggiungere, che non un solo Erario Pubblico fu sempre in Roma, perchè Augusto avervi introdotto il militare, per cui si servì forse il nuovo Tempio di saturno, che del medesimo Svetonio nel 29 di Augusto fabbricato si dice da Munazio Planco, e non è inverosimile fosse S. Salvatore in Erario."

Sembra dunque che la Chiesa di S. Salvatore in Lauro si trovasse nei pressi della odierna Chiesa di S. Maria in Portici, in piazza Campitelli, e che lì sotto pertanto si trovasse l'Erario Saturni che venne pertanto distrutto.

CHIESA DI S. ADRIANO - ACHILLE PINELLI 1834


6)  CHIESA DI S. ADRIANO - SOPRA CURIA IULIA

Gli scrittori ecclesiastici, parlando di questa chiesa, come di quella di s. Martina, e de' ss. Cosma, e Damiano, le dicono poste IN TRIBVS FORIS, vale a dire, in mezzo ai tre Fori, Romano, di Cesare, e di Augusto. Perciò è stata la chiesa di s. Adriano chiamata anche volgarmente in Triforio, e Treforo.

Sull'altare maggiore vi sono due belle colonne di porfido rosso: dell'antico tempio nulla vi è restato visibile; e può dubitarsi anche del muro della facciata, almeno molto variato. La porta antica di bronzo, che Alessandro VII., facendo restaurare questa chiesa, trasportò alla Lateranense, è opera d'Adriano I.

La chiesa di S. Adriano fu edificata sopra la Curia Iulia nel Foro Romano da papa Onorio I (che tanti monumenti romani distrusse) nel 630, come ricorda Anastasio bibliotecario: "Fecit ecclesiam beato Hadriano martyri in Tribus Fatis, quam et dedicavit et dona multa obtulit"; e papa Adriano I la intitolò al santo suo protettore, la dotò di molti benefici e la elevò al rango di diaconia (seconda metà dell'VIII secolo).

FOTOGRAFIA DEL 1864, LA CHIESA PERSISTE
Dai cataloghi antichi la chiesa era chiamata in tribus foris, perché al crocevia dei fori romani, o in tribus fatis, nome che deriva dal gruppo delle tre Parche le cui statue ornavano il foro.

E' un edificio ben conservato, perché nel 630, durante il pontificato di papa Onorio I, l'edificio anzichè venire abbattuto come tanti edifici romani, venne trasformato in chiesa, assumendo il nome di Sant'Adriano al Foro.

La chiesa subì importanti restauri nel 1228 sotto Gregorio IX: il piano di calpestio dell'antico senato romano fu rialzato di tre metri; l'aula, finora a navata unica, fu trasformata in chiesa a tre navate con antiche colonne di spoglio; l'abside era rialzato, per l'edificazione, sotto l'altare maggiore, di una cripta a pianta semicircolare. In seguito l'edificio cadde in disuso.

LA CURIA IULIA OGGI
La Curia e il secretarium erano anticamente uniti: fino al principio del secolo XIV fra le due chiese, di S. Adriano e S. Martina, si trovavano i resti di un cortile con colonne romane, e dietro S. Adriano stanze e sale antiche. La Chiesa fu ristrutturata nel 1653 rivestendo le tre navate medioevali con stucchi e rilievi barocchi, di stile seicentesco. Successivamente la struttura medievale e barocca venne smantellata nel vasto piano di recupero delle opere classiche romane, e ripristinata nell'originale negli anni '20 del XX sec..

L’attuale grande edificio in laterizio, ampiamente restaurato negli anni 1930-1936, dopo la demolizione della chiesa di S. Adriano, conserva l’aspetto della Curia, sede del Senato, nella ricostruzione voluta da Adriano, ed è attualmente visitabile.

COSIDDETTO TEMPIO DI ROMOLO XVIII SEC.

7)  TEMPIO DI ROMOLO, E FICO RUMINALE - ORA CHIESA DI S. TEODORO

Fu costruita nel VI secolo e dedicata a san Teodoro di Amasea, sulle rovine degli Horrea Agrippiana, probabilmente riutilizzando un tempio circolare preesistente. La tradizione voleva che il tempio fosse dedicato a Romolo, e che qui fosse conservata la Lupa capitolina fino al 1471, prima di essere spostata al Laterano; un'ara antica è conservata e visibile nel cortile della chiesa.

Così la descrive Ridolfino Venuti, in "Accurata e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma" (Volume 1, Roma 1763, p. 2)
"Vedesi da questa parte alle radici del Palatino un Tempietto dedicato a S. Teodoro dal volgo detto Santo Toto, di dove principieremo il nostro giro, che credo fosse prima dedicato a Romolo, dove forse furono esposti i due Fratelli [cioè, Romolo e Remo, abbandonati al Tevere, si credeva, lì presso], fabbricato fino dagli antichissimi tempi, e conservato sempre nel suo piccolo, e povero stato. 

Gli Antiquarj non fanno menzione di questo Tempietto, non l'avendo riguardato come antico: ma se avessero letto Vittore, e Rufo, averebbero veduto segnati da questi autori due Tempi, uno situato nella IV Regione detta Via Sacra dedicato ai due Fratelli, l'altro nell'VIII detta del Foro Romano dedicato a Romolo. 

La tradizione, l'antichità, l'esser nominato col nome di un Santo Soldato, l'uso di portarvi i bambini infermi, come anticamente, sono congetture, che fanno indubitabilmente credere essere stato il Tempio antico. 

Il Torrigio nella Istoria di questa Chiesa rapporta le varie opinioni intorno a chi dedicato fosse questo Tempio, risolvendo che la più approvata si è che fosse dedicato a Romolo da Tazio Re de' Sabini. Il Mosaico Cristiano pare molto antico, e del tempo di Felice IV. Stefano Infessura nel suo Diario dice, che essendo caduto da' fondamenti, Nicolò V lo risarcì, dopo d'avere acconciato il più antico, e soggiunge che lo rifece un poco più in là, ed un poco minor che non era [...]. 

In prova del Tempio Gentilesco non è lieve congettura la bella Ara che già era dentro il Tempio, e che da Clemente XI nell'ultimo risarcimento della Chiesa nel 1703 fu posta alla Porta: inoltre in questa Chiesa fino al Secolo XVI vi era la Lupa di bronzo con i gemelli che ai tempi del Pancirolo, o poco prima era in Campidoglio stata portata."

SAN TEODORO AL PALATINO

CARLO FEA

"Se in questo luogo furono esposti i due gemelli Remolo e Remo come ripa, dove arrivava il Tevere nelle sue ordinarie piene, avremo naturalmente quì il lato occidentale del Foro Romano per il Velabro; quale dovendo anche esser fatto più indietro, se tra di esso, e del fiume vi erano fabriche; avremo anche il Foro più angusto per questo verso.

Ivi era il Fico detto ruminale da ruma, ossia mamma; e il Lupercale detto dalla lupa, che ivi allattò i bambini; lupa, o donna, che fosse. Vi fu eretto per memoria un tempio, e istituiti dei sagrifizi, e dei giuochi, detti lupercali dalla Dea Luperca, secondo Varrone presso Arnobio.

Il Fulvio scrive, che quì fosse trovata la lupa di bronzo, ora in Campidoglio; e Flaminio Vacca in generale nel Foro Romano. Non si sa quando fu convertito in chiesa, che Adriano I. nel 774. riparò, e che secondo il Platina per l'anno santo del 1450.

Niccolò V. rifabricò di pianta, ma al piano antico: il card. Barberino vi rinnovò il tetto, restaurò i muri, e il mosaico della tribuna; altre riparazioni vi fece Clemente XI. nel 1706. Fu dedicata a s. Teodoro martire, volgarmente santo Toto."

(Carlo Fea 1819)

CHIESA DI SANTA MARIA LIBERATRICE

8) TEMPIO DI VESTA, ORA S. MARIA LIBERATRICE

Giuseppe Vasi scelse di includere S. Maria Liberatrice, un edificio minore del XVII secolo, nel suo libro del 1753 che copriva le più antiche chiese di Roma partendo dal presupposto che sorgesse sul luogo di una chiesa molto antica, sebbene a suo tempo questa convinzione non fosse supportato da prove chiare. La scelta permise a Vasi di rappresentare il Foro Romano, o Campo Vaccino (Campo delle Mucche) come veniva chiamato all'epoca, che aveva già mostrato nelle tavole 31 e 32 da un altro punto di vista.

Nella descrizione che segue la targa Vasi faceva riferimento a:  1) Tempio di Giove Statore (ora noto come Tempio di Castore e Polluce);  2) Mura di Curia Ostilia e Basilica Porzia;  3) S. Teodoro;  4) Orti Farnesiani.  5) S. Maria Liberatrice;  6) sito approssimativo di Casa delle Vestali.

Alla fine del XIX secolo l'area fu scavata per una ventina di metri per portare alla luce i resti degli antichi monumenti che si trovavano sottoterra e alla fine nel 1900 fu abbattuta S. Maria Liberatrice. 

Se non fosse per le tre colonne di Tempio di Castore e Polluce e per le imponenti pareti sullo sfondo sarebbe difficile credere che la stampa e la foto mostrino la stessa posizione.

OGGI

CARLO FEA

"Merita una particolar attenzione la località di questo tempio, benchè più non esista. Era quì veramente fondato da Numa accanto alla sua abitazione, con un collegio di 4., che in seguito crebbero a 6. Vergini, che vi custodivano il fuoco sacro a Vesta, e il Palladio, come cose fatali, in pegno della sicurezza dell'impero.

Da Flavio Biondo in poi si era voluto trasferirne il titolo al tempio rotondo sul Tevere vicino al ponte senatorio; ma oramai questa opinione è smentita. Tutti gli scrittori antichi quì lo designano: si è detto, che Orazio vi trapassò davanti, per andare al Foro dalla Via Sacra; e che il Colosso di Domiziano lo riguardava: e sul fìne del secolo XV. vi furono trovate accanto le 12. iscrizioni, non sepolcrali, ma onorarie, di altrettante Vergini Vestali Massime, che ora diremmo abbadesse, riportate dal Grutero, e da tanti altri.

Era rotondo, perché Vesta figurava la terra. Arse nell'incendio Neroniano; lo ristaurò Vespasiano: arse nuovamente nell'anno 191, sotto Commodo,  col tempio della Pace, e lo ristaurò Giulia Pia, come di femmine; quando il marito Settimio Severo riparava le altre fabriche.

Hanno esistito le Vestali, ed è stato aperto il loro tempio sino a Teodosio il grande, il quale sull'ultimo della vita sua, che fu l'anno 395., proibì darsi loro i soliti alimenti, e fece chiudere tutti in generale i tempi gentileschi, secondo Zosimo.

Quando ivi fosse eretta una chiesa cristiana, non è facile il provarlo. Il Martinelli, ed altri senza dato alcuno scrivono, che s. Silvestro lo dedicasse alla B. Vergine; e che poi da lui prese il nome di s. Silvestro in lacu, per il vicino fonte, e laghetto di Giuturna.

Fu detta la chiesa anche dell'inferno, forse prendendo origine dal fuoco delle Vestali. Dopo riparazioni di Gregorio XIII., e di Sisto V., il card. Marcello Lante nel 1617. la rifece dai fondamenti, rialzandola per salvarla dall'umidità. Il bassorilievo di Mezio Curzio Sabino, che a cavallo s'ingolfa nella palude, ora alla scala del palazzo dei Conservatori, quì fu trovato."

(Carlo Fea 1819)

TEMPIO DI ANTONINO E FAUSTINA

9) CHIESA DI S. LORENZO IN MIRANDA - TEMPIO D'ANTONINO E FAUSTINA

"La iscrizione, che ancora si legge sulla fronte di questo tempio, lo dice eretto dal Senato all'imperatore Antonino Pio, e alla di lui consorte Faustina, come a deità. Le mura della cella ai due lati, che ancora si vedono, erano di peperini, coperti di marmo.

Il portico esiste con 10 colonne di marmo caristio, detto ora cipollino, alte 43. piedi, e 3. quarti, quanto quelle del Panteon; ma sfregiate in alto per appoggio di tetti in tempi barbarici. Il fregio con bassirilievi di grifi, candelabri, e vasi, è il più conservato, e il più bello, che esista in quel genere.

Nel 1807 e 1810 fu scavato tutto intorno il portico; e fu trovata la scala sulla Via Sacra, selciata, di 21. gradino, alta 15 piedi, in parte conservata, col sotto scala, e sua porta di marmo; in seguito tutto esattamente publicato inciso dal Feoli.

COME ERA NEL 1606

Non si sa quando sia stato convertito in chiesa. Martino V. nel 1430, essendo Collegiata, la concesse alla università degli Aromatarj, ossia Speziali. Dessi vi fabricarono da principio alcune cappelle fra le 10 colonne del portico, ed un ospedale per i poveri della loro professione; ma in occasione, che nel 1536 venne a Roma Carlo V., il Senato Romano fece sbarazzare il portico.

Nel 1607 gli Speziali aprirono la chiesa attuale nell'antica cella, con facciata barrocca dentro al portico, ingombrato fino a un terzo delle colonne, e con cancellate: architettura del Torriani."

Le colonne hanno scanalature orizzontali in alto, per tenere le corde con le quali si tentò di far crollare l'edificio per recuperarne i materiali.

La Roma papalina ebbe questa mania di distruzione dell'antico perchè pagano e pertanto demoniaco. Essendo però monolitiche, un vero gioiello d'architettura, le colonne dovettero fortunatamente avere più resistenza del previsto.

Nell’XI secolo, il Tempio di Antonino e Faustina fu trasformato nella chiesa di San Lorenzo di Miranda poichè si riteneva che in quella zona San Lorenzo fosse stato condannato a morte; il nome Miranda, invece, potrebbe forse derivare dalle bellezze del luogo, secondo altri dal nome della istitutrice di un monastero vicino o di una benefattrice.

Durante il 1536, nella venuta a Roma di Carlo V, la chiesa fu rasa al suolo in modo che il portico del Tempio fosse nuovamente visibile. La chiesa fu ricostruita nel 1602 in stile barocco occupando la cella del Tempio e il pronao, a causa dell'interramento venne innalzata di sei m.

CHIESA DI SAN LORENZO IN MIRANDA
Sono stati rinvenuti pezzi di due statue a grandezza maggiore del naturale di Antoninus Pius e Faustina, sicuramente le statue di culto del tempio, ridotti in frantumi quando il cristianesimo proibì il paganesimo.

Con il Rinascimento si diffuse poi l'uso di collezionare pezzi antichi. Talvolta le parti decorate venivano asportate e ridotte in lastre, più maneggevoli.

Per spezzare i blocchi si inserivano  cunei di legno bagnati che dilatandosi spaccavano la pietra, ma se non si teneva conto delle venature naturali la frattura danneggiava il marmo che veniva abbandonato. Oppure si macinavano i marmi e le statue per farne calce. Il tempio suddetto non fece eccezione, depredato vandalicamente come tanti monumenti dai papi romani.

Nel 1430 il papa Martino V concesse la chiesa al Collegio degli Speziali, oggi Collegio Chimico Farmaceutico, che ne ha ancora la giurisdizione, anche se ormai non ha alcun utilizzo, per cui, come al solito, il monumento appartiene alla Chiesa, la manutenzione invece è a carico del comune di Roma ma l'interno non è mai visitabile.

NECROPOLI VATICANA DI VIA TRIUMPHALIS

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L’Area archeologica della Necropoli Vaticana, scavata sotto i giardini vaticani, attraversata dall’antica Via Triumphalis e dalla Via Cornelia,  copre quasi 1000 m² e ospita resti archeologici quali mosaici, affreschi, ma soprattutto oltre 1000 tra tombe e sepolture varie. Essa è ubicata lungo il fianco nord-orientale del Colle Vaticano, il cui periodo di frequentazione è compreso tra la fine del I sec. a.c. e il IV d.c., esattamente fino al 320 d.c. .

La scoperta di questo settore della necropoli è iniziata nel 1956 in occasione degli scavi per la costruzione dell'Autoparco vaticano. L'area comprende una ventina di strutture e di piccoli
edifici sepolcrali di dimensioni e tipologie diverse, che si dispongono lungo il pendio particolarmente ripido del insieme a un numero molto elevato di sepolture singole.

LA POSIZIONE
Tra le tombe dell'Autoparco si segnalano per la decorazione i sepolcri 4 e 6. Il sepolcro 4, databile alla metà II sec. d.c., presenta un elegante decorazione pittorica. In particolare la parete a fondo bianco di uno degli arcosoli è decorata da rose rosse, tra le quali compaiono un uccellino e un oggetto legato con nastri, analogo a quelli che venivano appesi nei portici delle case romane.

Negli scavi 2009 - 2011 lo scavo tra il settore dell'Autoparco e quello di S. Rosa ha portato in evidenza un'interessante stratigrafia archeologica. Questa sequenza di scavi di terreno sovrapposti, che si distribuisce cronologicamente dall'era romana a quella moderna, è stata riprodotta sullo sfondo della vetrina a fianco.

Qui i reperti sono posizionati in corrispondenza dei livelli in cui sono stati rinvenuti, alcuni di essi sono coevi agli strati relativi, in altri casi i materiali sono più antichi (residui). Il periodo di frequentazione della necropoli è documentato dai numerosi oggetti posti a corredo delle sepolture e usati nei rituali funerari. Gli strati relativi alla fase di abbandono del sepolcro non hanno restituito invece materiali datanti.

COME DOVEVA APPARIRE IN EPOCA ROMANA
In era moderna venne praticata una profonda fossa che venne riempita con materiale di riporto contenente frammenti di vasellame in maiolica e oggetti d'uso comune. Più in superficie furono accumulati depositi di terreno con materiali di scarto provenienti da una fornace che doveva trovarsi nei pressi.

Tale area e il suo ampliamento, risultato degli scavi archeologici diretti tra il 2009 e il 2011 dal Dipartimento Antichità greche e romane dei Musei Vaticani unisce l’area dell’Autoparco (scavi 1956-58) con l’area riportata alla luce dagli scavi nel settore di Santa Rosa (scavi 2003), fino a qualche tempo fa separate.

I lavori di scavo, di schedatura e catalogazione, di riallestimento dell’area sono stati resi possibili grazie soprattutto ai contributi finanziari dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums. I musei Vaticani, a differenza di quelli italiani, possono contare ogni anno su 1,5-2 milioni di euro da spendere per restauri ed interventi di valorizzazione.



Per la Necropoli vaticana, pare che per l’ultima fase dei lavori siano stati investiti dai Patrons circa 650.000 €, utilizzati non solo per gli scavi, ma anche per strumentazione didattica, illuminazione, monitor touch-screen, percorsi guidati, etc. 

Uno degli scopi principali è di realizzare un archeo lab, totalmente aperto al pubblico; un luogo dove sarà consentito al pubblico non solo di visitare l’area in oggetto, ma anche di assistere agli stessi lavori di scavo che di volta in volta continueranno ad essere effettuati.

Nonostante la sua posizione sotto i Giardini Vaticani di oggi, questa era solo una collina erbosa al di fuori delle mura della città all'epoca, e gli archeologi stimano che probabilmente solo una parte - forse 50 - delle tombe potrebbe essere appartenuta ai primi cristiani.



Fortunatamente, le colate di fango hanno coperto gran parte della necropoli, preservandola notevolmente bene, si che molti affreschi sono sopravvissuti, così come parte della pittura con cui i romani solevano dipingere le statue per renderle più verosimili.

Ciò che rende questa scoperta ancora più notevole è che queste erano in gran parte le tombe di semplici operai, borghesi e poveri romani, non le solite tombe elaborate della classe patrizia che sono sopravvissute così bene altrove. Si è rivelato un tesoro di informazioni sulla vita quotidiana - o almeno sulle pratiche di sepoltura - dell'uomo comune nei tempi antichi.

Le passerelle moderne che ti guidano attraverso gli scavi in corso forniscono una vista eccellente delle tombe disseppellite e dei loro contenuti, e sono ben affiancate da segni e targhe interpretative che fungono da guida turistica.

CAMERA CIMITERIALE NELLA SEZIONE "AUTOPARCO" 
Ma nel tragitto vi sono anche stazioni video che aiutano a ricreare l'aspetto di una sezione, specialmente quando detto tragitto appare interrotto su un pendio erboso sotto il sole. Il tour dura circa due ore, i tour in inglese sono attualmente offerti il lunedì e il sabato (e alcuni martedì) alle 8:30 am.

La Necropoli rivela resti appartenuti ad una classe sociale medio-bassa (liberti, piccoli artigiani, come Alcimo, schiavo di Nerone addetto alle scenografie del teatro di Pompeo), mentre nelle ultime fasi si alza la classe in quanto le ricche famiglie di cavalieri acquisirono le tombe più povere, ormai in abbandono, riconvertendole in tombe di lusso, con sarcofagi e mosaici di un certo pregio.

Lungo la via Trionfale il nuovo settore denominato S. Rosa è stato scavato nel 2003. Frequenti smottamenti del terreno e una grande frana di ghiaia e argilla ne determinarono l'abbandono in alcuni casi, mentre in altri casi procurarono un innalzamento del terreno con la costruzione di nuove tombe.

Il nuovo percorso di visita si articola attraverso i resti della Necropoli, offrendo ai visitatori la possibilità di ammirare nel suo complesso, ma anche di apprezzare più da vicino, i numerosi elementi decorativi: marmi, mosaici, stucchi e affreschi, che hanno recuperato il suo splendore dopo i recenti restauri.


Tra le notevoli novità dello scavo c'è il ritrovamento di un'area destinata alla cremazione (ustrino), che è raramente conservata in complessi di questo tipo. Sono state montate all'uopo due nuove vetrine per l'approccio tematico degli ornamenti utilizzati per i rituali funerari, gli oggetti personali del defunto e i vari preparativi per la sepoltura dopo l'incenerimento o l'interramento.

Una terza nuova vetrina illustra gli scavi del 2009-2011 secondo il metodo stratigrafico degli archeologi, al fine di mostrare un autentico dipinto sintetico della sezione di scavo. Lungo il percorso di visita sono stati esposti anche altri detriti dall'edificio vicino alla stessa Necropoli che non erano però più visibili (Settore "Annona") o che normalmente non erano aperti al pubblico (settore "Galea"), al fine di integrare e dare più valore al carattere museale dei resti.

Come esempio della volontà di considerare questa area archeologica un vero laboratorio di ricerca, è anche opportuno menzionare la ricerca e gli studi scientifici che vengono effettuati, come le indagini geo-radar e le analisi antropologiche. La necropoli è una vera fonte di informazioni per gli usi, le tecnologie e i materiali dell'epoca.

Per quanto riguarda quest'ultimo, il Prof. Henri Duday dell'Università di Bordeaux, in collaborazione con l'École Française di Roma, ha svolto ricerche sull'incenerimento; e il servizio di antropologia della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, coordinato dalla signora Paola Catalano, le indagini sulle inumazioni.

III REGIO AUGUSTEA - LUCANIA ET BRUTTIUM

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PAESTUM

STRABONE 
Geografia VI.1.1-15

 "Dopo le foci del Sele si giunge in Lucania, e al tempio di Hera Argiva, fondato da Giasone, e nelle vicinanze, a meno di cinquanta stadi, a Posidonia. Quindi, navigando oltre il golfo seguente, si giunge a Leucosia, un'isola, molto prossima alla costa. L' isola prende il nome da una Sirena, che venne abbandonata qui sulla spiaggia quando le sirene, così racconta il mito, si immersero nelle profondità del mare. Di fronte all'isola si trova quel promontorio che opposto a Sirenussae e con esso forma il golfo di Posidonia".



I CONFINI

La Regio III Lucania et Bruttium, confinava ad est ed a nord con la Regio II Apulia et Calabria, a nord-ovest con la Regio I Latium et Campania, e a sud era racchiusa tra Mar Ionio e Tirreno fino al Fretuum Siculum (stretto di Messina). Lo stretto era già noto nell’antichità come stretto di Scilla e Cariddi dal nome dei due mostri omonimi che funestavano la navigazione tra Calabria e Sicilia; in seguito divenne il fretuum siculum.
Geograficamente, confinava a oriente con il fiume Bradanus (Bradano) che scorreva poco ad ovest di Mateola (Matera), e a nord e a occidente con il corso inferiore del fiume Silarus (Sele).



IL SUOLO

La Regio III, posta nel suolo italico meridionale e voluta dall'imperatore Augusto, comprendeva:

- l'attuale Calabria abitata dai Bruttii (o Bruzi) e dai Greci.
- l'odierna Basilicata con l'esclusione del Melfese, zona della Basilicata del nord, che era sannita e della Valle del Bradano, nella parte orientale della Basilicata, che apparteneva all'Apulia (Puglia).
- il Cilento, area montuosa della Campania in provincia di Salerno, ed il Vallo di Diano nel sud della Campania e al confine con la Basilicata, nella provincia di Salerno meridionale, ambedue abitate dai Lucani.
Sulla costa tirrenica il confine tra le due popolazioni era segnato dal fiume Laus (Lao) e dallo spartiacque del Pollino. Sul versante ionico si trovava tra le colonie greche di Metaponto a nord, e di Sibari a sud, entrambe Osche di ceppo sannitico.

