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MEDITRINALIA (11 ottobre)

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DA MEDITRINA A GIOVE

Abbiamo poche informazioni sulla Meditrinalia della prima religione romana, in quella più tarda era collegata a Giove come cerimonia importante nella Roma agricola. La Meditrinalia celebrava la fine della vendemmia ed era la festa dedicata alla lavorazione del vino.

Non è mai citata una Dea che si chiami Meditrina. Tuttavia si tratta di una festa già in disuso ai tempi di Varrone e nominata poi di nuovo solo ai tempi della riforma di Augusto.

Un tempo all'antica Dea si sacrificava la focaccia e il vino, ma per "sacrificare" s'intendeva all'epoca rendere sacro attraverso un rito o una preghiera, non significava bruciare la focaccia o versare il vino sull'altare, perchè sprecare il cibo non era ben visto dalla Dea. 

Tanto è vero che i fedeli si riunivano accanto a un fuoco, o a un altare e il sacerdote, in genere una sacerdotessa, distribuiva le focacce e diceva:
"Mangiate le focacce, esse sono il corpo della madre Terra."
Poi versava il vino e diceva:
"Bevete il vino, esso è il sangue della Madre Terra". 

Così tutti mangiavano, bevevano e ringraziavano la Dea Meditrina, cioè la Madre Terra che li nutriva. In effetti la farina era il prodotto della spiga impastato con l'acqua delle sorgenti e il vino era il prodotto dell'uva che era a sua volta il prodotto della terra.

Grazie a questo rito tutti si sentivano figli della Grande Madre che li nutriva, e pertanto fratelli. Poi venne il cattolicesimo che a sua volta impastò la farina con l'acqua facendone ostie, e poi offrì il vino, anzi dopo lo bevve solo il prete perchè costava meno.

Comunque offrirono le ostie dicendo che si trattava del corpo di Cristo e il vino era il sangue di Cristo, ma non ci si capì più niente, per cui dissero che si trattava di un mistero, il "Mistero della Transustanziazione", che significa il Mistero di un cambiamento di sostanze, e rimase ancora più oscuro.




IL SIGNIFICATO DEL NOME

Varrone riporta una formula antica, recitata durante la degustazione del vino nuovo: "Novus-vetus vinum libo; novo-veteri vino morbo medeor"
("Bevo vino nuovo-vecchio, curo con tale vino nuovo-vecchio la malattia").

- Da questa formula e dall'antico concetto del vino come medicina deriverebbe secondo alcuni il nome di Meditrinalia, dal latino mederi , "guarire".  Ma non è così, perchè andrebbe escluso il "trina", parola inequivocabile.
- La festa secondo altri potrebbe essere stata così chiamato dal termine medendum (mischiato), perché i romani iniziavano a bere vino nuovo, che mischiavano con il vecchio e che a loro avviso ritemprava il loro fisico. Ma anche qui si escluderebbe il "trina".
- Secondo altri ancora Meditrina non sarebbe stata una Dea romana ma solo un'invenzione tardo romana per spiegare l'origine di Meditrinalia. Il primo ad associare le Meditrinalia a una Dea fu il grammatico del II secolo Sesto Pompeo Festo, sulla base del quale è ritenuta da fonti moderne Dea romana della salute, della longevità e del vino, con significato di "guaritrice".

Varro [De Lingua Latina, 6.21] dice quanto segue in questo giorno:
"Dies Octobri Meditrinalia dictus est a medendo, quod Flaccus flamen Martialis dicebat hoc die solitum vinum novum et vetus libari et degustari medicamenti causa; quod facere solent etiam nunc multi cum dicunt: 'Novum vetus vinum bibo: novo veteri morbo medeor'."
"Il giorno dei Meditrinalia nel mese di ottobre è stato chiamato da 'mederi' (da guarire), come Flamen Martialis Flaccus soleva dire che in quel giorno era usanza fare una libagione di vino vecchio e nuovo e assaggiarlo in per essere guarito. Molti sono abituati a farlo anche adesso quando dicono: "Vino nuovo e vecchio bevo, di malattia nuovo e vecchio sono guarito"".

Il vino novello veniva mescolato con il mosto bollito dell'anno precedente (il vin cotto), ed era un modo per preservarlo (Columella 12; Pall. Agric. 11, 14 e 17-19; [1. 916-919]). La miscelazione del vino comunque non solo doveva preservare le sue qualità, ma la libagione di una miscela di vino nuovo con quella dell'anno precedente era vista come un presagio per il futuro.




LA DEA TRINA

    In realtà Meditrina era un aspetto dell'antica Dea e significava colei che sta nel mezzo della divinità Trina. L'antica Dea era infatti Trina, tre Dee in una: la Dea che dà la vita, quella che nutre e quella che dà la morte. Il vino era legato al nutrimento per cui alla Dea centrale della divinità. Pertanto la Festa della antica Dea Tellus era stata trasformata in festa di Giove.

    Qual'era la malattia che veniva curata col vino? Le sofferenze della vita, la sofferenza del vivere. Bevendo il vino si dimenticano gli affanni, questo era il regalo della Dea agli uomini. Bere il vino nuovo insieme al vecchio era unire affanni passati e affanni presenti, curandosi di entrambi.

    La divinità onorata oggi è invece Iuppiter (basata sui Fasti Amiternini), onorata anche nella Vinalia del 23 aprile. La festa prevedeva la degustazione e la libagione del mosto fresco.

    E che c'entrava Giove col cibo e col vino per lenire gli affanni? Nulla ma avendo perduto il ricordo dell'antica Dea preferirono dedicare la festa al nuovo Padre, che sembrava più potente dell'antica Madre.



    LA CERIMONIA

    Mentre l'antica Dea non richiedeva sacrifici di animali, il culto di Giove richiedeva il sacrificio di un toro o di un bue, in genere bianco. All'uccisione rituale seguiva lo smembramento dell'animale, con le interiora che venivano bruciate sull'ara ai piedi del tempio e con il resto della carne fatto a pezzi e diviso tra i presenti, sacerdoti e personalità, ma la parte maggiore veniva distribuita al popolo. Seguiva poi la distribuzione del vino, popolo compreso, a cui seguivano danze e balli per le strade.

    Ma la cerimonia più suggestiva era nelle campagne, dove si ornavano le erme dei campi con ghirlande di fiori e grappoli d'uva, poi veniva fatta una preghiera e si apparecchiava all'aperto con focacce, vino olive e formaggio, e tutti bevevano e facevano brindisi augurali, prima a Giove e agli altri Dei, poi ai padroni e agli invitati.

    La festa, per lo più campagnola, si protraeva fino al tramonto, quando la gente, piuttosto alticcia per il bere e stanca di ballare e cantare. se ne andava a letto tranquilla.


    FABIO CESONE VIBULANO - F. CAESO VIBULANUS

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    Nome: Fabius Caeso Vibulanus
    Nascita: -
    Morte: 477 a.c., Cremera
    Gens: Fabia
    Consolato: 484 a.c., 481 a.c., 479 a.c.
    Professione: Militare e politico


    Cesone Fabio Vibulano, ovvero Caeso Fabius Vibulanus; ... – Cremera, 477 a.c.) fu un politico e generale romano del V secolo a.c., eletto per tre volte console, nel 484, nel 481 e nel 479 a.c..
    Con i fratelli Quinto e Marco, fu uno dei più gloriosi esponenti della gens Fabia.

    Nel 485 a.c., mentre era console suo fratello Quinto Fabio Vibulano, fu uno dei due questori che accusarono Spurio Cassio Vecellino di ambire alla monarchia, accusa che portò alla condanna a morte dell'ex console, gettato dalla Rupe Tarpea dai suoi due accusatori.

    Spurio Cesellino è l'unico patrizio della gens Cassia di cui abbiamo notizia, fu tre volte console ed ottenne due volte il trionfo. È famoso per il Foedus Cassianum (trattato di pace tra romani e latini) e per la prima proposta di legge agraria a Roma (lex Cassia agraria), con cui propose di dividere le terre pubbliche di Roma, tra i cittadini romani, e quelli degli alleati Latini ed Ernici. 

    La proposta fu fortemente osteggiata dai Patrizi, che alla fine riuscirono a demandare ad un collegio di 10 senatori, l'individuazione delle terre pubbliche, e quali tra queste avrebbero dovute essere vendute e quali date in locazione.

    L'anno successivo Cassio venne portato in giudizio con l'accusa di aspirare a diventare re; i due accusatori, i questori Cesone Fabio Vibulano e Lucio Valerio Potito, sarebbero poi diventati consoli, rispettivamente nel 484 e nel 483 a.c., con il sostegno dei patrizi. Processato, Cassio fu condannato e fatto precipitare dai due questori dalla Rupe Tarpea.

    D'altronde tutti i fautori della legge agraria vennero assassinati come i due fratelli Gracchi. L'unico che la ripropose e non potè essere ucciso, almeno in questo frangente, fu Giulio Cesare.

    Fu uno degli artefici della iniziativa della gens Fabia di assumere l'onere della guerra contro Veio, che si chiuse con la disfatta presso il fiume Cremera, in cui periranno tutti i Fabii partecipanti.


    PRIMO CONSOLATO

    Nel 484 a.c. Cesone Fabio venne eletto console insieme a Lucio Emilio Mamercino; ma la nomina di Cesone, fratello di Quinto, console dell'anno precedente, che non aveva diviso il bottino di guerra con i soldati, rese furente la plebe, dato che i soldati erano i loro parenti e scoppiarono delle rivolte.

    «...dopo una vittoria sui Volsci e sugli Ernici, privarono i soldati del bottino. Tutto ciò che fu tolto al nemico il console Fabio lo mise all'incanto e ne trasferì i proventi nelle casse dello Stato. Il nome dei Fabi era impopolarissimo proprio a causa di quest'ultimo console...»
    (Tito Livio - Ab Urbe condita libri - lib. II)

    Ma a tacitare le rivolte venne l'armata dei Volsci che, ritenendo Roma indebolita dai dissidi interni, passò all'attacco. I consoli divisero in due l'esercito, attaccando con un esercito i Latini e gli Ernici, e con l'altro prepararono la difesa delle terre romane.

    A Cesone Fabio toccò in sorte la campagna in difesa dei latini, mentre a Lucio Emilio quella contro i Volsci che però volse a mal partito per i romani, per cui Cesone partì in suo aiuto, determinando la vittoria romana nella battaglia di Longula.

    Tito Livio invece riporta che a Lucio Emilio fu affidato il comando della campagna contro Volsci ed Equi, e che ne conseguì una brillante vittoria, infliggendo al nemico più perdite durante la ritirata che durante la battaglia, mentre non riferisce alcuna azione militare a Cesone.

    L'OSTRACISMO DEI SOLDATI CONTRO CESONE

    SECONDO CONSOLATO

    Rieletto console nel 481 a.c. con il collega Spurio Furio Medullino Fuso, Cesone si trovò all'esterno di fronte alle lotte contro gli Equi e i Veienti, e all'interno di fronte ai dissensi tra patrizi e plebei, ed il tribuno della plebe Spurio Licinio cercò di far promulgare la legge agraria. Ma la guerra ebbe il sopravvento, Cesone marciò contro gli Equi, e Spurio contro i Veienti.

    Nella campagna contro gli Equi, Cesone ebbe più problemi con i propri uomini che contro i nemici, che vennero sconfitti grazie alle capacità militari del console, e nonostante l'odio con cui i militari, espropriati del bottino, risposero agli ordini del console. 

    «Nella campagna contro gli Equi, Fabio ebbe in qualche modo più problemi con i suoi effettivi che con i nemici. Fu soltanto quella grande figura, il console stesso, che resse le sorti dello Stato, tradito in tutti i modi possibili dai soldati i quali lo detestavano... »
    (Tito Livio - Ab Urbe condita - lib. II)

    Secondo Dionigi invece, Spurio Furio marciò contro gli Equi e Cesone Fabio contro i Veienti, ma ugualmente Fabio Cesone avrebbe ricevuto l'ostilità dei suoi soldati, che avendo sconfitto in battaglia il nemico, si rifiutarono di dare l'assalto all'accampamento nemico (il cui bottino non li avrebbe riguardati), e presero la strada per tornare a Roma, nonostante gli ordini del console.



    TERZO CONSOLATO

    Visto i pessimi effetti del mancato rispetto della Legge Agraria, Cesone, eletto nuovamente a console nel 479 a.c. insieme a Tito Verginio Tricosto Rutilo, provò a ricucire patrizi e plebei, proponendo che i primi offrissero volontariamente ai plebei estensioni di territorio conquistati in guerra, ma gli avidi senatori rifiutarono. 


    TITO LIVIO

    "Poi entrambe le parti, patrizi e plebei, mostrano un'uguale propensione nel voler nominare console Cesone Fabio accanto a Tito Verginio; il primo, all'inizio del suo mandato, lasciando da parte guerra, leva militare e ogni altro problema governativo, si concentrò esclusivamente sulla realizzazione del suo progetto, fino a quel momento solo abbozzato, della riconciliazione tra plebe e patriziato. Così, nei primi mesi di quell'anno, per evitare che un qualche tribuno saltasse fuori con proposte di legge agraria, suggerì ai senatori di giocare d'anticipo e di agire autonomamente distribuendo alla plebe la terra conquistata e facendolo nella massima imparzialità possibile; era giusto diventasse proprietà di quanti avevano dato sangue e sudore per conquistarla.
      
    I senatori bocciarono la proposta e, anzi, alcuni di loro arrivarono a dire che l'eccesso di gloria aveva insuperbito e offuscato la mente di Cesone una volta molto lucida. In seguito il conflitto tra le classi urbane conobbe un periodo di stallo; i Latini erano tormentati dalle incursioni degli Equi. Cesone si recò allora con un esercito nel territorio degli Equi per compiervi delle razzie. Gli Equi si arroccarono nella loro città, al riparo delle fortificazioni, e fu per questo che non ci fu nessuno scontro particolarmente memorabile.


    Coi Veienti, invece, si registrò una disfatta solo a causa della temerarietà dell'altro console: l'esercito sarebbe stato distrutto, se Cesone Fabio non fosse arrivato per tempo in aiuto. Dopo questo episodio, i rapporti coi Veienti non furono né pacifici né bellicosi, ma si limitarono a una sorta di reciproca scorrettezza. Di fronte alle legioni romane, si arroccavano nelle loro città; quando vedevano che le legioni si erano ritirate, allora uscivano e facevano delle scorrerie nelle campagne, eludendo alternativamente la guerra con una sorta di pace e la pace con la guerra.


    In modo tale che la cosa non poteva né essere abbandonata né esser portata a compimento; quanto ai rapporti con gli altri popoli, si era di fronte o a guerre imminenti (per esempio con Equi e Volsci, la cui inattività non poteva durare più del tempo necessario per digerire il dolore, ancora bruciante, per l'ultima disfatta) o a guerre destinate a scoppiare di lì a poco (con i Sabini sempre ostili e con l'intera Etruria)."

    (Tito Livio - Ab Urbe Condita - Libro II)

    Cesone dovette poi guidare l'esercito in aiuto dei Latini attaccati dagli Equi, correndo in aiuto del collega console Tito Verginio, che combatteva contro Veio.

    Ma avvenne poi un tragico scontro tra i Fabii e Veio nel 479 a.c., con la decisione della famiglia dei Fabii, di gestire lo scontro privatamente, e Cesone ne fu un sostenitore.

    I FABII IN MARCIA

    TITO LIVIO - I FABII

    Allora la gente Fabia si presentò di fronte al senato. Il console parlò a nome della propria famiglia:
    Nella guerra contro Veio, come voi sapete, o padri coscritti, la costanza dello sforzo militare conta più della quantità di uomini impiegati. Voi occupatevi delle altre guerre e lasciate che i Fabi se la vedano coi Veienti. Per quel che ci concerne, vi garantiamo di tutelare l'onore del popolo romano. E’ nostra ferma intenzione trattare questa guerra alla stregua di una questione di famiglia e di accollarcene tutte le spese: lo Stato non deve preoccuparsi né dei soldati né del denaro."

    Seguì un coro unanime di ringraziamenti. Il console uscì dalla curia e se ne tornò a casa scortato da un nutrito drappello di Fabi, i quali avevano aspettato il verdetto del senato nel vestibolo della curia. Quindi, ricevuto l'ordine di trovarsi il giorno dopo, armati di tutto punto, di fronte alla porta del console, rientrarono tutti nelle proprie case.

    La notizia fece il giro della città e i Fabi vennero portati alle stelle: una famiglia si era assunta da sola l'onere di sostenere lo Stato e la guerra contro i Veienti si era trasformata in una faccenda privata e combattuta con armi private. Se in città ci fossero state altre due famiglie così forti, una si sarebbe occupata dei Volsci e l'altra degli Equi e il popolo romano si sarebbe goduto beatamente la pace una volta sottomessi tutti i vicini.

    Il giorno successivo i Fabi si presentano all'appuntamento armati di tutto punto. Il console, uscito nel vestibolo in uniforme da guerra, vede schierati tutti i membri della sua famiglia e, postovisi a capo, dà ordine di mettersi in marcia. Per le vie di Roma non sfilò mai in passato nessun altro esercito meno numeroso ma nel contempo così acclamato e ammirato dalla gente.

    Trecentosei soldati, tutti patrizi, tutti della stessa famiglia, ciascuno dei quali più che degno di esserne al comando, e capaci insieme di formare, in qualsiasi momento, un'eccellente assemblea, avanzarono a passo di marcia minacciando l'esistenza del popolo di Veio con le forze di una sola famiglia.

    Li seguiva una folla in parte costituita da parenti e amici, gente straordinaria che volgeva l'animo non alla speranza o alla preoccupazione, ma solo a sentimenti sublimi, e in parte da gente qualunque spinta dall'ansia di partecipare e piena di entusiasmo e ammirazione. Tutti auguravano loro di essere sostenuti dal coraggio e dalla fortuna e di riportare un successo degno dell'impresa; e una volta di nuovo in patria, avrebbero potuto contare su consolati e trionfi, e su ogni forma di premio e riconoscimento.

    Quando passarono davanti al Campidoglio, alla cittadella e agli altri templi, supplicarono tutte le divinità che sfilavano davanti ai loro occhi, e quelle che venivano loro in mente, di accordare a quella schiera favore e fortuna e di restituirla intatta e in breve tempo alla patria e ai parenti. Ma vane furono le preghiere.

    IL FORTILIZIO

    LA BATTAGLIA DEL CREMERA

    "I Fabii, guidati da Marco Fabio Vibulano, dopo aver costruito un fortilizio nei pressi del fiume Cremara, iniziarono a saccheggiare le terre di Veio, anche quelle più lontane da Roma, mai attaccate prima. I Veienti dovettero soccombere ai Fabii, i quali divisero le proprie forze in quattro parti, destinandone una alla difesa del fortilizio, e le altre tre alle devastanti scorrerie, con rapidissime ritirate nel fortilizio.

    Partiti lungo la Via Infelice e passati dall'arcata destra della porta Carmentale, arrivarono alla riva del torrente Cremera. La posizione sembrò indicata per la costruzione di un campo fortificato. Dopo questi episodi furono eletti consoli Lucio Emilio e Caio Servilio. Finché si trattò soltanto di razzie, i Fabi non solo garantirono una sicura protezione al loro campo fortificato, ma in tutta l'area di confine tra la campagna romana e quella etrusca resero sicura la propria zona e, con continui sconfinamenti, crearono un clima di pericolo costante nel territorio nemico.

    Quindi le razzie cessarono per un breve tempo, finché i Veienti, reclutato un esercito in Etruria, attaccarono il presidio di Cremera e le legioni romane agli ordini del console Lucio Emilio li affrontarono in uno scontro all'arma bianca; a dir la verità, i Veienti ebbero così poco tempo per schierarsi in ordine di battaglia che, quando nel disordine delle manovre iniziali era in corso l'allineamento dietro le insegne e la collocazione dei riservisti al loro posto, la cavalleria romana li caricò all'improvviso sul fianco, togliendo loro la possibilità non solo di attaccare per primi, ma anche di mantenere la posizione
    .

    Respinti in fuga fino al loro accampamento a Saxa Rubra, implorarono la pace. Ma per la debolezza tipica del loro carattere, si pentirono di averla ottenuta prima che la guarnigione romana avesse evacuato il campo di Cremera. Il popolo di Veio si trovò di nuovo nella necessità di vedersela coi Fabi, senza però essere meglio preparato alla guerra; e non si trattava più soltanto di razzie nelle campagne e di repentine rappresaglie contro i razziatori, ma si combatté non poche volte in campo aperto e a ranghi serrati, e una famiglia romana, pur misurandosi da sola, ebbe più volte la meglio su quella città etrusca allora potentissima.



    Sulle prime ai Veienti ciò parve umiliante e penoso; poi però, studiando la situazione, decisero di giocare d'astuzia contro quel nemico irriducibile, anche perché vedevano con piacere che i reiterati successi avevano raddoppiato l'audacia dei Fabi. Così, parecchie volte, quando questi ultimi si avventuravano in razzie, facevano trovare loro, come per pura coincidenza, del bestiame sulla strada; vaste estensioni di terra venivano abbandonate dai proprietari e i distaccamenti inviati ad arginare le razzie fuggivano con un terrore più spesso simulato che reale.