PONTE LUCANO

LA STORIA

Sbarcati i Greci sulle coste calabresi, strapparono le terre ai Lucani (costretti a rifugiarsi nell'entroterra e nella parte settentrionale della Calabria), e si mescolarono con i popoli autoctoni, dando vita ad una cultura greco-italica, estremamente florida nei secoli successivi. I Greci fondarono fiorenti colonie, la Magna Grecia (Grande Grecia), così importanti da superare la madrepatria.

Tra l'VIII ed il IV sec. a.c. infatti fiorivano su tutta la costa numerose ed importanti città. I Lucani furono una popolazione appartenente al ceppo italico e di lingua osca, che giunse, nel V secolo a.c., nella terra che da essi prese il nome di Lucania. Prima dei Lucani le regioni erano occupate dai Coni e dagli Enotri. Ma in seguito i Sanniti accrebbero la loro potenza e scacciarono i Coni e gli Enotri, e questa regione venne occupata delle tribù Lucane. Ma anche i greci aumentarono la loro presenza su entrambe le coste fino allo stretto, i Greci e i barbari si fecero la guerra per molto tempo.

L'entroterra della Calabria ( "Bruttium"), fu abitato principalmente dai Bruzi, di temperamento bellicoso, chiamati Brutti o Bruzzii, o Bretti (che significa ribelli) strettamente imparentati coi Lucani, oltre che da genti di origine iberica. I Bruttii  inizialmente divennero pastori e servi dei Lucani, prevalentemente nomadi, soprattutto nella Regio III augustea. Lo scrittore romano Pompeo Trogo narra che discendessero dai Lucani e che gli si ribellassero intorno al 356 a.c., durante la lotta tra Dione di Siracusa (tiranno di Siracusa 357-354 a.c.) e Dionisio II (tiranno di Siracusa 367-357 a.c. e 347- 344 a.c. e tiranno di Locri 357-347 a.c.). 

REGIO III (INGRANDIBILE)
Ormai libere, le tribù dei Bruzi si coalizzarono in una lega, ed eressero a capitale la città, forse anche preesistente, di Consentia, per l'ottenuto "consenso" delle varie tribù, oggi Cosenza.

I Romani ebbero i primi contatti con i Lucani intorno al 330 a.c, quando formarono un'alleanza a contro i Sanniti che attaccavano a nord. Ma i Romani trovarono la loro occasione nel 285 a.c. e poi nel 282 a.c., quando la città magno-greca di Thurii, assediata dal principe lucano Stenio Stallio
chiese aiuto ai Romani.

I Lucani, dapprima alleati ma successivamente ribellatisi, vennero sconfitti dalle truppe del console Gaio Fabricio Luscino, che stanziò nella città una guarnigione, come riportano i Fasti triumphales. Fabricio, console nel 282 a.c., rifiutò per due volte, nel 282 a.c. dai Sanniti, e nel 280 da Pirro, cospicui doni rivolti a corromperlo.

Successivamente una squadra marittima romana, perlustrando il mar Ionio, entrò in conflitto con i Tarentini che, irritati, distrussero quattro navi catturandone una. In difesa della città ionica sbarcò a Taranto Pirro, re dell'Epiro che, appoggiato dai Lucani, Bruzzi e Sanniti ottenne una vittoria di misura nella battaglia fra Pandosia ed Heraclea nel 280 a.c.
Dopo appena quattro anni, nel 275 a.c. Pirro venne sconfitto a Maleventum e tornò in Epiro.

Taranto si arrese ai Romani nel 272 a.c., così il dominio della repubblica romana si estese su tutte le colonie greche dell'Italia meridionale. In conseguenza di ciò, nella regione lucana si ebbe un declino economico, provocato dalla politica di sfruttamento dei territori conquistati, acquisiti come suoli di proprietà dei vincitori.

Dopo un tentativo di riscatto mediante l'aiuto fornito ad Annibale nel III sec. a.c., l'ennesima sconfitta provocò un inasprimento della sottomissione da parte dei romani e nel territorio lucano vennero dedotte le colonie di Potentia e di Grumentum, dove furono reclusi i ribelli lucani e brutii sottomessi dai romani.

Nel II sec. a.c. i Romani operarono il prolungamento della via Appia fino a Brindisi e un tratto di acquedotto, con lo sviluppo dei centri romani sul percorso della via, tra i quali Venosa, patria di Orazio.

A questa si affiancò la Via Popilia, che attraversava l'Appennino lucano, attraversando Sirinos e Nerulum, e una sua diramazione, che da Paestum congiungeva le colonie tirreniche Velia, Buxentum, Cesernia, Blanda Julia e Laos a Cosenza.

TETRADRACHME V-IV SECOLO A.C. DELLA REGIA III

LE CITTA' PRINCIPALI

Un tempo floride colonie della Magna Grecia le città di Lucania et Bruttii poco rifulgevano in età augustea, non avendo più il monopolio dei commerci del sud italico col mediterraneo orientale.
 
- Acheruntia 
Posta all'interno della regione, su un altipiano dai fianchi ripidi, tra il fiume Bradano e il suo affluente Fiumarella, è stata molto importante dal punto di vista strategico per la difesa del territorio. Le prime notizie di insediamenti abitati risalgono al VI secolo a.c. e sul luogo dell'attuale abitato nacque l'antica Acheruntia, citata dagli scrittori romani Tito Livio e Orazio.


- Anxia - (Anzi)
Fino al IV secolo a.c. abitato dall’antico popolo degli Enotri, poi dai Lucani, dai Greci e dai Romani. Anzi sorge alle falde del monte Siri.

- Blanda Iulia
BLANDA IULIA
Di Blanda Iulia ne parla Plinio ne la sua Naturalis historia, nel III libro:
« Sul litorale Bruzio, la città di Blanda, il fiume Baletum, il porto Partenio Focenio e il golfo Vibonese » Plinio colloca la città nel Bruzio, tra le terre degli Osci, ignorandone l'esatta collocazione.
Tolomeo, nella sua Geografia, pone la città di Blanda nell’interno della Lucania, nelle vicinanze di Potentia.
- Tito Livio, parlando della guerra contro i Cartaginesi, elenca delle città espugnate dal console Quinto Fabio, tra cui Blanda:« oppida vi capta Conpulteria, Telesia, Compsa inde, Fugifulae et Orbitanum ex Lucanis; Blanda et Apulorum Aecae oppugnatea »


- Casignana
- con villa romana a splendidi mosaici.


MOSAICO DI COSENZA
- Consentia (Cosenza) 
Cosentia, all'interno del territorio calabro, sorse nell'VIII secolo a.c., sul villaggio italico di Kos ("Kossa" nell'elenco delle città situate in Calabria compilato nel V secolo a.c. dallo storico greco Ecateo di Mileto, ), Nel IV secolo a.c. venne conquistata dal popolo bruzio, insieme ai Siculi della Locride, che fece la propria capitale di Cossa (o Cosa) nella Valle del Crati. I Romani, dopo la sconfitta patita per mano degli alleati bruzi di Annibale (ca. il 201 a.c.) cambiano il nome in Co[n]sentia per rilevare il "consenso" dei due fiumi (Livio: ubi consentiunt flumina), cioè il loro congiungersi.
Il popolo dei Bruzi, antichi abitatori della Calabria, simile ai confinanti Lucani, si dichiarò indipendente nel IV sec. a.c., costituendosi in stato confederato. La capitale dei federati era Consentia, (Cosenza) che fiorisce al massimo del suo splendore sotto Augusto. La città si sviluppò rapidamente e giunse ad esercitare il proprio controllo anche sulla Lucania e su quasi tutte le città della Magna Grecia calabra, che caddero una dopo l'altra sotto i continui attacchi dei Bruzi. Una volta sottomesso dai romani, Cosentia divenne un'importante statio lungo la Via Capua-Rhegium. Sotto l'impero di Augusto assunse le caratteristiche di città commerciale che mantenne sino all'età tardo-imperiale.


Copia
nel 194 a.c. divenne colonia a diritto latino ad opera dei romani.


- Falcomatà 
- resti delle mura greche sulla collina del Trabocchetto, 
- resti delle mura greche sulla collina degli angeli
- scavi archeologici dell'Agorà e del Foro romano con stratificazioni fino al XIX sec. in piazza Italia 
- scavi archeologici di necropoli ellenistica nel quartiere di San Giorgio Extra
- rudere dell'Odéon di Reggio (o forse un Ekklesiasterion) in via del Torrione
- tomba ellenistica in via Demetrio Tripepi
- terme romane sul lungomare Falcomatà 
- resti di un Athenaion in un bar del lungomare Falcomatà.

BRONZO DI GRUMENTUM


- Grumentum 
In provincia di Potenza.Abitata fin dal VI secolo a.c., ma fondata nel III secolo a.c. ad opera dei Romani, come avamposto fortificato durante le guerre sannitiche. Da Grumentum passava la via Herculea, tra Venusia e Heraclea, e un'altra strada conduceva alla via Popilia sul versante tirrenico, rendendo la città un importante nodo di comunicazione. Tito Livio narra dello scontro tra il cartaginese Annone e l'esercito romano condotto da Tiberio Sempronio Longo, e di come Annibale si fosse accampato a ridosso delle mura della città e fosse quindi stato sconfitto e costretto alla fuga dai Romani, provenienti da Venosa e guidati da Gaio Claudio Nerone. Durante la guerra sociale la città si schierò con i Romani e venne distrutta e saccheggiata dagli Italici, con un periodo di crisi e di calo demografico. Ma nella seconda metà del I secolo a.c. la città venne ricostruita con edifici monumentali, divenendo poi colonia romana.


- Heraclea - (Eraclea)
Posta sul versante Ionico, in provincia di Matera, fondata dai coloni Tarantini e Thurioti nel 434 a.c., un tempo nemici, su un'altura tra i fiumi Agri e Sinni sui resti della città di Siris. Nel 374 a.c. divenne capitale della Lega Italiota al posto di Thurii caduta in mano ai Lucani.
Nel 280 a.c. la città fu teatro della battaglia di Eraclea tra Taranto e Roma, e divenne città confederata di Roma. Alla fine della guerra tra Romani e Tarantini, Eraclea, come Lucania e Puglia, cadde sotto il dominio romano. Nel 212 a.c. venne conquistata da Annibale e riconquistata dai romani. Nell'89 a.c. ottenne la cittadinanza romana. Durante l'età imperiale iniziò la sua decadenza.

HERACLEA

- Hipponion
attuale Vibo Valentia, era la città dei Bruttii, chiamat prima Veiponion poi Eiponion, dai greci che ne fecero una loro colonia, chiamata poi Vibo Valentia dai romani; Nella seconda metà del VII secolo a.c. i greci di Locri Epizefiri fondarono la sub-colonia con il nome di Hipponion. Alla fine del VI secolo a.c., la città sconfisse in battaglia Crotone con l'aiuto di Locri e Medma; la notizia è riportata su uno scudo con incisa una dedica ritrovato a Olimpia.
Hipponion, Reggio, Kaulon, Kroton, Thurii, Velia e altri centri minori, si allearono contro Siracusa, creando la cosiddetta Lega Italiota, tuttavia nel 388 a.c. dopo la sconfitta degli Italioti a Kaulon nella battaglia dell'Elleporo, Dionisio conquisterà Hipponion e deporterà parte degli abitanti a Siracusa, consegnandone il territorio ai Locresi. Seppur conquistati dai romani durante la II Guerra Punica, vennero riconquistati dai Bruttii passati dalla parte di Annibale.
Nel 192 a.c., finita la II Guerra punica, i Romani vi deducono una colonia a diritto latino (Liv., XXXV, 40, 5-6) chiamata Valentia, con diritto di zecca e varie autonomie. Il nome Valentia (attestato sulle monete della colonia e dall'epigrafe di Polla che ricorda la costruzione della via Popilia), un massiccio invio di coloni , ben 4.000 soldati, di sicuro con donne e figli. Dall'89 a.c. divenne municipio romano.
Il porto di Vibo Valentia fu anche militare: nel 218 a.c. venne utilizzato dai Romani in lotta contro Annibale; nel 200 a.c. fu la base per la flotta romana in partenza per la guerra Macedonica; nel 46 a.c. fu base per la flotta di Cesare nel 36 a.c. e fu il quartier generale di Augusto nella guerra contro Sesto Pompeo. Il "portus Vibonensis"è stato localizzato in località Trainiti, di esso rimangono i resti del molo che si protende per 600 metri nel mare, ma buona parte si è interrato in seguito all'avanzamento della linea di costa. 


- Hyele  - (Elea)
Hyele, dai focesi che la fondarono, e da altri Ele, dal nome di una sorgente, ma adesso è chiamata Elea. Alcuni ritengono che prese nome dal fiume Elees [Salso]. Questa è la citta natale di Parmenide e Zenone, i filosofi pitagorici, e si trova a circa 200 stadi da Posidonia. Per il suo valore questo popolo riusci a controllare i Lucani e i Posidoniati, seppure fossero inferiori a loro sia per estensione del territorio che come popolazione.
A causa della povertà dei loro terreni, trassero il sostentamento dal mare, anche impiantando stabilimenti per la salagione del pesce. Secondo Antioco, dopo la presa di Focea ad opera di Harpagus, il generale di Ciro, i Focei si imbarcarono con le loro famiglie sulle navi e, sotto la guida di Creontiade, navigarono prima verso Cyrno [Corsica] e Massalia [Marsiglia], ma quando vennero scacciati da questi luoghi fondarono Elea.


- Incoronata
In provincia  Matera. L'Area Archeologica dell'Incoronata, detta anche Incoronata - San Teodoro, è un sito archeologico situato in territorio di Pisticci, in località San Teodoro, abitata a lungo dagli Enotri.
È un'area collinare sulla riva destra del Basento interessata da scavi archeologici che hanno portato alla luce i resti di un villaggio enotro risalente al IX sec. ac.


- Locri Epizefiri
Nei pressi dell'attuale Locri, fondata sul mar Ionio, nel VII secolo a.c., da greci provenienti dalla Locride. I coloni greci, giunti all'inizio del VII secolo a.c., si stabilirono presso lo Zephyrion Acra (Capo Zefirio), oggi Capo Bruzzano, e più tardi si insediarono pochi km a nord della città.
"Locri Epizefiri, che fu colonizzata da quei Locresi che stanno sul golfo di Crisa, condotti qui da Evante, poco dopo la fondazione di Crotone e Siracusa. Eforo, perciò, non è nel giusto quando afferma che si tratta di una colonia dei Locresi Opunzi. Questi coloni, dunque, abitarono per tre o quattro anni presso lo Zefirio e c'è là una fonte, chiamata Locria, dove i Locresi posero il loro accampamento. Poi trasferirono la loro città, con l'aiuto dei Siracusani. Da Rhegion a Locri vi sono 600 stadi; la città sorge sul pendio di un colle detto Epopis.»
(Strabone, Geografia, VI, 1, 7C259)
Locri Epizefiri fu famosa nell'antichità per il riconoscimento della discendenza matrilineare e per essere stata la prima città nel 660 a.c. a dotarsi di un codice di leggi scritte, attribuito al mitico legislatore Zaleuco per superare le ingiustizie della discrezionalità nelle sentenze dei giudici, spesso fonte di discordie sociali.


- Medma (Rosarno)
Antica colonia greca di Medma, fondata dai locresi alla fine del VI secolo a.c. La città scomparve nel II secolo a.c., sin dalla II guerra Punica, ed il suo posto fu preso da Nicotera, città di probabile fondazione medmea. 

METAPONTUM
Metapontum - (Metaponto) 
fondata da coloni greci dell'Acaia II metà VII sec. ac., come colonia della madre patria, richiesta dai Sibari per proteggersi dall'espansione di Taranto. Divenne molto presto una delle città più importanti della Magna Grecia. A Metaponto visse e operò Pitagora che vi fondò una delle sue scuole.
Metaponto stabilì un'alleanza con Crotone e Sibari collaborando alla distruzione di Siris nel VI secolo a.c. Nel 413 a.c. aiutò Atene nella sua spedizione in Sicilia.
Durante la Battaglia di Eraclea del 280 a.c. si alleò contro Roma con Pirro e Taranto, ma la vittoria romana punì severamente Metaponto, alcuni esuli metapontini trovarono rifugio a Pisticci, unica città fedele a Metaponto durante la guerra.
I romani vi edificarono un castrum, con una guarnigione romana, ma nel 207 a.c. la città ospitò Annibale e i romani la punirono nuovamente, distruggendola. Divenne poi città federata intorno al I secolo a.c. Nel 72 - 73 a.c. fu invasa dall'esercito di schiavi di Spartaco che la saccheggiarono.
Qui iniziò la decadenza e il progressivo abbandono della città, lentamente ricoperta dai sedimenti alluvionali dei fiumi.


- Metauros - (Gioia Tauro)
-  nei cui cantieri navali si approntano le navi che serviranno nelle guerre puniche ai Romani. Questi, nel 201 a.c., si insediano sul territorio e, oltre a mutare il nome in Metauria, provvedono nel 130 a.c. a far passare da qui la via Popilia (pressoché l'attuale tracciato dell'autostrada A3) ed a realizzare nuovi impianti urbani con sistema ortogonale.
Col passare dei secoli, però, la città diviene una semplice stazione navale identificata col nome del vicino fiume Metauros (Petrace) e così viene ricordata durante il regno di Tiberio (14-37 d.c.).


- Paestum
Posta sul versante tirrenico, nella regione Campania, nella Piana del Sele, nel golfo di Salerno, fu antica città della Magna Grecia chiamata dai fondatori Poseidonia in onore di Poseidone, ma devotissima ad Atena ed Era. Dopo la sua conquista da parte dei Lucani venne chiamata Paistom, per poi assumere, sotto i romani, il nome di Paestum. L'estensione del suo abitato è giunto fino a noi, racchiuso dalle mura greche, con le sue edificazioni di epoca lucana e poi romana.
Nel VII secolo a.c., la città di Sibari iniziò a fondare una serie di colonie lungo la costa tirrenica, con funzioni commerciali che posero in contatto i mondi greco, etrusco e latino, dando luogo a fiorenti commerci e a nuovi abitati come Poseidonia, ricca di templi giganteschi e stupendi.


- Pandosia
Pandosia Bruzia, che Tito Livio afferma si trovasse nei pressi di Cosenza. e ne cita la spontanea sottomissione ai romani insieme a Cosentia nel 204-203 a.c. Confinante con Heraclea, è considerata la più antica città pagana della Siritide. La città fu molto ricca e importante grazie alla fertilità del terreno e alla posizione strategica, infatti, i due grossi fiumi lucani, l'Agri e il Sinni, a quel tempo navigabili e l'antica via Herculea che da Heraclea risaliva per più di 60 km la valle dell'Agri fino alla città romana di Grumentum, agevolarono le comunicazioni e quindi una rapida espansione della città.
La città scomparve senza tracce, alcuni riferimenti la collocano fra i comuni di Castrolibero, Marano Principato e Marano Marchesato, ma recenti scoperte archeologiche la situano presso Acri, Aufugum (Montalto Uffugo), Argentanum (San Marco Argentano), Bergae, Besidiae (Bisignano), Lymphaeum (Luzzi).
Per Pandosia si narra che nel 330 a.c. il re epirota Alessandro il Molosso, venne sconfitto ed ucciso dai Lucani, sulle rive del fiume Acheronte (attuale Agri).
- Da: Tito Livio -
« Trovandosi il re non molto discosto dalla città di Pandosia, vicino ai confini dei Bruzi e dei Lucani, si pose su tre monticelli, per scorrere quindi in qual parte volesse delle terre dei nemici; aveva intorno a se per sua guardia un duecento lucani sbanditi, persone fedelissime, ma di quella sorte di uomini, che hanno la fede insieme con la fortuna mutabile.
Avendo le continue piogge, allagato tutto il piano, diviso l'esercito posto in tre parti, in guisa che l'una all'altra non poteva porgere aiuto, due di quelle bande poste sopra i colli, le quali erano senza la persona del re, furono rotte dalla venuta dei nemici, i quali avendo pattuito di essere restituiti alla patria, promisero di dar loro nelle mani il re vivo o morto.
Ma egli con una compagnia di uomini scelti fece un'ardita impresa che si mise a passare, combattendo, fra mezzo dei nemici; ed ammazzò il capitano dei lucani, che d'appresso lo aveva assaltato; ed avendo raccolto i suoi dalla fuga, giunse al fiume, che la furia delle acque aveva menato via.
Il qual fiume, passandolo la gente senza sapere il certo guado, un soldato stanco disse: Dirittamente sei chiamato Acheronte. 
TOMBA SIRITIDE
La qual parola, posciaché pervenne alle orecchie del re, lo fece ricordare del suo destino, e dubbio, se si doveva passare.
Allora, Sotimo, un ministro dei paggi del re, l'ammonì che i lucani cercavano d'ingannarlo; i quali poiché il re vide da lungi venire alla sua volta, in uno stuolo trasse fuori la spada ed urtando il cavallo, si mise arditamente per mezzo del fiume per passare; è già era giunto nel guado sicuro, quando uno sbadito lucano lo passò dell'un canto all'altro con un dardo.
Onde essendo caduto, fu poi trasportato il corpo esamine dalle onde, con la medesima asta insino alle poste dei nemici, ove ei fu crudelmente lacerato, perché tagliato pel mezzo, ne andarono una parte a Cosenza, e l'altra serbarono per straziarla; la quale mentre era percossa da sassi e dardi per scherno, una donna mescolandosi con la turba, che fuori di ogni modo della umana rabbia incrudeliva, pregò che alquanto si fermassero, e piangendo disse:
Che aveva il marito ed i figliuoli nelle mani dei nemici e che sperava con quel corpo del re, così straziato come gli era, poterli ricomprare. Questa fu la fine dello strazio; e quel tanto che vi avanzò dei membri fu seppellito in Cosenza, per cura di una sola donna, e le ossa furono rimandate a Metaponto ai nemici. Quindi poi riportate nell'Epiro a Cleopatra sua donna, e ad Olimpiade sua sorella; delle quali l'una fu madre e l'altra sorella di Alessandro Magno »


- Pisticci
area collinare sulla riva destra del Basento che hanno portato alla luce resti di un villaggio enotrio risalente al IX secolo ac.


- Policoro
In provincia di Matera, assoggetata ai Romani.

I BRONZI DI RIACE DI RHEGIUM 

Rhegium
Fu la più antica colonia greca dell'Italia meridionale, fondata sul precedente abitato degli Ausoni, poco dopo la metà dell'VIII secolo a.c. da genti calcidesi e messeniche. Narra il mito che secondo l'oracolo di Delfi: «Laddove l'Apsias, il più sacro dei fiumi, si getta nel mare, laddove, mentre sbarchi, una femmina si unisce ad un maschio, là fonda una città; (il dio) ti concede la terra ausone» (Diod. VIII,23; Strab. VI, 1,6).
Reggio raggiunse un notevole sviluppo artistico-culturale grazie alle scuole filosofica pitagorica, di scultura e di poesia con Pitagora e Ibico. Fu alleata di Atene nella guerra del Peloponneso e successivamente fu espugnata dai siracusani di Dionigi I nel 387 a.c. Divenne poi importante alleata e socia navalis di Roma, e quindi sede del Corrector (governatore) della Regio III Lucania et Bruttii, nonchè capolinea della Via Capua-Rhegium che la collegava a Capua in Campania traversando tutto il versante tirrenico meridionale della penisola.


- Ricadi 
Frazione di Torre Santa Maria, in  Provincia di Vibo Valentia (Magna Grecia). Fu greca e romana e conserva i resti di un insediamento greco del territorio di Hipponion. Negli anni '70-'80 si sono scavate delle abitazioni di quel periodo e anche una villa romana con deposito di anfore.


-Rosarno
antica colonia greca, fondata dai locresi alla fine del VI secolo a.c


- Rossano di Vaglio
In provincia di Potenza, area sacra che costituiva il santuario federale dei Lucani nel IV sec, ac., sorto in un'area coperta di fitti boschi e in prossimità di una sorgente, alla congiunzione di diversi tratturi.
Il santuario era dedicato a Mefite, Dea osca alla quale veniva attribuito un potere taumaturgico legato alle acque. Al culto della Dea era affiancato anche quello del Dio Mamerte, testimoniato dalle iscrizioni.


- Scolacium
Venne rifondata come onore dall'imperatore Nerva (96-98 d.c.) assumendo il titolo di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium.


- Serra di Vaglio
In provincia di Potenza - in mano ai Lucani.