    E ormai i Fabi si erano fatti un'idea tale del nemico da non ritenerlo in grado di sostenere le loro armi vittoriose, qualunque fossero stati l'occasione e il luogo dello scontro. Quest'illusione li portò ad uscire allo scoperto, nonostante la presenza in zona del nemico, per catturare una mandria avvistata a notevole distanza dal campo di Cremera.

    Dopo aver superato, senza però rendersene conto vista la velocità con cui procedevano, un'imboscata proprio sulla loro strada, si dispersero nel tentativo di catturare il bestiame che, come sempre succede quando reagisce spaventato, correva all'impazzata in tutte le direzioni; proprio in quel momento, si trovarono all'improvviso di fronte i nemici saltati fuori dovunque dai loro nascondigli.


    Prima fu il terrore per l'urlo di guerra levatosi intorno a loro, poi cominciarono a volare proiettili da ogni parte; e mentre gli Etruschi con una manovra centripeta li chiusero in una fila ininterrotta di uomini, in modo che a ogni loro passo avanti corrispondeva una riduzione dello spazio concentrico in cui i Romani si potevano muovere, questa mossa ne mise in chiara luce l'inconsistenza numerica esaltando invece la massa compatta degli Etruschi che sembravano il doppio in quella stretta fascia di terra.

    Allora, rinunciando alla resistenza che avevano sostenuto in tutti i settori, si concentrarono in un unico punto dove, grazie alla forza d'urto e alla loro perizia militare, riuscirono a fare breccia con una formazione a cuneo. In quella direzione arrivarono a un'altura appena accennata. Dove in un primo tempo riuscirono a resistere; poi, dato che la posizione sopraelevata permise loro di tirare il fiato e di riprendersi dal grande spavento, respinsero anche i nemici che pressavano da sotto; quel pugno di uomini stava avendo la meglio grazie alla posizione vantaggiosa, quando i Veienti furono spediti ad aggirare l'altura emersero da dietro sulla cima.


    Quindi permisero ai compagni di riprendere in mano la situazione. I Fabi vennero massacrati dal primo all'ultimo e il loro campo venne espugnato. Nessun dubbio: morirono in trecentosei; se ne salvò soltanto uno, poco più di un ragazzo, destinato a mantenere in vita la stirpe dei Fabi e a diventare per Roma, nei momenti più cupi in pace e in guerra, un sostegno fondamentale. "

    FONTINALIA (13 ottobre)

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    FONTE ROMANA IN PORTOGALLO
    Secondo Festo è il giorno sacro "alle fonti", mentre per Varrone è la festa del Dio Fons.  (Varr. Lat. 6, 22; Cic. Leg. 2, 22 . festa in onore di Fons, o festa delle sorgenti). La festa, detta Fontinalia, veniva celebrata in onore di Fons, chiamato anche Fontus, Dio delle sorgenti e delle fonti, figlio di Giano e della ninfa Giuturna, che aveva la podestà di far sgorgare l’acqua dalla roccia.


    IL SANTUARIO

    I luoghi di culto di Fons erano un altare posto presso la Tomba di Numa sul Gianicolo e un santuario, fuori dalla Porta Fontinale, eretto dal console Caio Papirio Masone nel 231 a.c. che sconfisse, nel nord della Corsica, i ribelli Corsi, con cui trattò raggiungendo un accordo di protettorato (una specie di colonia).

    La Sardegna e Corsica diventarono così la seconda provincia romana (provincia = pro vinta, vinta per, terra vinta a vantaggio dei romani). Il generale era grato alla divinità perché il suo esercito, assetato, era stato salvato in Corsica dal miracoloso ritrovamento di una sorgente dopo aver invocato l'assistenza delle ninfe e del Dio Fons. Divenne pontifex e morì nel 213 a.c.


    L'ALTARE

    Il Dio Fons aveva un altare consacrato ai piedi del Gianicolo, non lontano dalla presunta tomba di Numa. E' evidente che alle origini si trattasse del culto di una Dea-ninfa, deputata allo sgorgare e al mantenimento delle fonti, che il culto romano ha in parte mantenuto e accresciuto, però mascolinizzandolo. del resto Roma, in via delle Botteghe oscure, si conservano ancora i resti del Tempio delle Ninfe.

    Durante le Fontinalia, si adornavano le fonti, le sorgenti e le vere dei pozzi con fiori e ghirlande, di cui si cingeva lo stesso offerente, inoltre si offrivano al Dio vino, olio, erbe e focacce, insomma dei riti incruenti, il che conferma l'origine femminile del rito. 

    FONTE ROMANA DI PONTELANDOLFO

    LA FESTA

    La festa prendeva inizio presso la porta Fontinalis delle Mura Serviane, probabilmente posta davanti al Museo del Risorgimento, sul lato sinistro guardando la scalinata dell'Altare della Patria. In effetti le notizie storiche sulla Porta Fontinalis si limitano a due citazioni letterarie e tre iscrizioni e in nessun caso si hanno indicazioni che possano suggerire la sua reale posizione. 

    L’unica traccia topografica la segnala nei pressi del Campidoglio, nelle mura serviane, verso il Campo Marzio, ad "Martis aram", ma l’esatta ubicazione di questo altare di Marte è piuttosto controversa.

    In effetti sulla sinistra del Vittoriano (sul lato quindi di via del Teatro di Marcello), all’incirca in corrispondenza dell’odierno Museo del Risorgimento, si distinguono, inseriti nel selciato moderno, alcuni resti, in opera quadrata di tufo, di una struttura che alcuni identificano come uno stipite della porta.

    Secondo molti la porta era ubicata sul lato esattamente opposto dell’Altare della Patria, quindi in corrispondenza dell’inizio di via dei Fori Imperiali, in un punto incerto tra l’inizio dell’antico clivo Argentario (la strada ancora esistente che scendeva dal Campidoglio), e i resti della tomba di Gaio Publicio Bibulo, tuttora visibili vicino alla fontana sulla sinistra di chi guarda l’Altare della Patria.

    FONTE DI GIUTURNA (FONS IUTURNAE)
    Gota Säflund, brillante studioso di archeologia, pensa possa trattarsi della stessa porta già chiamata Ratumena, un accesso alle fortificazioni precedenti all’invasione dei Galli del 390 a.c. e quindi preesistente alle mura serviane. Poiché in effetti le mura repubblicane in quel tratto coincidevano in parte con l’antica fortificazione innalzata intorno all’arce capitolina, l’ipotesi che la Fontinalis possa aver sostituito o magari addirittura possa identificarsi con la Ratumena, sembra probabile.
    Christian Huelsen, altro studioso di archeologia, pone la Fontinalis all’inizio della via Flaminia, il cui antico tracciato partiva dall’angolo nord-est del Campidoglio (la zona, appunto, della tomba di C. Publicio Bibulo), per seguire l’intero rettilineo che oggi è via del Corso e riunirsi, oltre l’attuale Piazza del Popolo e il piazzale Flaminio, al tratto urbano della moderna via Flaminia.

    Nel mito Fons era il dio delle fonti, figlio di Giano e della ninfa Giuturna nonché fratello di Tiberino, il Dio del fiume Tevere. Fons aveva un altare consacrato ai piedi del Gianicolo, non lontano dalla presunta tomba di Numa Pompilio. Ma la mentore e consigliera di Numa era la ninfa Egeria, anch'essa divinità delle fonti. 
    Durante questa festività morì nel 54 l'imperatore Claudio.
    La festa prevedeva una processione che procedeva dal Santuario presso la Porta Fontinalis dove venivano appesi rami e ghirlande e si snodava per le vie della città recando la statua lignea del Dio e adornando le varie fontane che incontrava, con suoni e danze. La gente si recava alla fonte del Dio Fons attingendone l'acqua che per l'occasione era stata benedetta e pertanto salutare e curativa.

    NOVAE (Bulgaria)

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    NOVAE PRIMA DEI LAVORI DI MANTENIMENTO DELLE STRUTTURE ARCHEOLOGICHE

    Novae si trova sulla sponda meridionale del Danubio, in Bulgaria, nel luogo chiamato Pametnici vicino a Svistov o Stǎklen (un luogo ricco di vetro -. Bulg stǎklo). Uno straordinario numero di frammenti di vetro di epoca romana sono visibili sul sito archeologico, dato che la produzione di vetro è documentata fino alla fine di Novae romana. 

    Il castra legionis è enorme e copre un'area di 17.99 ettari, eretto su un pendio che a sud raggiunge 70 m s.l.m., ma che degrada fino alla riva del fiume (40 m s.l.m.), valendosi pertanto di edifici a terrazzamenti circondati da spesse a alte mura difensive. Attualmente sono state scavate le parti settentrionale e centrale del sito, ma la sua parte meridionale è ancora quasi tutta coperta dal terreno di diporto.

    I Romani, un po' per assicurarsi dei solidi confini, un po' per desiderio di apportare a Roma nuove ricchezze, un po' perchè erano combattenti nel sangue, da molti anni guardavano ai Balcani con desiderio di conquista, praticamente da quando raggiunsero il Basso Danubio.

    PRINCIPIA, QUARTIER GENERALE DI NOVAE
    148 a.c. - Dopo la quarta guerra macedone (150-148 a.c.), i Romani avevano una provincia che confinava con il Mar Egeo e, dovendo difenderla, si spostarono pian piano verso nord.

    - 35 a.c. - Durante le guerre illiriche avevano combattuto dalla costa dalmata fino all'attuale Serbia. Arrivando da ovest, raggiunsero il Danubio vicino a Singidunum (Belgrado) nel 35 a.c. circa.

    - 30 d.c. - La prima parte dell'occupazione romana è da noi poco conosciuta perchè poco documentata; non sappiamo neppure l'orogine del nome “Moesia”. Sembra comunque che le legioni furono attive nel basso Danubio; la IV Legio ottenne il soprannome di “Sciitica” per aver combattuto in questa area. Novae era una delle basi e deve essere stata fondata all'incirca nel 30 d.c..

    - 46 d.c. - L'imperatore Claudio (10 a.c. - 54 d.c.) ordinò fosse edificata una fortezza legionaria chiamata Novae, nella provincia della Moesia Inferior (corrispondente a Serbia e Bulgaria oggi), che perdurò fino al V sec..

    RICOSTRUZIONE DELLA FORTEZZA DI NOVAE
    - 69 d.c. - Essa fu eretta a presidio del limes danubiano, quando la provincia di Tracia venne annessa all'Impero romano, come sede della fortezza legionaria della legio VIII Augusta. Terminata la guerra civile, nell'anno 69, quando regnarono quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio, e Vespasiano che ottenne la porpora a dicembre.

    Quest'ultimo disperse per tutto l'impero le legioni di Vitellio e la I Italica venne mandata in Mesia, dove il nuovo governatore, Gaio Fonteio Agrippa, amato da Tiberio (tanto che dette alla figlia di Agrippa un milione di sesterzi in dote) la tenne impegnata in una guerra assieme ad altre legioni di Vitellio, di dubbia lealtà a Vespasiano.

    - 70 d.c. - L'esercito della Moesia venne sconfitto nell'inverno 69/70 per mano del popolo iranico dei Sarmati che avevano invaso la provincia, e Agrippa rimase ucciso in battaglia. Il nuovo governatore Rubrio Gallo riuscì a sconfiggere i Sarmati Roxolani che avevano ucciso Fonteio Agrippa, e a rinforzare le fortificazioni, con nuove e più numerose guarnigioni «sì che passare il fiume era per i barbari del tutto impossibile» Riuscì a scacciare i Sarmati dalla Mesia, le truppe, sia legioni che ausiliari, furono riorganizzate, e la I Italica fu spostata (o rimase) a Novae (comune di Svishtov, Bulgaria).

    TRIADE CAPITOLINA DI NOVAE
    Pertanto le unità presenti a Novae furono:
    - la legio VIII Augusta fin dall'inizio della fortificazione (46-68);
    - la vexillazione della legio XI Claudia (68-70);
    - la legio I Italica (70-430).

    - 85 d.c. - Durante le guerre daciche di Domiziano contro i Daci di re Decebalo, (85-89), Novae sembra non subì grossi danni alle fortificazioni, anche perchè le battaglie principali si svolsero nella parte più occidentale o orientale della provincia.

    - 86 d.c. - la provincia di Mesia fu divisa in superior ed inferior, e Novae, insieme a Durostorum, divenne una delle due basi legionarie della seconda delle due nuove province.

    Sotto Traiano, le vecchie costruzioni di legno e mattoni furono sostituite da mura e baracche in pietra. Inoltre il nuovo quartier generale (Principia, ovvero l'insieme degli edifici militari che costituivano il quartier generale del castrum.) con la basilica e l'ospedale militare (valetudinarium), furono costruiti nel luogo dove sorgevano le terme romane di epoca Flavia.

    - 102 d.c. - Durante la conquista della Dacia il re dei Daci, Decebalo cercò di aprire un secondo fronte per dividere le forze dell'esercito romano e assalì la Mesia Inferiore, insieme agli alleati sarmati Roxolani, guidati dal re Susago.

    Le due armate passarono il fiume ma, pur riportando qualche successo iniziale, ma presto vennero respinte dal generale Manio Laberio Massimo, il quale riuscì anche a catturare la sorella del re dei Daci, come è illustrato nella Colonna Traiana.

    TEGULA DELLA LEGIO ITALICA 
    RINVENUTA A NOVAE
    Con l'arrivo dei rinforzi dell' imperatore Traiano (rappresentato sulla Colonna nell'atto di raggiungere il fronte mesico su imbarcazioni della Classis moesica), le forze dei Daci e dei Roxolani furono sconfitti.

    L'offensiva di Traiano riprese nel mese di marzo; questa volta, l'avanzata prese avvio da più fronti.
    La prima colonna, attraversato il Danubio forse nel tratto di limes Oescus-Novae, proseguì fino al passo della Torre Rossa.

    L'avanzata delle altre due colonne avvenne in parallelo, probabilmente attraverso le "Porte di ferro" e il passo delle Chiavi di Teregova. Il punto di ricongiungimento finale delle tre armate fu a 20 km a nord-ovest di Sarmizegetusa Regia. Decebalo inviò la richiesta di pace.

    193 - 235 - I tempi più prosperi per Novae e per tutta la provincia, sembra furono durante la dinastia dei Severi. Lo testimonia la splendida villa costruita a ovest del castrum legionario, nell'area delle canabae, che potrebbe essere stata la residenza del legatus legionis.

    Novae venne visitata da diversi imperatori romani:
    Traiano (98-117),
    Adriano (117-138),
    Caracalla (198-217)
    Massimino il Trace (235-238).
    RICOSTRUZIONE DEI "PRINCIPIA"
    - 249 d.c. - Decio, proclamato imperatore dalle armate pannonico-mesiche, si diresse in Italia, portando con sé buona parte delle truppe di confine, e presso Verona sconfisse l'esercito di Filippo l'Arabo, che morì insieme a suo figlio.

    Ma l'aver sguarnito le difese dell'area balcanica permise, ancora una volta, a Goti e Carpi di riversarsi nelle province di Dacia, Mesia inferiore e Tracia. I Goti, una volta passato il Danubio ghiacciato, si spinsero in Mesia inferiore, fino sotto le mura di Novae.

    DEDICA PER LA SALUTE DELLA FAMIGLIA
    IMPERIALE DA UN UFFICIALE DELLA I ITALICA
    - 250 d.c. - Decio fu costretto a tornare sul basso Danubio, per affrontare i Goti di Cniva. Respinti da Treboniano Gallo presso Novae, condusse le sue armate sotto le mura di Nicopoli. Frattanto Decio, sconfisse e respinse dalla provincia dacica i Carpi. Poi, lasciato Treboniano Gallo a Novae, sul Danubio, riuscì a sconfiggere Cniva mentre assediava la città mesica di Nicopoli.

    Ma Decio venne sconfitto presso Beroe Augusta Traiana (l'attuale Stara Zagora). La campagna venne interrotta,  Filippopoli cadde in mano ai Goti, che la distrussero, e da quel momento Novae fu sistematicamente attaccata dai barbari. La linea orientale delle nuove mura difensive furono ingrandite per altri 10 ettari, per poter essere di rifugio anche per i civili che abitavano nei dintorni dell'accampamento militare.

    - IV secolo - quando la legio Italica fu divisa in vari distaccamenti, pronti ad occupare forti e fortini, molti edifici militari furono sostituiti con edifici civili all'interno del vecchio castrum. E così le canabae e la base legionario diventarono un tutt'uno, facendo la guardia ad entrambe le sponde del Danubio, con fortezze a Novae e dall'altra parte del fiume a Sexagintaprista, per il tratto della Mesia inferiore. Nuove strade, poi, con ai lati dei marciapiedi furono costruiti, utilizzando iscrizioni in pietra. Il nuovo insediamento era molto più povero, con costruzioni in mattoni secchi.


    - 441 d.c. - Sotto il regno dell'imperatore Zenone  tribù barbare conquistarono la città e Teodorico il Grande, signore degli Ostrogoti ne fece la capitale del suo regno. Nel 441 Novae venne ancora una volta distrutta, questa volta dagli Unni di Attila, ed abbandonata definitivamente dalla legione.

    - VI sec. - Sotto Giustiniano I (527-565) la città fu ricostruita e fortificata in tal modo da poter essere chiamata la "Ravenna dell'Est" e divenne anche un importante porto sul Danubio.

    - VII sec. - A partire dal VII secolo divenne sede e quartier generale delle armate bizantine che combatterono gli Avari e gli Slavi. Venne distrutta nuovamente dopo il 613.

    Novae è menzionata in diciassette antiche fonti letterarie, tra cui:

    - Claudio Tolomeo (100-178) 
    - la Notitia dignitatum (IV/V secolo) 
    - la Notitia Episcopatuum (IX e X secolo). 
    - È probabilmente scolpita sulla Colonna Traiana, che commemora la supremazia di questo imperatore sui Daci. 
    - È inoltre indicata sulla più antica mappa conservata dell'Impero romano la Tabula Peutingeriana.



    IL SITO ROMANO

    Dal 1960 un gruppo di ricerca polacco con la collaborazione dell'Accademia delle Scienze di Bulgaria opera sul sito. Le canabae, cioè l'agglomerato civile, anche di non-cittadini romani, sviluppatosi fin dai tempi di Augusto, attorno alle fortezze legionarie permanenti (castra stativa), si estendeva nella parte occidentale e meridionale dell'antica base legionaria, coprendo un'area di 70-80 ettari durante il periodo del principato.

    Durante il periodo Tardo Impero romano la città copriva ora quasi tutti i 18 ettari della ex-base legionaria, oltre a 20-30 ettari delle ex-canabae, oltre ad altri 10 ettari del recinto orientale.
    Un altro piccolo centro civile (vicus) è stato localizzato oltre 2 km a est dell'accampamento militare, nel luogo chiamato Ostrite Mogili.

    Indagini archeologiche del terreno hanno evidenziato un insediamento di ca. 15 ettari, esistente al tempo del principato. Qui ci sarebbero state numerose officine del vetro, mentre lungo le strade che uscivano dalla base legionaria, sono state rinvenute numerose necropoli (ad ovest, est e sud).

    Circa 2 km a sud della fortezza è stato, infine, individuato un tempio dedicato a Liber Pater (divinità orientale), fuori dalle mura orientali della fortezza. Una delle villae fu posta sul sito dove sorgeva l'antico ospedale militare (secondo recenti scavi). Molte vetrerie sono stati trovate negli scavi archeologici, sia in città, così come nei dintorni. La villa sembra che continuò ad esistere fino alle invasioni gotiche del 376-382.



    Il sito archeologico deve essere stato occupato nel 46 o 47, quando l'imperatore Claudio ordinò l'annessione della Tracia. Da allora il Reno e il Danubio divennero le frontiere naturali, cioè il limes dell'Impero a nord.

    La base di Novae, edificata al di fuori della foresta dalla Legio VIII Augusta, misurava 485 m x 365, edificata su un alto terrazzamento sulla riva meridionale del Danubio, quattro km a est della moderna Svishtov.

    A differenza della maggior parte delle fortezze e fortificazioni romane, la terrazza sulla quale fu costruita Novae non era un campo completamente pianeggiante. La base legionaria fu costruita su un pendio, che gli ingegneri convertirono in due livelli: venendo da nord, si poteva procedere verso la sede centrale, ma si doveva salire una scala se si voleva andare più a sud.

    Dopo l'anno dei quattro imperatori (69), l'ottava legione fu trasferita ad Argentorate (l'attuale Strasburgo in Francia) in Germania Superiore e la base di Novae fu ceduta alla Prima legione italiana di recente creazione.

    Non molto tempo dopo, i nuovi soldati iniziarono la ricostruzione di Novae. Non era raro, alla fine del I secolo, ricostruire parti di fortezze in pietra. Gli archeologi hanno stabilito che dopo la riforma dell'esercito Claudio, le basi legionarie e i forti ausiliari sono diventati sempre più permanenti. Novae non fa eccezione, ma può esserci stata un'urgenza particolare: a nord del Danubio, il re Decebalo di Dacia stava diventando aggressivo. 


    Dopo che i Romani avevano annesso la Dacia, seguì un periodo di tranquillità. Gli insediamenti civili intorno alla base militare sembrano essersi ampliati. La maggior parte delle iscrizioni sembrano risalire al secondo e all'inizio del terzo secolo, e la loro quantità è la prova della prosperità di Moesia Inferiore in questo periodo.