- Sibari
Affacciata sullo Ionio, fu una delle più importanti città della Magna Grecia sul mar Ionio, affacciata sul golfo di Taranto. fondata alla fine dell'VIII secolo a.c. da un gruppo di Achei provenienti dal Peloponneso. La città governò su quattro tribù e 25 città. Nel 510 a.c., dopo una guerra durata 70 giorni, i Crotoniati che con 100mila uomini riempirono un circuito di 50 stadi (circa 9 km), guidati dal campione olimpico Milone, conquistarono la città, deviarono il fiume e la sommersero.


- Siris 
Siris nacque sulla riva sinistra del fiume Sinni nei pressi della foce, al confine tra il comune di Policoro e quello di Rotondella (Matera), nella Magna Grecia. La prima colonizzazione greca in Basilicata avvenne con la costruzione di Siris, presso il fiume omonimo oggi detto Sinni, fine VIII sec. a.c., ad opera di profughi da Colofone, fuggiti in Occidente per scampare alla dominazione lidia.

MOSAICO TERME DI KAULON

- Kaulon
Colonia della Magna Grecia, i cui resti sorgono nei pressi di Punta Stilo, nel comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. Secondo una leggenda Caulon, figlio dell'amazzone Clete fondò la città, ma dopo la guerra di Troia, gli Achei guidati da Tifone di Aegium sbarcarono sulle coste della Calabria e, con l'aiuto dei Crotoniati, distrussero il regno di Clete. Solo suo figlio Claulon si sarebbe salvato e avrebbe ricostruito la città.
Nel VI secolo a.c. si svolse la battaglia della Sagra, in cui Kaulon, alleata con Kroton, fu sconfitta da Locri Epizefiri e Rhegion, dove accadde il miracoloso intervento dei Dioscuri.
Kaulon venne poi sconfitta dalle forze dei Lucani e di Dionisio I di Siracusa, per cui nel 389 a.c. i suoi abitanti vennero deportati a Siracusa. Ricostruita da Dionisio il Giovane, la città fu in seguito saccheggiata da Annibale durante la II guerra punica, finendo nel dominio di Roma per opera di Quinto Fabio Massimo nel 205 a.c.
Strabone riferisce che già ai suoi tempi la città era stata abbandonata a causa di conflitti con gli abitanti della regione: «Dopo il fiume Sagra c'è Caulonia, fondata dagli Achei e chiamata dapprima Aulonia, per la valle che si trova di fronte ad essa. Ora la città è abbandonata: i suoi abitanti, infatti, furono cacciati dai barbari in Sicilia, dove fondarono un'altra città di Caulonia»
(Strabone, Geografia, V, 1, 10)


- Kroton (Crotone)
MONTENURRO
abitata dai Bruttii, fondata da coloni greci dell'Acaia nel VIII secolo a.c. (si dice nel 718 a.c.) su un preesistente insediamento indigeno, rappresentò grazie alla diffusione del fenomeno italico-pitagorico il centro più importante della Magna Grecia. Il nome Crotone deriverebbe da "Kroton", figlio di Eaco, ucciso per errore dal suo amico Eracle che per rimediare all'errore e per onorare l'amico che lo aveva ospitato, lo fece seppellire con solenne cerimonia sulle sponde del torrente Esaro e poi vicino alla tomba fece sorgere la città a cui diede il suo nome.
Secondo una leggenda, l'oracolo di Apollo a Delfi ordinò a Miscello di Ripe di fondare una nuova città fra Capo Lacinio e Punta Alice. Myskellos pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città, ma il Dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo. Nel 560 a.c. Kroton e Locri iniziarono una guerra vinta dai Locresi, sostenuti da Sparta.
Pitagora creò a Kroton presso l'amico Democède una scuola di sapere di scienza, matematica, musica, la scuola pitagorica, che gettò le basi per la nascita della Magna Grecia e lo sviluppo del razionalismo e del metodo scientifico. Pitagora con i suoi discepoli conquistò il potere politico della città: in pochi anni si consolidarono governi pitagorici in molte pòlis della Magna Grecia costituendo una sorta di confederazione fra città-stato con capitale Kroton, come risulta da numerose monete coniate fra il 480 e il 460 a.c.


- Sybaris
Ovvero Cassano all'Ionio , provincia di Cosenza (Magna Grecia),  fondata nel 720 a.c., abitata dai Bruttii, Parco archeologico di Sibari e Thurii.


- Terina -(Lamezia Terme)
una città della Magna Grecia fondata da coloni di Crotone, nel VI secolo a.c., per estendere il loro dominio sul mar Tirreno e garantirsi il controllo dell'istmo di Marcellinara (la striscia di terra che separa il mar Tirreno dal mar Ionio, ed è la più stretta della penisola italiana.).
Fra il V - IV secolo a.c. cadde sotto il dominio dei Siracusani finché, nel III secolo a.c. venne conquistata dai Bruzi. Nel 272 a.c., con la fine della guerra contro Taranto, cadde sotto il dominio di Roma. Venne distrutta da Annibale nel 203 a.c. perché non aveva voluto schierarsi al fianco dei cartaginesi. Venne abbandonata sin dalla II guerra Punica e mai più riedificata.


- Thurii 
Provincia di Cosenza (Magna Grecia). Parco archeologico di Sibari e Thurii.


- Tricarico 
In provincia di Matera. All'interno dell'attuale perimetro della città sono presenti testimonianze archeologiche datate al VI-V secolo a.c. (ritrovamenti nel rione dei Cappuccini, presso il cinquecentesco monastero di Santa Maria delle Grazie). Fu assoggettata dai Romani.


- Tropea 
- (Prov. Vibo Valentia - Magna Grecia)
- Nella piazza antistante la cattedrale sono riemerse delle tombe di V-VI sec.d.c. molte con epigrafi.
- Al di sotto i resti di un muro forse di difesa del V-IV sec.a.c. relativo ad un insediamento del territorio di Hipponion.

MORGANTINA (Sicilia)

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DIO ADE DI MORGANTINA
Morgantina è un'antica città sicula e greca, oggi sito archeologico nel territorio di Aidone, provincia di Enna in Sicilia. La città fu riportata alla luce nel 1955 dalla missione archeologica dell'Università di Princeton (Stati Uniti). Gli scavi hanno permesso di seguire lo sviluppo dell'insediamento dalla preistoria all'epoca romana.

L'area visitabile conserva resti dalla metà del V alla fine del I secolo a.c., il periodo di fioritura della città. Da qui provengono la Dea di Morgantina (erroneamente chiamata "Venere"), custodita presso il museo archeologico di Aidone cui è giunta nel 2011 dopo la disputa fra Italia e Stati Uniti dove era esposta presso il Getty Museum a Malibù, e il Tesoro di Morgantina, anch'esso restituito.

La città antica sorgeva su un pianoro che saliva sul monte Cittadella (578 m s.l.m.), ideale per l'urbanistica di una città greca che pone a valle l'agorà e a monte l'acropoli, importante in quanto passaggio obbligato delle vie di comunicazione tra la costa orientale e l'interno della Sicilia.

- X sec. a.c. - Secondo la leggenda un gruppo di Morgeti guidato dal mitico re Morgete, fondò nel X secolo a.c. la città di Morgantina, integrandosi con le altre popolazioni affini dell'interno e prosperando grazie allo sfruttamento agricolo della vasta pianura del Gornalunga.

- VI sec. a.c. - un nutrito gruppo di Greci di origine calcidica giunse a Morgantina e si insediò nella città convivendo pacificamente con gli abitanti, e pian piano trasformò la Dea Madre degli indigeni nelle sue divinità greche Demetra e Persefone, come testimoniato dai famosi acroliti, teste, mani e piedi marmorei con il corpo in materiale deperibile risalenti al 525-510 a.c. 

- fine VI sec. a.c. - La città venne distrutta verso la fine del secolo, dal tiranno di Gela (prov. Caltanissetta), Ippocrate, il secondo tiranno di Gela che governò dal 498  a.c. alla morte.

IL SITO
- 459 a.c. -  la città venne invece distrutta da Ducezio, re dei Siculi dal 460 a.c. al 450 a.c., durante la rivolta contro il dominio greco e da questo momento venne abbandonata.

- 450 a.c. - Ducezio viene sconfitto e il territorio di Morgantina passò prima nel dominio di Siracusa e venne poi ceduta a Camarina (o Kamarina, colonia di Siracusa) nel 424 a.c. in cambio di una somma di denaro. 

- 396 a.c. - la città fu conquistata da Dionisio I, tiranno di Siracusa, uomo crudele ma pure colto e mecenate, si narra che Publio Scipione l'Africano, quando gli furono chiesti i nomi degli uomini più abili e più intelligentemente coraggiosi, abbia risposto «I siciliani Agatocle e Dionisio» ma nel 392 a.c. La città, per reazione al tiranno, accolse l'esercito punico guidato da Magone, figlio di Amilcare Barca. Nella guerra combattuta in Sicilia fra Dione di Siracusa, l'allievo di Platone, e suo nipote Dionisio II il giovane, tiranno di Siracusa, Morgantina parteggiò per Dione per riprendersi la propria autonomia.

- 340 a.c. - Timoleonte aveva sconfitto l'esercito punico e si era sbarazzato dei vari tiranni delle Polis. Salito al potere si impadronì del territorio e la città venne ricostruita sul pianoro di Serra Orlando, furono edificate le nuove mura e se ne delineò l'assetto urbanistico a schema ortogonale, un nuovo Santuario venne eretto in onore di Demetra e Persefone e fu impiantato l'Ekklesiasterion con il Bouleterion. 

- 317 a.c. - La popolazione aumentò parecchio con l'arrivo di nuovi coloni dalla Grecia. Agatocle chiedendo ed ottenendo l'aiuto di 1.200 soldati di Morgantina conquistò, nel 317 a.c., Siracusa e fece realizzare l'agorà di Morgantina. 

- 275 a.c. - Il massimo splendore fu quindi raggiunto nel III secolo a.c. durante il lungo regno di Gerone II (275-215 a.c.) e la città arrivò a contare circa 10.000 abitanti.

ARGENTO DEL TESORETTO MORGANTINA
- 264 a.c. - Durante la I Guerra Punica (264 - 241 a.c.), Morgantina insieme a tutta la Sicilia orientale sotto Gerone II fu alleata dei Romani. Morto Re Gerone II, durante la II guerra punica Morgantina e le altre città siciliane passarono dalla parte dei cartaginesi. Narra Tito Livio che il giovanissimo Geronimo, nominato Re dal Consiglio dei 15 saggi istituito dal nonno Gerone II, sconfessò l'alleanza con Roma e ricevette alcuni emissari di Annibale, i due fratelli Ippocrate ed Epicide (di origini 
siracusane).

- 213 a.c. - muore Geronimo a Leontini e a Siracusa venne istituita la IV Repubblica dal Senato ma il potere assoluto era nelle mani di Ippocrate ed Epicide che cercarono di fronteggiare le legioni romane guidate dal Console Claudio Marcello.

Morgantina diventata la base operativa della lega siculo-punica si sbarazzò del presidio romano e nella zecca furono coniate monete della serie SIKELIOTAN. 
Sia l'esercito punico di Imilcone che quello siracusano di Ippocrate trovarono rifugio entro le mura fortificate di Morgantina.

- 211 a.c. - La città non si arrese neanche dopo la caduta di Siracusa nel 212 a.c. e fu assediata e poi distrutta nel 211 a.c., da Marco Cornelio Cethego che la consegnò all'ispanico Merico e ai suoi mercenari ispanici come premio per avere consentito al Console Claudio Marcello la conquista di Siracusa, difesa da Archimede. Viene coniata a Morgantina la serie di monete di bronzo HISPANORUM.

BUSTO DI DEMETRA V SEC: A.C.
Dopo la conquista romana le mura vennero abbattute e l'abitato si restrinse notevolmente, ma la città continuò a vivere come importante nodo commerciale per la produzione di terrecotte nelle fornaci e soprattutto per la produzione di cereali (grano, orzo), dell'olio e del vino ricavato dalla famosa Vite Murgentina.

Venne costruito al centro dell'Agorà il Macellum e molti edifici pubblici tra cui il Bouleterion e il Pritaneo, che furono utilizzati dai conquistatori romani come tabernae e termopolium. In breve la Polis venne progressivamente trasformata in un oppidum romano utilizzato dalle varie legioni di passaggio per la Sicilia.

- 135 a.c. - Diodoro Siculo ricorda che a Morgantina, ribellata a Roma come del resto anche Henna (Enna), venne tenuto prigioniero lo schiavo per debiti Euno, capo della rivolta servile del 135 a.c., repressa dalle legioni romane.

- 105 - 101 a.c. - Anche nella II guerra servile, Morgantina venne assediata dal capo dei ribelli Salvio e forse venne temporaneamente conquistata.

- 30 a.c. - Secondo alcuni autori Morgantina avrebbe parteggiato per Sesto Pompeo contro Ottaviano, ma Strabone, poco dopo, la ricorda tra le città scomparse e i dati archeologici confermano che, intorno al 30 a.c., essa venne gradualmente abbandonata.

IL TEATRO

GLI SCAVI

Morgantina venne scoperta verso la fine del XIX secolo dall'archeologo Paolo Orsi, studioso di gela e Kamarina, che però la identificò come Herbita, ma alcune alcune monete in bronzo rinvenute e i dati delle fonti permisero il riconoscimento con l'antica Morgantina. La zona archeologica occupa un'area di oltre venti ettari.

Di Morgantina sopravvivono intorno alla piazza dell'Agorà:

- "stoà nord", cioè il ginnasio, dove i giovani praticano esercizi atletici nudi
- "stoà orientale"
- "stoà occidentale",
- il pritaneo, l'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato, o pritano; ma pure gli ospiti di riguardo, e dove si custodiva il fuoco sacro della città.
- l'ekklesiasterion,
- il duplice "santuario dell'Agorà",
- il granaio pubblico,
- la "Grande Fornace",
- il teatro o koilon
- il Macello romano 

- case di abitazione, riccamente ornate da mosaici: 
- Mosaico "del Capitello dorico", 
- Mosaico di Ganimede, 
- Mosaico della Cisterna ad arco, 
- Mosaico delle Antefisse, 
- Mosaico dei Capitelli tuscanici, 
- Mosaico "del Magistrato", 
- Mosaico della "Casa Fontana"
- Mosaico della "Casa sud-est".


L'AGORA'

L'agora era suddivisa in una piazza alta a nord, delimitata da portici (stoài) su tre lati, e una piazza bassa a sud.



GYMNASIUM

L'agorà a nord un portico di 90 m identificato come gymnasium (ginnasio), destinato alle attività sportive dei giovani. Sul portico si affacciavano vari ambienti di servizio (spogliatoi e bacini per le abluzioni). Fu realizzato nel III secolo a.c., sotto il regno di Gerone II (Siracusa 308 a.c. - Siracusa, 215 a.c.).

LA FONTANA DELLE NINFE

IL NINFEO

Negli scavi del 1982-84 sono emersi i resti di una fontana monumentale (ninfeo) a doppia vasca, preceduta da un'ampia scalinata ed ornata con colonne a fregi dorici, datata alla seconda metà del III secolo a.c., e dedicata alle Ninfe. Venne distrutta violentemente, forse da un terremoto, alla fine del I secolo a.c.

Sul lato occidentale della piazza c'erano le botteghe, precedute da un altro lungo portico, di cui non è rimasto quasi nulla. Sul lato orientale restano le basi del colonnato del terzo portico (lungo 87 m). L'edificio era deputato alla giustizia, alla scuola e agli affari. 



BOULETERION

Alla sua estremità settentrionale, verso il ginnasio, ci sono i resti di un bouleuterion, il luogo di riunione del consiglio cittadino, a pianta bipartita, con all'interno un muro a semicerchio e un podio rettangolare, attorno al quale dovevano essere disposti i seggi dei membri del consiglio.

MACELLUM

MACELLUM

Nella piazza a sud, c'è un edificio di epoca romana (prima metà del II secolo a.c., con tredici botteghe uguali, disposte sui lati nord e sud di un cortile porticato, dotato al centro di un edificio rettangolare che contiene un'edicola circolare. 

Si tratta di un macellum o edificio per mercato, uno dei più antichi conosciuti. Il macellum non era il mercato delle carni, ma un mercato in generale, che poteva offrire anche carni quanto verdure ed altri generi alimentari.

Sul lato ovest, ove è l'ingresso, è inglobata un'area sacra greca preesistente, con ampio altare rettangolare. I greci difficilmente demolivano i vecchi templi, perchè le divinità in essi ospitate potevano non gradire la cosa, per cui li inserivano in qualsiasi edificio occorresse.

EKKLESIASTERION

EKKLESIASTERION

Dall'agorà bassa, fiancheggiata sul lato ovest dal teatro, che si appoggia alle pendici della collina occidentale, si passa, mediante una gradinata trapezoidale utilizzata per le riunioni dell'assemblea cittadina (ekklesiasterion), all'agorà alta.

TIMOLEONTE
La gradinata del teatro, verso la metà del IV secolo a.c. aveva una forma trapezoidale, rifatta poi con cavea a ferro di cavallo, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.c., insieme alla scalinata utilizzata come ekklesiasterion, che ne riprende però, e che mantenne, la forma originaria. Dal nome ekklesiasterion il cattolicesimo ha derivato il termine "Chiesa".

E' un complesso simile ad un teatro greco con una funzione analoga al comitium romano. Si suppone che sia stato realizzato alla fine del IV secolo a.c. da Timoleonte.

È un complesso di tre gradinate, tra le cui funzioni vi era anche quella di collegare l'agorà bassa a quella alta; ma soprattutto fungeva da sede all'assemblea cittadina.

Il podio dalla quale parlavano gli oratori era locato di fronte al Pritaneo (equivalente all'ufficio del sindaco). Questa disposizione indica che Morgantina era una Polis democratica.

Nell'anno 317 a.c. Agatocle, esule da Siracusa di cui era stato il tiranno, usò questo luogo per radunare un esercito di 1.500 soldati morgantini per riconquistare il potere in patria.

IL TEATRO RESTAURATO

IL TEATRO

Il teatro era stato edificato dal ricco cittadino Archela figlio di Eukleida e da questi consacrato a Dionisio, come si legge su un'iscrizione scolpita sull'alzata di uno dei gradini che formavano la cavea, che era dotata di un grande effetto acustico. Poteva contenere fino a 5000 persone.

L'attuale cavea del teatro fu costruita nel III sec. a.c. dove già sorgeva un altro edificio teatrale, di dimensioni più ridotte. 
Si accedeva all'orchestra, lo spazio del coro chiuso dall'edificio scenico, mediante due corridoi laterali (pàrodoi). 

Il proscenio era ornato da scenografie mobili sorrette da travi lignee, i cui alloggiamenti sono visibili su un grosso masso squadrato triangolare. 

La cavea, costruita in pietra calcarea, raggiunge il diametro di 57,70 metri. Era suddivisa in due settori: uno inferiore, costituito da sedici ordini di sedili, e uno superiore, in terra battuta. Poggia su uno spiazzo in leggera pendenza del dorsale roccioso, che venne rinforzato con materiale di riporto (sabbia e da terra). Questo materiale era contenuto dalle spesse mura di contenimento in blocchi ben squadrati, il cui peso era sostenuto da contrafforti.

Nei pressi  i resti di una conduttura d'acqua in elementi di terracotta ad incastro, provvisti di spioncino ellittico.

SANTUARIO DI DEMETRA E CORE

SANTUARIO DI DEMETRA E KORE

"Nelle vicinanze ha anche prati e boschi e intorno a queste
paludi, una ben ragguardevole spelonca  ha un'apertura
sotterranea e che è volta verso l'Orsa, dalla quale favoleggiano 
che Plutone essendo uscito col carro abbia rapito Core.
(Diodoro Siculo)

Accanto al teatro e in posizione elevata sorgeva il santuario di Demetra e Kore, le divinità protettrici della città. Il santuario si sviluppava lungo un pendio che presenta tre terrazzamenti, in ognuno dei quali sono ancora visibili diversi sacelli, adibiti al culto. Vi si accedeva dal lato occidentale, ed era costituito da due settori ben distinti, che sorgevano intorno a due cortili.

La parte settentrionale era dotata di una vasca per le purificazioni e una stanzetta per le offerte, con diversi ambienti, attorno all'ampio cortile in acciottolato, destinati alla sosta dei fedeli e alla fabbrica di d'oggetti votivi in terracotta, prodotta mediante una fornace che ancora si conserva nell'angolo nord-est. 

La parte meridionale era preposta al culto, ed era dotata di un grande altare cilindrico, che conserva ancora tracce dell'intonaco originario. Accanto all'altare, vi è un bothros o fossa sacra, circondata da un basso muretto circolare, per le libagioni e le offerte alle divinità dell'oltretomba e per le lucerne votive ritrovate in gran copia. 

Il cortile dell'altare era fiancheggiato ad est da un'esedra con sedili, ad ovest da un'esedra più piccola, dove probabilmente si svolgevano particolari scene di culto, e poi un piccolo sacello, forse destinato ad un'altra divinità. A sud del santuario si nota un secondo recinto sacro (temenos) ancora a pianta trapezoidale.

Risulta che il sacello B poggi le sue fondazioni sopra di quelle di un naiskos più antico, di dimensioni più ridotte. Il naiscos è un piccolo tempio in ordine architettonico con colonne o pilastri e timpano. Si pensa pertanto che i primi sacelli votivi fossero sorti già nella seconda metà del VI sec. a.c.(prima fase edilizia) Sul pavimento di questo naiskos più antico sono stati rinvenuti: una statuetta fittile, un ago in bronzo, frammenti di statuette di offerenti con porcellino.

GRANAIO E FORNACE

GRANAIO PUBBLICO

LA FORNACE PIU' GRANDE
Collocato sul lato orientale della piazza inferiore, ai piedi della collina, il Granaio Principale è dotato di possenti mura e imponenti contrafforti. Esso era costituito da una serie di magazzini, dove si raccoglieva la produzione agricola e probabilmente le tasse dovute prima a Siracusa e poi a Roma. 
All'estremità settentrionale del granaio, è visibile una ben conservata fornace. 

Una seconda fornace più grande, a forma d'ampio cunicolo, spartito da arcate, è visibile all'angolo sud-est dell'agorà. Essa era destinata alla produzione di terrecotte per l'edilizia (mattoni e tubi per acquedotti).



PRYTANEION

Sul pendici della collina orientale, si ergeva un vasto edificio, con diverse stanze ed un ampio cortile pavimentato in cotto e affacciato sulla piazza sottostante.

E' il prytaneion (pritaneo), luogo destinato al magistrato supremo della città e che ospitava il fuoco sacro. Sono visibili tre grossi conci incavati per alloggiarvi grandi anfore per la conservazione dell'acqua e del vino, e il basamento di un forno domestico, con i mattoni ancora anneriti dal fumo.



LA ZONA RESIDENZIALE

All'ingresso del sito archeologico sono stati collocati alcuni mulini ad uso familiare, costituiti da due elementi ad incastro in pietra lavica, moltissimi esemplari dei quali sono stati rinvenuti fra gli arredi delle case d'abitazione.



CASA DEL CAPITELLO DORICO

Oltre il pritaneo si trovano in cima alla collina i resti della Casa del Capitello dorico, o Casa del Saluto, per un'iscrizione di benvenuto in greco rinvenuta sul pavimento:  Eyexei, anch'essa affacciata dall'alto sull'agorà.

Gli ambienti si articolano simmetricamente ai lati di un peristilio centrale che, oltre a dar luce agli ambienti interni, permetteva la raccolta dell'acqua piovana, convogliandola in due cisterne. 

Le colonne del peristilio sono realizzate con mattoni appositamente sagomati in forma anulare, una tecnica largamente usata ovunque, dai sanniti agli etruschi, quando il luogo non forniva una pietra di pregio e importarla era troppo costoso.

Per i pavimenti venne utilizzato il cocciopesto, anch'esso materiale poco costoso rispetto al mosaico, ottenuto mescolando cocci di terrecotte al cementizio, abbellito però da disegni geometrici realizzati in tessere di pietra bianca.

CASA DI GANIMEDE

CASA DI GANIMEDE

All'angolo sud della collina orientale affiorano i resti della Casa di Ganimede con grande peristilio rettangolare a colonne scanalate e capitelli di stile dorico. Sono conservate due piccole stanze, ricostruite dagli archeologi con intonaco dipinto in rosso sulle pareti, tuttora ben conservate, e pavimenti a mosaico, tra i più antichi dell'arte ellenistica in Magna Grecia (III secolo a.c.). 

Il primo riproduce il ratto di Ganimede ed il secondo un meandro prospettico, preceduto da un riquadro con un nastro annodato e foglie d'edera, simboli della vittoria in una competizione sportiva o letteraria. La dimora, appartenente all'epoca geroniana, venne riutilizzata dopo la presa della città da parte dei Romani e divisa in due parti con un muro che attraversava il peristilio.


QUARTIERE RESIDENZIALE DA SCAVARE

Sulle pendici dell'opposta collina occidentale, raggiungibile costeggiando i resti delle fortificazioni a sud dell'abitato, si trova un secondo quartiere residenziale, non ancora interamente scavato, che mostra chiare evidenze dell'impianto urbanistico regolare ed ortogonale di Morgantina, articolato su una serie d'isolati d'uguali dimensioni (110 × 37,50 m). Lungo le strade che separano gli isolati correvano stretti canali di drenaggio, per lo smaltimento delle acque piovane.



CASA DEL MAGISTRATO

Procedendo da sud verso nord, s'incontra una grande dimora di ben ventiquattro stanze, molto verosimilmente appartenuta ad uno dei governanti della città (da qui il nome di Casa del Magistrato). Vi s'accede da un ampio ingresso sul lungo muro orientale ed è divisa nettamente in due settori: quello privato a nord e quello di rappresentanza a sud. 

Quest'ultimo si articola sui due lati di un cortile porticato, su cui si affacciano un atrio preceduto da due colonne, con pavimento riccamente decorato, ed una grande sala quadrata con lo spazio sufficiente per nove tricilini, destinata a ricevimenti e banchetti. 

Uno stretto corridoio a destra dell'atrio immette nella parte privata, ove un secondo peristilio disimpegna le numerose camere che lo circondano. In epoca romana, la casa fu frazionata ed occupata da un vasaio, le cui fornaci, ancora integre, sono visibili all'angolo nord-ovest.



CASA DEI CAPITELLI TUSCANICI

Oltre questa casa una grande arteria centrale in acciottolato, larga 6,40 m, con direzione ovest-est, divide il quartiere in due settori. Lungo il suo percorso si incontra per prima la 'Casa dei Capitelli tuscanici, disposta su più livelli e rimaneggiata nel corso del I secolo a.c., con l'inserimento d'elementi architettonici di tradizione italica. Un cortile delimitato da quattro colonne ne costituiva ad est l'atrio monumentale, mentre un lungo e stretto peristilio la chiudeva ad ovest.



CASA SUD-OVEST

Affiancata alla Casa dei capitelli tuscanici c'è la Casa sud-ovest, articolata attorno ad un peristilio a dodici colonne, sul quale si apre un soggiorno esposto a sud, costituito da un vano centrale di 35 m² e due vani simmetrici laterali, il tutto pavimentato con un raffinato cocciopesto, arricchito da meandri di tessere bianche e da stelle a più colori.


CASA DELLE BOTTEGHE

L'isolato successivo comprende quattro case, la prima delle quali, detta Casa delle Botteghe, fu trasformata in epoca romana con l'inserimento di più tabernae (negozi), composti da un vano per la vendita ed un retrostante deposito.



CASA DEL PALMENTO

Segue la Casa del Palmento, che conserva i resti di un locale per la produzione di olio.


CASA PAPPALARDO
Segue poi la Casa Pappalardo, con peristilio a dodici colonne e splendidi pavimenti a mosaico. Risale alla metà del III secolo a.c. e misurava ben 500 m². Lungo il muro perimetrale est della casa, è visibile l'estremità del canale fognario che serviva tutto l'isolato. 


CASA DELLE 44 MONETE D'ORO

L'ultima delle abitazioni portate alla luce in questo settore è la Casa delle quarantaquattro monete d'oro, dove venne rinvenuto un ripostiglio monetale con monete dell'epoca accumulate da un vero collezionista. Trattasi di monete di Filippo II di Macedonia (359-336 a.c.), di Alessandro Magno (336-323 a.c.) di Agatocle (304-289 a.c.) di Icetas (287-280 a.c.) e di Pirro (280-278 a.c.).

CASA DELLA CISTERNA AD ARCO

CASA DELLA CISTERNA AD ARCO  

Sulla parte più settentrionale della collina si trova un altro isolato, metà del quale è occupato dalla Casa della cisterna ad arco, con ingresso sul lato occidentale e con ambienti dai pavimenti a mosaico articolati attorno a due peristili.

La grande sala di soggiorno (tablinium) affacciata sul peristilio meridionale è stata ricostruita per proteggerne l'intonaco dipinto delle pareti ed il mosaico pavimentale.

Sulla parete occidentale è conservata l'imboccatura di una cisterna, con volta in conci squadrati e vasca in terracotta. Dai resti di una scala si è desunta l'esistenza di un secondo piano, presente in più di una casa di Morgantina. 



CASA DELLE ANTEFISSE

Altre due abitazioni, molto meno lussuose (Casa delle antefisse e Casa sud-est), completano l'isolato, ma i resti allo stato attuale sono poco leggibili.



LA CITTA' PIU' ARCAICA

La collina, ad est del pianoro su cui sorge la città, a circa un km, è il sito dell'antica città, distrutta da Ducezio, i cui edifici, non ancora del tutto identificati, occupano i terrazzamenti a nord e ad ovest. Sulla sommità sono i resti di un tempio dalla pianta assai allungata, databile alla seconda metà del VI secolo a.c.,

La ripida pendice orientale è occupata da una serie di tombe a camera scavate nella roccia e, in più tratti, sono anche visibili tracce delle mura di fortificazione, costituite da due cortine in pietra, riempite all'interno di terriccio.

DEA MORGANTINA

IL MUSEO

Il museo archeologico di Aidone si trova nell’ex Convento dei Padri Cappuccini, risalente ai primi del '600 e conserva soprattutto uno dei grandi capolavori dell’archeologia mondiale: la statua in pietra calcarea della Dea (precisiamo: non è in marmo e non si ritiene più che sia una Venere) di Morgantina del V sec a.c., solenne e sinuosa, alta 2,24 metri e di autore ignoto, ma addirittura c'è chi la sospetta di Fidia.

Le mancano i capelli, i veli del capo, il piede sinistro e il braccio, le dita della mano destra, il braccio sinistro e il piede sinistro, vandalizzata a colpi di mazza dall'iconoclastia cristiana, ma anche fatta in tre pezzi per trafugarla da Morgantina nella seconda metà del Novecento, per essere poi venduta al Paul Getty Museum di New Jork che l’acquistò ad un’asta a Londra per 28 miliardi di lire. 

Dopo decenni di processi i restauratori esperti del Paul Getty Museum effettuarono il suo montaggio ancorandola ad una solida base antisismica, e il 17 Marzo 2011 ha fatto il suo ritorno trionfale a casa: cioè a Morgantina.

La statua presenta un aspetto solenne ma non statico. Solenne per l'atteggiamento regale, il viso sereno che guarda "oltre" gli affanni umani, ma non ha un aspetto statico perchè la sua posa e la sua veste sono in movimento.

DEMETRA E CORE
E' la posa cosiddetta a chiasma, cioè col braccio destro e il ginocchio sinistro avanzati, donando una posa rilassata e morbida ma imponente. Il cosiddetto “effetto bagnato” del vestito, che mette in risalto i lineamenti del corpo, ed il ricco panneggio che forma ampie pieghe contribuiscono all'effetto movimentato seppure in posa.

Comunque bellissima ma fragile: con decreto della Regione Siciliana n.155 /2013 la Dea di Morgantina è stata inserita nell’elenco delle opere giudicate inamovibili. Chi la vuol vedere va a Morgantina.

Altro stupendo reperto del museo sono gli acroliti, un tipo di statua che presso gli antichi Greci veniva realizzata solo nella testa, nelle braccia o mani e nei piedi, utilizzando pietra, marmo o avorio.

Tutto il resto della statua veniva realizzato con materiale meno pregiato o deperibile (forse legno) o non esisteva affatto, trattandosi unicamente di una struttura di sostegno o di una impalcatura che manteneva le estremità scolpite. 

DEMETRA E CORE
Questa struttura veniva poi rivestita con veri panneggi in tessuto. la particolarità di questi acroliti è la loro espressione: il sorriso onnisciente e un po' beffardo di colei che sa, e che non è toccata dagli affanni dei comuni mortali: occhi a mandorla privi di pupille, labbra carnose e taglienti. 

Sono le divinità arcaiche di Demetra e Kore, madre e figlia, su cui vennero basati i Sacri Misteri della discesa nell'Ade e nel ritorno sulla terra. I due acroliti erano stati trafugati negli anni Settanta del '900 dal sito archeologico di Morgantina da tombaroli esperti per venderle a mercanti d’arte che le piazzarono sul mercato americano. 

Stranamente in questi furti manca sempre la responsabilità dei direttori dei musei, musei talmente ignorati che i ladri possono impiegare giornate indisturbati per segare statue, o imbracarle in modo complicatissimo (ci vogliono ditte altamente specializzate per trasportarle) e portarle via con la gru, vedi la statua di Vibia che era alta 4 metri e mezzo e se ne andò indisturbata dal museo italiano.

ARGENTI DI MORGANTINA
Altro interessante reperto è quello costituito dal tesoro degli argenti: i cosiddetti "argenti di Eupolemo". Si tratta di 15 pezzi d’argento di inestimabile valore, risalenti al III sec. a.c., scoperto casualmente nel 1998 nei pressi di un edificio, probabilmente nascosto per via del saccheggio della città per mano romana. 

Alcuni studiosi affermano sia appartenuto allo ierofante, il sommo sacerdote di Demetra e Persefone. Gli argenti vennero sottratti al museo di Morgantina dai tombaroli e venduti al Metropolitan Musem di NewYork, che acquista spesso chiudendo un occhio, e talvolta tutti e due, in tutta tranquillità.



LA MONETAZIONE

La monetazione di Morgantina va dal V al II secolo a.c., pregevolissima sia per la varietà  dei coni, sia per l'alto livello artistico dell'incisione.

- 465-460 a.c.  - Una piccola litra d'argento (ca. 0,70 g) con una spiga di grano e la scritta MORCAИTINA venne coniata negli anni 465-460 a.c. poco prima della conquista di Ducezio e pare secondo alcuni studiosi che l'effigie raffigurata sia quella del mitico re Morges, il fondatore calcidico della città.

LITRA MORGANTINA
La moneta di bronzo coniata dalla zecca che divenne il simbolo della polis siculo-ellenizzata è quella con Athena elmata con la scritta greca MORGANTINON e il leone che sbrana il cervo, una simbologia che richiama non solo le divinità Demetra e Persefone ma anche il programma politico del condottiero Dione (l'allievo di Platone) che sbarcò in Sicilia con il suo esercito nel 357 a.c. e chiese l'aiuto dei morgantini per combattere il nipote Dionisio il giovane.

Si possono identificare tre fasi, una di tipo greco, del V e  IV secolo a.c. (MOΡΓANTINΩN), una seconda fase durante la II Guerra Punica con monete siceliote-puniche (SIKELIOTAN) ed una dei mercenari Iberici (HISPANORVM).
Al tempo dell'alleanza siculo-punica, vennero coniate monete con l'iscrizione "dei Sicelioti" (SIKELIOTAN).

Narra Tucidite che durante il Congresso di Gela, nel 424 a.c. per sancire la pace tra le città siceliote dopo la guerra di Leontini, Ermocrate disse:
«Non è un disonore che dei compatrioti facciano delle concessioni ad altri compatrioti: Dori ad altri Dori e Calcidesi ad altri della stessa stirpe; e che in generale si facciano concessioni popoli vicini che abitano la stessa identica terra circondata dal mare, e che con un sol nome sono chiamati Sicelioti»

Sino al 213 a.c.,  in Sicilia si utilizzarono come unità di misura la litra, frazionabile in dodici once e corrispondente ad un quarto di dracma.
Morgantina è l'unica città interna dell'isola, che abbia emesso un tetradramma durante il periodo di Agatocle (317-289 a.c.), moneta che, per il suo alto valore, testimonia una notevole potenza economica.



IL TESORO DI KAISERAUGST (Svizzera)

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IL TESORO DI AUGUSTA AURICA - FIG. 1
La componente artistica dei Romani raggiunse livelli di pregio altissimi non solo nelle arti ornamentali come scultura,  pittura e architettura, ma pure nell'arte Argentiera. Ne sono fulgidi e famosi esempi i "Tesori di Boscoreale", (Museo del Louvre), di "Hilescheim (servizio da tavola in stile Augusteo, in Germania), di "Hoxne (del Tardo Impero, in Gran Bretagna), di "Mildenhall" (Britannia Romana), e i Vasi Votivi denominati "Aquae Apollinares", rinvenuti presso Bracciano, in Italia.

L'argenteria era diffusissima presso i ricchi Romani, estratto soprattutto dalle ricche miniere hispaniche, come segno distintivo della loro agiatezza. Ma era diffuso pure nei luoghi di Culto, come accessori per le Cerimonie, usanza questa conservatasi anche in Età Cristiana, dove nonostante i principi di povertà e semplicità, i paramenti e gli argenti nonchè gli ori delle chiese raggiunsero e superarono i tesori e gli sfarsi dei re e degli imperatori.

IL TESORO - FIG. 2
Non sono rarissimi, ma  quasi sempre reperiti in circostanze casuali, i rinvenimenti di antichi tesori di epoca romana, come caso del tesoro di Kaiseraugst (Cesare Augusto), un attuale piccolo Comune del Cantone svizzero Argovia che in epoca romana, dopo il 260 circa, fu sede di un importante fortezza militare dove ebbero istanza Legioni e unità ausiliarie romane. Il suo nome latino era Castrum Rauracense.

Augusta Raurica è oggi un importante e grande sito archeologico romano ubicato nel Nord della Svizzera, situato a quasi 20 km ad est di Basilea, che corrisponde all’attuale piccolo Comune di Augst o Kaiseraugst. Augusta Raurica è la più antica colonia romana sul Reno, fu infatti fondata da Giulio Cesare in prossimità del Reno.

IL TESORO - FIG. 3
Augusta Raurica venne fondata infatti nel 44 a.c. da Lucio Munazio Planco, luogotenente di Giulio Cesare nel corso della guerra gallica, ed era situata in un territorio occupato da una locale tribù gallica chiamata Raurica.

Ma solo al tempo di Augusto si consolidò la conquista di tutta l’area alpina già espugnata da Giulio Cesare e la primitiva colonia cesariana prese il nome di Colonia Paterna Pia Apollinaris Augusta Emerita Raurica, un nome lunghissimo, Paterna in onore di Cesare Pater Patriae, Pia perchè aveva dimostrato grande fedeltà, Augusta per essere poi passata al tempo di Augusto e Apollinaris per aver ospitato la Legione XV Apollinaris fondata da Giulio Cesare proprio in occasione della guerra gallica, Legione del resto nota fino al V secolo.

Vespasiano e poi Domiziano partirono da qui per la conquista degli Agri Decumates, pericoloso cuneo territoriale germanico che si spingeva all’interno della linea difensiva romana del Reno, una spina nel fianco per i romani. Durante i primi due secoli d.c. divenne una colonia ricca e popolosa, capitale della locale Provincia romana.

PIATTO CON STELLA - FIG. 4
Gli Alemanni distrussero la Città nel corso della grande crisi del III secolo, circa nell’ anno 260. Al tempo di Diocleziano venne qui rafforzata la frontiera germanica con la costruzione di un Ponte stabile fisso presidiato sulla sponda germanica da una testa di ponte fortificata in pietra, di forma quadrata di circa 45 metri per lato; la Colonia divenne il quartier generale della Legione I Martia , preposta anche alla difesa del Ponte.

Successivamente nel tardo impero sempre da qui partirono le Legioni per le guerre civili e per le spedizioni punitive romane contro le incursioni delle tribù germaniche all’interno del Limes. Sempre nel corso del tardo impero essa perse la sua primitiva importanza a favore del vicino insediamento celtico di Basilea, di cui non si conosce il primitivo nome, che diventerà però "Castrum Rauracense".

Così gli abitanti sopravvissuti all’invasione germanica degli Alemanni si posero sotto la protezione del Castrum Rauracense, un grande castello romano sito nella vicina Kaiseraugst e posto da ora in poi a difesa del Limes germanico tardo imperiale.

PIATTO RETTANGOLARE - FIG. 5
Durante il medioevo le grandi rovine in pietra del sito vennero spogliate per le nuove costruzioni. Gli scavi archeologici moderni hanno dissotterrato Templi, Taverne, Edifici pubblici, un Foro, i bagni termali e il più grande Anfiteatro romano a nord delle Alpi che disponeva di circa diecimila posti, da poco restaurato. Questa in breve la storia di Kaiseraugst e del Castrum Rauracense.

Il tratto sommario con cui è stata realizzata la vegetazione che ritma le scene lungo il bordo esterno della coppa della FIG. 6 richiama l’esecuzione degli alberi e arbusti che cadenzano il fregio abitato dell’umbone, il tutto realizzato accostando figure niellate e dorate.

Il tesoro di Kaiseraugst fa parte dei pochissimi grandi tesori europei dell’antichità romana comprendente opere di: oreficeria, oggetti personali, uso quotidiano ed anche di monete, rinvenuto praticamente intatto.

PIATTO CON VILLA SUL MARE - FIG. 6
Il tesoro è paragonabile soltanto a quelli rinvenuti in altre località europee, tipo quello di 
- Mildenhall in Britannia, 
- quello del Colle Esquilino a Roma, 
- quello di Cartagine 
ed ai numerosi rinvenuti in Dacia: 
- di Persinari, 
- di Sarmasag, 
- di Hinova, 
- di Radeni, 
- di Stancesti,
- di Cucuteni, 
- di Agighiol, 
- di Craiova, 
- di Perutu, 
- di Surcea, 
- di Sarmizegetusa, 
- di Sancraieni e di altre localita’ della Romania, a dimostrazione della ricchezza mineraria e personale della Provincia dacica.

SCENE DELL'INFANZIA DI ACHILLE - FIG. 7
Il tesoro di Kaiseraugst e’ pero’ quello forse di maggior pregio artistico e secondo per peso complessivo, infatti il tesoro di Treviri trovato nel XVII secolo, purtroppo subito fuso, pesava in totale 114 kg, quello di Kaiseraugst 37 kg e quello di Mildenhall 26 kg, mentre di quello trovato a Cartagine non si conosce il peso, ma sicuramente dell’ordine dei kg.

Il rinvenimento del tesoro di Kaiseraugst avvenne dopo il Natale del Dicembre del 1961 mentre si eseguivano dei lavori stradali tramite una ruspa alle spalle di un edificio scolastico che corrispondeva come posizione ad uno dei lati lunghi del Castrum in prossimita’ dell’angolo con il lato corto dell’antico castello della fortezza romana.

Nello scavare l’ antico tratto stradale romano ancora in uso dopo secoli, duro e compatto, ad un certo punto l’addetto alla ruspa si accorse che in un punto della strada, la resistenza della strada romana era stranamente cedevole e pensò che sotto dovesse esserci una buca.

DETTAGLIO DELLE SCENE DELL'INFANZIA DI ACHILLE
L' operatore addetto alla ruspa naturalmente non si rese conto di cosa stava per uscire da quella buca e continuando a scavare, la ruspa tirò fuori una grande “latta” che finì nel mucchio di terra accumulata nel bordo della strada; poco tempo dopo nel sistemare la terra accumulata si ritrovò quella “latta” di forma rotonda che ad un successivo esame si rivelò essere argento.

Si tornò così sul luogo del ritrovamento dove venne rinvenuto tutto il tesoro che era composto principalmente da:
- un ricchissimo e completo servizio da tavola, 
- tre lingotti d’argento con impresso l’immagine e la leggenda di Magnenzio, 
- 186 monete 
- 17 medaglioni, tutti in argento.

VENERE ALLO SPECCHIO - FIG.8
Il tesoro aveva un peso complessivo di circa 37 kg, da analisi metallografiche risulto’ che l’ argento aveva una purezza del 97% mentre il rimanente 3% era composto da 2% di rame, 0,7% di oro e 0,3% di piombo, a dimostrazione di quale alto livello era la metallurgia e raffinazione dei metalli preziosi presso gli antichi romani del tardo impero .

A chi poteva appartenere questo tesoro? La datazione dei tre lingotti riporta a Magnenzio, quindi si tratta almeno dell’anno 350, ma per il servizio da tavola la data potrebbe essere precedente o successiva, anche se in base alle monete e medaglioni trovati una data successiva sarebbe poco probabile, così si è supposto che il proprietario del tesoro fosse un altissimo personaggio legato a Magnenzio, forse un ufficiale o un funzionario della sua corte .

Allo scopo è risultata importante una iscrizione incisa dietro un piatto che reca: P. ROMULO. Un Publio Romulo in effetti è storicamente conosciuto come essere stato un Magister Militum proprio al tempo di Magnenzio, fu un ufficiale comandante della fanteria del suo esercito e morì nella battaglia di Mursa avvenuta nel 351 tra Magnenzio e il legittimo Imperatore Costanzo II.

Dietro i cucchiai, il candelabro e un altro piatto, c'è però inciso il nome di MARCELLIANO, quindi si presuppone che almeno il tesoro da tavola abbia avuto nel tempo diversi proprietari e che tutto il tesoro fu poi posseduto, riunito e seppellito probabilmente dall’ultimo proprietario, che fu Publio Romulo in previsione dell’incerto esito della battaglia di Mursa.

PORTA QUERQUETULANA (Porte Serviane)

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RITENUTA PORTA QUERQUETULANA (IN REALTA' PORTA CLAUSA)
Due porte della cinta cosiddetta serviana si aprivano sul Celio, chiamato in antico Mons Querquetulanus per la presenza di ampi boschi di querce, o alle sue pendici: la porta Caelimontana (identificata nei resti presso l’Arco di Dolabaella e Silano di età augustea) e la porta Querquetulana, localizzata tra la Caelimontana e la Esquilina. Le fonti ricordano la presenza di un sacello dedicato ai Lari Querquetulani sul colle Esquilino, adiacente al Celio.

Giusta l'espressione di Plinio, questa porta era presso il Viminale ma siccome Tacito assevera che il Celio fu in principio Querquetulano e Sesto Pompeo vuole che le Querquetulane erano cosi chiamate perchè presiedevano al Quer che era una specie di Selva situata entro la porta da quello chiamata Querquetulana cosi sembra più probabile che questa porta esistesse nel Celio o nelle sue vicinanze.

Il percorso della cinta muraria, quindi, da porta Esquilina proseguiva a Sud, nell’area compresa tra il monte Oppio (altura meridionale del colle Esquilino) e il Celio. Si aprivano a questo punto due porte: la Querquetulana e la Celimontana. La prima, più antica (appartenente alla cinta serviana del VI secolo a.c.), ha collocazione incerta a causa della mancanza di testimonianze archeologiche inconfutabili.

Essa poteva trovarsi nei pressi de’ SS. Quattro Coronati, dove sono stati riconosciuti tipici frammenti serviani; secondo più recenti ipotesi, la porta sarebbe sorta sensibilmente più a Est, ovvero nell’attuale via Labicana, poco distante dalla chiesa dei SS. Marcellino e Pietro. Secondo quest’ultima tesi, la Querquetulana sarebbe stata poi fatta coincidere con l’Arcus ad Isis, l’arco a tre fornici attraverso il quale si giungeva all’Iseo del monte Oppio.

PORTA CLAUSA
Esiste però a Roma, esattamente nel quartiere Celio, una derivazione della Via Labicana, "Via dei Quercieti", che sicuramente deriva dal nome "Querquetulana" cioè una via che conduce a un bosco di querce (quercuus, cioè un bosco sacro), detto anche "Cerqueto".

Questa via non doveva essere distante dalla Porta Querquetulana, aldifuori della quale doveva esistere il bosco sacro. Taluni però ritengono che il suddetto bosco fosse all'interno della città. "In tale valle, conoscendosi esservi stato un'accesso alla città, si trova conveniente di stabilirvi la posizione della porta Querquetulana, la quale era in tal modo denominata da un querceto che gli stava vicino nell'interno delle mura."

Comunque oggi la posizione della porta è controversa. Gli studiosi ne ipotizzano la collocazione nella valle tra il Celio e il colle Oppio, o, più probabilmente, presso la chiesa dei Santi Quattro Coronati, in corrispondenza della antica via Tuscolana che si dirigeva a sud ovest dalla valle del Colosseo alla via Celimontana.

Ora il fatto è che molti autori fanno coincidere la Porta Clausa con la Porta Querquetulana, e la Porta Clausa si apre sulle mura aureliane. La Porta Clausa era la porta meridionale del Castro Pretorio, la caserma dei pretoriani in cui l'imperatore Tiberio riunì le 9 coorti istituite da Augusto come guardia imperiale. Inoltre la Porta Clausa non ha certo l'aspetto di una Porta arcaica come quelle delle Mura Serviane, in semplice tufo e prive di ornamenti.