    Verso la metà del III secolo, tuttavia, le tribù dall'altra parte del Danubio tornarono ad essere inquiete e ci volle un po' di tempo prima che l'esercito romano riconquistasse il controllo incontrastato della zona. Quando lo fecero, alla fine del III secolo, la Dacia andò perduta e molti immigrati - sia romani provenienti dalla Dacia che barbareschi - avevano ricevuto terreni lungo il Danubio. 

    Come la popolazione originaria della Moesia Inferiore, anche quest'ultima si romanizzò. L'ordine romano è stato restaurato. Il popolo si convertì persino al cristianesimo quando questa religione si diffuse in tutto l'Impero nel quarto secolo.

    Si formarono però nuove coalizioni tribali, come i Tervingi. I soldati di I Italica devono aver preso parte alle operazioni dell'imperatore Valens nell'ex Dacia nel 367-369. Un trattato di pace fu concluso, ma alcuni anni dopo, nel 376, il condottiero tervingio Fritigern, che temeva gli unni che si avvicinavano, chiese il permesso di stabilirsi a sud del Danubio. Anche se Valens lo concesse, la situazione si deteriorò e nel 378 i Tervingi e i Romani si scontrarono ad Adrianopoli.


    I Romani furono sconfitti e i loro conquistatori, ora sempre più spesso chiamati Visigoti, cominciarono a vagare attraverso l'Impero.

    In quest'epoca, le mura di Novae furono ampliate: ai cittadini fu permesso di vivere nella sicurezza della fortezza. Non c'è da stupirsi se accanto alla sede centrale fu costruita una chiesa, lunga 46 metri e larga 24; questo luogo di culto fu, nei due secoli successivi, gradualmente ampliato con ulteriori absidi e un battistero.

    Nel V secolo gli Ostrogoti si stabilirono in questa zona. Per un po' di tempo, Novae fu la loro capitale. Anche se il loro capo Teodorico alla fine invase l'Italia, molti dei suoi abitanti rimasero, come si può dedurre da uno dei cimiteri.

    Tuttavia, Roma rimase sotto il controllo della zona, e sappiamo che l'imperatore Giustiniano (r.527-565) migliorò le difese. Gli ultimi riferimenti alla guarnigione di Novae risalgono all'inizio del VII secolo.



    CURIA CALABRA

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    IL CERCHIO ROSSO EVIDENZIA LA CURIA CALABRA

    IL TEMPIO DELL'OSSERVAZIONE LUNARE

    La Curia Calabra era un luogo di culto preposto all'osservazione della luna. Si trattava di un vero e proprio tempio utilizzato per l'osservazione rituale della luna nuova nella Roma antica. La Luna Nuova o novilunio, o Luna Nera, è la fase della Luna in cui il suo emisfero visibile risulta completamente in ombra.

    Però anticamente il novilunio non era la Luna Nera, ma era il giorno in cui compariva di nuovo la luna. Vale a dire che era il giorno in cui rinasceva la luna, o il giorno in cui la Dea Diana emergeva dalle grotte in cui si era occultata. Tale giorno è spesso utilizzato come primo giorno del mese nei calendari lunari.


    La Luna Nuova

    La Luna nuova avviene quando nel corso della sua orbita il nostro satellite è in congiunzione col Sole, cioè si frappone tra la Terra e il Sole. Durante la fase di Luna nuova, non è possibile vedere la Luna in quanto essa è presente in cielo di giorno a poca distanza apparente dal Sole. Se il novilunio si verifica quando la Luna si trova in un nodo della sua orbita, cioè sta attraversando il piano eclittico, la Luna risulta allineata perfettamente con la Terra e il Sole e perciò provoca il fenomeno delle eclissi di Sole.

    "Vogliono taluni asserire che alla fondazione di Roma vi fu una congiunzione di luna che ecclissò il Sole e questa essere stata veduta anche da Antimaco Poeta da Teo accaduta essendo nell'anno terzo della sesta Olimpiade"

    Il Pantheon di Roma, ricreato da Agrippa sul modello dei templi più arcaici, era, ed è, come quelli, rotondo e con l'oculo in cima che consentiva l'osservazione della luna. Infatti nell'Equinozio di Primavera la Luna Piena è osservabile giusto al centro dell'oculo del tempio. Momento importantissimo perchè nella Roma più arcaica l'anno solare iniziava all'equinozio di primavera e non al solstizio d'inverno come avvenne poi.



    1 - Aedes Fidei
    2 - Aedes Opis
    3 - Aedes Iuppiter Custodis
    4 - Aedes Tensarum - (Menzionato solo da un diploma militare. L'edificio è stato utilizzato per immagazzinare i carri che trasportano le sculture degli Dei nelle processioni. Secondo alcune ipotesi, Iuppiter era al lato del santuario di Iuppiter Feretrius.)
    5 - Aedes Iuppiter Feretrius
    6 - Curia Calabra
    9 - Aedes Veneris Erycinae
    10 - Aedes Mentis
    13 - Aedes Iuppiter Tonantis


    Il Calendario

    Il calendario romano era infatti originariamente lunare. Le Calende o il primo giorno di ogni mese, il pontifex minor occupava la Curia Calabra per attendere l'avvistamento della luna nuova. Il Rex Sacrificulus (o Rex Sacrorum), una figura magistratuale e sacerdotale insieme, unitamente al Pontefice, poi officiavano una res divina (servizio religioso) e il sacrificio in onore di Giunone, e il popolo romano veniva chiamato in assemblea nei Comitia Calata, che sembra avvenissero sul Campidoglio. Come calata, il nome Calabra deriva probabilmente da calare, "convocare" o "proclamare". Ma secondo altri "calabra" o "galabra" richiama più il significato di roccia.

    "Tra i pubblici stabilimenti a Romolo viene attribuita quella della Curia Calabra. Anche il luogo ove si teneva adunanza per cura dei publici affari chiamavasi Curia e dalla parola cura era Curia lo stesso luogo. Nella Curia Calabra di Romolo, asseriscono Varrone, Macrobio e Sesto Pompeo, si trattava solamente ciò che aveva relazione alle cose sacre. Fu detta Calabra a "colendo" verbo che significava chiamare poiché siccome scrive Macrobio vicino alla Curia si chiamava il Popolo per avvertirlo dei giorni che dalle Calende alle None del mese. 

    Questa Curia fu coperta di strame, che è un insieme di erbe secche e paglia che vengono usate come foraggio e come lettiera per il bestiame, tuttavia ottimo per coprire i tetti sostenuti da vimini intrecciati e pali di legno. Ciò dimostra la povertà di quei tempi ed era situata Campidoglio nella parte meridionale e precisamente vicino alla rupe da Manlio nella insalizione de Galli come scrive Virgilio, vicina a questa Curia fu altra Casa di Romolo e di tal piccolezza che le dà il nome di tugurio. Era ancor questa coperta di canne di strame con legature di vinchi per testimonianza di Ovidio".

    Secondo altri studiosi la sua posizione esatta è poco chiara, ma la ritengono un un recinto scoperchiato davanti a una capanna augurale (auguraculum, un tempio senza tetto), sul lato sud-ovest della zona Area Capitolina, il recinto del tempio di Giove Ottimo Massimo. Servio Mario Onorato, grammatico e commentatore romano del IV secolo, identifica la Curia Calabra con una Casa Romuli ("Capanna di Romolo") o Tugurium, o "Tegurium Romuli" sul colle capitolino. Il tegurium era una capanna con un tetto di paglia, molto isolante dal freddo e dalle piogge, usatissimo anche nei paesi anglosassoni dell'800 e '900 ma alcuni a tutt'oggi. Tuttavia Ambrogio Teodosio Macrobio fa supporre, e molti studiosi sono concordi, che invece era adiacente alla Casa di Romolo.

    La Curia Calabra ebbe dunque un aspetto sia religioso che civile, per propiziarsi gli Dei, e per stabilire il calendario che il popolo doveva rispettare, onde permettere una civile e fruttuosa convivenza tra i cittadini romani. E' evidente che nei tempi più antichi fosse una capanna con un foro sul tetto, ma che poi venne edificata in muratura con un tetto e un cortile che fungeva da osservatorio.


    Curia Calabra

    "Generalmente da tutti i più accurati topografi si stabilisce esservi stata sulla descritta Rocca la Curia Calabra, nella quale il Pontefice Minore, dopo di avere osservato il Novilunio, pronunziava alla plebe ivi raccolta quanti giorni avanzavano dalle Calende alle None. Io poi ne ritrovo la sua forma in quel frammento della Pianta Capitolina, distinto quivi col N. LX che il Bellorio, seguendo il sentimento di Andrea Bufalini, crede esservi rappresentato il tempio di Giove Capitolino con quello di Giove Custode 170. Questo ritrovato primieramente lo deduco dalla forma quadrata stabilita nella lapide all'edifizio maggiore, la quale molto conviene con quella di una Curia; quindi dalle altre cose che si vedono disegnate nella medesima lapide, le quali assai bene si adattano a rappresentare il recinto meridionale del Tarpeo con le lunghe scale, denominate dei Cento gradi, che venivano ivi a riferire; e circa alla sommità di queste si trova indicato esservi stata una porta arcuata."

    (STORIA E TOPOGRAFIA DI ROMA ANTICA DELL'ARCHITETTO CAV. LUIGI CANINA)



    LA CURIA CALABRA ACCANTO ALLA CASA DI ROMOLO 

    Le fonti storico –letterarie c’informano che la casa si trovava nel’angolo sud occidentale del palatino sulle pendici che guardano verso il velabro e il circo massimo, ai cui piedi era la grotta del lupercale dove  il pastore Faustolo rinvenne i fatidici gemelli, era il "tugurium faustoli", una capanna divenuta oggetto di venerazione che venne conservata, costantemente restaurata e rifatta durante tutta l’antichità, preziosa reliquia delle origini di Roma, tanto che Augusto vi fece edificare nei pressi la propria casa. 
    Una serie incredibile di coincidenze e corrispondenze che ci porta a credere seguendo le fonti antiche di trovarci di fronte alla mitica casa di Romolo dove si doveva trovare il “ lituus “ di Romolo il caratteristico bastone con l’estremità superiore ricurva attributo dei re e dei grandi sacerdoti, e nei cui pressi Romolo aveva fatto edificare la Curia Calabra, un luogo vicinissimo da cui riunire il popolo in ogni questione che volesse risolvere con il popolo e per il popolo. Popolo che contò sempre per Roma, anche durante la monarchia.



    ACQUEDOTTO DI ASPENDUS

    I CIMITERI PAGANI

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    SEPOLCRI DI POMPEI

    RODOLFO LANCIANI (1845 – 1929)

    E' stato uno dei più grandi archeologi italiani, a cui desideriamo rendere onore e la cui bravura è stata riconosciuta ampiamente anche all'estero (e forse più apprezzato che non in Italia). Per questo proponiamo qua sotto tutte le onorificenze donategli nel suo paese natale ma soprattutto all'estero.


    Onorificenze italiane
    • Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro 
    • Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia 
    • Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia

    Onorificenze straniere
    • Cavaliere dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)
    • Cavaliere di III classe dell'Ordine dell'Aquila Rossa (Germania)
    • Membro dell'Ordine Reale Vittoriano (Regno Unito)
    • Cavaliere di V classe dell'Ordine di San Stanislao (Impero russo)
    • Cavaliere dell'Ordine della Stella Polare (Svezia)
    • Cavaliere dell'Ordine di Carol I (Romania)
    • Croce d'argento dell'Ordine di Giorgio I (Grecia)


    SEPOLTURE NEGLI ALBERI

    Una cosa è certa, la prima usanza delle campagne fu di seppellire i morti in tronchi di alberi, scavati all'interno e tagliati a misura, come è usanza tra alcune tribù indiane al giorno d'oggi.
    Nel marzo 1889, gli ingegneri che stavano assistendo alla bonifica del lago di Castiglione (l'antico lago Regillo) scoprirono un tronco di "Quercus robur", segato longitudinalmente in due metà, con uno scheletro umano dentro, e frammenti di oggetti in ambra e avorio. La bara, grossolanamente tagliata e sagomata, era stata sepolta a una profondità di quattordici piedi, in una trincea un'inezia più lunga e più grande di sé, e lo spazio tra la cassa e i lati della trincea è stata riempita con ceramiche arcaiche, del tipo trovato nelle nostre necropoli romane della Via dello Statuto. C'erano anche esemplari di ceramica importata, e una tazza di bronzo. La tomba e il suo contenuto sono ora esposte nella Villa di Papa Giulio, al di fuori della Porta del Popolo.

    Quando Roma fu fondata, questa moda semi-barbarica della sepoltura non era affatto dimenticata o abbandonata dai suoi abitanti. Non abbiamo ancora scoperto le bare in realtà scavate in un albero, ma abbiamo trovato rozze imitazioni in argilla. Questi appartengono all'intervallo di tempo tra la fondazione della città e le fortificazioni di Servio Tullio, essendo stati trovati alla notevole profondità di quarantadue piedi sotto l'argine delle mura Serviane, nella Vigna Spithoever. Questi reperti sono ora esposti nel Museo Capitolino (Palazzo dei Conservatori), insieme con gli scheletri, la ceramica, il bronzo e le suppellettili che contenevano.

    CATACOMBE S. PRISCILLA

    CIMITERI DEL VIMINALE E DELL'ESQUILINO

    Quasi ogni tipo di tomba di Etruria, Magna Grecia, e italica preistorica ha un rappresentante nei vecchi cimiteri del Viminale e l'Esquilino. Ci sono grotte scavate nella roccia naturale, con l'ingresso sigillato da un blocco dello stesso materiale; e scheletri che si trovano sui letti funebri su entrambi i lati della grotta, o anche sul pavimento tra di loro, con i piedi rivolti verso la porta, e ceramiche italo-greche, insieme con oggetti in bronzo, ambra e oro.

    Ci sono anche grotte artificiali, formate da corsi orizzontali di pietre che sporgono una dall'altra, da entrambi i lati, fino in alto. Poi ci sono corpi protetti da un cerchio di pietre grezze; altri che si trovano in fondo a pozzi, e sarcofagi, infine, regolari a forma di capanne quadrati, e cineraria.

    TOMBE SULL'APPIA ANTICA
    Confrontando questi dati si può giungere alla conclusione che l'inumazione sembra essere stata più comune della cremazione nel periodo preistorico di Roma; di conseguenza, alcune famiglie, per dare la prova materiale del loro antico lignaggio, non avrebbero mai pensato alla cremazione. Tali erano per esempio i Cornelii Scipioni, i cui sarcofagi sono stati scoperti nel secolo scorso nella Vigna Sassi. Silla è il primo Cornelius il cui corpo è stato bruciato; ma questo venne ordinato per evitare ritorsioni, vale a dire, per paura di venire trattato come avevano trattato il cadavere di Mario.

    Entrambi i sistemi sono menzionati nella legge delle dodici tavole: "hominem mortuum in urbe nec sepelito nec urito" (nessun morto può essere seppellito nè incenerito nell'Urbe), una dichiarazione che dimostra che ognuno aveva un numero uguale di partigiani, al momento della promulgazione della legge.

    Confrontando questi dati si giungere alla conclusione che l'inumazione è stata abbandonata, con poche eccezioni, verso la fine del V secolo a Roma, per essere ripresa solo verso la metà del II sec. d.c., sotto l'influenza di dottrine e costumi orientali.

    Per lo studente di Archeologia romana questi fatti non hanno soltanto un interesse speculativo; una loro conoscenza è necessaria per la classificazione cronologica del materiale trovato in cimiteri e rappresentati così abbondantemente in collezioni pubbliche e private.



    GLI USTRINA

    L'accettazione della cremazione come un sistema nazionale esclusivo ha portato come conseguenza l'istituzione del "ustrina", i recinti sacri in cui si innalzavano pire per convertire i cadaveri in cenere. Diversi esemplari di ustrina sono stati trovati nei pressi della città, e uno di loro è ancora da vedere in buona conservazione. E 'costruito in forma di un campo militare, sul lato destro della via Appia, a cinque miglia e mezzo dal cancello. Quando Fabretti lo vide la prima volta nel 1699, era intatto, salvo una violazione o spacco sul lato nord. Egli lo descrive come un rettangolo lungo 340 piedi, e 200 piedi di larghezza, racchiuso da un muro alto 13 piedi.

    La muratura è irregolare sia nella forma e dimensione dei blocchi di pietra, e potrebbe essere assegnato al V secolo di Roma, quando la necessità di ustrina popolare era ancora sentita. Quando Nibby e Gell visitarono il posto nel 1822 scoprirono che il nobile proprietario della fattoria aveva appena distrutto la parte occidentale e la parte orientale, per costruire con i loro materiali un muro a secco.

    Gli ustrina che sono stati collegati con il Mausoleo di Augusto e l'Ara degli Antonini sono già state descritte nel capitolo IV. Un'altra istituzione, quella dei colombari, o ossaria, come più propriamente dovrebbero essere chiamate, deve la sua origine alla stessa causa. I Colombari sono una specialità di Roma e la Campania, e non si trovano in nessun altro luogo, nemmeno nelle colonie o insediamenti provenienti direttamente dalla città. Cominciano ad apparire una ventina d'anni prima di Cristo, sotto il dominio di Augusto e la guida di Mecenate.

    Nella misura in cui il Campus dell'Esquilino, che, fino al loro tempo, era stato usato per la sepoltura di artigiani, operai, servi, schiavi e liberti, è stato soppresso in seguito alle riforme sanitarie descritte da Orazio, e fu sepolto sotto un argine di terra pura, e trasformato in un parco pubblico; come, del resto, la scomparsa del suddetto cimitero fu seguita dalla comparsa di colombari, ritengo un fatto di essere una conseguenza dell'altro, ed entrambi da parte della stessa riforma igienica.

    Niente di più pulito, più sano, o sostituto più rispettabile per i vecchi puticoli avrebbe potuto essere escogitato da quegli statisti illuminati. Uno qualsiasi, non importa quanto in basso nella posizione sociale, potrebbe garantire un posto decente di riposo per una misera somma di denaro. La seguente iscrizione, ancora da vedere in colombario scoperto nel 1838, nella Villa Pamfili:


    ISCRIZIONE COLIMBARIUM DI VILLA PANFILI

    è stato interpretato da Hülsen nel senso che Paciæcus Isargyros aveva venduto a Pinaria Murtinis un posto per un loculo. Nelle lapidi più volte compaiono operazioni di questo tipo, e indicare il costo di acquisto di uno o più loculi, o per tutta la tomba.

    Friedländer, in un Königsberg Programma per ottobre 1881,  ha raccolto trentotto documenti riguardanti il ​​costo delle tombe;  che variano da un minimo di duecento sesterzi ($ 8,25) ad un massimo di 192 mila ($ 8000).

    C'erano tre tipi di colombari:
    - in primo luogo, quelli costruiti da un solo uomo o una sola famiglia o per il loro uso privato, o per i loro servi e liberti;
    - secondo, quelle costruite da uno o più individui per speculazione, in cui uno qualsiasi potrebbe assicurarsi un posto per l'acquisto;
    - terzo, quelli costruiti da una società per l'uso personale dei soci e collaboratori.

    TOMBE SULL'APPIA ANTICA

    IMPRENDITORI DI COLOMBARI

    Come un buon esemplare dei colombari del secondo tipo si possono citare quella costruita sulla Via Latina, da un compagnia di trentasei azionisti. E 'stato scoperto nel 1599, non lontano dalla Porta Latina, e le sue registrazioni sono stati sparse in tutta la città. Come prova della negligenza con cui sono stati condotti gli scavi in ​​passato, si può affermare che, nello stesso luogo essendo stato cercato di nuovo nel 1854 da un uomo di nome Luigi Arduini, sono state scoperte altre iscrizioni di grande valore, da cui si apprende come queste aziende di sepoltura fossero organizzate e gestite.

    Il primo documento, un'iscrizione di marmo sopra la porta della cripta, afferma che nell'anno 6 a.c. trentasei cittadini formarono una società per la costruzione di un colombario, ogni sottoscrizione di un pari numero di azioni, e che selezionarono due dei soci per agire come amministratori. I loro nomi erano Marco Emilio, e Marco Fabio Felix, e il loro titolo ufficiale era curatores ædificii xxxvi. sociorum.

    Raccolsero i contributi, acquistarono il terreno, costruirono il colombario, approvato e pagato le bollette dei contraenti, e avendo così soddisfatti il ​​loro dovere, convocarono una riunione generale per il 30 settembre e approvarono il loro rapporto. L'atto fu redatto e debitamente firmato da tutti i presenti, dichiarando che gli amministratori avevano assolto il loro dovere secondo lo statuto. Essi poi procedettero alla distribuzione dei loculi in uguali lotti, i loculi rappresenta, per così dire, il dividendo della società.

    La tomba conteneva 180 loculi per urne cinerarie, e ciascuno degli azionisti ha di conseguenza il diritto a cinque di essi. La distribuzione, però, non era così facile come sembrerebbe. Sappiamo che è stata fatta mediante sorteggio, per "sortitionem ollarum", e sappiamo anche che in alcuni casi gli azionisti, come una remunerazione per i loro presidenti, amministratori e revisori dei conti, votarono una deroga alla regola, dando loro la diritto di scegliere i loro loculi senza estrazione (sine sorte). Evidentemente alcuni posti erano più desiderabili di altri, e se ci ricordiamo come i colombari sono costruiti, non è difficile vedere quali loculi venissero più richiesti.