I REGIO - LATIUM ET CAMPANIA

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ROMA

I CONFINI

La Regio I Latium et Campania, fu la prima tra le undici regioni dell'Italia augustea, giustamente Prima perchè conteneva la città di Roma. Politicamente confinava:
- a sud-est con la Regio III Lucania et Bruttii, 
- ad est ed a nord con la Regio IV Samnium, 
- a nord-ovest con la Regio VII Etruria.

Geograficamente confinava:
- a nord con l'Aniene e il Tevere, tranne che per un breve tratto alla foce tiberina dove sconfinava oltre la sua sponda destra. 
- a sud con la Regio III attraverso la foce del fiume Silarus (Sele). 
- ad est con la catena degli Appennini.
- ad ovest con il mar Tirreno.



IL COMPRENSORIO

Essa comprendeva la Campania, il Latium vetus e il Latium Novum che conteneva a sua volta la capitale. La Campania era, secondo Strabone il territorio a sud del Liri, ma secondo Plinio il Vecchio e Caio Lucilio, il territorio a sud di Sinuessa. L'antica regione, densa di civiltà e di bellezze naturali, lambita dal mare e dal sole, ricca per una particolarissima terra fertilizzata dalle antichissime eruzioni vulcaniche, giustamente fu definita dai romani Capania Felix, dove Felix stava per opima, ricca e fertile.

I Greci si insediarono a Cuma (punto della terraferma più vicino a Lacco Ameno) e poi a Dicearchia (Pozzuoli), Parthenope e poi presso la definitiva Nea Polis (Napoli), col tipico impianto urbanistico ippodameo costituito da plateiai e stenopoi, divenuti poi nell'epoca romana l'area dei decumani di Napoli. L'insediamento greco avvenne infatti solo lungo le coste, mentre la parte interna era abitata dagli etruschi che diedero vita ad una lega di dodici città con a capo Capua, Nuceria, Nola, Acerra, Suessula.

La prima delle colonie in Campania ma pure di tutta l'Italia meridionale, fu l'isola di Ischia, dove agli inizi del VIII sec. a.c. un gruppo tecnico culturale proveniente dalla Calcide di Eubea si insediò priva di armi e con il consenso dei Cartaginesi nella baia di Lacco Ameno, onde apprendere le abilità etrusche nell'estrazione e la lavorazione del ferro dell'Elba.

La Campania diventò così uno dei centri culturali più importanti della Magna Grecia la quale influenzerà nel corso dei secoli la società romana e tutta la civiltà occidentale. Si pensi a Cuma che diffuse in Italia la cultura greca e l'alfabeto calcidese, che assimilato e fatto proprio dagli Etruschi e dai Latini, divenne l'alfabeto della lingua e della letteratura di Roma e poi di tutto l'occidente.

Successivamente la regione venne invasa dai Sanniti ( V sec. a.c.) finchè Roma decise che voleva un'altra colonia,. A seguito delle tre guerre sannitiche (343-290 a.c.), fu occupata dai Romani, che vi fondarono parecchie colonie (come quella di Puteoli, l'attuale Pozzuoli).

Il Latium comprendeva i diversi popoli di: 

Latini, 
Aborigeni, 
Ausoni,  
Capenati, 
Ernici, 
Equi,
Etruschi, 
Falisci, 
Rutuli, 
Sabini 
Volsci.

Già il connubio tra queste diversi gruppi etnici portò a un confronto tra culture diverse e informazioni diverse che arricchirono la popolazione. Il territorio inoltre si suddivideva in Vetus (vecchio, cioè originario) e Novum (o adiectus), cioè nuovo e aggiunto al vecchio.

Il Latium vetus, territorio originario dei Latini, era composto dalle zone comprese lungo la costa tirrenica (per 50 miglia) dal fiume Tevere al Circeo. Confinava, pertanto, a nord con l'Etruria, ad est dagli Appennini, dal mare ad occidente ed a sud dai Volsci. Pertanto era situato a nord della linea formata dalle città di Lavinium, Colli Albani e Praeneste (Palestrina).
Invece il Latium novum o Latium adiectum ("Lazio aggiunto") era il territorio centrale con le popolazioni originarie di Ernici, Volsci ed Aurunci, ben presto soggetti all'egemonia di Roma nel V-IV secolo a.c. Il suo confine a sud-est andava dai Latium vetus (dal Tevere al Circeo) fino alla Campania ed al fiume Liri, presso Sinuessa, limitata sul lato interno dagli Appennini, dove si stabilirono invece Volsci, Osci ed Ausoni, e che venne chiamata dai Romani Latium adiectum, perchè conquistato e non originario.



LE STRADE

- la via Salaria che risaliva la valle del Tevere;
- la via Valeria che attraversava la valle dell'Aniene collegava Roma a Tibur.
- la via Appia, da Roma fino a Brindisi.
- la via Latina, fino a Fregellae, Casinum, Teanum, Cales e Capua per ricongiungersi alla via Appia.
- la via Severiana da Ostia a Terracina.
- la via Domitiana che si staccava dalla Appia a Sinuessa per raggiungere Miseno e Puteoli.
- la via consolare Campana che collegava Capua al porto di Puteoli.
- la Via Popilia da Capua a Nola, Nuceria Alfaterna e Salernum, giungendo fino a Rhegium.



REGIO I - (INGRANDIBILE)
I PORTI

- Misenum, porto militare che dal 12 a.c. ospitò la flotta imperiale del Tirreno (la Classis Misenensis);
- Puteoli (Pozzuoli), il principale porto fino all'avvento di Ostia;
- il porto fluviale di Roma dove giungevano le merci dal porto di Ostia risalendo il corso del Tevere  o dall'entroterra discendendolo;
- Ostia, porto artificiale di Roma sul Tirreno:
- Il porto fluviale di Nuceria Alfaterna;
- Pompeii (Pompei), porto usato da Abella (Acerra) Nola e Nuceria Alfaterna (Nocera).



L'ECONOMIA

La base dell'economia era ovviamente costituita dall'agricoltura e dall'allevamento, in più c'erano saline alla foce del Tevere, i depositi minerali dovuti alle eruzioni del Vesuvio che resero la sua terra fertilissima, del grano e dei pregiatissimi vini: il Falerno, lo Statano, il Caleno e il Sorrentino, il Massicum, nonchè la coltivazione dell'olivo, soprattutto nel territorio di Venafrum.
Ma ricca fu anche la lavorazione dei metalli, dagli etruschi prima e dall'impero poi, ma pure le terracotte architettoniche, la ceramica, il vetro, i cosmetici, l'esportazione della Nocerite (tufo grigio), del tufo giallo, calcare, legna, noci e nocciole importantissime per gli eserciti, latticini e formaggi. A Pompei si produceva un ottimo e costosissimo garum.



LE CITTA'

Dopo Roma, la principale città del Latium dell'età imperiale era Ostia, poi sostituita da Porto (civitas Flavia Constatiniana Portuensis) sotto Costantino. Le antiche città latine persero l'importanza politica che ebbero nella prima fase della storia romana, ma divennero lussuosi centri di villeggiatura per i patrizi romani,  come ad esempio: Tusculum (presso l'odierna Frascati), Aricia (Ariccia), Lavinium, Ardea e Praeneste (Palestrina) 

ANFITEATRO DI AVELLA
- Abella - (Avella) -
Di origini vagamente ibride, tra greci, etruschi ed aborigene, venne ben presto occupata dai sanniti, ma in seguito cadde sotto il dominio dei romani. Per la sua fedeltà a Roma durante la guerra sociale (91 a.c.-89 a.c.) venne punita nell'87 a.c. con la distruzione da parte dei sanniti che ancora occupavano Nola.
Di un santuario fuori della città, ad occidente, nella zona di S. Candida, è testimonianza un deposito votivo con statuette di terracotta e ceramica a vernice nera, solo in parte esplorato. 
Di grande importanza, oggi come allora ,a produzione delle famose nocciole avellane.

ACROPOLI DI CIVITAVECCHIA

Acropoli di Civitavecchia - (Arpino) - 
Civitavecchia di Arpino fu, probabilmente, il nucleo originario del primitivo insediamento volsco (popolo del VII-VI sec. a.c.), fondato per necessità di difesa su un luogo alto e dirupato e poi circondato da possenti mura. 

- Antium - (Anzio) -
affacciata sul tirreno, menzionata da Plinio il Vecchio nella "Naturalis Historia" e antica capitale dei Volsci. Dopo la conquista romana del 338 a.c. divenne un importante centro portuale e residenziale della repubblica e poi dell'impero romano.

AQUA ALBULA

- Aqua Albula o Aquae Albulae - (Bagni di Tivoli) -
Plinio le fa celebri per i loro mitri salutari: "juxta Romam albulae aquae vulneribus medentur." Si veneravano le ninfe e quindi le stesse acque. Nel 1736 si scavarono in Tivoli quattro colonne di marmo pario ed altre con frammenti di statue con lapidi.


- Aquinum - (Aquino) -
città romana di cui ci resta Porta Capuana come unico monumento integro e l'Arco onorario romano “detto di Marcantonio” , visibile solo in parte. Secondo la leggenda l’arco sarebbe stato eretto in una sola notte in onore del console Marcantonio.


- Ardea - (Ardea) -
Città fondata da Danae, madre di Perseo. Durante la II guerra punica, Ardea fu una delle dodici colonie che rifiutarono ai Romani gli aiuti militari. Dopo la vittoria i Romani privarono dell'autonomia.le città ribelli. Ovidio fa derivare il nome di Ardea all'alzarsi in volo di un airone cenerino (ardea cinerea) dopo l'incendio e la distruzione della città ad opera di Enea, vittorioso sul re rutulo Turno, figlio di Dauno, che a sua volta era figlio di Danae.«Turno muore. Ardea cade con lui, città fiorente finché visse il suo re. Morto Turno, il fuoco dei Troiani la invade e le sue torri brucia e le dorate travi. Ma, poi che tutto crollò disfatto ed arso, dal mezzo delle macerie un uccello, visto allora per la prima volta, si alza in volo improvvisamente e battendo le ali, si scuote di dosso la cenere. Il suo grido, le sue ali di color cenere, la sua magrezza, tutto ricorda la città distrutta dai nemici. Ed infatti, d'Ardea il nome ancor gli resta. Con le penne del suo uccello Ardea piange la sua sorte»
(Ovidio, Metamorfosi, XV.)

- Aricia (Ariccia) -
Ovidio (libro XV "Le metamorfosi") narra che il figlio di Teseo, Ippolito, dovette fuggire dalla Grecia accusato di incesto con sua madre Fedra, e in Italia dove venne accolto dalla Dea Artemide nel suo bosco sacro del Lazio presso il lago di Nemi sui Colli Albani. La Dea mutò nome ad Ippolito chiamandolo Virbio ed egli fondò la città di Aricia, dalla moglie indigena del fondatore, chiamata appunto Aricia.
La città ebbe la prima mansio ("stazione di sosta") lungo la via Appia provenendo da Roma, per cui si aprì ai commerci e ai viaggi. Decadde invece dopo il sacco di Roma del 410 da parte dei Visigoti di re Alarico.


Baiae
- abitata dagli antichi romani, area archeologica situata a Baia, frazione di Bacoli, nell'area dei Campi Flegrei. Rimane oggi soltanto quella che allora era la parte collinare della città, trovandosi la rimanente sotto il livello del mare, sprofondata a causa di fenomeni bradisismici. Nel Parco Archeologico di Baia (Terme Romane e/o Palazzo Imperiale) con gli edifici termali monumentali: Tempio di Diana, Tempio di Mercurio, Tempio di Venere, la villa di Cesare inglobata nel Castello Aragonese (Baia), il Parco sommerso di Baia con il Ninfeo di Punta Epitaffio.

    Bauli 
    - Bacoli - abitata dagli antichi romani che la chiamarono Bauli. Vanta molti monumenti tra cui: Cisterna romana Centocamerelle, Cisterna romana Piscina Mirabilis, piccolo odeion chiamato "Tomba di Agrippina".

    - Caieta (Gaeta) -
    Dal 345 a.c. il territorio di Gaeta divenne dominio di Roma arricchendosi di commerci e monumenti. Inoltre divenne un luogo di villeggiatura molto rinomato per la bellezza dei luoghi e del mare, frequentato da imperatori, ricchi patrizi, consoli e famosi senatori dell'epoca. Si conserva ancora nel suo territorio il Mausoleo di Lucio Munazio Planco, console romano, prefetto dell'Urbe, generale sia di Giulio Cesare, di Marco Antonio e di Ottaviano Augusto.

    VASI CALENI

    - Cales - (Calvi Risorta) -
    Antichissima città degli Aurunci e degli Ausoni, Cales venne conquistata del Romani nel 335 a.c. che vi insediarono una colonia di 2500 uomini. Poichè si schierò dalla parte di Annibale, la città fu punita da Roma con l'imposizione di alti tributi nel 204 a.c., per venire poi riabilitata come colonia, nel secolo II a.c. divenendo celebre per le ceramiche (vasi caleni). Eretta in municipio, fu dotata di templi, di anfiteatro, di terme nel secolo I a.c., e di teatro.
    La ceramica calena a rilievo era realizzata con un’argilla grigia o camoscio chiaro o rosato molto depurata, coperta da una vernice nera piombina dai riflessi metallici, rappresentata all'inizio da patere con medaglione e patere ombelicate, con disegni della mitologia greca o di gladiatori. Tale ceramica imita la lavorazione del metallo in ambito greco ed etrusco.
    Resti archeologici: Anfiteatro, Cinta muraria, Santuari, Terme romane.


    - Capua - (Santa Maria Capua Vetere) -
    Nel 504 a.c., Greci e Latini alleatisi fra loro sconfissero gli Etruschi che avevano occupato Capua nella battaglia di Ariccia, e nel 474 a.c., con Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Sorrento, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri, e Hyria. Poi venne assediata dai sanniti nel IV sec. a.c. a.c., per cui inviò un'ambasceria a Roma chiedendone la protezione, ma il Senato romano, che aveva già un trattato di non belligeranza con i Sanniti, fu costretto a respingere la richiesta.
    Allora gli ambasciatori disperati perchè conoscevano la ferocia e la distruttività dei Sanniti, consegnarono la città a Roma, nella cosiddetta cosiddetta DEDITIO, per cui diventava territorio romano e come tale doveva essere difesa a tutti i costi. Infatti Roma diede per questo inizio alla I guerra sannita, nel 343 a.c.. e nel 338 a.c. le concesse la civitas sine suffragio, ovvero la cittadinanza senza l'esercizio del diritto di voto. Resti archeologici: Museo campano, Anfiteatro Campano, Arco di Adriano, Criptoportico, Mausoleo Carceri Vecchie, Mausoleo La Conocchia, Mitreo, Via Appia.


    - Casalucense -
    Il Santuario di Santa Maria di Casalucense è situato a circa 3 Km dall’abitato di Sant’Elia Fiumerapido, alla sommità di una collinetta sulle pendici del monte Cifalco. Come la prospiciente Abbazia di Montecassino, anche il santuario di Casalucense sorge su un luogo pagano dedicato al culto delle Ninfe, come testimonia un’epigrafe risalente all’epoca dell’imperatore Tiberio Claudio rinvenuta sul luogo. Nei pressi delle sue mura poligonali è stata rinvenuta, di recente, un’ara sacrificale costituita da un unico masso calcareo, evidentemente dedicata alle ninfe.


    - Formiae - (Formia) -
    Venne fondata in epoca antica dai Laconi che la chiamavano Hormia. In epoca romana era chiamata Formiae. Legata alla leggenda di Troia e al peregrinare di Ulisse, viene citata dell'Odissea come terra dei Lestrigoni, giganti cannibali presso cui approdarono le navi di Ulisse e delle quale solo la sua riuscì a salvarsi. Antica città aurunca, come dimostrano le mura poligonali, dopo la conquista da parte dei romani, V - IV secolo a.c., entrò a far parte del Latium adiectum divenendo civitas sine suffragio nel 338 a.c. perché il passaggio attraverso il suo territorio era sempre stato sicuro. Passaggio così importante per i Romani, che vi fecero passare la via Appia nel 312 a.c. e nel 188 a.c., Formia ricevette la cittadinanza romana.
    Formia fu una località turistica molto apprezzata in epoca romana come testimoniano i numerosi resti di ville, tra le quali celebri erano quelle di Mamurra, Mecenate e Cicerone.

    FREGELLAE

    - Fregellae -
    L'antica città di Fregellae, le cui vestigia sono visibili su un altopiano posto nel territorio del comune di Arce e, in parte, in quello limitrofo di Ceprano, fu molto probabilmente fondata dagli Osci, e venne poi occupata e popolata dai Volsci. 
    La vicina Fabrateria Vetus (oggi Ceccano, fondata anch'essa dai Volsci) chiamò in aiuto Roma contro le minacce dell'espansione sannitica finché nel 328 a.c. i romani vi stanziarono una colonia di diritto latino nei pressi del Liri, fondando così la Fregellae romana. 


    ERCOLANO

    - Herculaneum - (Ercolano) -  
    Venne abitato da Osci  Etruschi  Sanniti, Romani - Scavi della città antica hanno riesumato il Teatro romano, e la Villa dei Papiri.


    Laurentum -
    Posta lungo la via Laurentina, a 10 miglia da Roma e a sei miglia dalla vicina Lavinium. Città del Latium vetus, era già scomparsa nella tarda età repubblicana. Secondo Plinio i resti della città si trovavano nella sua villa, i cui ruderi oggi si trovano nella tenuta presidenziale di Castel Porziano pur non essendo ancora chiara la sua ubicazione.
    Si dice fondata da Pico, antico re di Alba Longa. Su Laurentum regnò per 35 anni re Latino, figlio di Fauno e di una ninfa locale, discendente di Saturno, la sua sposa si chiamava Amata e sua figlia Lavinia.
    Secondo Virgilio vi si stabilirono i troiani di Enea al termine della loro fuga da Troia, dopo essere sbarcati sulle coste del Latium nei pressi della foce del Tevere nel 1180 a.c. circa, ospiti di re Latino che volle concedere in sposa ad Enea sua figlia Lavinia, già promessa in sposa a Turno re dei Rutuli. Durante la guerra che ne seguì tra Rutuli e Troiani Laurentum sarebbe stata abbandonata o distrutta, e i suoi abitanti si sarebbero trasferiti, fondando nelle vicinanze Lavinium.


    - Lavinium - (Lavinio) -
    L'antica Lavinio è la città dove Enea, capo dei profughi di Troia, fondò il primo insediamento, avvenuto in Italia d'estate, due anni dopo la caduta di Troia. Secondo la tradizione, il nome della città deriva da Lavinia, figlia di Latino re dei Latini e di Amata, data in sposa ad Enea.
    Nel 489 a.c. Lavinio fu conquistata dai Volsci, condotti da Gneo Marcio Coriolano. Nel 390 a.c. Marco Furio Camillo, nel celebre discorso con cui convinse i romani a non abbandonare Roma, appena saccheggiata dai Galli di Brenno, ricorda i riti sacri che per tradizione, i romani ancora compivano sul monte Albano e a Lavinio. Nel 338 a.c., al termine della guerra latina, Lavinio rinnovò un foedus sacro con Roma, e la città divenne municipio. Di Lavinio, in età imperiale, rimase ancora attiva e frequentata solo l'area sacra.


    - Liternum - (Literno) -
    Sembra che gli Osci vi crearono una colonia, ampliata dai romani che nel 194 a.c. sulla sponda sud del Lago di Patria (detto allora Literna Palus) presso la foce del fiume Clanis vicino alla Selva Gallinara. La colonia fu assegnata a dei veterani della II guerra punica, appartenenti all'esercito di Scipione l'Africano che qui si rifugiò esule e vi morì nel 183 a.c. La sua tomba e la sua villa furono descritte da Seneca. Nel luogo venne eretta la sua statua ed il sepolcro coll'epigrafe, osservata da T. Livio, in cui si leggeva: "Ingrata Patria nec ossa quidem mea habes". 
    Successivamente, secondo la tradizione, fra le rovine della città vi si trovò un frammento della suddetta epigrafe, in cui si leggeva solo "... ta Patria nec..." e perciò tutto quel luogo prese il nome di Patria, e ugualmente il lago detto di Patria. La città fiorì in epoca augustea, soprattutto tra la fine del I ed il II secolo d.c., grazie alla Via Domiziana che, partendo da Sinuessa, la collegava con i centri della costa campana e con il porto di Puteoli (Pozzuoli).

    RICOSTRUZIONE DEL FORO DI MINTURNAE

    Minturnae - (Minturno) -
    Antico centro ausone Pentapoli Aurunca, chiamata Pirae, che sorgeva lungo il percorso della via Appia, presso il fiume Garigliano dove c'era un culto particolare per la Dea Marica “la dea dell'acqua che brilla sotto la luce del sole”, ma anche la Dea “che distrugge, infuria, consuma, inaridisce” - in onore della quale era stato eretto, verso la fine del sec. VI a.c., un tempio in tufo, che fu poi coperto in muratura alla fine del I secolo dai Romani. 
    Sconfitto il popolo aurunco nel 340 a.c., i romani vi fondarono una colonia romana con il suo ager compreso tra i Monti Aurunci e il Tirreno, e la zona residenziale sulla costa dell'odierna Scauri (già Pirae), con emagnifiche villae maritimae, e una zona agricola e produttiva, lungo il fiume e sulle colline, con villae rusticae. Presso la foce del Garigliano sorgeva il bosco sacro della Dea Marica dove c'era un santuario e si svolgeva il suo culto. Nelle sue paludi trovò rifugio, nell'88 a.c., il console Caio Mario, inseguito dagli uomini di Silla. I magistrati locali ordinarono la sua uccisione per mano di uno schiavo cimbro, che però intimorito da Mario, lo lasciò fuggire..

    - Misenum - (Miseno) -
    frazione del comune di Bacoli, il cui nome, deriva da sinus militum, citato da Virgilio che ricorda il Miseno trombettiere di Enea, secondo la tradizione qui sepolto dopo aver sfidato Tritone. Capo Miseno è citato anche da Plinio il Giovane nella lettera dedicata a Tacito dove narra dello zio Plinio il Vecchio deceduto durante l’eruzione del Vesuvio del 79. Già porto cumano dal IV secolo a.c., nel III secolo a.c. vi sostò Annibale, e nel II secolo a.c. divenne un lussuoso centro residenziale. Con l'impraticabilità del Portus Iulius, divenne colonia autonoma e base della flotta pretoria romana del basso Tirreno, ospitando la prima flotta imperiale, la Classis Praetoria Misenensis. In età augustea divenne il più importante sito militare romano della zona, fiorì all'epoca di Marco Aurelio (161 d.c.), ma decadde con la caduta dell'Impero romano d'Occidente.