    La pia devozione dei romani verso i morti li portò a frequenti visite alle loro tombe, soprattutto negli anniversari, quando le urne erano decorate con fiori, e venivano offerte libagioni, e venivano eseguite altre cerimonie. Questi inferiæ, o riti, potrebbero essere celebrati facilmente se il loculo e l'urna cineraria erano in prossimità del suolo, mentre le scale servivano a raggiungere le zone alte.

    TOMBA DI CAIO CESTIO
    La stessa difficoltà era vissuta quando urne cinerarie dovevano essere collocati nelle loro nicchie; e le tavolette funebri e memoriali che contengono il nome, l'età, la condizione, ecc, del defunto, che erano stati entrambi scritti con inchiostro o carbone, oppure incisi sul marmo, non era possibile leggere se stavano troppo in alto.

    Per queste ragioni, e per evitare ogni sospetto di parzialità nella distribuzione dei lotti, gli azionisti si affidarono al caso. La cripta scoperta nella Via Latina conteneva cinque file di nicchie di trentasei ciascuno. Le file sono stati chiamati sortes, le nicchie loci. Ora, come ogni azionista aveva il diritto di cinque loci, uno su ogni fila, molti sono stati elaborati solo per quanto riguarda il luogo, non per la riga.

    Le iscrizioni scoperte nel 1599 e il 1854 sono quindi tutte formulate con la formula:
    - "di Caio Rabirius Faustus, secondo livello, ventottesima locus;"
    - "Di Caio Giulio Æschinus, quarto livello, trentaquattresimo locus;"
    - "Di Lucio Scribonio SOSUS, primo livello, ventitreesimo locus;" -
    in tutto, nove nomi su trentasei. L'assegnazione di Rabirius Faustus è l'unica nota del tutto. Aveva disegnato No. 30 nella prima fila, No. 28 nel secondo, No. 6, terzo, No. 8 nel quarto, No. 31 nel quinto.

    Ci sono voluti almeno trentun anni per i membri della società per ottenere il beneficio completo del loro investimento; l'ultima sepoltura menzionato nelle tavolette dopo aver preso posto a. d. 25. Questo ritardatario non è un uomo oscuro; egli è il famoso auriga, o Auriga circensis, Scirtus, che ha iniziato la sua carriera nel 13 a.c., arruolandosi nel squadrone bianco. Nel lasso di tredici anni ha vinto il primo premio sette volte, il secondo trentanove volte, il terzo quaranta volte, oltre ad altri riconoscimenti minuziosamente specificati sulla sua lapide.


    Almeno 300.000 tombe

    La teoria che le tombe romane fossero costruite lungo le strade disposte solo a due o tre file, in modo che potessero essere visti da coloro che passano, è stata dimostrata dagli scavi moderni infondata. Lo spazio assegnato per scopi funerari era più estesa. Talvolta estesa su tutto il tratto di terra da una  strada alla successiva. Tale è il caso con gli spazi tra la via Appia e la via Latina, via Labicana e la Prenestina, e la Salaria e Nomentana, ognuno delle quali contiene centinaia di acri densamente disseminate di tombe.

    Nel triangolo formato dalla Via Appia, la via Latina, e le mura di Aureliano, 1559 tombe sono state scoperte in tempi moderni, a parte la tomba della famiglia degli Scipioni. 994 sono state trovate sulla via Labicana, vicino a Porta Maggiore, in uno spazio di 60 cantieri di lunghezza e 50 di larghezza. Il numero di lapidi pagane registrate in termini di volume VI. del "corpus"è 28.180, esclusi gli additamenta, che porterà il totale complessivo di 30000. Come quasi una pietra tombale su dieci è sfuggita alla distruzione, possiamo supporre con certezza che Roma era circondata da una cintura di almeno 300000 tombe.


    COLUMBARIUM DELLA VIGNA CODINI

    Molti epitaffi danno conto della vita del defunto; del suo rango nell'esercito, e le campagne in cui ha combattuto; il nome dell'uomo di guerra di cui faceva parte, se aveva servito nella marina; del ramo di commercio in cui era impegnato; l'indirizzo del suo posto di lavoro; il suo successo nella carriera equestre o senatoriale, o nel circo o a teatro; il suo "stato civile", la sua età, il luogo di nascita, e così via. A volte le lapidi mostrano una notevole eloquenza, e anche un senso dell'umorismo.

    Qui è l'espressione di dolore insopportabile, scritto su un sarcofago tra le immagini di un ragazzo e una ragazza:
    "O crudele, madre empia che sono: alla memoria dei miei figli più dolci Publilius che ha vissuto 13 anni di 55 giorni, e Aeria. Teodora ha vissuto 27 anni a 12 giorni. Oh, madre infelice, che hai visto la fine più crudele dei tuoi figli! Se Dio fosse stato misericordioso, tu fossi stata sepolta da loro. "

    Un'altra donna scrive su l'urna del figlio Marius Exoriens:
    "Le leggi assurde della morte lo hanno strappato dalle braccia. Poichè ho il vantaggio di più anni, la morte avrebbe dovuto prendere me per prima!".

    Una caratteristica notevole di antica eloquenza funeraria si trova nelle imprecazioni rivolte al passante, per assicurare la sicurezza della tomba e il suo contenuto: 
    "Chiunque ferisce la mia tomba o ruba i suoi ornamenti, possa egli vedere la morte di tutti i suoi parenti."
    "Chi ruba i chiodi di questa struttura, possano essergli spinti negli occhi."
    Un brontolone ha scritto su una lapide trovato nella Vigna Codini: -
    "Gli avvocati e il Malocchio si tengano lontano dalla mia tomba."

    E' manifestamente impossibile per rendere il lettore a conoscenza di tutte le scoperte in questo Dipartimento di Archeologia romana dal 1870. I seguenti esemplari della viae Aurelia, Triumphalis, Salaria e Appia mi sembrano rappresentare abbastanza bene ciò che è di interesse medio in questo classe di monumenti.

    TOMBA DEI PLATORINI - TERME DI DIOCLEZIANO


    TOMBA DI SULPICIO PLATORINUS

    Via Aurelia

    Nell'ambito di questo capitolo il record è la tomba di Platorinus, che è stata trovata nel 1880 sulle rive del Tevere, vicino a La Farnesina, anche se, a rigor di termini, essa appartiene a una strada laterale che va dalla via Aurelia alla zona del Vaticano, in parallelo con il ruscello. La scoperta è stata fatta nei seguenti casi: 

    Le seguenti parole sono state dettate da una giovane vedova per la tomba del suo compagno di partito:
    -"Per l'adorabile, benedetta anima di L. Sempronio Firmo Sapevamo, ci amavamo dall'infanzia: sposato, una mano empia ci separava in una sola volta. Oh, dei infernali, non essere gentile e misericordioso verso di lui, e lasciare che lui mi sembra nelle ore silenziose della notte. e anche mi permetta di condividere il suo destino, che possiamo essere riuniti dulcius et celerius." Ho lasciato i due adverbs nella loro forma originale; il loro senso squisito sfida di traduzione.

    La frase seguente è copiato dalla tomba di un liberto:
    "Eretto alla memoria di Memmius Clarus dal suo co-servo Memmius Urbanus so che non c'è mai stata l'ombra di un disaccordo fra te e me: mai una nuvola passò sopra la nostra felicità comune giuro agli dei del cielo e inferno, che abbiamo lavorato fedelmente e con amore insieme, che siamo stati liberati dalla servitù lo stesso giorno e nella stessa casa: nulla sarebbe mai ci hanno separati, tranne questa ora fatale."

    Avanti nella importanza alla casa romana arriva la tomba di Sulpicio Platorinus, scoperto nel maggio 1880, all'estremità opposta della Farnesina giardini, vicino alle mura di Aureliano. Un angolo di questa tomba era stato esposto per un paio di anni, nessuno prestando attenzione ad esso, perché, di regola, le tombe all'interno delle mura, essendo stati esposti per secoli agli istinti ladri della popolazione in generale, e di cacciatori di tesori, in particolare, si trovano sempre saccheggiati e sterile di contenuti. In questo caso, però, è stata la nostra fortuna di incontrare con una benvenuta eccezione alla regola.

    MINATIA POLLA
    Da una iscrizione incisa su marmo sopra la porta d'ingresso, si apprende che il mausoleo è stato eretto in memoria di Caio Sulpicio Platorinus, un magistrato del tempo di Augusto e di sua sorella Sulpicia Platorina, la moglie di Cornelius Prisco. La camera conteneva nove nicchie, e ogni nicchia un'urna cineraria, di cui sei erano ancora intatte.

    Queste urne sono del tipo più elaborato, scolpita in marmo bianco, con festoni appesi teste di toro, ed uccelli di vario genere che mangiano frutta. Alcune delle urne sono rotonde, alcuni piatte, il motivo della decorazione è lo stesso per tutte. La copertura dei tondi è nella forma di un tholus, un edificio a forma di una specie di alveare, le piastrelle essendo rappresentati da foglie di acanto, e l'apice da un mazzo di fiori.

    Le coperture di queste urne sono stati fissati con piombo fuso. La rimozione dei loro sigilli è stato un evento di grande eccitazione; è stata eseguita nella casa della Farnesina, in presenza di un grande e distinto complesso di persone. Mi ricordo la data, il 3 maggio 1880. Erano stati trovati per metà pieni d'acqua dall'ultima piena del Tevere, con uno strato di ceneri ossa in fondo. I contenuti sono stati svuotati su un foglio di lino bianco. I contenuti della prima urna non avevano alcun valore; la seconda urna conteneva un anello d'oro, senza pietra, che è stato trovata, tuttavia, nel terzo cinerarium; una circostanza straordinaria.

    Ciò può essere spiegato supponendo che entrambi i corpi siano stati cremati allo stesso tempo, e che le loro ceneri furono mescolate insieme in qualche modo. La pietra, probabilmente un onice, venne rovinata con l'azione del fuoco, e la sua incisione quasi cancellata.

    Sembra rappresentare un leone in riposo. Nulla è stato trovato nella quarta; la quinta era corredata di due anelli d'oro pesanti con cammei che rappresentano, rispettivamente, una maschera e un orso caccia. L'ultima urna, iscritta con il nome di Minasia Polla, ragazza di circa sedici anni, come dimostrano i denti e le dimensioni di alcuni frammenti di ossa, contenuti una urna in ottone.....

    RESTI DELLA TOMBA DEI PLATORINI
    Avendo così finito con il cineraria e il loro contenuto, è stata ripresa l'esplorazione della tomba. Le iscrizioni incise su altre parti del fregio ci ha dato un elenco completo dei personaggi che avevano trovato la loro ultima dimora all'interno, oltre ai due Platorini, e la ragazza Minasia Polla, appena accennato. Essi sono:

    -  Aulo Crispinius Cepione, che ha giocato un ruolo importante in intrighi di corte al tempo di Tiberio;

    - Antonia Furnilla; e sua figlia, Marcia Furnilla, la seconda moglie di Tito. E 'stata ripudiata da lui a. d. 64, come descritto da Svetonio. Gli storici hanno chiesto perché, e non hanno trovato indizio, considerando Tito veniva considerato un modello di uomo. Se la statua di marmo trovata in questa tomba, e riprodotta nella nostra illustrazione, è proprio quello di Marcia Furnilla, e una buona somiglianza, il motivo per il divorzio è facilmente reperibile, lei sembra irrimediabilmente sgradevole.

    Il busto rappresentato nello stesso piatto, uno dei ritratti più raffinati e conservativa si trovano a Roma, è probabilmente quella di Minasia Polla, e dà una buona idea della comparsa di una giovane nobildonna romana della prima metà del I secolo. Un'altra statua, quella dell'imperatore Tiberio, nel cosiddetto stile "eroico", è stata trovata distesa sul pavimento a mosaico. Anche se schiacciata dalla caduta del soffitto a volta, nessun pezzo importante mancava. Entrambe le statue, il busto, le urne cinerarie, e le iscrizioni, sono ora esposti nel chiostro di Michelangelo nel Museo delle Terme.

    E 'difficile spiegare come questa ricca tomba sia sfuggita al saccheggio e alla distruzione, chiaramente visibile come è stato per molti secoli, in uno dei quartieri più popolosi e senza scrupoli della città. Forse quando Aureliano costruì il suo muro, che era vicino ad esso, e innalzato il livello di Trastevere, la tomba vi è rimasta sepolta, e i suoi tesori lasciati intatti.

    TOMBA DI SULPICIUS PLATORINUS


    VILLA PAMFILI-DORIA

    E ora, lasciando alla nostra destra la Villa Heyland, la Villa Aurelia, già Savorelli, che è costruita sui resti del monastero medievale di SS. Giovanni e Paolo, e la Villa del Vascello, che segna l'estremità occidentale dei giardini di Geta, cerchiamo di entrare nella villa Pamfili-Doria, interessante ugualmente per la bellezza dei suoi paesaggi e dei suoi ricordi archeologici. Ci è stato detto da Pietro Sante Bartoli, che quando è arrivato a Roma, verso 1660, Olimpia Maidalchini e Camillo Pamfili, che sono stati poi gettando le basi del casinò, hanno scoperto "alcune tombe decorate con dipinti, stucchi sculture e mosaici nobilissimi.

    "C'erano anche urne di vetro, con resti di stoffe d'oro, e le figure di un leone e una tigre, che sono stati acquistati dal viceré di Napoli, il marchese di Leve. Alcuni anni più tardi, quando monsignor Lorenzo Corsini iniziò la costruzione del Casino dei Quattro Venti (da aggiungere alla Villa Pamfili e trasformato in una sorta di arco monumentale), trentaquattro squisite tombe sono stati trovate e distrutte per il bene dei materiali per edificare. Non si può leggere il racconto di Bartoli ed esaminare le ventidue tavole con cui illustra il suo testo, senza provare un senso di orrore per le azioni che quei personaggi illuminati capaci di perpetrare a sangue freddo.

    Egli dice che le trentaquattro tombe formate, per così dire, come un piccolo villaggio, con strade, marciapiedi e piazze; che erano stati costruiti di mattoni rossi e gialli, squisitamente intagliati, come quelli della Via Latina. Ognuno manteneva la sua suppellettile funeraria e le decorazioni quasi intatte: dipinti, bassorilievi, mosaici, iscrizioni, lampade, gioielli, statue, busti, urne cinerarie e sarcofagi.

    Alcuni erano ancora chiusi, le porte erano non di legno o bronzo, ma marmo; e le iscrizioni erano scolpite sulle architravi o frontoni, a dar conto di ogni tomba. Questi record ci dicono che in epoca romana questa porzione di Villa Panfili è stato chiamato Ager Fonteianus, e che il tratto inclinato della Via Aurelia, che corre nelle vicinanze, è stato chiamato Clivus Rutarius.

    Bartoli attribuisce la straordinaria conservazione di questo cimitero per essere stato sepolto volutamente sotto un argine di terra, prima della caduta dell'impero. Dal XVII secolo molte centinaia di tombe sono state trovate e distrutte nella villa, in particolare nel mese di aprile 1859. L'unico ancora visibile è stato scoperto nel 1838, e si distingue per le iscrizioni dipinte, e per i suoi affreschi.

    Ci sono stati originariamente 175 pannelli, ma a malapena metà di quel numero possono ora essere visti. Rappresentano animali, paesaggi, caricature, scene di vita quotidiana, e soggetti mitologici e drammatici. Uno è solo storico, e, secondo Petersen, rappresenta il Giudizio di Salomone. Questo argomento, anche se estremamente raro, non è affatto unico nell'arte classica, essendo già stato trovato dipinte sulle pareti di una casa pompeiana.

    GIUDIZIO DI SALOMONE


    META DI BORGO- TEREBINTO DI NERONE

    Via Triumphalis. La necropoli, che ha allineato la Via Triumphalis, dal ponte di Nerone nei pressi di S. Spirito, alla sommità del Monte Mario, è assolutamente scomparsa, anche se alcuni dei suoi monumenti eguagliato in termini di dimensioni e magnificenza quelli della viae Ostiense, Appia, e Labicana. Queste erano le due piramidi, sul sito di S. Maria Traspontina, chiamato, nel Medioevo, la "Meta di Borgo" e la "Terebinto di Nerone".

    Entrambi sono mostrati nei bassorilievi di porta in bronzo del Filarete a S. Pietro (vedi pag. 272), nel ciborio di Sisto IV. (Ora nella Grotte Vaticane), in altre rappresentazioni medievali e rinascimentali della crocifissione dell'apostolo. La piramide è descritta da Rucellai e Pietro Mallio come in piedi nel mezzo di una piazza che è pavimentata con lastre di travertino, e torreggiante all'altezza di 40 m sopra la strada.

    È stato rivestito con marmi, come quella di Caio Cestio alla Porta S. Paolo. Papa Dono I la fece smantellare nel 675, e fece uso dei materiali per costruire i passi di S. Pietro. La piramide stessa, costruita in cemento solido, è stata rasa al suolo da papa Alessandro VI., quando aprì il Borgo Nuovo nel 1495.

    Il "Terebinto di Nerone", è descritto come una struttura di marmo tondo, alto come la tomba di Adriano. E 'stato smantellato anche da papa Dono I, e i suoi materiali sono stati utilizzati nel restauro e abbellimento del "Paradisus" o quadriportico di S. Pietro.

    PORTA BRONZO S PIETRO FILARETE
    Accanto al "terebinto" era la tomba del cavallo preferito di Lucio Vero. Questo meraviglioso corridore, appartenente alla squadra dei Verdi, era nominato Volucris, il Volante, e l'ammirazione dell'imperatore per le sue imprese era tale che, dopo averlo fatto onorare con statue di bronzo dorato nella sua vita, ha sollevato un mausoleo alla sua memoria nei giardini vaticani, quando la sua carriera era stata portata a termine. La scelta del sito non è stata fatta a caso, come sappiamo che i Verdi si facevano seppellire su questa Via Triumphalis.

    Procedendo nel nostro pellegrinaggio verso il Clivus Cinnæ, la salita al Monte Mario, dobbiamo registrare una linea di tombe scoperte da Sangallo nel costruire fortificazioni o "Bastione di Belvedere". Uno di loro è così descritto da Pirro Ligorio a pag. 139 della Bodleian MSS.

    "Questa tomba [di cui egli dà al disegno] è stata scoperta con molte altre nelle fondamenta del Bastione di Belvedere, sul lato rivolto verso il Castello di S. Angelo. E 'di forma quadrata, con due rientranze per urne cinerarie su ogni lato, e tre nella parete anteriore. e venne graziosamente decorata con stucchi e affreschi. 

    Accanto ad essa c'era un ustrinum dove venivano cremati i cadaveri, e, dall'altro lato, una seconda tomba, decorata anche con dipinto e stucchi. Qui venne trovato un pezzo di agata a forma di un dado, finemente intagliata. C'era anche uno scheletro, il cranio è stato trovato tra le gambe, e al suo posto c'era una maschera o gesso fatto a getto del capo, riproducendo più vividamente le caratteristiche del morto, il tutto è ora conservato nel guardaroba del Papa.. "

    ELIUS IL CIABATTINO


    TOMBA DI ELIUS IL CIABATTINO

    Infine, citerò la tomba di uno stivale e la scarpa, che è stato scoperto 5 FEBBRAIO 1887, nelle fondamenta di una delle nuove case ai piedi del Belvedere. Questa eccellente opera d'arte, tagliato in marmo di Carrara, mostra il busto del proprietario in una nicchia quadrata, sopra la quale si trova un timpano rotondo. Il ritratto è estremamente caratteristico: la fronte è calva, con un paio di ciocche di capelli corti arricciati dietro le orecchie; e rasata la faccia, tranne che sulla sinistra della bocca c'è un neo coperto di peli. L'uomo sembra essere di età matura, ma sano, robusto e di espressione piuttosto severa.

    Sopra la nicchia, due "forme"  sono rappresentati, uno di loro all'interno di una Caliga. Essi sono evidentemente i segni del mestiere portato avanti dal proprietario della tomba, che si annuncia nel suo epitaffio: "Caio Giulio Elio, calzolaio a Porta Pontinalis, ha costruito questa tomba durante la sua vita per se stesso, la sua figlia Giulia Flaccilla, il suo liberto Caio Giulio Onesimo e gli altri suoi servitori. "

    Julius Helius era quindi una commerciante di scarpe con un negozio di vendita al dettaglio nei pressi della moderna Piazza di Magnanapoli sul Quirinale. Anche se la qualificazione della Sutor è piuttosto indefinita e può essere applicata indifferentemente al solearii, sandaliarii, crepidarii, baxearii (creatori di pantofole, sandali, scarpe greco), ecc, nonché alla "veteramentarii sutores" o impagliatori di vecchi stivali, ma Julius Helius, come mostrato dal campione rappresentato sulla sua tomba, era un caligarius o produttore di caligae, utilizzati principalmente da militari. 

    Calzaturifici creatori e fornitori di pelle e cuciture (comparatores Mercis sutoriæ) sembrano essere stati piuttosto uomini orgogliosi ai loro tempi, e gli piaceva essere rappresentati sulle loro tombe con gli strumenti del mestiere. Un bassorilievo del Museo di Brera rappresenta Caio Atilio Giusto, uno della confraternita, seduto al suo banco, nell'atto di regolazione di un Caliga all'ultimo legno. 