    VILLA IMPERIALE DI PAUSILYPON IN TERRITORIO NEAPOLIS

    - Neapolis - (Napoli) -
    Dopo gli Osci e i Greci, Neapolis fu romana. Nel VIII sec. a.c. il primo stanziamento avvenne sulla collina di Pizzofalcone e sull'isolotto di Megaride da parte dei Cumani, sviluppandosi in un centro abitato chiamato Partenope, dal nome della Sirena vinta da Ulisse, il cui sepolcro, secondo le fonti, fu ritrovato sulla costa napoletana, col corpo ancora intatto. In seguito alla distruzione del centro nel VI sec. a.c. ad opera di Cuma, la città fu rifondata in una zona più a valle prendendo il nome di Neapolis, cioè la "città nuova", ancora ad opera dei Cumani stessi insieme a un gruppo di coloni Rodii, verso la fine del VI - inizi V sec. a.c. Il vecchio insediamento di Partenope si chiamò invece Palaeapolis, cioè la "città vecchia".
    Sconfitti i sanniti Roma la occupò lasciandole però molta autonomia, nonostante però i tentativi di Annibale di sobillare i suoi abitanti contro Roma, Neapolis rimase fedele a Roma e fu promossa a municipio romano, e nel I sec. a.c. venne dichiarata Municipium. Nell'82 a.c., nella lotta fra Mario e Silla, Neapolis parteggiò per Mario e la vendetta sillana fu terribile. Neapolis fu saccheggiata, devastata, sommersa dal sangue delle stragi e la sua flotta venne confiscata o distrutta, condannandola ad un periodo di decadenza. Con la successiva trasformazione da municipio romano a colonia, in città andò affermandosi la lingua latina e si ebbe una graduale ripresa dal periodo di decadenza. I suoi resti archeologici:
    - Chiesa del Carminiello ai Mannesi (Resti di un edificio di epoca romana),
    - Crypta Neapolitana,
    - Fontana delle zizze (Sarcofago romano),
    - Grotta del Cane,
    - Decumani di Napoli,
    Insediamenti agricoli di età romana (Ponticelli),
    - Isolotto di Megaride,
    - Monte Echia,
    - Napoli sotterranea, 
    - Oasi di Santa Maria di Pietraspaccata, 
    - Parco archeologico della Mostra d'Oltremare, 
    - Parco archeologico di Posillipo (comprende la Grotta di Seiano, la villa imperiale di Pausilypon con annesso teatro dell'Odeon, il Parco sommerso di Gaiola ed il palazzo degli Spiriti), 
    - Ponte romano (via Salvator Rosa),
    - Ponti Rossi (acquedotto romano del Serino), 
    - Reperti archeologici nella Stazione Neapolis,
    - Resti archeologici di Pizzofalcone (Necropoli),
    - Resti archeologici di Scampia,
    - Resti del Tempio dei Dioscuri (Colonne sulla facciata di epoca greca), 
    - Resti dell'Acropoli sulla collina di Caponapoli, 
    - Resti della Porta Furcillensis, 
    - Resti di epoca romana in Sant'Aspreno al Porto, 
    - Resti di una Domus Romana negli scantinati di una Banca, 
    - Resti nel Chiostro dei SS. Marcellino e Festo, 
    - Scavi archeologici di San Lorenzo Maggiore, 
    - Scavi archeologici interni al Maschio Angioino, 
    - Scavi di Santa Chiara, 
    - Scavi archeologici del Duomo, 
    - Scavi di Piazza del Municipio (antico circondario del Maschio Angioino), 
    - Strada romana all'interno del Palazzo Corigliano (aula "Mura Greche"), 
    - Teatro romano di Neapolis, 
    - Tempio della Gaiola, 
    - Terme romane di Agnano, 
    - Terme romane di via Terracina, 
    - Tunnel Borbonico, 
    - Villa di Licinio Lucullo, 
    - Tazza di Porfido (proveniente dal Tempio di Era di Paestum), 
    - Catacombe delle Anime del Purgatorio ad Arco, 
    - Catacombe di San Gaudioso, 
    - Catacombe di San Gennaro, 
    - Catacombe di San Paolo Maggiore,
    - Catacombe di San Pietro ad Aram, 
    - Catacombe di San Severo fuori le mura,
    - Catacombe greche, 
    - Cimitero delle Fontanelle, 
    - Cimitero di Santa Maria del Pianto, 
    - Catacombe di Sant'Eufebio, 
    - Colombarium di via Pigna, 
    - Mura greche di Neapolis, 
    - Parco Vergiliano.


    Isolotto di Megaride
    Secondo Strabone, l'isola fu fondata da coloni provenienti da Rodi che qui avrebbero stabilito, tra il IX-VIII sec. a.c., un emporio commerciale. I culti religiosi in epoca greca furono appunto quelli dei greci, ed uno dei culti più antichi fu il culto della sirena Partenope, già noto in Grecia orientale prima della fondazione della città.
    MEGARIDE
    Sul culto della sirena, o ninfa, Partenope ci sono poche notizie, tra cui una corsa con le fiaccole che ogni anno si compiva in suo onore, le cosiddette Lampadoforie, il che fa pensare a un culto misterico greco. Pare che la sirena sia morta  a Megaride, essendo stata trasportata dal mare nella zona in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì, guarda caso, venne fatta seppellire dalla chiesa cristiana una dei patroni di Napoli, santa Patrizia.
    Secondo alcuni, Partenope morì dopo essere stata rifiutata da Ulisse, per altri gli Argonauti passarono per l'isola dove viveva la sirena e Orfeo, che era con loro, suonò la cetra facendo suicidare Partenope in mare (suonava così male?). Comunque a Napoli la Partenope era venerata come Dea protettrice.
    Così il primo stanziamento di coloni interessò l'isola di Ischia e poi passò alla zona della provincia di Napoli, divenendo a tutti gli effetti una colonia greca.



    - Nola - (Nola) -
    La fondazione della città, cui fu dato il nome Nuvla (città nuova), risale all’801 a.c. ad opera degli Ausoni. Passò poi sotto il dominio degli Osci e poi degli Etruschi, che ne fecero nel 400 a.c. la capitale della Confederazione Campana, a cui successe il dominio dei Sanniti. Nell’80 a.c., Nola fu conquistata da Silla e sotto Augusto si risollevò diventando la Nolana Colonia Felix Augusta e ottenendo la dignità senatoriale (S.P.Q.N.). Alla morte dell'Imperatore però, avvenuta proprio a Nola nel 14 d.c., per la città iniziò una lenta decadenza, diventando da centro del commercio a cittadina prevalentemente agricola.


    - Nuceria Alfaterna - (Nocera Superiore e Nocera Inferiore) -
    Posta tra Nocera Superiore e Nocera Inferiore, una delle città più estese e importanti della Campania antica. È stata città osca, etrusca, sannita e romana. Nacque come insediamento etrusco intorno alla fine del VII secolo a.c. entrando a far parte della dodecapoli della colonizzazione etrusca in Campania, nata per bloccare l'espansione greca verso settentrione. Dopo la sconfitta del 474 a.c. nel mare di Cuma, gli etruschi abbandonano la regione e l'antica Nuvkrinum passa ai Sanniti. Nel V secolo a.c., cambiò nome in Nuvkrinum Alfaternum, dalla tribù sannitica degli Alfaterni. Sconfitta divenne alleata di Roma nel 307 a.c. ma nel 216 a.c. fu distrutta da Annibale proprio per la sua fedeltà ai romani. 
    Alla fine della guerra fu ricompensata dai romani con una completa ricostruzione. Fu ancora saccheggiata durante la guerra sociale (Appiano, Bellum Civile) a seguito della quale ottenne la cittadinanza romana, inserita nella tribù Menenia. Decadde a cominciare dall'esplosione del Vesuvio del 79 d.c. Resti archeologici: Anfiteatro, Battistero paleocristiano di Santa Maria Maggiore (chiamato La Rotonda), Mura di cinta, Teatro romano, Necropoli di San Clemente.


    - Oplontis -
    Presso Pompei, corrispondente all'attuale Torre Annunziata, in Campania, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79.  Un insediamento suburbano della vicina Pompei dove erano presenti alcune ville di villeggiatura, diverse fattorie, saline e complessi termali, vista la ricchezza di acque della zona.

    OSTIA ANTICA

    - Ostia - (Ostia Antica) -
    Fu la prima colonia romana fondata nel VII secolo a.c. dal IV re di Roma Anco Marzio, crebbe grandemente in epoca imperiale come centro commerciale e portuale, legato all'annona per l'approvvigionamento di grano per la capitale. Aumentò la sua importanza dopo la costruzione dei porti di Claudio e di Traiano, ma decadde in epoca tardo-antica, sostituita dal centro portuale di Porto.


    - Pithekoussai (o Pithecusae) - (Isola d'Ischia) -
    Il ritrovamento di muri a secco, nel 1989 a seguito di uno smottamento, in località Punta Chiarito, nella frazione di Panza, ha dato l'avvio tra il 1993 ed il 1995 ai lavori di scavo che hanno evidenziato una fattoria greca, anticipando lo sbarco dei primi coloni greci di circa venti anni, cioè intorno al 790-780 a.c. Fu fondata nella prima metà dell'VIII sec. a.c. (770 a.c. ca.) dai Greci di Eretria e di Calcide (Eubea). Qui è stata rinvenuta una fattoria greca tenuta da agricoltori benestanti, e la colonia era famosa per l'ottima produzione di ceramica.


    POMPEI

    - Pompeii - (Pompei) -
    La vita commerciale a Pompei era molto attiva: come testimonia la presenza di un nutrito numero di
    botteghe, taverne, officine ed osterie. Gli archeologi hanno riportato alla luce ben 614 esercizi
    commerciali, fra cui 207 laboratori artigianali, officinae, 34 panifici, pistrinae, 89 thermopolia (tavole calde dell’antichità) e 120 osterie, cauponae o popinae o tabernae vinarie, segno palese che a
    mezzogiorno quasi tutti i 15.000 Pompeiani consumavano un pasto veloce fuori casa.

    PRAENESTE

    - Praeneste - (Palestrina) -
    L'antica Praeneste, fu città latina celeberrima per il Santuario della Fortuna Primigenia, col suo splendido santuario databile al II secolo a.c. La città venne conquistata da Roma nelle battaglie contro la Lega Latina, pur avendo Preneste stretto un'alleanza anche con i Galli per contrastare Roma. Nel 90 a.c. i cittadini di Palestrina ottennero la cittadinanza romana e nell'82 a.c., durante la guerra civile, la città parteggiò per Gaio Mario, che qui vi morì. Il crudele Silla, per ritorsione, ne sterminò tutti i cittadini maschi e vi installò una colonia militare. Fu uno dei luoghi di villeggiatura preferiti da Augusto.


    - Puteoli - (Pozzuoli) -
    Fondata nel 531 a.c. da alcuni profughi di Samo, la città venne chiamata Dicearchia cioè la città del giusto governo. Venne occupata nel 421 a.c. dai Sanniti che le concessero però una discreta autonomia. Nel 338 a.c., venne occupata dai romani che la battezzarono Puteoli cioè "piccoli pozzi", forse per le sorgenti di acque termo-minerali. Nel porto di Puteoli, con la lex Atinia de coloniis quinque deducendis, del 197 a.c., per la romanizzazione della fascia tirrenica della Magna Grecia, i romani dedussero, nel 195 a.c. una colonia marittima e Puteoli divenne il porto mediterraneo di Roma, decadendo poi con la costruzione del porto di Ostia.
    Resti rcheologici: Acquedotto romano, Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, Anfiteatro Minore, Area archeologica del Rione Terra, Cisterna romana Cento Camerelle, Cisterna romana Piscina Cardito, Cisterna romana Piscina Lusciano, Macellum (chiamato Tempio di Serapide), Mausolei romani del Fondo Di Fraja, Necropoli romana di San Vito, Necropoli romana di Via Antiniana, Necropoli romana di Via Celle, Ruderi dei Collegia, Stadio romano, Tabernae romane, cd. Tempio di Diana, Terme di Nettuno, Via Celle, Via Consolare Campana, Via Puteolis-Neapolim, Villa romana detta Villa di Cicerone.


    - Salernum - (Salerno) -
    Vi si attesta nel VI secolo a.c. un centro osco-etrusco che, nel V secolo a.c., venne occupato dai Sanniti. che l'abbandonarono nel 280 a.c. per ragioni ignote. Con la lex Atinia de coloniis quinque deducendis, del 197 a.c., per la romanizzazione della fascia tirrenica della Magna Grecia, vennero fondate cinque colonie marittime di cittadini romani a Vulturum, Liternum, Puteoli, Castrum Salerni e Beneventum.
    Nel 199 a.c. Scipione fece inviare a Salerno, ormai Salernum e non più Castrum Salerni, trecento cittadini romani per fondarvi la colonia marittima, nello stesso periodo in cui vi istituirono il portorium, trasformando lo scalo marittimo della città in dogana di Stato. I salernitani parteciparono, quali alleati di Roma, alla II Guerra Punica e furono ricordati da Scipione L'Africano quali "pugnaci guerrieri lanciatori di giavellotti". Dopo la Battaglia di Canne furono un valido presidio contro i Picentini, schieratisi dalla parte di Annibale. La città si espanse e durante l'impero di Diocleziano divenne il centro amministrativo della provincia della Lucania e del Bruzio. Resti archeologici: Impianto termale romano sotto la Chiesa di San Pietro a Corte e resti del cd. tempio di Pomona (presso palazzo arcivescovile).

    - Sinuessa - (Mondragone) -
    Posta ai confini tra il Latium adiectum e la Campania antica, venne fondata dai romani nel 296 a.c. dopo aver sottomesso il popolo degli Aurunci. Venne attraversata dalla Via Appia, per cui divenne luogo ameno dove i patrizi collocarono molte ville per gli otii. Fiorì con la realizzazione della Via Domiziana, nel 94 d.c., e per lo sbocco commerciale del porto di Puteoli (Pozzuoli).
    Celebri le sue terme di acque calde e salubri, ma pure il suo pregiato vino, il Falerno, e il suo ottimo clima Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, anche Sinuessa venne distrutta dalle invasioni barbariche, nonchè dal bradisismo, che ne cancellò la costa.

    - Sora - (Sora) -
    Antica città volsca, poi occupata dai Sanniti. Nel 345 a.c. venne conquistata da Roma, che nel 303 a.c. vi inviò 4.000 uomini, a fondazione della colonia romana. Da allora ne condivise la storia fino alla caduta dell'Impero. La Chiesa di Santa Maria Assunta eretta sulle rovine di un tempio pagano del Dio "Sole-Sorano" del III sec. a.c., scoperto sotto la chiesa nel 1974.

    GROTTA DI TIBERIO A SPERLONGA

    - Speluncae - (Sperlonga) -
    Antica città di Amyclae, affacciata sul Mar Tirreno, che si dice fondata dagli Spartani. In età romana vi sorsero numerose e splendide ville, la più celebre delle quali è quella dell'imperatore Tiberio, comprendente una grotta naturale modificata e decorata con sculture del ciclo dell'eroe omerico Ulisse. Le ville erano inoltre proficui centri di produzione per l'industria della pesca, edificando sulle acque marine enormi vasche per l'allevamento ittico.


    - Stabiae  -
    Castellammare di Stabia - Napoli - Sanniti, Etruschi, Magna Grecia - Scavi archeologici di Stabiae (Villa Arianna, Villa San Marco, secondo complesso, Villa del Pastore, Villa Petraro, Villa Carmiano, Villa Sant'Antonio Abate, Necropoli); Musei: Antiquarium stabiano.


    - Suessa - (Sessa Aurunca) -
    Città aurunca, che aderiva alla Pentapoli Aurunca. Nel 337 a.c. la postazione troppo esigua fu abbandonata in favore della zona dell'attuale centro storico di Sessa. Nel IV secolo a.c. venne conquistata dai Romani, che sconfissero anche la Pentapoli Aurunca, facendovi sorgere una colonia di diritto latino, Suessa. Nella II guerra punica (219-202 a.c.), però si rifiutò di fornire armi, soldati e denari a Roma e per questo venne punita, ma poi riabilitata ed elevata a "municipium" nel 90 a.c.. Durante la guerra civile si schierò al fianco di Silla prima e più tardi di Pompeo. È di questo periodo la cinta muraria in opus quadratum, con sei porte. Al tempo di Augusto Sessa ospitò una colonia di veterani classarii e si ampliò. Cesare distribuì le terre di Sessa fra i suoi veterani, per cui la città assume talvolta il nome di Colonia Julia Felix Classica Suessa.


    - Tarracina - (Terracina) -
    Un tempo chiamata Anxur in lingua volsca, posta forse sul sito dell'antica Amyclae o Amynclae. Dionigi di Alicarnasso narra che i suoi fondatori furono alcuni profughi di Sparta che si sarebbero stabiliti a Feronia, ai piedi del Monte Leano, dove poi sorse un luogo di culto dedicato a tale divinità. Secondo Tito Livio la città era già occupata dai romani già alla fine del VI secolo a.c., tanto che Tarquinio il Superbo avrebbe inviato coloni a Segni e a Circeii, per presidiare il mare.
    Venne rioccupata dai Volsci, che le diedero il nome di Anxur, come riporta Plinio, poi. riconquistata dai Romani nel 406 a.c., e poi ancora nel 400 a.c., finchè vi fu dedotta nel 329 a.c. la colonia romana, che inizialmente prese il nome di "Colonia Anxurnas". 


    - Teanum - (Teano) -
    Venne fondata nel IV secolo a.c. come capitale dal popolo italico dei Sidicini, facente parte degli Osci. Nel 340 a.c. i Sidicini furono alleati con i Latini e i Campani contro Roma, nella guerra latina.
    Combattè prima con i Sanniti e poi con i Romani che però ebbero la meglio facendone un municipio romano (Teanum Sidicinum) con propria monetazione. Ottenne lo stato di colonia sotto Augusto.
    Fiorì grandemente n questo periodo, edificando un anfiteatro, un foro, un teatro, templi e terme.

    TEMPIO DI ERCOLE A TIVOLI

    - Tibur - (Tivoli) -
    Fu un luogo celebre nell'antichità per la bellezza dei suoi edifici, per le splendide Villae d'otium, per gli Oracoli della sua famosa Sibilla, per la salubrità dell'aria, per lo splendido paesaggio e le numerose cascate che la decorano. Tivoli fu chiamata da Strabone città d'Ercole, Tibur Herculeum, e la disse dedicata ad Ercole.
    Dal IV secolo a.c., terminate le battaglie con Roma in espansione, fu riconosciuta municipio romano con la Lex Iulia municipalis nel I secolo a.c., cosicchè Tivoli divenne sede di molte ville di ricchi romani, come testimoniano i numerosi resti. Quelle identificate sono attribuite a Orazio, a Cassio, a Publio Quintilio Varo, a Manlio Vopisco (i cui resti sono incorporati nell'attuale Villa Gregoriana) e la mirabile villa di Adriano, del II secolo d.c..

    - Velitrae - (Velletri)
    Sembra che i Volsci la chiamassero Velestrom, Anco Marzio, IV re di Roma, assediò Velitrae, che venne a patti con Roma con cui stipulò un'alleanza,in nome della quale la Gens Octavia, originaria di Velitrae, al momento del suo trasferimento a Roma all'epoca di Tarquinio Prisco, ottenne il riconoscimento della cittadinanza romana e i diritti politici.
    Nel 510 a.c., cacciati i Re di Roma, la Lega Latina assieme agli Etruschi di Porsenna presero le armi per rimettere Tarquinio il Superbo sul trono. Anche i Volsci di Velitrae parteciparono a questa alleanza, ma anche quando i romani vinsero nella battaglia del Lago Regillo (499 a.c.) i Volsci continuarono le ostilità contro Roma. Così nel 494 a.c., il console Aulo Celiomontano marciò contro i Volsci, conquistò Velitrae, e vi pose una colonia romana.


    - Venafrum - (Venafro) -
    Oggi in territorio molisano, nel III secolo a.c. combattè aspramente contro Roma durante le Guerre Sannitiche. Nell'89 a.c. Venafrum, durante la Guerra Sociale, venne espugnata a tradimento dal frentano Mario Egnazio che fece strage di sei coorti romane. Anche Silla la rase al suolo. Nel gennaio del 49 a.c. Pompeo Magno venendo da Teano, vi fece sosta. Divenne Colonia romana sotto Augusto (Colonia Augusta Julia Venafrum), e recepì la caratteristica sistemazione urbanistica, parzialmente conservata nell'abitato attuale. In epoca romana vanta di una sviluppata economia con il rinomato olio, molto apprezzato anche da Marziale, che secondo la leggenda fu portato da Licinio il quale ne parla in molte sue opere.

    TEMPIO DI GIOVE - CUMA

    Kime - (Cuma) -
    Si crede fondata intorno al 740 a.c., dagli Eubei di Calcide che scelsero di approdare in quel punto perché attratti dal volo di una colomba o secondo altri da un fragore di cembali. Cuma diffuse in Italia la cultura greca, con l'alfabeto Calcidese, assimilato dagli Etruschi e dai Latini. Nel III libro dell'Eneide è scritto che Enea, se vorrà trovare la terra destinata al suo popolo, dovrà interrogare l'oracolo della sibilla Cumana (Eneide, III, 440-452) il cui antro ancora si conserva. I Cumani combatterono per difendersi dagli Etruschi di Capua, dagli Aurunci e dalle popolazioni interne della Campania, stabilendo il suo predominio su quasi tutto il litorale campano fino a Punta Campanella, ma nel 524 a.c. gli Etruschi di Capua formarono una lega con altre popolazioni, per riconquistare Cuma, però ebbero la peggio.
    Tuttavia intorno al 421 a.c., venne conquistata dei Campani, finchè non subentrarono i romani che dettero a Cuma (nel 334 a.c.) la civitas sine suffragio. Quando, oltre un secolo dopo, Annibale tentò di conquistarla, essa gli si oppose infliggendogli una dura sconfitta. Da allora Cuma fu fedele alleata di Roma e diventò municipium. Nel 215 a.c., ai 300 cavalieri campani che avevano compiuto il servizio militare in Italia e si erano recati a Roma, venne concessa la cittadinanza romana e vennero iscritti nel municipio di Cuma. Durante le guerre civili Cuma fu una delle più valide roccaforti che Ottaviano oppose a Sesto Pompeo, ma dopo la vittoria di Ottaviano, essa diventò posto di riposo e di villeggiatura.


    LEGIO XII FULMINATA

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    - 58 a.c. - La Legio XII Fulminata ("portatrice del fulmine") fu una legione romana costituita da Gaio Giulio Cesare nel 58 a.c. e attiva fino all'inizio del V secolo a guardia dell'attraversamento dell'Eufrate a Melitene. L'emblema della legione era il fulmine.
    La XII era stata costituita assieme alla XI nel 58 a.c. da Gaio Giulio Cesare e fu arruolata nei pressi di Mediolanum, per la sua campagna contro gli Elvezi e pure per conquista della Gallia. La legione partecipò, pertanto, all'intera campagna gallica (dal 58 al 50 a.c.).

    - 58 a.c. - La battaglia di Genava, presso l'attuale città svizzera di Ginevra e del fiume Rodano, fu il primo episodio della Conquista della Gallia tra l'esercito romano guidato da Giulio Cesare e gli Elvezi, con parziale vittoria romana. Verso la fine della battaglia partecipò la XII Fulminata.

    - 58 a.c. - La XII partecipò alla battaglia del fiume Arar (attuale Saona), tra l'esercito di Cesare e gli Elvezi, con buona vittoria romana durante l'attraversamento del fiume.

    - 58 a.c. - La Fulminata partecipò anche alla battaglia di Bibracte, sempre contro gli Elvezi. Cesare riuscì, come in tante occasioni, a battere un esercito nettamente superiore al suo, e questo gli ottenne il favore che gli serviva dal senato per la conquista della Gallia. 

    - 58 a.c. - La stessa legione combattè in Alsazia contro le genti germaniche di Ariovisto. Anche qui Cesare riuscì a battere un esercito decisamente superiore al suo.

    - 57 a.c. - Combattè anche la battaglia del fiume Axona nel 57 a.c. contro i Belgi, sempre nell'ambito delle campagne galliche di Giulio Cesare.

    CESARE
    - 57 a.c. - La XII combattè, sempre guidata da Cesare, nella battaglia del Sabis, nota anche come battaglia del Sambre o battaglia contro i Nervii, nelle moderne Fiandre contro un'alleanza di tribù belgiche, principalmente Nervii, nei pressi del fiume Sambre. 

    Cesare, venne sorpreso e rischiò la sconfitta; ma riuscì infine, grazie al coraggio dei soldati, alla capacità del comandante e all'arrivo dei rinforzi, a ottenere una grande vittoria.

    - 53 a.c. - partecipò all'assedio di Lutetia, sotto il comando di Labieno, luogotenente di Cesare e la città si arrese.

    - 52 a.c. - Partecipò altresì alla battaglia di Avarico, tra l'esercito di Cesare e l'esercito gallico dei Biturigi, sempre nella conquista della Gallia. La battaglia fu favorevole fu vinta dai romani, che massacrarono l'intera popolazione dell'oppidum gallico.

    - 52 a.c. - Combattè per Cesare nella battaglia di Alesia nella terra dei Mandubi (Gallia transalpina), contro le tribù galliche guidate da Vercingetorige, capo degli Arverni. Vi fu una strabiliante vittoria romana e Roma potè annettere i nuovi territori alla provincia della Gallia Narbonense. 

    - 48 a.c. - Prese poi parte alla guerra civile a fianco di Cesare e combatté nella battaglia di Farsalo nello scontro decisivo tra l'esercito di Cesare, rappresentante dei populares, e quello di Gneo Pompeo degli optimates. La battaglia, che si risolse in una netta vittoria cesariana, sancì la definitiva sconfitta di Pompeo e la fulminata si conquistò per il suo valore il titolo di Victrix.

    - 45 a.c. - La guerra era terminata e i veterani furono congedati, ricevendo delle terre in Gallia cisalpina, nei pressi di Parma. 

    - 44 a.c. - L'anno successivo, a causa dell'assassinio di Cesare, venne ricostituita (nel 44 a.c.) da Marco Emilio Lepido, governatore della Gallia Narbonese e consegnata a Marco Antonio.

    - 42 a.c. - Sicuramente dopo la conclusione del II triumvirato la legione fece parte del corpo di spedizione di Marco Antonio e Cesare Ottaviano inviato in Grecia per combattere contro i cesaricidi, che terminò nella battaglia di Filippi contro Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino.


    37-33 a.c. - Partecipò quindi alle campagne partiche di Marco Antonio, guadagnandosi il nome di Antiqua ("di consolidata qualità"), per vendicare la disfatta subita da Marco Licinio Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.c. ed assoggettare in modo definitivo la pericolosa potenza orientale.

    - 31 a.c. - Dopo Azio e la sconfitta di Antonio, fece parte dell'esercito di Augusto e ricevette l'appellativo di legio XII Fulminata. Alcuni veterani ricevettero delle terre  a Patrasso (in Grecia), dove furono accompagnati dai soldati di X Fretensis. La XII Fulminata fu usata poi per occupare l'Egitto, probabilmente a Babilonia (Il Cairo). 

    - 20 a.c. - Altre legioni nella regione orientale erano la III Gallica, la VI Ferrata e la X Fretensis. Nel 20 a.c., Tiberio utilizzò queste unità per impressionare i Parti. Essi restituirono le aquile romane sottratte a Carrhae nel 53 a.c.

    - 14 d.c. - La XII venne rimandata in Siria, a Raphana, in Siria. Potrebbe però aver soggiornato per un breve periodo di tempo in Africa proconsolare (a Thugga) proprio all'inizio del principato.

    - 4 a.c. - Il governatore della Siria, Publio Quinctilius Varus, usò tre delle legioni siriane per reprimere le ribellioni dei pretendenti messianici ebrei Giuda, Simone e Astronges dopo la morte del re Erode nel 4 a.c. E 'probabile che XII Fulminata fosse tra loro, ma non ve ne è certezza. 

    CORBULONE
    - 58 dc. -  Il Re dei Parti Vologese I invase con il suo 
    esercito il Regno d’Armenia, stato cliente dei romani, l’Imperatore Nerone diede così ordine al legato per la Cappadocia, Gneo Domizio Corbulone, di risolvere la questione.

    - 62 d.c. - Questi sconfisse i Parti restaurando sul trono d’Armenia Re Tigrane II. Successivamente però Vologese I tornò all’offensiva sostituendo Tigrane II con il proprio fratello Tiridate I, per cui i romani tornarono all'attacco nel 62, con il nuovo legato di Cappadocia, Lucio Cesennio Peto, che però venne sconfitto al comando delle sue legioni, la XII Fulminata e la IIII Scythica, nella battaglia di Randeia (odierna Erand inverno 62/63), e dovette arrendersi. 

    I generali romani subivano talvolta dei processi quando perdevano la guerra, a meno che non vi fosse una ragione evidente che avessero fatto del loro meglio. 

    Evidentemente la sconfitta venne attribuita almeno in parte all'efficienza delle legioni, che infatti vennero allontanate dalla guerra e non parteciparono alla campagna vittoriosa di Corbulone. Ma comunque una legione che aveva perduto una battaglia era una legione disonorata, e in genere i legionari, che non amavano essere guardati con disprezzo dalla popolazione si raccomandavano per combattere di nuovo e riabilitarsi.

    - 62-63 d.c. - Una campagna di ritorsione fu organizzata da Lucio Cesare Cesare Poeto, governatore della Cappadocia, nel 62, con  le XII Fulminata e IIII Scythica. Tuttavia, i Parti li costrinsero alla resa a Rhandeia. 
    Più tardi, Corbulo riuscì a ribaltare la situazione e ordinò a Tiridate di ricevere per la seconda volta la sua corona dall'imperatore romano Nerone. Tuttavia, alle legioni disgraziate III I Scitia e XII Fulminata non fu permesso di partecipare a questa guerra, il che fa pensare che avessero perso la faccia nella sconfitta.
    - 66 d.c. - L'occasione di riconquistare l'onore perduto venne nel 66, dopo che la rivolta zelota durante la I guerra giudaica aveva causato la distruzione della guarnigione romana a Gerusalemme: la XII, rinforzata con vessillazioni della IIII Scythica e della VI Ferrata, fu inviata sul luogo per sedare la rivolta, ma, considerata troppo debole dal legato di Siria Gaio Cestio Gallo, fu rimandata indietro con un nuovo motivo di disonore.
    Ma accadde di peggio, sulla strada del ritorno la legione cadde nell'imboscata di Eleazar ben Simon a Bethoron, e qui non solo venne sconfitta, ma subì il grande disonore di perdere le proprie aquile. Ora i legionari erano davvero disperati e non se la sentivano di tornare in patria con quel marchio addosso, per cui da quel momento la legione combattè come non aveva fatto mai, rischiando la vita e mettendocela tutta.
    - 70 d.c. - La legione combattè con grande eroismo e sostenne con dedizione e successo la candidatura del proprio comandante Tito Flavio Vespasiano al soglio imperiale. Dopo la cattura di Gerusalemme nel 70, la XII Fulminata si recò a Metilene e la XVI Flavia Firma a Satala, in Cappadocia, per proteggere il confine dell'Eufrate che costituiva il nuovo limes romano. La sua vecchia base a Raphanaea fu riutilizzata dalla III Gallica. 

    ISCRIZIONE CON CENTURIONE DELLA XII
    - 92 d.c. -  l'imperatore Domiziano inviò nel Caucaso la Fulminata allo scopo di sostenere i regni clienti di Iberia e Albània e in quell'occasione la legione raggiunse il Mar Caspio. 
    Un'iscrizione rinvenuta vicino alle coste del Mar Caspio menziona la presenza di un centurione del XII Fulminata di nome Lucio Giulio Massimo. Nessuna legione romana è mai penetrata così a est.

    - 114 d.c. - La legione fu in Armenia per la campagna del 114 di Traiano, dove partecipò alla creazione della Provincia romana di Armenia, comprendente i territori dell'attuale Turchia orientale, Armenia, Georgia, Azerbaigian e una piccola parte dell'Iran nord-occidentale.

    - 134 d.c. - Gli Alani, un popolo nomade di etnia iranica compreso nel gruppo delle tribù dei Sarmati,
    minacciarono l'impero romano. Il governatore della Cappadocia, Arriano di Nicomedia, prese sul campo XV Apollinaris e XII Fulminata e sconfisse gli invasori prima che potessero diventare pericolosi; egli descrisse questa campagna nel suo Ektaxis. 

    - 162-166 d.c. - La fulminata fu ancora in guerra, insieme alla XV Apollinaris e sotto il comando del governatore di Cappadocia Arriano, nella campagna parta di Lucio Vero. Lo conferma il fatto che una unità mista della XII e della XV, controllò per qualche tempo la capitale armena di Artaxata (Armenia). 


    PIOGGIA MIRACOLOSA - COLONNA TRAIANA
    - 167-189 d.c. - La XII combattè di nuovo, sotto l'imperatore Marco Aurelio nella campagna contro i Quadi (popolo dell'alta valle del fiume Meno in Germania) nell'ambito delle guerre marcomanniche Durante questa campagna avvenne l'episodio della "pioggia miracolosa", riportato da diverse fonti, che salvò una vessillazione della Fulminata dalla sconfitta. Secondo la versione di Cassio Dione, un mago egiziano di nome Harnuphis evocò Mercurio e ottenne la caduta della pioggia; secondo lo scrittore cristiano Tertulliano, invece, il fenomeno miracoloso fu dovuto alle preghiere dei soldati, che erano cristiani. L'episodio è rappresentato anche sulla colonna di Marco Aurelio alla scena numero 16.

    - 175 d.c. - mentre la legione era tornata a Melitene, Avidio Cassio si ribellò a Marco Aurelio, perché era giunta voce che l'imperatore fosse morto, ma la XII rimase leale a Marco Aurelio e venne premiata ricevendo il titolo onorifico Certa Constans, "sempre affidabile".

    Alla morte dell'imperatore Pertinace si scatenò una lotta a tre per il trono imperiale. La XII sostenne Pescennio Nigro contro Settimio Severo, che però venne sconfitto. Severo ultimò la propria vittoriosa campagna contro i Parti spostando il confine sul Tigri il confine, ma lasciò la XII in riserva, per punirla del sostegno a Nigro, o perchè ancora non si fidava di loro.

    - 217 d.c. - Il Dodicesimo deve aver preso parte alle spedizioni del III secolo, come quella guidata dal figlio di Severo Caracalla (217) e la guerra di Severo Alessandro contro il nuovo impero persiano sasanide. I sasanidi avevano invaso l'impero romano nel 230 e avevano insediato un imperatore in Emessa, ma Severo Alessandro riuscì a ristabilire l'ordine e ad invadere la Mesopotamia. Nel 244, i Romani invasero nuovamente l'Iraq, ma il loro imperatore Gordiano III morì.

    - 267-268 - La legione aveva perduto il suo credito ma lo riacquistò. Infatti quando Valeriano fu sconfitto e fatto prigioniero dal re dei Sasanidi Sapore I ciò produsse il collasso dell'impero, che perse le Gallie in occidente e il Regno di Palmira in oriente. 

    Si sa che la XII fu sotto il comando di Settimio Odenato, sovrano del Regno di Palmira, per una decina di anni sino alla sua morte, durante la seconda metà del III secolo, riuscendo a salvare l'Impero romano dalla minaccia dei Sasanidi.

    - 253-260 -  ricevette anche gli onori dall'imperatore Gallieno, che concesse alla legione il titolo Galliena. 
    Quando l'imperatore romano Valeriano cercò di ristabilire l'ordine e invase la Mesopotamia, fu sconfitto e catturato. 
    Ai soldati romani prigionieri fu ordinato di costruire un ponte nella moderna Shushtar. 
    Le sconfitte romane di Gordiano e Valeriano, e l'installazione di Filippo, sono commemorati su diversi monumenti sasanidi.

    - 298 d.c. - I Romani invasero nuovamente la Mesopotamia e nel 298 fu concluso un trattato di pace in cui i persiani dovettero abbandonare i territori della Mesopotamia settentrionale. La dodicesima legione deve aver avuto un ruolo in queste campagne, ma non abbiamo quasi nessuna informazione al riguardo.

    Dal III al V secolo la legio XII Fulminata stazionò a Melitene indubbiamente coinvolta negli eventi che accaddero lungo la frontiera orientale dell'impero, perché all'inizio del V sec. si trovava ancora a Melitene, sotto il comando del dux Armeniae.
    - V sec. - Secondo la Notitia Dignitatum (senza data) la Legio XII Fulminata conservò la sua base fino almeno all'inizio del V secolo. La base legionaria di Melitene controllava l'accesso all'Armenia meridionale e al Tigri superiore. Era il punto finale dell'importante autostrada in direzione est da Cesarea (moderna Kayseri ).

    Il campo attirò una popolazione civile e fu probabilmente concesso lo status di città da Traiano all'inizio del II sec. d.c., con il grado di Municipium. È noto per essere una fonte prolifica di monete imperiali coniate dal III al V secolo

    APPIO CLAUDIO PULCHRO - A. CLAUDIUS PULCHER

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    LA GENS CLAUDIA

    Nome: Appius Claudius Pulcher
    Nascita: Roma 97 a.c.
    Morte: Balcani 49 a.c.
    Gens: Claudia
    Professione: Politico e militare


    Appio Claudio Pulcro (ovvero Appius Claudius Pulcher; Roma, 97 a.c. – Balcani, 49 a.c.), di origine sabina, appartenente ad un ramo patrizio della romana gens Claudia, figlio dell'omonimo Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a.c.. Da non confondere con il coevo Publio Clodio Pulcro ( Publius Clodius Pulcher; Roma, 93-92 a.c. – Bovillae 52 a.c.), quello dello scandalo della Bona Dea in cui fu implicata la moglie di Cesare.

    Dopo la morte del padre, nel 76 a.c., fu lui a prendersi carico delle notevoli difficoltà economiche che la sua famiglia dovette affrontare: aveva infatti due fratelli, Gaio Claudio Pulcro e Publio Claudio Pulcro, che cambiò più tardi il suo nome in Publio Clodio Pulcro, e tre sorelle, Clodia Pulcra Prima, Clodia Pulcra Seconda e Clodia Pulcra Terza.

    Fu in effetti un ottimo amministratore, cercando di fare una brillante carriera politica ottenuta però attraverso la corruzione. Tanto fu corrotto nella politica favorendo se stesso e il fratello, tanto però fu onesto verso il suo generale e la sua patria, infatti non si lasciò corrompere dal re Tigrane.

    Iniziò la sua carriera politica servendo in Oriente sotto Lucio Licinio Lucullo (117 - 56 a.c.) durante le guerre mitridatiche tra il 72 e il 70 a.c. e trattando, senza successo, la consegna dello stesso Mitridate con il re d'Armenia, Tigrane II. Plutarco racconta che, invitato dal re d'Armenia, Tigrane, ad attenderlo ad Antiochia, Appio poté mettersi in contatto con molti dei principi greco-orientali, stanchi di essere sottoposti al dominio armeno (come Zarbieno di Gordiene), ed a cui fu promesso l'aiuto del proconsole romano Lucullo. Plutarco riporta l'incontro tra Appio e Tigrane:

    «Appio non era spaventato o stupito di tutto questo sfarzo e spettacolo, ma non appena ebbe udienza, disse chiaramente al re che egli era venuto a riprendere Mitridate, da utilizzare come ornamento per il trionfo di Lucullo, in alternativa era costretto a dichiarare guerra contro Tigrane. E anche se Tigrane fece ogni sforzo per ascoltare questo discorso con viso apparentemente sereno ed un sorriso forzato, non poté nascondere ai presenti la sua sconfitta alle audaci parole del giovane.

    Egli rispose ad Appio che non avrebbe consegnato Mitridate, e che se i Romani avessero iniziato la guerra, si sarebbe difeso. Egli era indispettito da Lucullo il quale nella sua lettera lo aveva nominato con il titolo di Re soltanto, e non di "Re dei Re", e di conseguenza, nella sua replica, non avrebbe chiamato Lucullo, Imperator. Il re inviò, però, splendidi doni ad Appio, e quando non volle tenerli per sé, [il re] ne aggiunse altri. Appio allora accettò solo una ciotola, tra tutti quelli inviati dal re, non volendo che il suo rifiuto fosse interpretabile come una forma di inimicizia personale verso il re, ma rimandò il resto, e marciò con grande velocità per raggiungere il suo comandante


    (Plutarco, Vite parallele, Lucullo, 21.6-7.)

    LA SORELLA CLODIA PULCHRA - LA LESBIA DI CATULLO

    Tornato a Roma, nel 63 a.c., durante la congiura di Catilina, collaborò con il console Cicerone, raccogliendo le deposizioni degli ambasciatori dei Galli Allobrogi che permisero di incriminare i complici di Catilina.

    Nel 58 a.c. collaborò con il fratello Publio tribuno della plebe, e l'anno successivo ottenne la pretura. Cercò di favorire il fratello cercando di ostacolare il ritorno a Roma di Cicerone, e farlo eleggere edile curule per l'anno successivo.

    Nel 57 a.c. fu propretore della provincia di Sardegna e Corsica, e nel 56 a.c. partecipò all'incontro dei triumviri Gaio Giulio Cesare, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso presso Lucca, dove fece riavvicinare il fratello Clodio a Pompeo. Nel 55 a.c., dopo un'intensa campagna elettorale finanziata dal denaro reperito dal fratello Clodio in Oriente, fu eletto console per l'anno successivo; ma venne alla luce un complotto, con la complicità del collega Lucio Domizio Enobarbo per assicurarsi il proconsolato in una ricca provincia d'Oriente, dove intendeva rifarsi delle spese elettorali. Ottenne ugualmente il governatorato della Cilicia per il 53 a.c. e tornato a Roma, nel 52 a.c., si scagliò contro Tito Annio Milone, assassino di Clodio, fratello di Appio.

    Nel 50 a.c. divenne censore, comportandosi in modo molto severo; l'anno successivo, dopo lo scoppio della guerra civile tra Cesare e Pompeo, raggiunse quest'ultimo nella penisola balcanica, ma morì di improvvisa malattia.

    VILLA DI LUCIUS TERTIUS CRASSUS (Oplontis)

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    Dieci anni dopo il rinvenimento totale della Villa di Poppea, nel 1974, a 250 metri dalla Villa “A”, fu scoperto un nuovo edificio su due piani con un peristilio centrale: si trattava di una Villa rustica, cioè contadina, chiamata di Lucius Crassus Tertius o Villa “B”.

    La villa, che si ritiene di epoca sannitica, risale al III o II sec. a.c. e deve il nome a un sigillo in bronzo lì rinvenuto che reca questo nome. Venne scoperta nel 1974 durante i lavori di costruzione di una scuola. Lo scavo dell'edificio non è ancora terminato e non è a tutt'oggi visitabile. Si ritiene si tratti di una villa rustica, sia per il tipo di struttura che per i reperti ritrovati.

    La villa si sviluppa intorno ad uno splendido peristilio, di cui la ricostruzione più in basso, con un porticato di colonne doriche a due ordini di colonne doriche in tufo grigio di Nocera, circondato da ambienti rustici in opera incerta. Il tutto completamente affrescato con i colori predominanti dell'azzurro, del rosso e del giallo, con scene fantastiche e mitologiche.
    Sul lato est si trova l'ingresso ed il profondo incastro derivante dall'usura su una delle colonne, insieme ai solchi tracciati sul pavimento dalle ruote dei carri, fanno pensare a frequenti passaggi.
    Intorno si aprono stanze adibite a magazzini, contenenti suppellettili, pelli, ceramica, paglia carbonizzata e molti melograni evidentemente utilizzati, come usava, per la concia delle pelli.


    Vi è stato rinvenuto anche un fornello in pietra con una pentola contenente resine di conifere, utilizzata per la manutenzione delle anfore: infatti si sono rinvenute ben 400 anfore per il trasporto del vino. La villa era abitata al momento dell'eruzione; infatti nelle stanze adiacenti, soffittate a volta, sono stati trovati i corpi di 54 umani oltre a gioielli e monete, in oro e in argento.

    Il piano superiore della villa era invece la zona residenziale della domus, con ambienti decorati in parte in IV stile, con architetture improbabili, come andava all'epoca, bidimensionali e puramente decorative, dal tratto fortemente calligrafico.

    In parte era invece decorato in II stile, cioè con cornici e fregi a tralci vegetali che vengono ad essere dipinti invece che realizzati in stucco, riproponendo così, con abile gioco illusionistico di colori e ombre, ciò che durante il primo stile si realizzava in rilievo.


    Rispetto al primo stile, l'innovazione è fornita dall'effetto di trompe l'œil (una pittura che crea l'illusione di stare guardando oggetti reali e tridimensionali su una parte bidimensionale) che si crea sulle pareti, dove al posto dello zoccolo si dipingono in primo piano podi con finti colonnati, edicole e porte dietro i quali si aprono vedute prospettiche. con la tecnica schematizzata, risalente all'età repubblicana. Infatti va dall'80 a.c. alla fine del I secolo a.c. circa.

    Dal piano superiore proviene anche una scatoletta in legno contenente gioielli in oro ed argento, 170 monete, unguentari, stecche in osso e diversi splendidi monili.

    Tra i gioielli si riconoscono orecchini di tipo a spicchio di sfera, a canestro con quarzi incastonati oppure pendenti con perle, collane molto lunghe con grani in oro e smeraldo, bracciali di tipo tubolare decorati con gemme e smeraldi ed anelli con gemme lisce o incise con figure di animali o divinità.

    In uno degli ambienti della Villa è stata ritrovata un’altra cassa che conteneva, oltre a materiali organici, una sorta di cassettina beauty-case con unguentari di vetro, una stecca cosmetica in osso, tre dadi da gioco ed alcuni oggetti di ornamento.

    Alcuni balsamari erano contenuti nella cassetta rinvenuta nell’ambiente 15, altri nella borsa di cuoio dell’ambiente 10: insieme ai gioielli, alle argenterie. C'erano degli strumenti legati alla toeletta; utilizzati per contenere e mescolare cosmetici, la pisside e l’ago, o per detergere la pelle, lo strigile. Il profumo se da un lato emanava piacevoli odori, dall’altro era considerato terapeutico. 


    L'uso del profumo divenne smodato, o almeno così si pensava tanto che nel corso del II secolo a.c. venne contrastata per limitare le importazioni di profumi dai paesi orientali in un momento di crisi per la repubblica romana. Plinio il Vecchio ne distingue l’uso, in oli, unguenti e balsami. Gli unguentari di Oplontis però, a differenza di quelli di Pompei, erano prodotti con materie prime di migliore qualità, come l’olio essenziale di Pogostemon cablin, noto come patchouli, importato dall’India, e del limone, all’epoca ritenuto un frutto esclusivamente curativo.

    A nord della villa sono presenti alcuni edifici a due piani: si tratta probabilmente di soluzioni indipendenti dalla villa, che si affacciano direttamente sulla strada. 

    Con molta probabilità queste costruzioni venivano usate come botteghe con abitazione al piano superiore, come usava all'epoca.

    La villa B era destinata all'immagazzinamento e allo smercio dei prodotti agricoli. Negli ambienti intorno al peristilio sono stati infatti trovati cumuli di anfore da vino, pesi di pietra, noci, nocelle e alcuni modii per la misurazione del grano e di imballaggi, mucchi di piccoli melograni acerbi disposti a strati nelle foglie a seccare, che venivano anche usati per estrarre tannino che serviva per la lavorazione dei tessuti.


    Sul lato nord gli unici ambienti di soggiorno del piano terra e quindi tutta una serie di grandi ambienti coperti a volta che venivano usati come deposito di merce. Sempre sul lato est, un'ampia scala portava al primo piano. Il piano superiore, collegato al lato Nord col piano terra da un'ampia scala, è occupato da un quartiere signorile, evidentemente la parte residenziale della famiglia.

    Il IV stile predomina negli ambienti di soggiorno tuttavia con scarse testimonianze decorative, tra le quali vi è un raro esempio di II stile, cosiddetto "schematizzato” e di età repubblicana, caratterizzato dalla presenza di esili elementi "a candelabri", su uno sfondo che imita il marmo. C'è anche una pittura nilotica frammentaria, in seguito coperta da un dipinto del Quarto stile, e un larario dipinto.

    A testimoniare ulteriormente che la famiglia soggiornava in questi ambienti è il ritrovamento di pentole da cucina in bronzo, in terracotta e bruciatori. E forse cadde proprio da questo piano la splendida cassaforte in legno e metalli preziosi trovata presso la parete Est del peristilio.



    IL COMMERCIO VINARIO

    Lungo i bracci del peristilio della villa B, sono state rinvenute più di quattrocento anfore vinarie, messe lì capovolte ed impilate ad asciugare per essere riempite. Vicino ad esse un fornellino, sul quale poggiava una pentola in cui veniva sciolta la resina conifera utilizzata per rivestire gli interni delle anfore.

    LE BOTTEGHE
    Questo fa pensare che l'attività prevalente fosse il commercio del vino, attivissimo al momento dell'eruzione. Nella Villa, luogo di smercio e non di produzione, perché non sono stati trovati macchinari per la lavorazione, si conservava e si distribuiva vino anche nella vicina Pompei. 

    Era abitudine mescolare il vino con il miele e perfino con acqua di mare e aromatizzarlo con resina, olii profumati e pece. Veniva anche annacquato perché essendo molte le libagioni, se ne potesse bere in maggiori quantità. Un vino molto decantato era quello pompeiano VITIS HOLCONIA.

    Su alcune anfore sono state rilevate indicazioni di qualità di vini; vino di LESBO, di produzione locale e di pregiata fattura, proveniente dai vigneti vesuviani. Su altre anfore la scritta ANICETUS, nome noto nel commercio vinario di Pompei, rappresentava la garanzia del prodotto; su altre JUNIOR per indicare che conteneva vino novello.



    L'OGGETTISTICA

    Dagli studi effettuati dal Laboratorio di Scienze applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei sui materiali organici della Villa B, sono stati evidenziati i pollini di grandi quantità di specie vegetali presenti nella zona. Il notevole numero di pentolame in bronzo e terracotta, insieme a due bellissime lucerne dal manico cesellato a testa di cavallo e a foglia a cuore, sono un’ulteriore riprova che al momento dell’eruzione la Villa era abitata.

    Tra i pezzi da poco restaurati sono brocche per acqua e vino, pentole da fuoco, un tegame largo con coperchio, una coppa in terracotta invetriata decorata a bassorilievo, un candelabro in bronzo a piantana, perfino contenitori in vetro. L’oggettistica in vetro è stata salvata miracolosamente dal crollo di una porzione di parete che ha creato una specie di intercapedine, provvidenziale riparo. Tanti altri i reperti ancora da restaurare, dai fermi delle porte ai cardini, tutti sono fonti eloquenti del nostro passato.


    L'ANELLO D'ORO
    IL TESORO

    Durante gli scavi condotti nel 1984, in due degli ambienti del piano terra vennero trovate circa 1200 monete, tra cui un aureo di Nerone, circa 100 d'oro , 900 di argento e il resto di bronzo. Un primo nucleo di monete, insieme ad oggetti d'oro, venne trovato nel peristilio, caduto dal crollo del piano superiore, frammisto ai resti di una cassaforte di legno e ferro.

    Nella villa sono stati rinvenuti dunque due tesori: Il primo era contenuto, insieme a monete e oggetti da toilette femminili, in una cassetta lignea crollata dal piano superiore all’interno dell’ambiente 15 del peristilio della villa.