    Un sarcofago iscritto con il nome di Atilio Artema, un calzolaio locale, è stato scoperto a Ostia nel 1877, con la rappresentazione di una serie di strumenti. Il lettore ha probabilmente familiarità con l'affresco di Ercolano che rappresenta due Geni seduti ad una panchina; uno di loro sta eseguendo in una scarpa, mentre il suo compagno è occupato rammendo un'altra. Classe XVI. del Museo Cristiano in Laterano contiene diverse lapidi di sutores cristiani con vari emblemi della loro vocazione.

    (Rodolfo Lanciani 1845 - 1929)

    LEGIO XIII GEMINA

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    "Caius Caerellius Sabinus, Legato della Legio XIII. Gemina (CIL III 1074. 1075. 1076. 1111 Apulum) tra il 183 e il 185 d.c. (CIL III 1092 Apulum), compare con sua moglie, accanto a lui nelle prime tre iscrizioni, che si chiamava Fufidia Pollitta. Secondo questa epigrafe, Caius Caerellius Fufidius Annius Ravus Pollittianus (n. 5) era suo figlio."

    (Rodolfo Lanciani)

    ARALDO DELLA XIII GEMINA
    La Legio XIII, conosciuta come Legio XIII Gemina ("legione gemella") dopo il 31 a.c.,  fu una delle legioni che furono condotte da Giulio Cesare nelle sue campagne in Gallia e anche nelle successive guerre civili contro la fazione capitanata da Pompeo. E' una delle legioni romane storicamente più degne di nota,  soprattutto perchè per prima passò il Rubicone il 10 gennaio del 49 a.c. La legione si trovava a Vienna nel V secolo. Il simbolo della legione era il leone.

    La Legio XIII Gemina fu fondata da Giulio Cesare nel 57 a.c., in vista della campagna contro le popolazioni belgiche, durante i primi conflitti tra le popolazioni galliche.

    "Nell'inverno 58-57 a.c., Cesare venne a conoscenza di voci che indicavano la volontà delle tribù di Belgi di attaccare i Romani. Queste notizie gli furono utili per estendere le proprie conquiste al di là della Gallia vera e propria, per assoldare altre due legioni, la XIII e la XIIII, e per convincere la tribù dei Remi ad allearsi con lui."

    "Frattanto le due legioni (la XIII a la XIV) che erano state nelle retroguardie e di scorta alle salmerie, giunta notizia della battaglia (del Sabris), presero a correre a gran velocità (per combattere contro i Belgi)."

    (De Bello Gallico)



    PERIODO REPUBBLICANO

    - Guerre Galliche - Durante le guerre galliche (57 - 51 a.c.) la legione partecipò:
    alla battaglia del Sabis contro i Nervi (era stata appena costituita),
    all'assedio di Gergovia,
    alla battaglia di Alesia.
    - Guerra Civile di Giulio Cesare
    - Guerra Civile del secondo triumvirato



    PERIODO IMPERIALE

    - Campagna contro Maroboduo
    - Rivolta in Illiria
    - Campagna in Germania
    - Guerra Civile nell’anno dei quattro imperatori
    - Rivolta dei Batavi
    - Guerre Daciche di Domiziano
    - Campagne Suebo-Sarmatiche
    - Guerre Daciche di Traiano
    - Vessillazioni della XIII in Arabia e Mesopotamia
    - Guerre Marcomanniche
    - Guerra Civile di Severo
    - Ritirata dalla Dacia
    - Dislocazione della XIII durante il III secolo
    - Scioglimento della XIII



    CESARE

    Dopo le campagne in Gallia, quando Cesare stava per essere dichiarato Nemico Pubblico, il generale chiese alle legioni chi volesse seguirlo, e la Legio XIII lo acclamò e lo seguì per prima nell'attraversamento del Rubicone che avrebbe reso Cesare dictator o dannato.

    In realtà non ci fu una legione che si tirasse indietro e la XIII prese parte alla guerra civile, contro la fazione di Pompeo e degli aristocratici. La legione rimase sempre fedele a Cesare durante tutto il conflitto, fino alla cruenta e decisiva battaglia finale di Farsalo nel 48 a.c.

    La legione fu sciolta e i legionari vennero pensionati attraverso l'assegnazione delle terre extra-italiche. Poi alla legione venne chiesto se desiderasse partecipare di nuovo a una battaglia a fianco di Cesare e la XIII accettò entusiasta, seguendolo nel 46 a.c. per la battaglia di Tapso e per la successiva battaglia di Munda nel 45 a.c.

    I veterani consentirono volentieri a rinnovare le antiche glorie e di nuovo vinsero per lui e con lui, il più grande generale che la storia mondiale abbia mai avuto. Dopo quest'ultima battaglia, Cesare sciolse nuovamente la legione premiandola con l'assegnazione di altre terre, ma stavolta in Italia.
    QUARTIER GENERALE DI LEGIONE

    AUGUSTO

    L'imperatore Augusto ricostruì nuovamente la legione nel 41 a.c. per affrontare la ribellione di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo in Sicilia. La Legio XIII acquisì il cognomen Gemina, cioè gemella in quanto era stata costituita con veterani di altre legioni, dopo la battaglia di Azio.

    Augusto inviò poi la legione a Burnum (Tenin) nella provincia romana dell'Illiria (in Croazia), mentre nel 16 a.c., la legione fu trasferita ad Emona (Lubiana), in Pannonia, dove dovette fronteggiare le ribellioni locali. Dopo la disastrosa Battaglia della foresta di Teutoburgo del 9 d.c., nella quale i Germani annientarono tre legioni romane, la Legio XIII fu inviata a Vindonissa, nella provincia di
    Germania Superior, per prevenire ulteriori attacchi delle tribù germaniche.

    LEGIONARIO DELLA XIII
    Partecipò poi alla campagna contro Maroboduo, un principe dei Marcomanni:

    «In breve Maroboduo condusse ad altissimo prestigio le sue forze militari che difendevano il suo regno, tanto da essere temibile anche al nostro impero, e le abituò, con continui esercizi, ad un tipo di disciplina quasi simile a quella romana. Nei confronti dei Romani egli si comportava in modo da non provocarci a battaglia, ma da mostrare che non gli sarebbe mancata né la forza né la volontà di resistere, qualora fosse stato da noi attaccato... In tutto si comportava come un rivale, pur cercando di non darlo a vedere, esercitando con guerre continue contro i popoli limitrofi, il suo esercito composto da 70.000 fanti e 4.000 cavalieri...»
    (Velleio Patercolo, Storia romana, II, 109.)

    Batone il Dalmata, il capo della rivolta pannonica, contro cui combattè la XIII, una volta catturato da Tiberio, rispondeva al perché si fosse ribellato con queste parole: «Siete voi i responsabili di questa guerra, poiché in difesa delle vostre greggi (le province) inviate come custodi dei lupi (i governatori) anziché dei cani e dei pastori

    L'imperatore Claudio spostò la legione nuovamente in Pannonia intorno al 45 dato i nuovi subbugli nella regione; la legione era di stanza a Poetovio, Ptuj nell'odierna Slovenia. 

    Nell'Anno dei quattro imperatori, nel 69 le legioni di Pannonia si schierarono dalla parte di Otone nella battaglia di Bedriacum, ma quest'ultimo ebbe la peggio contro il rivale Vitellio. 

    La vittoria dei Vitelliani a Bedriacum rappresentò la vittoria delle legioni renane sull'esercito d'Italia e del Danubio, anche se pochi mesi più tardi, in una nuova battaglia combattuta sempre a Bedriacum, questa volta tra Vitelliani ed il nuovo pretendente al trono, Tito Flavio Vespasiano, i Flaviani e le legioni pannoniche ne uscivano vincitori.

    La XIII Gemina non brillò per le sue scelte, si schierò prima con Otone e poi con Vitellio, entrambi sconfitti, nelle due battaglie di Bedriaco.
    Domiziano, in occasione delle campagne daciche, che ebbero luogo negli anni 85-89 e furono combattute tra l'esercito romano, guidato dai generali dell'imperatore, e i Daci guidati dal loro re Decebalo, trasferì la legione, che si trovava accampata a Vienna, in Dacia ad Alba Iulia, per presidiare la regione.
    La legione fu poi spostata quando la Dacia fu evacuata, e riposizionata nella Dacia Aureliana, fondata dall'imperatore Aureliano nel territorio dell'ex Mesia Superiore dopo la sua evacuazione della Dacia Traiana oltre il Danubio nel 271.

    Le conseguenze immediate dell'abbandono romano del bacino carpatico generò non solo nuove tensioni tra Goti e Gepidi da una parte (ad oriente) e Sarmati Iazigi dall'altra (ad occidente), venendo le une a contatto con le altre, ma permise di rafforzare le frontiere del medio-basso corso del Danubio con il ritiro di due intere legioni (legio V Macedonica e legio XIII Gemina, posizionate ora ad Oescus e Ratiaria) ed un consistente numero di unità ausiliarie, per un totale complessivo di oltre 45.000 armati. Ulpia traiana protetta dalle legio XIII Gemina di stanza ad Apulum ed a ovest dalla legio IIII Flavia Felix di stanza a Berzobis.
    MONETA DI GALLIENO COL LEONE DELLA XIII
    Vexillationes della XIII Gemina combatterono sotto l'imperatore Gallieno nell'Italia settentrionale.
    L'imperatore, per celebrare il valore della legione, coniò un antoniniano con il leone della legio, emessa a Mediolanum nel 259 - 260.

    Un'altra vexillatio era presente nell'armata Impero delle Gallie sotto il comando di Victorinus: anche questo imperatore coniò una moneta d'oro per celebrare la legio e il suo emblema.

    Con l'abbandono della Dacia da parte di Aureliano, la legione fu trasferita nel castrum di Ratiaria dove rimase almeno per tutto il IV secolo. Nel V secolo, secondo la Notitia Dignitatum, la legio tertiadecima gemina si trovava in Babilonia in Egitto, in una fortezza strategica sul Nilo, lungo il confine tradizionale tra l'alto e il medio Egitto, sotto il comando del comes, sotto quindi il dominio dell'"Impero romano d'Oriente". Da allora non se ne ebbero più notizie, il che fa pensare che venne sciolta per sempre.


    ACQUEDOTTO ALSIETINO

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    AQUA ALSIETINA
    L'acquedotto dell'Aqua Alsietina, chiamato anche aqua Augusta, fu il settimo acquedotto di Roma,
    costruito nel 2 a.c. da Augusto raccogliendo le acque del lago di Martignano, il "lacus Alsietinus", un piccolo bacino nei pressi del lago di Bracciano, al XIV° miglio della Via Claudia. Da qui l'acquedotto si dirigeva a sud verso l’antica statio romana di Careiae (Galeria), sulla Via Clodia, passava a destra della Porta Aurelia attraverso la Gola di villa Spada e Villa Sciarra, presso Careiae e dal lago Sabatius giungendo poi a S. Cosimato in Trastevere dove si trovava la naumachia.

    Così scrive Sesto Giulio Frontino in "De aquaeductu urbis Romae", ovvero nel suo famoso trattato inerente gli acquedotti a servizio di Roma: «La sua sorgente è nel lago Alsietino, al quattordicesimo miliario sulla Via Claudia, in un diverticolo a destra, a 6.500 passi. Il suo condotto misura 22.172 passi di cui 358 su archi» (Frontino S.G., Gli acquedotti di Roma, a cura di Galli F., Argo, Lecce 1997, p. 35, XI).

    L'affermazione di Frontinus che l'acquedotto si trovasse al livello più basso di tutti (Frontinus, de aquis I.4, 11, 18, 22; II.71, 85; Not. app.; Pol. Silv. 545, 546) andrebbe verificata. Una parte del suo canale è stata recentemente scoperta a sud di quello dell'Aqua Traiana, e ad un livello notevolmente inferiore (Mem. Am. Acad. VI.137-146). Aveva una portata di sole 392 quinariae, pari a 188 litri al secondo, cioè 16.228 mc al giorno): di queste, 254 erano riservate all'uso dell'imperatore e le restanti 138 venivano concesse in uso ai privati.

    L'identificazione del suo canale e del suo castellum terminale con i resti descritti da Bartoli, Mem. 58, ap. Fea, Misc. I.237 (per i quali vedi HJ 640, 651, 651, 652-p21655), che giaceva molto più a nord, sotto la quercia del Tasso, devono quindi essere abbandonati. L'acquedotto è citato in un'iscrizione di Augusto (CIL VI.31566 = XI.3772a; cfr. NS 1887, 182), che menziona formam Mentis attributam attributam rivo Aquae Augustae quae quae pervenit in nemus Caesarum. Vedi Jord. I.1.472; LA 342-344; LR 53; LF 33; YW 1926-7, 104; e cfr. Naumachia Augusti.

    PIRANESI - AVANZO DELL'ACQUEDOTTO ALSIETINO
    Giovan Battista Piranesi dedica varie incisioni al tema delle acque e soprattutto degli acquedotti. Nella prima incisione proposta il cartiglio così recita: 
    «Avanzo del Condotto dell'Acqua Alsietina. A. Speco del condotto fabbricato di opera incerta, ed investito sì nell'interno di opera reticolata. B. Intonacatura dell'opera reticolata nell'interno dello speco, composta di testacei pesti. C. Lastrico composto di testacei contusi».

    Nella seconda incisione vi è l’ubicazione del «Sito dov’era la Naumachia d’Augusto». Difatti così spiega ancora Frontino: 
    «Probabilmente quando Augusto cominciò la costruzione della Naumachia, per non togliere nulla alle altre adduzioni potabili, canalizzò questa in condotti speciali» 
    (Frontino S.G., op. cit., p. 35, XI).

    PERCORSO DELL'ACQUEDOTTO A ROMA ATTRAVERSO TRASTEVERE FINO ALLA NAUMACHIA
    In effetti l'imperatore fu sempre molto attento alle necessità del suo popolo che di rimando lo amò tanto e molto a lungo, anche nel suo per secoli e secoli. 

    Sembra che fin dall'origine l'acquedotto fosse destinato a rifornire il lago artificiale per gli spettacoli di combattimenti navali, che l'imperatore aveva appena fatto realizzare nella zona di Trastevere. Infatti l'acqua infatti non era potabile, e quando non veniva utilizzata per la naumachia era impiegata a scopi agricoli e per l'irrigazione dei “giardini di Cesare”.

    RICOSTRUZIONE DELLA NAUMACHIA DI AUGUSTO
    Trattavasi dei bellissimi giardini del dictator, ricolmi di statue, di alberi, di balconate, di fontane e sentieri nel verde che, nel suo testamento, aveva generosamente donato al popolo romano come parco pubblico. In considerazione del notevole salto di quota che l'acqua compiva scendendo dal Gianicolo, si pensa che l'acquedotto dovesse anche azionare il movimento delle pale dei mulini di Trastevere.

    Il percorso, interamente sotterraneo tranne un tratto di circa 500 metri su arcate, era lungo 22,172 miglia romane, cioè quasi 33 km, di cui si conosce solo il tratto iniziale di circa 200 m, corrispondente al cunicolo, scavato nella roccia di tufo, da cui l'acquedotto riceveva l'acqua del lago. Per il resto è solo possibile avanzare ipotesi e congetture in base alla lunghezza e alle caratteristiche del territorio. 

    PORTA DI GALERIA ANTICA
    Riportando il tracciato ai giorni nostri, esso doveva seguire il percorso della via Cassia e della via Trionfale fino nei pressi della località Osteria Nuova. Poi presso Santa Maria di Galeria, piegava a sud verso le zone di San Nicola e Porcareccia, e dopo la Maglianella traversava l'area di Villa Doria Pamphili ed entrava in Roma presso Porta San Pancrazio, da cui scendeva in Trastevere, nei pressi di Villa Spada, dove è stato rinvenuto l'unico tratto urbano conosciuto, fino a Piazza San Cosimato, dove si trovava il bacino per la naumachia.

    Non essendo potabile non necessitava di un bacino di decantazione, le cosiddette piscinae limariae per la depurazione delle acque potabili. Nel 109 l'imperatore Traiano restaurò l'acquedotto lasciandone solo una parte originaria

    La Naumachia restò in uso fino al III secolo, quando venne abbandonata un po' per il decadimento degli spettacoli voluti dalla nuova religione cristiana, ma pure per un rilevante abbassamento del livello del lacus Alsietinus (circa 30 m), che lasciò in secco il canale di alimentazione. L'abbassamento del lago di Martignano fu dovuto a cause del tutto naturali, come anche il successivo progressivo rialzamento, e attualmente il livello del lago si trova a circa 12 m al disotto del livello di epoca augustea.

    VILLA DORIA PAMPHILI

    LA DISCENDERIA

    "Sia Antonio Nibby nel 1826 che il Parker nel 1876 esplorarono l’imbocco dell’emissario di Martignano. Il Nibby fu l’unico ad individuare diverse canalizzazioni ed alcuni pozzi forniti di “pedarole” ad uso degli aquarii che avevano il compito di ispezionare l’acquedotto. In particolare lo studioso segnalò, oltre la stazione di Cesano nei pressi dell’antica Careia, la presenza di una discenderia (galleria di accesso a un sotterraneo) laterale scavata nel tufo con un cunicolo laterale secondario di adduzione idraulica, utilizzata per accedere all’interno di quello che il Nibby stesso identifica essere l’acquedotto alsietino.


    Gli speleologi del Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio, a seguito di un’accurata indagine topografica della zona sono riusciti ad individuare la discenderia descritta dal Nibby: “Entrando nell’oliveto già de’ Valdambrini scoprii il cunicolo ricercato… è tagliato nel tufo come un piano inclinato che ha 150 piedi di lunghezza e 70 di profondità perpendicolare… è rivestito di opera signina finissima…”.


    LA DISCENDERIA
    Dopo aver disostruito l’ingresso da arbusti e materiali di risulta gli speleologi sono penetrati all’interno dell’ipogeo. Si tratta di una discenderia interamente rivestita di cocciopesto di servizio e di accesso ad un acquedotto sotterraneo allagato. Dopo pochi metri dall’ingresso la discenderia intercetta un cunicolo secondario di captazione idraulica del tutto scavato nel tufo (anche questo ben descritto dal Nibby).

    A seguito dell’esplorazione è stata realizzata la documentazione fotografica e grafica comprensiva di piante e sezioni in dettaglio degli ipogei rinvenuti identificati dal Nibby nel 1826. Le indagini speleologiche oggetto della ricerca saranno pubblicate sul Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie 2016." 
    Hanno partecipato alle ricerche Fabrizio Marincola, Leonardo Di Blasi, Cristiano Ranieri, Giorgio Pintus, Elena Besana e Giorgio Filippi.

    Riferimenti bibliografici :
    - Nibby A. 1837, Analisi storico topografica antiquaria della carta dei dintorni di Roma.
    - Ashby T. 1931, The aqueducts of ancient Rome.

    ( Cristiano Ranieri 17 novembre 2015)

    GENS CORNELIA

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    PUBLIO CORNELIO SCIPIONE

    Cornelius  era il nomen della gens Cornelia, famiglia patrizia tra le più importanti dell'antica Roma, facente parte delle cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio. Dovette competere con due altre gens, la Fabia e la Valeria, per le maggiori cariche pubbliche almeno fino al III sec.
    Avevano però anche dei rami plebei discendenti dai liberti dei Cornelii, ma le principali famiglie erano patrizie. L'origine del Cornelii è molto remota, ma il nomen Cornelius può essere formato dal cognomen Corneus, cioè corneo, o di pelle spessa, o dal suo diminutivo corneolo, o corniolo come la pianta ecc. in definitiva è impossibile definirne l'origine.

    Secondo l'illustre studioso Theodor Mommsen l'antichità della gens Cornelia si desume dal fatto che essa diede il nome ad una delle più antiche Tribù rustiche, che comprendeva Arpino, Nomento, Eclano, Erdonia, Teano, Apulo, Crotone, Petelia, Camerino Fulginio in Umbria e Matelica. Forse dettero il nome anche a Coneglia in Liguria che infatti conserva vestigia romane. I Cornelii hanno prosperato per più di settecento anni, ressendo tra le gens più potenti di Roma, come i  Valerii, gli Emilii, i Claudii, i Fabii e i Manlii, annoverati tra le gentes maiores, che detennero le cariche politiche e i gradi militari.

    Dalla Repubblica al III secolo d.c., i Cornelii fornirono allo stato magistrati e generali più eminenti di qualsiasi altra gens: ben settantacinque consoli, a cominciare da Servius Cornelius Maluginensis nel 485 a.c. per ben 106 volte. I Cornelii avevano propri culti e tradizioni, e si distinguevano da tutte le altre famiglie per la pratica dell'inumazione dei defunti, in alternativa alla più diffusa cremazione. Famoso è il monumentale Sepolcro degli Scipioni sulla Via Appia Antica.



    I PRAENOMINA

    - I Cornelii impiegarono molti praenomina, soprattutto Servio, Lucio, Publio, Gneo e Marcus.
    - Marcus era usato soprattutto dai Cornelii Maluginenses e dai Cethegi,
    - Gaio dai Cethegi,
    - Aulus dai Cossi.
    - Tiberio appare una volta tra i Lentuli, ma in seguito prevalse il vecchio cognome Cossus usato come praenomen,
    - I Cornelii Silla predilessero Faustus.



    I COGNOMINA

    I cognomina patrizi furono :Arvina, Blasio, Cethegus, Cinna, Cossus, Dolabella, Lentulus, Maluginensis, Mammula, Merenda, Merula, Rufus, Scapula, Scipio, Sisenna e Silla
    I cognomina plebei più usati furono Balbus, Gallus e Nepotes.
    Acuni liberti ebbero come cognomina: Chrysogonus, Culleolus, Phagita.
    Alcuni Cornelii plebea non avevano cognomen.



    I MEMBRI

    CORNELII MALUGINENSES

    Il primo Cornelio citato dalla storia fu un Maluginensis, una famiglia che si divise in due rami negli anni 80, il ramo più anziano conservò il Maluginensis, mentre i rami più giovani presero il Cossus.
    Il primo dei Cornelii Cossi sembrerebbero i figli minori di Marcus Cornelius Maluginensis, membro del Secondo Decemvirato nel 450 a.c. Entrambe le famiglie produssero un certo numero di consoli e tribuni consolari durante il IV e il V secolo a.c. I maluginesi scomparvero prima della I Guerra Sannitica (343-341 a.c.). 

    Servius Cornelius P. f. Cossus Maluginensis -
    padre di Lucius Cornelius Maluginensis Uritus Cossus (console del 459 ac) e bisnonno di Marcus Cornelius Maluginensis (decemviro nel 450 ac, e decemviro con potere consolare tra il 450 e il 449 ac). Nel 485 ac fu eletto console con Quinto Fabio Vibulano. I consoli lanciarono incursioni nelle terre dei Veio, con Vibulano che vinse una nuova vittoria contro i Volsci e gli Aequi. Invece di dividere il bottino tra i soldati, cpme nella tradizione, Vibulano offrì tutto al tesoro pubblico, cosa che lo rese molto impopolare tra la gente e i soldati. In seguito divenne flamen quirinalis, e mantenne questo titolo fino al 453 ac, Morì durante un'epidemia di pestilenza o tifo che prese anche il console Sesto Quintilio Varo che lo sostituì.

    - Lucius Cornelius Maluginense Uritino -
    fu eletto console nel 459 a.c., con Quinto Fabio Vibulano, che era al suo III consolato. Narra Livio che Lucio Cornelio si trovò a garantire la sicurezza di Roma da attacchi nemici, mentre Quinto Fabio guidò l'attacco contro i Volsci, posti davanti alla colonia di Anzio, di cui si temeva la defezione. Dionigi di Alicarnasso narra che Lucio Cornelio assediò Anzio, vinse i Volsci e i coloni romani ribellatisi a Roma. Livio e Dionigi attribuiscono a Quinto Fabio Vibulano la presa di Tusculum, già espugnata dagli Equi. I due consoli, tornati a Roma, dove ottennero il trionfo, ma riuscirono ad impedire che si giungesse alla votazione della Lex Terentilia, attuando una politica ostruzionistica in Senato, iniziata già quattro anni prima. Nel decimo censimento che fu consacrato alla fine del suo consolato, si contarono 117.319 cittadini romani.

    - Marcus Cornelius Maluginensis -
    GAIO E LUCIO CORNELII
    membro del secondo decemvirato nel 450 ac., e nipote di Servius Cornelius Maluginensis, console nel 485 ac. Secondo Livio e Dionisio di Alicarnasso era il fratello di Lucius Cornelius Maluginensis Uritus Cossus (console nel 459 ac) ma il suo nome sarebbe lo stesso di suo padre secondo i Fasti Capitolini. Marcus era uno dei dieci membri del Secondo Decemvirato, presieduto da Appio Claudio Crasso ed eletto per redigere la Legge delle XII Tavole, la prima legge scritta della Repubblica Romana. Su istigazione di Appio Claudio, i decemviri si tennero arbitrariamente il potere l'anno successivo, rifiutando di procedere all'elezione dei consoli. Intanto scoppiò una guerra con i Sabini di Eretum e con gli Aequi accampati sotto il monte Algido. L'esercito romano venne diviso: Marco Cornelio al comando, con altri tre decemviri; Lucio Minucio, Tito Antonio e Lucio Sergio e con una parte dell'esercito combatté contro gli Aequi. Appio Claudio e Spurio Oppio Cornicen rimasero a Roma per difendere della città, e gli altri quattro decemviri combatterono contro i Sabini. L'esercito di Marco Cornelio che si trovava a Tusculum, si mosse all'invocazione di Lucio Vergino, la cui figlia era stata ridotta in schiavitù da Appio Claudio. Appio Claudio venne portato in processo e Lucio Vergino disperato decise di uccidere sua figlia piuttosto che farne una schiava. L'episodio fece ammutinare i soldati che elessero dodici tribuni militari. Sotto il loro comando, tornarono a Roma e si accamparono sull'Aventino dove sconfissero l'esercito romano guidato da Appio Claudio e Spio Oppio Cornicen che vennero imprigionati, ma si suicidarono durante il processo. Gli altri otto decemviri, incluso Marcus Cornelius Maluginensis, vennero esiliati.

    - Marcus Cornelius Maluginensis -
    console nel 436 ac. con il collega Lucio Papirio Crasso. Non ci furono guerre ma solo dei disordini a causa del tribuno della plebe Spurio Melio, un plebeo che secondo i patrizi voleva farsi re. Fu ucciso senza fargli subire un processo.. I romani, nell'anno precedente vincitori contro una coalizione nemica nella Battaglia di Fidene, cercarono battaglia contro Veio e Fidene; ma non riuscendovi si limitarono a razziarne le campagne.

    - Publius Cornelius Maluginensis -
     tribunus militum consulari potestate nel 404 ac. con il collega Spurius Nautius Rutilus

    Publius Cornelius Maluginensis -
    tribuno consolare nel 397 e 390 e magister equitum nel 396 ac. Net 397 ac fu eletto Tribuno consolare con Lucio Giulio Giulio. In quell'anno proseguì l'assedio di Veio, dovendo subire però l'attacco dei Volsci e degli Equi.
    Ne profittarono gli Etruschi per compiere razzie sul territorio romano, Spurius Postumius e Lucio Giulio sorpresero I razziatori a Cere, li sconfissero e gli sottrassero il bottino. Net 390 ac fu eletto nuovamente Tribuno consolare con Quinto Sulpicio Longus, Quinto Fabio Ambusto, Cesonius Fabio Ambusto, Quinto Servilio Fidene, Numerio Fabio Ambusto. I Galli sconfiggono i Romani sull'Allia, nei pressi di Roma. Tito Livio addebita le maggiori responsabilità delta sconfitta agli altri tribuni. Ne segue il primo Sacco di Roma del 390 - 386 a.c.
    I tribuni propongono di lasciare Roma e stabilirsi a Veio, ma l'eroico Camillo si oppone "Hici manebimus optime" e Roma viene ricostruita.

    - Marcus Cornelius Maluginensis -
    censore nel 393 ac. per sostituire a Gaio Giulio Giulio che era morto. In un solo lustro Roma fu occupata dai Galli, considerando di malaugurio se un censore moriva nell'esercizio delle sue funzioni.

    - Servius Cornelius Maluginensis -
    tribuno consolare nel 386, 384, 382, ​​380, 376, 370 e 368 ac. Roma è distrutta da un incendio e dalla devastazione dei Galli di Brenno, ma sarà ricostruita. Manlio Torquato accusato di volersi fare re viene ucciso gettandolo dalla Rupe Tarpea. Si inizia la costruzione delle Mura Serviane a causa delle nuove scorrerie dei Galli. Venne eletto poi magister equitum nel 361

    - Marcus Cornelius Maluginensis -
    tribuno consolare nel 369 e nel 367 ac. Varo delle leggi Licinie Seste per cui almeno uno dei due consoli deve essere plebeo.

    Servius Cornelius Maluginensis
    - magister equitum 361 a.c.



      CORNELII COSSI

      I Cossi e i Maluginenses furono probabilmente una familia originaria, questi nomi infatti originariamente erano uniti, come nel caso Servius Cornelius Cossus Maluginensis, in seguito però divennero rami separati. I Cossi produssero molti uomini illustri nel IV e V sec. ac., ma poi caddero nell'oblio. Gli ultimi consoli di questa stirpe presero il soprannome di Arvina. Il nome Cossus rivisse come praenomen nella famiglia dei Lentuli, che appartenevano a questa stessa gens. Gli ultimi Maluginenses ebbero autorità consolare nel 367 ac.

      - Servio Cornelio Cossus -
      tribuno consolare nel 434 ac., insieme a Marco Manlio Capitolino, Quinto Sulpicio Pretestato e Cornelio Cosso, col dittatore Mamerco Emilio Mamercino.

      AULO CORNELIO COSSO

      Aulo Cornelio Cossus -
      console nel 428 e tribuno consolare nel 426 ac. 

      - Publio Cornelio Cossus -
      tribuno consolare nel 415 ac. insieme a Numerio Fabio Vibulano, Gaio Valerio Potito Voluso e Quinto Quinzio Cincinnato. Figlio di Aulus Cornelius Cossus. In quell'anno i Bolani (Bola, o Bolae, fu una città del Latium vetus) attaccarono i coloni romani di Labico, inviati l'anno prima, sperando nell'appoggio degli Equi, che però non intervennero. Furono pertanto facilmente sconfitti dai romani.
      «Ma, mentre avevano sperato che tutti gli Equi approvassero e difendessero quel misfatto, abbandonati dai loro, persero terre e città in una guerra che non merita neppure di essere descritta perché si ridusse a un assedio da nulla e a una sola battaglia
      (Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 49.)
      In quell'anno la guerra con Veienti ed Equi fu differita di tre anni per questioni religiose. Ebbe questioni col tribuno della plebe Lucio Decio per il dominio sulle colonie Bolarum e Labicorum.

      Gneo Cornelio Cossus -
      tribuno consolare nel 415 e console nel 409 ac. Nel 414 a.c. Fu eletto tribuno consolare con Quinto Fabio Vibulano Ambusto, Lucio Valerio Potito e Marco Postumio Regillense. Intanto Bola, espugnata l'anno precedente dai romani che discutevano se inviarvi coloni romani, fu riconquistata e fortificata dagli Equi; così il Senato decise di dare il comando a Marco Postumio. Questi condusse l'esercito romano alla vittoria contro gli Equi, ma si inimicò i soldati, mancando alla promessa di dividere il bottino di guerra. Richiamato a Roma, si espresse duramente nei confronti dei soldati. Nel campo militare ci furono grossi tumulti, che Marco Postumio affrontò con crudeltà, si che alla fine fu lapidato dai suoi stessi soldati. I tribuni della plebe impedirono ai tribuni consolari di aprire un'inchiesta sull'accaduto. Gneo Cornelio divenne console nel 409 a.c. insieme a Lucio Furio Medullino, al suo secondo consolato. Per la prima volta furono eletti 3 questori di estrazione plebea e incoraggiati dal successo i tribuni si opposero alla leva per rispondere alle razzie di Equi e Volsci, nei territori degli alleati Latini ed Ernici, sperando in altre concessioni alla plebe. Alla fine ci si accordò perché l'anno seguente fossero eletti tribuni consolari. I consoli mossero alla volta di Carvento, conquista dai Volsci ed Equi, senza però riuscire a riprenderla, riconquistando solo Verrugine nel territorio dei Volsci.

      - Aulus Cornelis Cossus -
      - console 413 ac.

      - Publio Cornelio Cossus -
      Fu eletto tribuno consolare nel 408 ac. con Gaio Servilio Strutto Ahala e Gaio Giulio Iullo..
      Gli Equi ed i Volsci, cui era stato tolto il presidio di Verrugine e razziati i territori, organizzarono un esercito per combattere i romani, e lo disposero davanti ad Anzio. Nonostante il parere contrario di Gaio Giulio e Publio Cornelio, i senatori vollero un dittatore per la campagna contro Anzio.
      «Dicono che Giulio e Cornelio abbiano sopportato di mal animo questa decisione; la cosa fu discussa animatamente: i patrizi più autorevoli, dopo essersi invano lamentati perché i tribuni militari non si assoggettavano all'autorità del senato,...»
      (Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 55)
      Il terzo Tribuno consolare, Gaio Servilio, nominò dittatore Publio Cornelio Rutilo Cosso, che a sua volta, scelse Gaio Servilio come Magister Equitum. L'esercito romano vinse facilmente i nemici.

      Publio Cornelio Rutilus Cossus -
      dittatore nel 408 e tribuno consolare nel 406 ac. Suo padre si chiamava Marcus e suo nonno Lucius, ma per loro non è registrata alcuna magistratura. Era comunque il fratello del più famoso Aulo Cornelio Cossus, colui che ricevette la spolia opima per aver ucciso il re di Veio Lars Tolumnius in duello. Aulo fu poi console nel 428, e tribuno consolare nel 426. Publio ebbe almeno due nipoti: Gneo, tribuno consolare nel 414 e console nel 409, e Publio, tribuno consolare nel 408. Aulo, il dittatore nel 385 e forse console nel 413 potrebbe anche essere stato suo nipote. Nel 408 a.c, un grande esercito composto principalmente da Volsci ed Aequi si riunì ad Antium. Il Senato, considerato il pericolo, chiese la nomina di un dittatore, cosa che non piacque ai tribuni consolari Gaio Giulio Iulo e Publio Cornelio Cosso, che non volevano gli venisse tolto il comando. Infine il terzo tribuno, Gaio Servilio Structus Ahala, vedendo che Iulo e Cornelio non potevano essere persuasi, si alzò per nominare Rutilus Cossus, lo zio di Cornelio, che nominò Ahala suo magister equitumRutilus Cossus e Ahala condussero quindi l'esercito ad Antium e qui sconfissero la coalizione dei Volsci quindi devastarono le campagne intorno e poi assaltarono la fortezza dei Volsci sul Lago Fucinus, vincendo e facendo ben 3.000 prigionieri Volsci. Quando Rutilus Cossus tornò in città, depose l'ufficio del dittatore ma, secondo Livio, non ricevette molti consensi e non fu premiato con un trionfo.Però Rutilus Cossus fu eletto tribuno consolare per l'anno 406 ac, con Gneo Cornelio Cossus, suo lontano cugino, Numerius Fabius Ambustus e Lucio Valerio Potito. Il Senato ordinò una nuova guerra a Veio, ma i tribuni consolari si opposero, sostenendo che la guerra contro i Volsci non era finita. Rutilus Cossus combattè e vinse contro la città di Ecetra, mentre Fabius conquistò Anxur. I tribuni consolari condividevano il bottino con i soldati, migliorando le relazioni tra plebei e patrizi. Il Senato ordinò che i cittadini dovessero essere pagati nelle spese mentre servivano, mentre prima dovevano mantenersi da sè.

      Gneo Cornelio  Cossus -
      Venne eletto tribuno consolare nel 406, 404 e 401 ac. Nel 406 a.c. fu eletto tribuno consolare con Publio Cornelio Rutilo Cosso, Numerio Fabio Ambusto e Lucio Valerio Potito, al suo secondo tribunato. Il senato voleva attaccare Veio, ma non si riuscì ad organizzare una leva militare, sia per il protrarsi delle operazioni militari contro i Volsci, sia per l'opposizione dei tribuni della plebe, che vedevano nelle campagne militari, il mezzo per evitare le riforme chieste dalla plebe.
      «I tribuni della plebe esasperarono ancor più la tensione sorta spontaneamente: essi andavano dicendo che la guerra più grande era quella condotta dai patrizi contro la plebe, a bella posta vessata dal servizio militare e esposta a farsi trucidare dal nemico; la tenevano lontana da Roma, per evitare che nella pace, memore della libertà e delle colonie, si agitasse pensando all'agro pubblico e a libere elezioni.» (Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 58)
      Si continuò allora la guerra contro i Volsci; mentre Gneo Cornelio rimaneva a presidio di Roma, Lucio Valerio si diresse verso Anzio, Publio Cornelio marciò contro Ecetra, mentre Numerio Fabio si dirigeva verso Anxur, che conquistò e saccheggiò. Fu anche l'anno in cui il Senato emanò una legge a favore dei soldati. «il senato decretò che i soldati venissero pagati attingendo direttamente alle casse dello Stato, mentre fino a quel giorno ciascun soldato prestava servizio a proprie spese."»
      (Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 59)
      Nel 404 a.c. Gneo Cornelio venne eletto tribuno consolare per la seconda volta con Gaio Valerio Potito Voluso, Manio Sergio Fidenate, Cesone Fabio Ambusto, Publio Cornelio Maluginense e Spurio Nauzio Rutilo. Roma, che continuava l'assedio di Veio iniziato l'anno prima, fece attaccare e vincere i Volsci in una battaglia campale tra Ferentino ed Ecetra. Quindi conquistarono la città volsca di Artena, grazie al tradimento di uno schiavo, che indicò ai soldati un passaggio per arrivare alla rocca, dove si erano asserragliati i difensori.
      Nel 401 a.c. venne per la terza volta eletto tribuno consolare con Lucio Giulio Iullo, Marco Furio Camillo, Manio Emilio Mamercino, Lucio Valerio Potito e Cesone Fabio Ambusto
      Durante l'anno i tribuni della plebe lamentarono la cattiva conduzione della guerra, con il fallimento dell'assedio di Veio causata da dissidi tra i tribuni Manio Sergio Fidenate e Lucio Verginio Tricosto Esquilino, sul mantenere i soldati in servizio anche durante l'inverno per sostenere l'assedio di Veio (quando il normale periodo di leva durava dalla primavera all'estate), e per la necessità di nuovi tributi per sostenere le spese di guerra. Alla fine i Tribuni della plebe portarono in giudizio Sergio Fidenate e Lucio Verginio, per la pessima conduzione della guerra; i due furono condanni ad una pena pecuniaria di 10.000 assi pesanti. Poi i romani riconquistarono le posizioni perse l'anno precedente a Veio, razziarono il territorio dei veienti, condotti da Gneo Cornelio e Furio Camillo, mentre a Valerio Potito fu affidata la campagna contro i Volsci per riconquistare Anxur, che fu posta sotto assedio.

      CASA DI CORNELIO RUFO - POMPEI

      Publio Cornelio Maluginensis Cossus -
       tribuno consolare nel 395 e console nel 393 ac. Nel 395 a.c. fu eletto tribuno consolare con Publio Scipione (suo fratello), Cesone Fabio Ambusto, Lucio Furio Medullino, Quinto Servilio Fidenate e Marco Valerio Lactucino Massimo. Ai due fratelli, Cornelio Maluginense e Cornelio Scipione, fu affidata la campagna contro i Falisci, che però non portò ad alcun risultato, mentre a Valerio Lactuciono e Quinto Servilio toccò in sorte quella contro i Capenati, che dovettero chiedere la pace a Roma. In città, dove infuriavano le polemiche legate alla suddivisione del bottino ricavato dalla caduta di Veio dell'anno prima, si accese un'altra polemica, originata dalla proposta del tribuno della plebe Veio Tito Sicinio di trasferire parte della popolazione romana a Veio, proposta a cui i Senatori si opposero strenuamente.

      Aulo Cornelio Cossus -
      dittatore nel 385 ac. Nel 385 a.c.,vennero eletti i tribuni consolari Aulo Manlio Capitolino, Tito Quinzio Cincinnato Capitolino, Lucio Quinzio Cincinnato Capitolino, Publio Cornelio, Lucio Papirio Cursore e Gneo Sergio Fidenate Cosso. Il Senato decise di nominare Aulo Cornelio Cosso dittatore, per far fronte alla minaccia dei Volsci, e ai disordini della plebe, per le richieste portate avanti da Marco Manlio Capitolino. Il dittatore si diresse contro i nemici, ora rafforzati da giovani Ernici e Latini, per cui con un maggior numero di effettivi. Nonostante ciò i romani sconfissero i nemici, facendone strage mentre fuggivano dal campo di battaglia. A Roma Marco Manlio Capitolino, visto un centurione portato in tribunale per debiti, con il rischio di finire schiavo, lo sollevò dai debiti pagando di tasca propria, arrivando poi a vendere le sue terre per aiutare altri poveri debitori accusando nel contempo i senatori di malversazione.
      «Allora non è proprio servito a nulla per me aver salvato la rocca e il Campidoglio con questa destra, se adesso devo vedere un mio concittadino e commilitone messo in catene e ridotto in schiavitù come se fosse prigioniero dei Galli vincitori!». Poi pagò davanti a tutti la somma dovuta al creditore, restituì la libertà al commilitone riscattato, il quale implorava gli dèi e gli uomini affinché ringraziassero Marco Manlio, suo liberatore e padre della plebe romana
      (Tito Livio - Ab Urbe Condita - VI, 2, 14.) Inoltre Manlio aveva accusato i patrizi di aver sottratto all'erario l'oro dei Galli. A questo punto il Senato fece tornare Aulo Cornelio a Roma, interrompendo la campagna contro i Volsci, per sedare gli animi dei romani. Aulo tornato a Roma convocò Manlio, chiedendogli di dimostrare le proprie accuse contro i Senatori. Manlio, che si presentò alla seduta insieme ai propri sostenitori, dopo aver nuovamente accusato i Senatori, si rifiutò di rispondere (o non potè) all'intimazione del dittatore, e per questo fu incarcerato. Disposto l'arresto e celebrato il trionfo per la vittoria sui Volsci, Aulo Cornelio lasciò la carica di dittatore.