    Il secondo, più numeroso, venne rinvenuto all’interno dell’ambiente 10, uno dei grandi magazzini posti sul lato sud della Villa B, vicini all’approdo sul mare. I due gruppi raccontano due storie diverse legate alla catastrofe del 79 d.c. “I monili rinvenuti nell’ambiente 15 erano contenuti in una cassetta che evidentemente non era stato possibile svuotare completamente nelle concitate ore dell’eruzione

    I monili dell’ambiente 10 ci raccontano invece una storia ben più drammatica. Qui, in attesa dei soccorsi che dovevano giungere dal mare, si radunarono cinquantaquattro persone divise in due gruppi: uno privo di qualsiasi oggetto personale, l’altro composto da individui che portavano con sé monete e preziosi: orecchini, collane, anelli e braccialetti. 


    LA PREZIOSA CASSAFORTE
    La maggior parte dei gioielli si trovava accanto ai corpi, evidentemente erano indossati dai fuggiaschi, altri erano contenuti in un piccola borsa di cuoio rinvenuta nell’ambiente. Il maremoto e le nubi ardenti impedirono l’arrivo dei soccorritori e i rifugiati trovarono qui la morte." 

    La grande cassa in legno e metalli preziosi ritrovata presso la parete Est del peristilio, è un magnifico, elegante esempio di arte ellenistica con decorazioni ad agemina in oro, argento e rame con sportello sul lato superiore ed un sistema di apertura talmente particolare da essere oggetto di studio.

    Sulla parte superiore una testa femminile entro un tondo, appliques in bronzo raffiguranti due cani accovacciati, come a guardia, due busti di fanciulli che funzionano da manopole girevoli, un’anatra. Sulla faccia anteriore una decorazione in lamina bronzea, nel mezzo della quale, tra girali di acanto, si leggono le firme degli artefici: Pythonimos, Pytheas e Nikokrates. Al di sotto la testa di un sileno tra foglie e rami di vite. Insieme a questa, ma nell’ambiente del lato Sud, furono ritrovati i resti di un’altra cassa, con ori e argenti e oggetti per cosmesi.

    Altre casse sono state ritrovate nell’ambiente 10, portate forse da quelli che vi si erano rifugiati, di queste è stato possibile eseguire il calco. Una presenta una sorta di imbracatura con cordicelle, l’altra sembra avvolta in stoffa e poi legata. Dovevano contenere materiali organici che non si sono conservati. La terza cassa conteneva un beauty-case.



    GLI ORI DI OPLONTIS

    Il secondo gruppo è venuto alla luce nel corso dello scavo dell'ambiente 10, rifugio delle persone, anche esterne alla Villa. Vicino a questi scheletri sono state trovate moltissime monete ed altri gioielli in resti di borselli di stoffa e cuoio. Le monete sono importantissime anche dal punto di vista storico perché vi si trovano impresse le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma.

    Gli ori sono stati ritrovati addosso o vicino a scheletri di donne, dato che all'epoca tutte si ingioiellavano, cambiava la preziosità del metallo e delle pietre, ma era come indossare delle vesti, li usavano tutte, e pure gli uomini. I gioielli, per carattere e tipologia, non si discostano da quelli di Pompei e Ercolano. Sono lavorati su superfici lisce con gemme, non troppo costosi, nonostante il prezzo sempre alto dell’oro.

    Gli anelli sono i più numerosi tra i monili ritrovati, del resto le donne romane ne indossavano pure alle dita dei piedi. Venivano portati in età imperiale da uomini e donne di vari ceti sociali, anche medio-bassi, tranne che dagli schiavi. C’era l’abitudine, nonostante le leggi repubblicane tese a frenare il lusso, di portare più anelli; uno degli scheletri dell’ambiente 10 portava tre anelli di cui due al mignolo. Il tipo più semplice è quello in oro o argento con verga a fascetta e castone ovoidale liscio o inciso.

    Particolare è l’anello ornato da una maschera di attore comico e quelli in filo godronato con o senza perla che riportano figure di uccelli. Gli anelli a serpente si rifanno a modelli ellenistici e sono con più spirali o a due teste affrontate. Molto frequente il tipo ornato con gemma, liscia o incisa. L’uso delle gemme iniziò a diffondersi a partire dal I secolo a.c. con l’intensificarsi dei rapporti con l’Oriente. 

    Alle pietre preziose si attribuivano proprietà magiche e perciò venivano impiegate come amuleti ed incise con immagini per lo più di divinità ed animali. Ma oltre alle pietre preziose si usavano pure le paste vitree a cabochon, cioè a mezza sfera o quasi, con diversi colori e diverse trasparenze.

    Gli orecchini sono un ornamento femminile di origine antichissima e molto diffuso in tutte le età. Il tipo a “spicchio a sfera”, forse è il più caratteristico della produzione Romana, sia liscio, secondo lo stile tardo-Etrusco, sia puntinato ottenuto a sbalzo, ad imitare la tecnica della granulazione. 

    Meno diffuso è il tipo con piccoli quarzi disposti a canestro. Secondo Seneca e Plinio il Vecchio, il tipo con pendente ornato da perle era molto amato dalle donne Romane. Infine vanno notati orecchini in semplice filo d’oro liscio annodati a cerchio.

    I bracciali “armillae” venivano portati su entrambe le braccia, ma pure ai polsi e alle caviglie. Le collane erano corte “monilia” o lunghe “catellae”, che arrivavano fino ai fianchi, intrecciandosi sul petto dove potevano essere fissate da fermagli scorrevoli in forma di borchie.

    Diffuso era anche il “pendente”, a forma di ruota o di crescente lunare con globetti all’estremità, di origine Siriana. Molto prezioso ma poco diffuso era il crescente lunare decorato con perline e grani di smeraldo. Le collane a “giro collo” vanno da una semplice catenina, a quelle d'oro con smeraldi.



    LA FANCIULLA DI OPLONTIS

    Dagli scheletri ritrovati in loco sono stati realizzati due calchi di giovani donne, una ritrovata a poca distanza dall'uscio dell'ambiente 10, è stato eseguito in gesso, l'altro fu eseguito in "Fiberglass" nel 1984-85 dal restauratore Amedeo Cecchitti. Si può così vedere questo scheletro adornato di gioielli mentre stringe in mano un sacchetto di monete: è la "fanciulla di Oplonti".

    Lo scheletro della giovane donna venne trovato, insieme ad altre vittime dell’ eruzione del 79 d.c., nello stesso ambiente dove, accanto ad alcune di queste vittime, furono trovati i gioielli. Sì tratta di un calco eseguito con una tecnica ideata dal restauratore Amedeo Cicchitti e sperimentata per la prima volta ad Oplontis nel 1984, che al gesso, materiale usato tradizionalmente fin dal 1863 quando il Fiorelli introdusse il sistema dei calchi, sostituisce una resina epossidica.

    Il procedimento consiste nel realizzare prima un calco in cera, intorno al quale si costruisce una matrice in gesso; quindi, con una tecnica simile a quella della «cera perduta», si sostituisce alla cera la resina epossidica. Si ottiene, in tal modo, un calco piú resistente, piú facile da trasportare e che, grazie alla sua semitrasparenza, consente di vedere i piccoli oggetti che, eventualmente, la persona indossava.

    Così, in questo caso, si è potuto recuperare, sostituendoli con copie, il bracciale che la fanciulla aveva al braccio e il borsellino con monete, e gemme, che era accanto alla mano. All'interno, ricoperte e fermate dalla resina, restano, in tutta la loro tragica testimonianza, le ossa ed il teschio.
    Nei pressi della Villa di Lucius Crassius Tertius, furono ritrovate un tratto di strada e diverse piccole costruzioni, tra cui i resti di un centro termale.

    VOLCANALIA (29 Aprile - 23/25 Agosto)

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    DIO VULCANO
    "Le Vulcanali, o Volcanalia, ovvero la Festa in onore di Vulcano, celebravasi nel Circo Flaminio anche il dì 29 di aprile. Il popolo accendeva in quel Circo dei Fuochi sui quali gittava gli animali che offriva agli Dei per la propria salvezza. I Romani solevano formare di creta la imagine di Vulcano e la collocavano vicino al fuoco delle loro case perchè lo ispezionasse e coltivasse La superstizione dei Romani giunse a credere che quando il fuoco faceva rumore col crepitare naturale, altro non era se non Volcano che parlava."
    (Luigi Pompili Olivieri, umilissimo, devotissimo, obbedientissimo servitore - Annali di Roma - 1836)

    Le Volcanalia si festeggiavano pure il 23 e il 25 agosto come festa dei fuochi. Al culto del Dio era preposto un Flamen, uno dei flamines minores, chiamato Flamen Volcanalis, il quale officiava pure un sacrificio alla Dea Maia, da eseguirsi ogni anno alle calende di maggio.
    La celebrazione avveniva nell'antichissimo Volcanal, che si trovava fuori dal pomerio della Roma antica, a sud-est del Campidoglio, nell'angolo nord-occidentale del Foro Romano dove vi era posto l'altare del Dio.

    Il Dio Vulcano era in origine un Dio etrusco conosciuto come Velchans a cui si ricollegavano tutte le manifestazioni connesse al fuoco come vulcani, solfatare e fulmini e che doveva essere onorato dedicandogli templi e sacrifici. Ma la sua origine era anche greca, con il nome di Efesto.

    Quando dopo il ratto delle Sabine lo scontro tra Romani e Sabini si concluse con la fusione dei due popoli, il re Tito Tazio volle costruire un’ara da dedicare al dio Vulcano proprio nel luogo dove si era svolta la battaglia. Presso questo altare fu poi costruito un santuario dove si riuniva il consiglio dei padri curiali e nei pressi si costruì il Comitium dove si svolgevano le assemblee delle tribù dei due popoli.

    EFESO

    Area Volcani

    Era un'area all'aperto ai piedi del Campidoglio con un'ara dedicata al Dio e, si dice con un fuoco perenne. Naturalmente essendo all'aperto non poteva essere perenne, sia per la pioggia che per il vento, e poi il fuoco perenne a Roma apparteneva solo a Vesta e al suo tempio.

    L'area Volcani era circa 5 metri più alta rispetto al Comitium e da essa i re e i magistrati della prima repubblica, prima che fossero costruiti i rostra, si rivolgevano al popolo. Sul Volcanal c'era anche una statua in bronzo di Orazio Coclite, che era stata qui spostata dal Comizio, un locus inferior, dopo essere stata colpita da un fulmine.

    Aulo Gellio racconta che furono chiamati alcuni aruspici per espiare il prodigio, ma questi mossi dal malanimo fecero spostare la statua in un luogo più basso, dove non batteva mai il sole. L'inganno fu però scoperto e gli aruspici giustiziati; in seguito si scoprì che la statua doveva essere posta in un luogo più alto e così fu fatto sistemandola nell'area Volcani.

    Naturalmente ciò spiega il malanimo dei romani nei confronti degli auruspici etruschi, che spesso, come nel caso della testa ritrovata nel Campidoglio (Fabio Pittore accenna all'omicidio di Aulo Vibenna la cui testa fu trovata sul Campidoglio), non davano i responsi esatti in quanto ostili a Roma. O almeno questo pensavano i romani degli auruspici etruschi, rei di essere etruschi come i re che avevano dominato Roma.

    Pare che durante questa festa la gente usasse appendere abiti o stoffe al sole; questa pratica secondo alcuni alluderebbe a un legame tra Vulcano e il Dio Sole. In effetti il Sole era il fuoco della natura, colui che riscalda o brucia. Inoltre  Inoltre si doveva iniziare a lavorare alla luce di una candela, anche questa simbolo del fuoco, seppur di un fuoco casalingo e docile.

    TEMI ATTENDE LE ARMI DI ACHILLE FORGIATE DA VULCANO
    - 304 a.c. - Il più antico santuario di Roma, chiamato vulcanale, risaliva ai tempi della monarchia e si trovava fuori le mura. Già nel 304 a.c. nell'area Volcani fu costruito un tempio alla Concordia dedicato dall'edile curule Gneo Flavio.

    Secondo la tradizione romana, esso era stato dedicato da Romolo, il quale vi aveva anche posto una quadriga di bronzo dedicata al Dio, preda di guerra dopo la sconfitta dei Fidenati (ma secondo Plutarco la guerra in questione fu quella contro Cameria, sedici anni dopo la fondazione di Roma), e una propria statua con un'iscrizione contenente la lista dei suoi successi redatta in caratteri greci.

    Secondo Plutarco Romolo era rappresentato incoronato dalla Vittoria, e il re avrebbe piantato nel santuario un albero di loto sacro, che esisteva ancora ai tempi di Plinio il Vecchio e che si riteneva tanto antico quanto la città stessa.

    - 214 a.c. - Poi Vulcano ebbe un tempio nel Campo Marzio dal 214 a.c. il cui anniversario cadeva proprio il 23 agosto, nei pressi del Circo Flaminio, quindi sempre fuori dal pomerio.
    Ma che la festività fosse celebrata fuori dal pomerio è da comprendere: Vulcano era il Dio del fuoco distruttivo, al contrario di Vesta che era la Dea del fuoco domestico, e dunque l'uno era il fuoco selvaggio, l'altro era il fuoco che l’uomo aveva saputo “ammaestrare” e far diventare utile e domestico.

    Il Dio aveva due aiutanti: Maia e Stata Mater, l'una era un’antica Dea del fuoco e del calore sessuale, l'altra era una Dea compital (divinità domestica dell'incrocio) che proteggeva dagli incendi. L'una divampava l'altra conteneva.

    Durante questa festa venivano sacrificati un cinghiale (il potente animale selvaggio, irruente come Maia e il fuoco selvaggio) e un bue dal manto rosso-bruno (come il fuoco domestico della Stata Mater). Ritorna il tema anche qui della doppia valenza del fuoco.

    Ma c'era soprattutto un enorme significato nel fuoco di Vulcano, ed era la sua qualità di fabbro con cui forgiava i fulmini di Giove, ma pure gli scudi di Roma (gli ancilia). Era il Dio che ispirava la forgiatura delle armi e delle corazze, era colui che ispirava le armi della guerra, e Roma ebbe come popolo i figli di Marte, un popolo profondamente guerriero.

    - 183 -181 a.c. - Il Volcanal è menzionato due volte da Tito Livio in merito al prodigium di una pioggia di sangue avvenuto nel 183 a.c. e nel 181 a.c.

    - 153 a.c. - E' stato il giorno di questa festa che il console Q. Fulvio Nobiliore ricevè una severa sconfitta dal Celtiberi, nel 153 a.c.. A conseguenza di ciò divenne un altro giorno di festa per placare il Dio. (Appia, Hisp. 45).

    - 20 a.c. - Il Ludi Volcanalici, si tennero una sola volta il 23 agosto del 20 a.c., entro il recinto del tempio di Vulcano, e venne usato da Augusto per celebrare il trattato con la Partia e per il ritorno degli stendardi legionari che erano stati persi durante la battaglia di Carre nel 53 ac.

    - 9 a.c. - Nel corso del tempo, il Volcanale sarebbe stato sempre più ristretto dagli edifici circostanti fino ad essere ricoperto del tutto. Il culto era comunque vivo ancora nella prima metà età imperiale, come testimonia il ritrovamento di una dedica di Augusto nell'anno 9 a.c..

    - 64 d.c. - Vulcano è stato tra gli Dei placati dopo il grande incendio di Roma nel 64 dc. In risposta al medesimo incendio, Domiziano (imperatore 81-96) stabilì un nuovo santuario di Vulcano sul Quirinale. Allo stesso tempo, un vitello e un cinghiale rosso vennero aggiunti ai sacrifici fatti sui Vulcanalia, almeno in quella zona della città.

    EFESTO PREPARA LE ARMI DI ACHILLE A THEMI

    LA FESTA

    I Volcanalia si celebravano nell'Urbe ma pure nelle campagne, con canti e danze sfrenate, banchetti e fuochi notturni. I panni scaldati dal sole, in realtà i vestiti della festa, venivano indossati dalla gente come preludio al nuovo avvento del calore del sole e venivano arricchiti di fiori e ghirlande.

    Spesso si ponevano sul fuoco delle ciotole di bronzo dove si ponevano pezzi di piombo, il metallo sacro al Dio. Quando il piombo si era sciolto veniva rovesciato in ciotole di acqua fredda dove assumeva varie forme. Era il capofamiglia a decifrare il significato di quella forma da cui si treava il presagio del buon raccolto o della buona fortuna.

    Da Svetonio sappiamo che a Pozzuoli vi era una agorà di Hephaistos, il Forum Vulcani, un posto da cui fuoruscivano vapori di zolfo, insomma una solfatara. Plinio il Vecchio raccontò che presso Modena dei fuochi uscirono dal suolo nella zona sacra a Vulcano. Sembra che ai confini di queste zone si celebrassero dei riti a Vulcano, l'Efesto greco.

    Non mancava ovviamente la processione con le torce che si avviava al tramonto facendo il giro dei campi o del centro abitato. Di notte si facevano dei falò a bruciare il freddo e i fantasmi del passato, probabilmente in tempi arcaici occasione di accoppiamenti al calore dei fuochi sacri.

    FORTEZZA ANTONIA ( Israele )

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    PLASTICO DELLA FORTEZZA
    La fortezza Antonia, o torre Antonia, era un edificio che sorgeva presso il lato settentrionale del tempio di Gerusalemme, sede della guarnigione romana che controllava la città. Il procuratore romano della Giudea vi risiedeva quando si trovava a Gerusalemme: ordinariamente risiedeva a Cesarea marittima.

    Il luogo scelto per la fondazione del Tempio di Gerusalemme, divenne evidente che fu posto nella parte più vulnerabile della città, sovrastato dalla vicina altura di Bezetha.

    Si era dovuto pertanto realizzarvi delle fortificazioni nel caso di invasioni. Per questo motivo, insieme al Tempio, venne eretta anche una torre di difesa.

    Di questa fortezza ci parla Giuseppe Flavio, datandola però antecedentemente al 67 a.c., prima della morte di Alessandra Salomè.

    Si racconta infatti che questa fortezza si trovava all'estremità settentrionale del tempio di Gerusalemme. Anticamente si chiamava Baris, ma poi cambiò il nome sotto il dominio di Marco Antonio.

    IN PRIMO PIANO IL TEMPIO DI GERUSALEMME, DIETRO LA FORTEZZA ANTONIA
    Salomè Alessandra, o anche Alexandra Salome (139 – 67 a.c.), fu una regina ebraica, moglie di Aristobulo I e poi del di lui fratello Alessandro Ianneo, della dinastia degli Asmonei.

    Qui furono rinchiusi la moglie ed i figli di Aristobulo, figlio di Alessandra che aveva tentato di prendere il potere contro il fratello maggiore Ircano, a cui spettava il trono. Ma prima che potesse punire Aristobulo, Alessandra morì dopo aver regnato nove anni. La fortezza fu ampliata e potenziata dal re Erode il Grande e sorgeva lungo il lato settentrionale della spianata del Tempio.

    Prima di Erode la fortezza proteggeva principalmente dalle incursioni da nord, ma poi servì soprattutto per sorvegliare gli ebrei e le attività nell’area del tempio, a cui si accedeva direttamente dalla fortezza.
    Qui, nel cortile detto litostroto (lastricato), Gesù Cristo venne processato e condannato a morte dal prefetto Ponzio Pilato. Nelle successive vicende storiche la fortezza fu distrutta e oggi non ne rimangono che pochi resti.

    ENTRATA DELLA FORTEZZA (PLASTICO)

    Secondo alcuni la fortezza accoglieva il pretorio, di cui si parla nella Passione di Gesù, infatti il procuratore stava nel pretorio. Secondo i Vangeli Gesù, dopo il processo presso Caifa, fu condotto nel pretorio dove era Pilato. Secondo un’altra tesi, oggi più accreditata, il luogo storicamente più attendibile non è la torre Antonia ma il palazzo di Erode (dove risiedeva Pilato); è una ipotesi di Abel e Benoit (1952), oggi sempre più seguita, ma non dai francescani della Flagellazione, com'è ovvio che sia.

    Che si tratti del palazzo di Erode lo sostiene anche Shimon Gibson, professore di archeologia all'università di Charlotte in Nord Carolina, secondo il quale il Vangelo di Giovanni descrive un luogo vicino ad una delle porte di Gerusalemme con un pavimento irregolare di pietra. Dettagli che più corrispondono al palazzo di Erode, non lontano dalla porta di Giaffa.

    La Fortezza Antonia serviva come caserma, ed era sede di una guarnigione romana; per alcuni il muro del pianto su cui piangono gli israeliti sarebbero le mura della fortezza che accolse la X Legione. E' possibile ma non è dimostrato. Secondo Giuseppe Flavio comprendeva appartamenti, bagni, alloggi per le truppe e cortili. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 535). Era di forma rettangolare e al nord-ovest del tempio di Gerusalemme. 



    "I Romani intanto stavano assediati nelle lor torri. Il popolo domandava con istanza che non fossero stretti ma i faziosi continuareno l'assedio ancora con maggior calore di modo che i Romani si videro costretti a domandare che lor fosse solo lasciata salva la vita ed abbandonerebbono l'armi e tutto il rimanente. Fu accettata la proposizione ma dacchè ebbero deposte l'armi Eleazaro capo de malcontenti li fece uccider tutti benchè fosse in giorno di sabato e non riserbò che Metilio lor comandante che promise di farsi Ebreo. Dopo quest'azione le persone sensate ben compresero non esservi più modo di sperare la pace e conchiusero che i Romani non lascierebbono di vendicarsi contro tutta la nazione degli Ebrei di una tanta crudeltà e perfidia".

    IL TEMPIO DI GERUSALEMME CON LA FORTEZZA DI ANTONIA EVIDENZIATA IN ROSSO

    Residenti della fortezza furono:
    - legionario Alessandro, 
    - Longino, 
    - Procolo, medico dell'Antonia; 
    - Quintilliano, il graduato di Cesarea Marittima; 
    - Quinto Felice, legionario; 
    altri legionari incontrati: 
    - Basso, 
    - Licinio, 
    - Marco Grato, 
    - Vitale.

    RESTI DELLA FORTEZZA

    DESCRIZIONE

    La fortezza è situata su una roccia alta 27m. che domina i dintorni. Questo palazzo rettangolare di 160m x 135, conteneva appartamenti, corsi, alloggi militari, bagni. Le sue mura si ergevano a 21m sulla roccia di Bézatha su cui era costruito. Agli angoli spiccavano le torri, tre delle quali erano alte 27m, mentre la 4a dominava il tempio di 35m. Un canale profondo, a volte rivestito di pietre levigate, separava la cittadella dalla collina di Bezetha. 

    Delle porte per le guardie e una scala collegavano l'Antonia ai portici nord e ovest del Tempio. Alla sua porta orientale, un passaggio sotterraneo, sul quale Erode elevò una torre, sboccava all'interno del tempio.

    Per quanto riguarda le fonti storiche, Giuseppe Flavio (Guerra 5. 238-246) scrisse che "La torre di Antonia giaceva in un angolo dove si incontravano due portici, quello occidentale e quello settentrionale, della prima corte del Tempio; è stato costruito su una roccia alta cinquanta cubiti e su tutti i lati precipitosa ".


    Una legione romana sorvegliava i portici del tempio, soprattutto in occasione delle feste giudaiche, per impedire le violenze del popolo. I romani vi risiedevano almeno saltuariamente. La fortezza comportava anche un giardino poichè Giuda e Simone zelote vi hanno un incontro con i romani e Claudia Procula, forse fu in uno dei suoi cortili che Ponzio Pilato incontrerà e condannerà Gesù.

    La torre o fortezza Antonia fu completamente distrutta insieme al tempio e alla città dal generale romano Tito (13-81) nel 70 d.c.:
    "Subito fu disposto l'ariete e cominciosi nel giorno seguente a battere le mura della fortezza Antonia Ma vedendo che l ariete non vi faceva alcun effetto ebbero ricorso alla zappa smossero quattro pietre delle fondamenta e come quello era il luogo stesso sotto di cui Giovanni aveva scavato per andare a demolire i due primi terrapieni la notte cadette la fortezza in rovina. Gli Ebrei avevano fatto per di dietro un altro muro ed i Romani respinti da tanti lavori non poterono risolversi di dar l'assalto benchè Tito ve gli esortasse con ogni sua forza.  Non vi furono che dodici soldati i quali si offerirono di andarvi e salirono per la breccia nel mezzo ad una grandine di dardi e di frecce ch'erano tirati contro di essi. La loro intrepidezza spaventò di maniera gli Ebrei che credendo fossero seguiti da molti altri abbandonarono la breccia e si ritirarono nella città.
    (Agostino Calmet - Storia del Nuovo e Antico Testamento)

    La Fortezza Antonia si trovava dove oggi è riconoscibile la Moschea El-Ghawanima Tower e la School Age.

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