      - Aulus Cornelius Cossus -
      Venne eletto tribuno consolare nel 369 e nel 367 a. Nel 369 a.c. Fu tribuno consolare con Quinto Servilio Fidenate, Quinto Quinzio Cincinnato, Marco Cornelio Maluginense, Marco Fabio Ambusto, Gaio Veturio Crasso Cicurino. Di nuovo i romani cercarono di portare l'assedio a Velletri, ma i nemici riuscirono ancora a resistere. Intanto in città i tribuni della plebe, Gaio Licinio Calvo Stolone e Lucio Sestio Laterano, portavano avanti le loro proposte a favore della plebe, ed i patrizi iniziavano a perdere il controllo degli altri tribuni, tramite il quale erano riusciti a bloccare le iniziative di Licinio e Sestio. «E nessuno poteva ritenere sufficiente il fatto che i plebei fossero ammessi come candidati nelle elezioni consolari: nessuno di essi avrebbe mai ottenuto la nomina fino a quando non fosse stato stabilito per legge che uno dei due consoli dovesse comunque essere plebeo
      (Tito Livio, Ab Urbe condita, VI, 4, 37)
      Nel 367 a.c. Aulo fu eletto di nuovo tribuno consolare con Marco Geganio Macerino, Lucio Veturio Crasso Cicurino, Marco Cornelio Maluginense, Publio Manlio Capitolino e Publio Valerio Potito Publicola. Alla notizia dell'avvicinarsi dei Galli, Marco Furio Camillo fu nominato dittatore per la quinta volta.

      Aulo Cornelio Cossus Arvina -
      console nel 343 e 332, dittatore nel 322 ac. e per due volte magister equitum nel 353 a.c e nel 349 a.c.
      Nominato console nel 343 a.c. assieme Marco Valerio Corvo, fu inviato al comando delle truppe romane nel Sannio, nella I guerra sannitica. Riuscito a non soccombere grazie ad uno stratagemma del tribuno militare Publio Decio Mure, guidò i romani alla vittoria contro i Sanniti, per la quale ottenne il trionfo a Roma. Fu nominato console nel 332 a.c. assieme Gneo Domizio Calvino, al suo secondo consolato. Un'improvvisa guerra scatenata dai Galli portò lo scompiglio e indusse all'elezione di Aulo Cornelio come dittatore che, per combattere i Sanniti, scelse Marco Fabio Ambusto, come magister equitum. Condotto l'esercito romano nel Sannio, fu costretto dai Sanniti a una posizione sfavorevole. La situazione era drammatica ma volse a favore dei romani, quando la cavalleria Sannita, che stava saccheggiando le salmerie dei romani, fu presa di sorpresa e sbaragliata dalla cavalleria romana, condotta da Marco Fabio. Sconfitti i cavalieri sanniti, la cavalleria romana, con una manovra a teneglia, attaccò alle spalle l'esercito sannita, che preso tra due fuochi, fu sconfitto dai romani. Per questa vittoria, Aulo Cornelio ottenne il trionfo. (Secondo alcuni autori, la battaglia fu condotta da Fabio Massimo, e non da Aulo Cornelio Cosso Arvina, eletto dittatore in funzione dei giochi romani, conclusi i quali, si dimise. Che in un momento così drammatico il senato nominasse un dittatore per i giochi sembra però improbabile).

      Publio Cornelio  Arvina -
      console nel 306 e 288, e censore nel 294 ac. Fu eletto console nel 306 a.c., con il collega Quinto Marcio Tremulo. Durante il suo primo consolato Tremulo sconfisse gli Ernici e gli abitanti di Anagni, conquistando la città. Quindi andò in soccorso di Publio Cornelio, impegnato nel Sannio. Al suo arrivo, Marcio fu attaccato improvvisamente dai Sanniti, ma Publio Cornelio giunse appena in tempo ed insieme ottennero una brillante vittoria. Fu censore nel 294 a.c. e console per la seconda volta nel 288 a.c.

      SCIPIO NASICA

        CORNELII SCIPIONES
        Sembra che i Cornelii Scipioni discendessero da questa famiglia, mentre il cognome Cossus appare fino agli inizi del III secolo; i membri di quest'ultima famiglia portavano anche il cognomen Rutilus, e Arvina.
        I Cornelii Scipiones derivarono il loro cognome da una leggenda in cui il primo della famiglia serviva come appoggio (bastone=scipione) per il suo padre cieco. Poichè il primo degli Scipioni portò il cognomen Maluginensis, dovrebbe essere stato il figlio di Publio Cornelio Maluginense, uno dei tribuni consolari nel 404 ac.
        Agli Scipioni appartennero Lucio Cornelio Scipione Barbato e Publio Cornelio Scipione Africano e occuparono i più alti uffici dello stato dall'inizio del IV secolo aC fino al II secolo dell'Impero, per quasi seicento anni. I suoi membri portavano un gran numero di cognomi aggiuntivi, tra cui Barbatus, "barbuto", Scapula, "scapola", Asina , "asina", Calvus, "calvo", Hispallus, "piccolo spagnolo", Nasica, "naso" e Corculum, "piccolo cuore", oltre a quelli delle imprese militari: Africano e Asiaticus.
        Le ultime generazioni di questa grande famiglia furono originariamente adottate dai Salvidieni, e così portarono i nomi aggiuntivi di Salvidieno Orfitus. I Scipioni avevano un grande sepolcro di famiglia a Roma, che fu riscoperto nel 1780 ed è ancora visibile.



        CORNELII LENTULI 

         I Cornelii Lentuli erano famosi per il loro orgoglio e superbia, così Cicerone usa Lentulitas, la "lentulaggine", per descrivere un patrizio borioso. I Lentuli appaiono nella storia con le guerre sannitiche al I secolo dell'Impero, un periodo di circa quattrocento anni. La loro origine è incerta.
         


        CORNELII  RUFINI E SULLAE


        I Cornelii Rufini compaiono nella II metà del IV secolo ac, a partire da Publio Cornelio Rufino, dittatore nel 334 ac. Dal cognome Rufinus (rossastro), si può desume che il primo della famiglia avesse i capelli rossi.
        Un discendente della famiglia dei Rufini assunse il cognomen Sulla, al tempo della II Guerra Punica, il cui nome è probabilmente un diminutivo di Sura, un cognomen molto usato, anche tra i Cornelii Lentuli, e probabilmente riferito a qualcuno con polpacci prominenti. Plutarco, che erroneamente credeva che il dittatore Silla fosse il primo a portare il nome, pensò che avrebbe dovuto riferirsi ad una carnagione chiazzata, rossastra, mentre Macrobio lo ricava da Sibilla, ma Quintiliano dissente. Il dittatore Silla adottò l'agnomen Felix, che significa "fortunato" o "felice", e questo nome fu trasmesso ad alcuni dei suoi discendenti. I Silla proseguirono nei più alti uffici dello stato fino ai tempi imperiali. L'ultima apparizione nella storia cadde vittima di Elagabalo, all'inizio del III secolo dc.

        Publio Cornelio Rufino -
        Fu nominato dittatore nel 334 a.c. ma rinunciò alla sua posizione a causa di un difetto nelle procedure religiose per la sua nomina.

        - Gneo Cornelio Rufino -
         figlio del precedente, è appena nominato ma non se ne sa nulla.

        - Publius Cornelius Rufinus -
        figlio di Gneo, nipote del dictator nel 334 ac. Console nel 290 e 277, e dictator nel 280 ac. Nel 290 ebbe come collega Manio Curio Dentato, figlio di Manio. Con una gloriosa battaglia concluse la III guerra sannitica, celebrando un trionfo. Venne eletto nuovamente console nel 277 ac. con Gaio Giunio Bubulco Bruto, figlio di Gaio, e condusse una guerra nell'Italia meridionale contro i Sanniti e i Greci d'Italia, che non avevano più il sostegno di Pirro; l'elezione fu sostenuta persino da un nemico personale di Rufino, Gaio Fabrizio Luscino, in quanto i Romani avevano bisogno di un comandante militare capace ed esperto per condurre la guerra (forse, però, questa testimonianza si riferisce alla sua elezione a dittatore, avvenuta in data non sicura, forse nel 280 ac.). Infatti il generale riuscì a conquistare Crotone per i romani.
        Nel 275 a.c., i censori Gaio Fabrizio Luscino e Quinto Emilio Papo espulsero Rufino dal senato, in quanto era stato accusato di possedere un piatto di argento da dieci libbre. Ora la storia non è credibile perchè non esistevano all'epoca le leggi sul lusso, a meno che quel piatto non fosse stato sottratto a un bottino di guerra o all'erario dello stato o ad un tempio.
        Secondo Plinio il Vecchio, Rufino, divenuto cieco, aveva perso la vista durante il sonno mentre sognava le proprie disgrazie; un commento molto amaro (Storia naturale, vii.50). Suo nipote fu il primo della famiglia ad usare il cognomen Sulla.

        - Lucio Cornelio Rufino Sulla -
        Flamen Dialis circa 250 ac, fu il primo dei Cornelii a portare il cognomen Sulla.

        Publio Cornelio Silla -
        pretore urbanus e peregrinus nel 212 ac. Fu il primo romano ad essere nominato Silla. Era il bisnonno di Lucio Cornelio Silla, il dittatore di Roma. Suo padre è sconosciuto, anche se suo nonno era Publio Cornelio Rufino, che servì due volte come console durante le guerre sannitiche. Publio era il dialis flamen e, nel 212 ac, fu eletto pretore urbanus e peregrinus. Presentò il primo ludi Apollinares, istituendo così una festa romana annuale in onore di Apollo.

        II GUERRA PUNICA
        Publio Cornelio Silla -
        pretore nel 186 a.c., ottenne la Sicilia come sua provincia e nonno del dictator Lucius Cornelius Sulla Felix, nonchè padre di Lucio Cornelio Silla. Era figlio di Publio Cornelio Silla, il primo membro della famiglia a portare il nome Silla, e fratello di Servio Cornelio Silla.

        - Servius Cornelius Silla -
        pretore nel 175 ac, ottenne la Sardegna come sua provincia. In seguito servì come commissario, inviato per aiutare Lucio Emilio Paolino a organizzare gli affari della Macedonia, nel 167 ac.

        - Publio Cornelio Silla -
        triumvir monetalis nel 151 a.c., forse lo zio del dittatore.

        - Lucius Cornelius Sulla -
        figlio del Publio Cornelio Silla che fu pretore nel 186 a.c. e padre del dittatore.

        Lucius Cornelius Sulla (it. Silla) Felix -
        praetor urbanus nel 93, console in 88 e 80, e dittatore rei publicae constituendae causa dal 82 al 79 ac. (138-78 ac.).

        - Servius Cornelius Sulla -
         fratello del dittatore.

        Cornelia -
        figlia del dittatore dalla sua prima moglie, Ilia; sposò prima Quinto Pompeo Rufo e, dopo la sua morte, Mamercus Emilio Lepido Livio. Il matrimonio produsse due figli, Pompeia (che divenne la seconda moglie di Giulio Cesare) e Quinto Pompeo Rufo. Suo marito fu ucciso durante una sommossa guidata dal tribuno Publio Sulpicio Rufo nell'88 a.c. Si risposò con Mamercus Emilio Lepido Livio, console nel 77 ac, un anno dopo la morte di Silla. Scontri violenti tra Silla e Gaius Marius. Nell'86 a.c., mentre Silla era in Asia Minore per la guerra contro Mitridate VI re del Ponto, fu privato del comando da Mario e costretto all'esilio.
        Cornelia e il suo nuovo marito cercarono di salvaguardare le proprietà di Silla dalle prescrizioni di di Mario acquisendo la villa di Mario e vendendola a Lucullo. Poi si unì a suo padre in esilio. Ma Pompeo portò in tribunale Cornelia per essersi rifiutata di consegnargli la proprietà fondiaria.
        - Cornelius Silla -
        figlio del dittatore e della quarta moglie, Caecilia Metella, morì prima di suo padre.

        Faustus Cornelius Silla -
        questore nel 54 ac e poi partigiano di Pompeo. (prima dell'86 - 46 ac), l'unico figlio superstite del dittatore Lucio Cornelio Silla e la sua quarta moglie Cecilia Metella. Dopo la morte del padre nel 78
        ac, lui e sua sorella gemella Fausta furono allevati dal suo tutore, l'amico di suo padre Lucullo.
        Faustus sposò Pompeia, figlia di Pompeo il Grande. Faustus accompagnò Pompeo nelle sue campagne asiatiche, e fu il primo a solcare le mura del Tempio di Gerusalemme quando fu assalita da Pompeo nel 63 ac. Dopo il suo ritorno a Roma, dette giochi di gladiatori per celebrare il padre nel 60 ac. Prima del 57 ac, Faustus Sulla divenne augur, e nel 56 ac, emise una monetazione in onore di suo padre e suo suocero. Come proprietario delle pendici centrali del Monte Falerno, il suo nome divenne sinonimo del vino più stimato nell'antica Roma, Falziano Faustiano.
        Divenne Questore nel 54 ac e il senato lo incaricò di ricostruire la Curia Hostilia nel 52 ac, che era stata bruciata dopo i disordini che seguirono l'omicidio di Clodio. Così la Curia Hostilia divenne la Curia Cornelia.
        La sua carriera di avvocato fu tuttavia interrotta dalla guerra civile tra Pompeo e Giulio Cesare, e in qualità di milite di Lucullo e genero di Pompeo, si schierò dalla parte del primo.
        Combattè nella battaglia di Farsalo nel 48 ac, e successivamente si unì ai leader del suo partito in Africa. Dopo la battaglia di Thapsus, tentò di fuggire in Mauritania, ma fu catturato e ucciso da Publio Sittius, un sostenitore di Cesare, nel 46 ac.
        Con Pompeia ebbe almeno due figli: Faustus Cornelius Silla il Giovane e Cornelia Silla (sposò Lucio Scribonio Libo, pretore nell'80 ac). Da uno dei quali è presumibilmente disceso Faustus Cornelio Sulla Lucullo, console suffetto nel 31 dc.
        - Fausta Cornelia -
         Figlia del dittatore e sorella gemella di Faustus Cornelius Sulla.

        - Postuma Cornelia Sulla -
         Figlia del dittatore dalla sua quinta moglie, Valeria.

        Publio Cornelio Sulla -
        nipote del dittatore, fu eletto console nel 66 ac, ma squalificato dall'incarico. Publio Cornelio Silla e suo fratello Servio nacquero da Servio Cornelio Silla, fratello di Lucio Cornelio Silla. Dovrebbe essere stato un ufficiale di grado inferiore, insieme al contemporaneo Lucio Sergius Catilina, che sicuramente ha servito con distinzione nella guerra civile di Sullan. Nell'81 ac, durante la dittatura di suo zio, Cicerone registra che Publio intercesse presso Sulla per chiedere misericordia per molti dei proscritti, e ne salvò parecchi. Dopo la morte di Lucio Cornelio Silla nel 78 ac, Publio probabilmente ereditò una parte della sua proprietà.
        Ottenne gli incarichi di questore e pretore prima del 66 a. Ottenne il consolato per il 65 ac. con Publio Autronio come collega, ma poco dopo Lucio Manlio Torquato e Lucio Aurelio Cotta accusarono coloro che li avevano sconfitti nelle elezioni di corruzione. Silla e Autronio furono processati, condannati e, sotto la Lex Acilia Calpurnia, privati ​​del loro ufficio e espulsi dal Senato.
        Sallustio sostiene che Catilina, amico di Silla e di Autronio, abbia tentato di presentarsi al secondo turno elettorale contro Torquato e Cotta, ma era emerso da un processo per estorsione e sebbene assolto, non poteva candidarsi prima di tre settimane. Allora Catilina cospirò insieme a Silla e Autronius, e Gneo Piso, contro Cotta e Torquato. Il piano era di uccidere i due Consoli nel giorno in cui dovevano assumere la carica, il I gennaio 65 ac, e impossessarsi del governo e del Consolato per se stessi, ma la cospirazione fallì.
        Ci sono molti dubbi sul fatto che la Prima cospirazione catiliniana abbia avuto luogo e che sia stata inventata per colpire Catilina ulteriormente dopo la Seconda Cospirazione Catilinaria. Oppure, Catilina stesso non era coinvolto, ma Silla e Autronius da soli complottarono l'assassinio dei loro rivali. In ogni caso, nessun tentativo fu fatto sulle vite di Cotta o Torquato e i due presero il consolato.
        Sia Silla che suo fratello Servius, così come il suo ex collega Autronius, furono implicati nella Seconda Cospirazione Catilinaria ma non si sa se fossero davvero coinvolti. Silla fu accusato di complicità nella Cospirazione dal figlio dell'uomo che aveva rubato il suo consolato, un altro Lucio Manlio Torquato, e processato. Ma, avendo Marco Tullio Cicerone e Quinto Ortensio, i due più grandi oratori del loro tempo a guidare la sua difesa, Sulla fu assolto (Pro Sulla). Né il fratello di Sulla, Servius, né Autronius furono così fortunati, poiché Cicerone li credette colpevoli e rifiutò di difenderli.
        Nel 49 ac, quando Giulio Cesare attraversò il Rubicone e accese la guerra civile, Silla scelse di sostenerlo, a differenza del cugino Faustus Silla che si unì alla fazione senatoriale.Dato un comando nell'esercito cesareo, Silla lo accompagnò nella sua campagna in Grecia contro Pompeo. A Dyrrachium, Silla fu lasciato a capo dell'accampamento di Cesare e respinse con successo un attacco Pompeiano che sfondò le fortificazioni mentre la maggior parte dell'esercito era altrove a combattere con Cesare. Dopo aver respinto i Pompeiani, Silla decise di non inseguire e si ritirò invece al campo. Caesar osserva nei suoi commenti che se Silla avesse invece inseguito il nemico in fuga e vinto, l'intera Guerra Civile sarebbe potuta finire in quel giorno, tuttavia non incolpava la cauta condotta di Sulla e la sua decisione di rimanere nel campo che era sua la responsabilità di proteggere. Sulla comandò l'ala destra dell'esercito di Cesare nella battaglia di Farsalo, dove vinse Cesare e Pompeo sconfitto fuggì in Egitto, dove fu assassinato. Publio Cornelio Silla morì nel 45 ac..

        - Servius Cornelius Ser. Silla -
        un altro nipote del dittatore, prese parte a entrambe le cospirazioni di Catilina.

        - Cornelia -
        Figlia di Faustus Cornelius Sulla.

        - Publio Cornelio Silla -
         figlio del console del 66 ac, potrebbe essere stato il padre di Lucio Cornelio Silla, console nel 5 ac.

        Lucius Cornelius Sulla -
        console nel 5 a. Forse era figlio di Publio Cornelio Silla, nominato console per il 65 ac, che lo rese un pronipote del dittatore Cornelio Silla. Lucio Cornelio Sulla fu console, insieme con l'imperatore Augusto, nel 5 ac. I suoi figli furono Faustus Cornelius Sulla Lucullus e Lucius Cornelius Sulla Magnus, entrambi diventati senatori nel regno dell'imperatore Tiberio. Consoli dell'anno: Imperatore Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto figlio del Divino Cesare XII - Lucio Cornelio Sulla - suffetto Lucio Vinicio, abd - suffetto Quinto Aterio - suffetto Gaio Sulpicio Galba

        - Publius Cornelius Servius Sulla -
        nipote del console del 66 ac e padre Lucius Cornelius Sulla, console nel in 5 ac..

        Faustus Cornelius Sulla Lucullo -
        figlio del console del 5 ac, fu console suffectus nel 31 d.c. con Sextus Tedius Valerio Catullo. Era il figlio di Lucio Cornelio Sulla Faustus, e un pronipote del famoso statista Lucio Cornelio Silla. Sua madre era Sextia e suo fratello era Lucio Cornelio Sulla Felix.
        Nel 21, Faustus sposò Domizia Lepida Minore. Era figlia di Antonia Maggore di Lucius Domitius Enobarbo (console 16 ac), una pronipote dell'imperatore Augusto e una nipote di Ottavia Minore e Marco Antonio. Lepida ebbe due figli dal suo precedente matrimonio con Marco Valerio Messalla Barbato: Marco Valerio Messalla Corvino e l'imperatrice Messalina, terza moglie dell'imperatore Claudio. Domizia Lepida partorì Faustus Cornelio Sulla Felix (22-62), che sposò Claudia Antonia, figlia di Claudio. Faustus è morto per cause incerte intorno ai 40 anni.

        Lucius Cornelius Sulla Magnus -
        un altro figlio del console del 5 ac, fu console nel 33 d.c. era figlio di Lucio Cornelio Sulla, che era un bisnipote del dittatore Silla. Lucio Cornelio Sulla Magnus e suo fratello Faustus Cornelio Sulla Lucullo erano senatori che vissero nel regno di Tiberio.

        - Lucius Cornelius Silla -
        figlio del console del 33 d.c., fu console suffectus nel 52 d.c.

        LA CONGIURA DI CATILINA

        - Servius Cornelius Sulla -
        nipote del dittatore, prese parte alla cospirazione di Catilina.

        Faustus Cornelius Sulla Felice -
        figlio del console del 52 d.c., fu messo a morte da Nerone nel 63. Felix era il figlio di Domizia Lepida Minore e del console suffetto del 31, Faustus Cornelio Sulla Lucullus, discendente del dittatore Silla. I suoi nonni materni erano Antonia Maggiore e Lucius Domitius Enobarbo (console 16 ac) . Sua nonna materna Antonia Maggiore era una nipote dell'imperatore Augusto e sua madre, Domizia Lepida, era una pronipote di Augusto, essendo una nipote della sorella di Augusto, Octavia il Giovane, e il trionfante Marco Antonio. Felix era un fratellastro minore dell'imperatrice Valeria Messalina. Nel 47 l'imperatore Claudio, che era cugino di sua madre, fece sposare a Felix sua figlia, Claudia Antonia che partorì un figlio, che morì prima del secondo compleanno. Il primo compleanno del ragazzo fu celebrato privatamente. L'attaccamento di Felix alla famiglia imperiale lo portò al consolato nel 52.
        Nel 55, l'anno dopo l'ascesa di Nerone, il liberto imperiale Pallas e il prefetto pretorio Sesto Afranio Burrus furono accusati di aver cospirato per far dichiarare Felix imperatore. I cospiratori furono processati, ma Felix non venne implicato. Nerone, tuttavia, cominciò a osservare il cognato, timoroso del suo legame con la famiglia imperiale. Nel 58 un altro liberto imperiale accusò falsamente Felix di complottare per attaccare Nerone, probabilmente su istigazione di quest'ultimo. Nero trattò Felix come comprovato colpevole, lo fece esiliare nel 59 a Massilia (Marsiglia). Nel 62, Tigellino fece uccidere Felix e la sua testa fu trasportata a palazzo dove Nerone prendeva in giro la testa, a causa della sua calvizie e grigiore dei capelli. Tacito descrisse Felix come "timido e spregevole" ma incapace di tramare contro Nerone. Claudia sarebbe stata giustiziata da Nerone nel 66 dc. dopo aver rifiutato di sposarlo.

        - Cornelio Silla -
        governatore della Cappadocia, messo a morte da Elagabalo.

        - Salcus Cornelius Sulla Felix Faustullus Barbatullus Mactator -
        console nel 241 dc.

        - Potitus Cornelius Sulla Felix Messalla -
        console nel 312 dc.



        CORNELII DOLABELLAE

        I Dolabella divennero famosi all'inizio del III secolo a.c. fino al regno di Vitellio (15 dc -22 dc.). Molti dei Dolabellae ottennero un alto incarico, uno divenne il Rex Sacrorum, ma molti di questa famiglia erano famosi per orgoglio, stravaganza e disprezzo per la legge. Il loro cognome, Dolabella, è un diminutivo di dolabra (piccone) o piccone, una classe comune di cognomi derivati ​​da oggetti di uso quotidiano.

        Publio Cornelio Dolabella Massimo -
        console nel 283 ac. noto per aver sconfitto una lega Etruschi, Boii e Senoni, nella battaglia del lago Vadimon del 283 ac. Appiano lo nominò capo della spedizione che devastò l'Ager Gallicus (la terra conquistata dai Galli Senoni) ed espulse i Senoni dalle loro terre. Lo riporta anche Polibio ma per lui accadde prima della battaglia del lago Vadimon. Nel testo di Appiano non è chiaro e potrebbe essere accaduto in seguito. Secondo Appiano, Dolabella fu ucciso nel 282 ac quando i Tarantino attaccarono e affondarono una piccola flotta di triremi sotto il comando di Lucio Valerio. O annegò, o fu fatto prigioniero e giustiziato in città.

        - Marco Cornelio Dolabella -
        pretore in Sicilia nel 211 ac.

        - Gneo Cornelio Dolabella -
        nominato rex sacrorum al posto di Marcus Marcius nel 208 ac, e ha ricoperto questo incarico fino alla sua morte nel 180.

        Lucio Cornelio Dolabella -
        duumvir navalis nel 180 ac.

        Gnaeus Cornelius Dolabella -
        console nel 159 ac.

        - Publio Cornelio Dolabella -
        padre del proconsole Lucio.

        - Gnaeus Cornelius Dolabella -
        messo a morte nel 100 ac, insieme con il tribuno Lucio Appuleo Saturnino.

        - Lucius Cornelius Dolabella -
        come proconsole nel 99 ac, sconfisse i Lusitani e ricevette un trionfo.

        Gnaeus Cornelius Dolabella -
        console nell'81 a.c. con Marco Tullio Decula, durante la dittatura di Silla. Probabilmente tribuno militare nell'89 a.c. divenne legato di Silla, al comando di una delle flotte di Silla nell'83 ac. Nell'82 ac., Dolabella partecipò alla Battaglia del Sacriportus e alla Battaglia della Porta delle Colline. Come leale luogotenente, Silla lo fece console nell'81 ac, ma i consoli erano solo nominali, poiché Silla aveva tutto il potere nelle sue mani.
        Nell'80 a.c., Dolabella fu fatto proconsole di Macedonia, fino al 78 ac. Nel 77 ac. ottenne un trionfo per le vittorie ottenute mentre era governatore dei Traci, ma poco dopo fu accusato di estorsione in Macedonia durante il suo mandato di governatore dal giovane Giulio Cesare e processato. Perseguito da Cesare, Dolabella fu difeso da Gaio Aurelio Cotta e Quinto Ortensio. Venne dichiarato non colpevole e assolto.

        Gneo Cornelio Dolabella -
        praetor urbanus nell'81 a.c., complice di Verres.

        - Publio Cornelio Dolabella -
        Urbanus pretore nel 67 a.c., e poi proconsole in Asia.

        Publio Cornelio Dolabella -
        console suffectus nel 44 a.c. e genero di Cicerone. (85-80 - 43 ac) era un generale di più importante dei Dolabellae. Si organizzò per essere adottato da un plebeo per diventare un tribuno plebeo. Sposò la figlia di Cicerone, Tullia. Per tutta la vita fu un estremo dissoluto, cosa che Plutarco scrisse non facesse onore al suo mecenate Giulio Cesare. Nelle guerre civili (49-45 ac.), Dolabella prese la parte di Pompeo, ma in seguito passò a Giulio Cesare, ed era presente quando Cesare vinse la battaglia di Farsalo (48 aEV). Come Tribuno per la Plebe nel 47 ac, Dolabella aveva sostenuto, per sfuggire alle richieste urgenti dei suoi creditori, un disegno di legge che proponeva la cancellazione di tutti i debiti. Cercò l'appoggio di Marco Antonio, ma i suoi compagni tribuni Gaio Asinio Pollione, console nel 40 ac. e Lucio Trebellio Fides consigliarono ad Antonio di non sostenere la misura. Antonio, che sospettava anche di essere stato ingannato da Dolabella, prese le armi contro di lui quando Dolabella occupò il Forum nel tentativo di usare la forza per far passare la legge. Al suo ritorno da Alessandria, Cesare, per rimuovere Dolabella da Roma, lo perdonò, e successivamente lo prese come uno dei suoi generali nella spedizione in Africa e in Spagna.
        Dopo che Cesare era tornato a Roma ed era stato eletto console per la V volta, propose al Senato che il suo consolato fosse trasferito a Dolabella. Antonio protestò e Caesare ritirasse la mozione. Successivamente, Cesare da dittatore proclamò direttamente il console di Dolabella. Antonio gridò che i presagi erano sfavorevoli e Cesare si ritirò nuovamente e abbandonò Dolabella. Alla morte di Cesare nel 44 a.c., Dolabella afferrò le insegne del consolato e, facendo amicizia con Marcus Junius Brutus e gli altri assassini, fu confermato nel suo ufficio. Quando, però, Marco Antonio gli offrì il comando della spedizione contro i Parti e la provincia della Siria, cambiò posizione. Il suo viaggio nella provincia fu segnato da saccheggi, estorsioni e l'assassinio di Gaius Trebonio, proconsole d'Asia, che si rifiutò di permettergli di entrare a Smirne. Nel 43 a.c., per conto del Senato, Cornelio Dolabella riconobbe Cesarione, il re-ragazzo. Dolabella fu quindi dichiarato nemico pubblico e sostituito da Cassio (l'assassino di Cesare), che lo attaccò a Laodicea. Quando le truppe di Cassio conquistarono il luogo (43 ac), Dolabella ordinò ad uno dei suoi soldati di ucciderlo.

        Publio Cornelio Dolabella -
        console nel 35 ac. Probabilmente discendente di Gneo Cornelio Dolabella, pretore urbano nell'81 ac. Sembra sia stato un monetario triumvir in Sicilia all'inizio della sua carriera. Nominato console suffectus nel 35 ac per sostituire Sesto Pompeo, non è noto fosse un partigiano di Ottaviano o di Marco Antonio. Forse fu anche il Dolabella che accompagnò Augusto in Gallia tra il 16 e il 13 ac. Si pensa che Dolabella abbia sposato un Quinctilia, una sorella di Publio Quintilio Varo, e che il loro figlio fosse Publio Cornelio Dolabella, che divenne console nel 10 dc..

        Publio Cornelio Dolabella -
        console nel 10 d.c. fu senatore, console nel con Gaius Junius Silanus come suo collega e e proconsole dell'Africa nel 23 e 24 d.c.. Dolabella è noto per aver ricostruito l' Arco di Dolabella (forse Porta Caelimontana) a Roma nel 10 dc., insieme con il suo collega Junius Silanus. Più tardi, Nerone lo usò per il suo acquedotto sulla collina di Celio. Nel 24 fu nominato proconsole della provincia dell'Africa (Tunisia), apparentemente pacificato dopo dieci anni di insurrezione. QInfatti Dolabella fdovette combattere, ma nonostante avesse solo la metà dei soldati del suo predecessore Dolabella, riuscì a costringere gli insorti a combattere, uccise il loro capo, Tacfarinas, e debellò l'insurrezione. Trasformò quindi le terre tunisine in campi coltivabili, che dovevano essere il granaio di Roma per i secoli a venire.

        Publio Cornelio Dolabella -
        console suffetto nel 55 d.c. con Seneca il Giovane come collega , visse durante il regno di Nerone
        Probabilmente il figlio di Publio Cornelio Dolabella, console in 10; e forse padre di Servio Cornelio Dolabella Petronio, console nell' 86.

        Gneo Cornelio Dolabella -
        fu messo a morte da Vitellio durante l'adesione dell'imperatore nel 69.

        Servius Cornelius Dolabella Petronio -
        console nell'86 d.c. ed ebbe come collega l'imperatore Domiziano. Era il figlio di Petronia e uno dei Cornelii Dolabella. Sua madre era stata precedentemente sposata con Aulus Vitellio, il futuro imperatore, mentre suo padre era stato adottato da Servius Sulpicius Galba, che Otho rovesciò nel 69 d.c., l'Anno dei Quattro Imperatori. Il padre di Petronio , che Svetonio chiama Gneo, fu messo a morte da Vitellio. Servio Cornelio Dolabella Metiliano Pompeo Marcello, console suffectus nel 113 d.c., è considerato figlio di Petronio. Se Petronio era il padre di Marcello, allora il padre, il nonno e il bisnonno di Petronio sarebbero stati chiamati Publio. Il padre di Petronio poteva essere lo stesso Cornelius Dolabella che era console suffectus nel 55 o 56 d.c., lo stesso Cornelius Dolabella che era stato inserito in un collegio sacerdotale, probabilmente il Salii Palatini, nel 38 o 39; alcuni studiosi deducono che era Publio e che era il padre di Petronio.
        - Cornelius Dolabella Veranianus -
         uno dei figli di vari senatori romani che furono nominati per servire i fratelli Arvali nel 105 d.c.

        - Servio Cornelio Dolabella Metiliano -
         padre o fratello del console del 113 d.c.

        - Servius Cornelius Dolabella Metilianus Pompeus Marcello -
        ARCO DI DOLABELLA
        console suffectus nel 113 d.c. con il collega Gaio Clodio Crispino; Marcello sostituì il console precedente Lucio Publio Celso, che si era dimesso alla fine di gennaio.
        Un'iscrizione di Corfinium, eretta dai cittadini per riconoscere Marcello come patrono di Corfinio, fornisce la praenomina dei suoi antenati paterni: Il padre di Marcello era "Servius", suo nonno "Publius", il suo bisnonno "Publio" e il suo bis-bisnonno "Publio". In base a ciò, Patrick Tansey identifica il padre di Marcello come Servius Cornelius Dolabella Petronianus, console nell'86; Il padre di Petronio era Publio Cornelio Dolabella, console nel 55, e suo nonno Publio Cornelio Dolabella, console nell'anno 10, e il suo bisnonno Publio Cornelio Dolabella, console nel 35 a.c. Tansey identifica anche la madre di Marcello come prima moglie di Petronio, Metilia, da cui Marcello ereditò gli ultimi tre elementi nel suo nome, Metiliano Pompeo Marcello. Infine, Tansey pensa che Dolabella Veranianus, uno dei Fratelli Arvali e figlio di Petronio dalla sua seconda moglie, Verania, fosse il fratellastro di Marcello.
        L'iscrizione di Corfinio fornisce anche il cursus honorum per Marcello. Iniziò nei tresviri monetalis (coniatori privati per concessione dello stato), la più prestigiosa delle quattro tavole che compongono i vigintiviri. Divenne poi membro di uno dei sacerdozi minori, i salii Palatini, riservato ai soli patrizi. Venne poi nominato questore dell'imperatore Traiano, diventando poi senatore. Qui l'iscrizione menziona Marcello era 'sevir equitum Romanorum' alla revisione annuale degli equites a Roma.
        In seguito divenne pretore e poi console. L'unico ufficio dopo il consolato su questa iscrizione è un altro sacerdozio romano, Flamen Quirinalis. Poiché l'iscrizione di Corfinio si riferisce a Traiano come divi Trajani Parthici, fu eretta dopo la morte di Traiano nel 117, quindi Marcello era vivo almeno fino a quell'anno. Perché nessun Cornelius Dolabella è registrato come vivente dopo Marcello, è probabile che fosse l'ultimo della sua famiglia.



        CORNELII MERENDAE

        Alcuni piccoli rami patrizi fiorirono durante la tarda Repubblica e i primi anni dell'Impero. I Cornelii Merendae fiorirono per circa un secolo, all'inizio del terzo secolo a.c. Il loro cognomen significa il pranzo di mezzogiorno e si trova anche nel patrizio Antonii.

        - Servius Cornelius Merenda -
        legato nel 275 ac sotto il console Lucio Cornelio Lentulo Caudino, che lo ricompensò per aver preso una città sannita. Fu poi console nel 274.

        - Publio Cornelio Merenda -
        candidato fallito al consolato nel 217 ac.

        - Gneo Cornelio Merenda -
        pretore in Sardegna nel 194 ac, e uno dei dieci ambasciatori inviati in Asia per negoziare e attuare il Trattato di Apamea nel 189 e 188.



        CORNELII BLASONES

        I Blasiones apparvero nello stesso periodo dei Merendae e prosperarono per circa 160 anni; il loro cognome era originariamente dato a chi balbetta.

        - Gneo Cornelio Blasio -
        console nel 270 e 257 ac con censore nel 265. Potrebbe essere stato Princeps Senatus negli anni '80 e nei primi anni '30.  Gaio Genucio Clepsina (figlio di Lucio) al suo II consolato - Gneo Cornelio, figlio di Publio,

        - Gneo Cornelio Blasio -
        pretore in Sicilia nel 194 ac.

        - Publio Cornelio Blasio -
         ambasciatore dei Carni  di Istri e di Iapide nel 170 ac e commissario straordinario nel 168.

        - Gnaeus Cornelius Blasio -
         triumvir monetalis circa 112 ac. 



        CORNELII CETHEGI

        Cethegus è un cognomen il cui significato e significato originale sono stati persi. I Cornelii Cethegi compaiono per la prima volta nella II metà del III secolo ac e furono descritti da Quinto Orazio Flaccus come cintuti Cethegi, per la loro pratica antiquata di indossare le braccia nude. Rimasero prominenti per i successivi due secoli.

        Marcus Cornelius Cethegus -
        (248 -196 ac) eletto console console nel 204 a.c. e censore durante la II Guerra Punica, meglio conosciuto come alleato politico del suo parente Scipione Africano. Aveva una grande reputazione di oratore ed Ennius lo definisce la quintessenza della persuasione (suadae midollo). Orazio lo definisce un'autorità sull'uso delle parole latine.
        Fu scelto come curule aedile nel 213 ac, con il suo giovane parente Scipione Africano come suo collega (sebbene Scipione fosse minorenne, di soli 22 o 23 rispetto ai richiesti trentacinquenni). Fu anche Pontifex sempre nel 213, che sostituì il morto Pontifice Massimo Lucio Cornelio Lentulo Caudino.
        Nel 211 ac, come pretore, fu incaricato della Puglia. Nel 209 ac, prima di essere console, fu eletto censore con Publio Sempronio Tuditanus. Durante la loro censura, Cethegus non era d'accordo con il suo collega su quale senatore dovesse essere eletto Princeps Senatus; Tuditanus aveva il diritto di scelta e scelse Quintus Fabius Maximus Verrucoses Cunctator, mentre Cetheo voleva che il censore più anziano Titus Manlius Torquatus fosse il Princeps Senatus.
        Nel 204 ac, fu eletto console, forse per aiutare il suo parente Scipione, poi andò in Africa. Nel 203 a.c. fu proconsole in Gallia, dove, insieme al pretore Publio Quintilio Varo, ottenne una durissima vittoria su Mago Barca, fratello di Annibale, nella battaglia dell'Insubria, e lo obbligò a lasciare l'Italia. Venne eletto pretore nel 200. Morì nel 196 ac. durante un'epidemia a Roma.

        Gaius Cornelius Cethegus -
        console nel 197 e censore nel 194 ac. Divenne proconsole in Spagna nel 200 ac e fu eletto edile in assenza. In Hispania sconfisse una forza ostile nel territorio dei Sedetani uccidendo 15.000 nemici. Come edile organizzò spettacoli magnifici. Durante il suo consolato nel 197 ac combatté con successo in Gallia Cisalpina contro gli Insubri e Cenomani e ottenne il trionfo dal Senato. Fu censore nel 194 ac. Insieme a Scipione Africano e Marco Minucio Rufo nel 193 ac, fece il commissario per mediare la fine della guerra tra Masinissa e Cartagine.

        Publio Cornelio Cethego -
        console nel 181 a.c. avendo come collega Marco Bebio, figlio di Quinto, Tamfilo. Figlio di Lucio Cethego, venne eletto curule edile nel 187 a.c., pretore nel 185 ac e console nel 181 ac. Durante il suo consolato venne scoperta la tomba del leggendario re Numa Pompilio. Sempre con il suo collega si guadagnò un trionfo per aver sottomesso i Liguri senza combattere alcuna battaglia. Nel 173 ac. Cethego venne incaricato come uno dei dieci delegati che dovevano dividere le terre liguri e quelle galliche in Italia.

        - Publio Cornelio Cethegus -
        pretore nel 184 ac.

        Marcus Cornelius Cethegus -
        console nel 160 ac. Nel 171 a.c. fu uno dei commissari inviati in Gallia Cisalpina per investigare sul perché il console Gaio Cassio Longino avesse abbandonato la sua provincia. Nel 169 a.c. venne nominato triumvir coloniae deducendae per l'estensione della colonia di Aquileia con nuovi abitanti.
        Nel 160 a.c. fu eletto console con Lucio Anicio Gallo e durante il suo consolato curò i lavori di bonifica di una parte delle Paludi Pontine. Nello stesso anno si svolsero i giochi funerari di Lucio Emilio Paolo Macedonico, con la rappresentazione dell'Adelphoe di Publio Terenzio Afro.

        - Lucius Cornelius Cethegus -
        sostenitore di un disegno di legge del tribuno Lucius Scribonio Libo per imputare Servio Sulpicio Galba nel 149 a.c.

        Publio Cornelio Cetheo -
        senatore, prima un sostenitore di Gaio Mario, ma quando Lucio Cornelio Silla tornò dall'Oriente dopo aver sconfitto Mitridate Eupatore, Cetheus abbandonò la causa dei popolari e si unì a Silla. (Appian, BC I. 60 62, 80.). Cethegus era noto per la sua famigerata vita cattiva e per l'inaffidabilità, ma nonostante tutto riuscì ad accumulare un grande potere e influenza dopo la morte di Silla, fino al punto che persino Lucio Licinio Lucullo fu costretto a citare in giudizio la concubina di Cethegus per usare il suo interesse in suo favore, quando cercò il comando contro Mitridate. (Cic. Parad. V. 3; Plut. Lucull., 5, 6; comp. Cic. Pro Cluent. 31).

        Gaius Cornelius Cethegus -
        Si schierò con Gaius Marius, poi con il nemico di Marius Silla e poi con Catilina nella cospirazione del 64 ac.. Il 3 dicembre 63 ac, Cicerone rese pubblica una nota dei cospiratori che incitavano la tribù gallica degli Allobrogi alla rivolta. Vi erano iscritti Cethegus (che l'aveva incautamente firmato di sua mano) ed altri cospiratori. Fu arrestato e trasferito al Tempio della Concordia, quindi messo agli arresti domiciliari nella casa di un fidato senatore, Quintus Cornificius. Gli alleati di Cicerone scoprirono un deposito di spade e pugnali nella casa di Cethegus per i cospiratori. Un dibattito al Senato sul tema se eseguire o meno i cospiratori si concluse con lo strangolamento di Cethegus e di altri nella prigione del Tullianum il 4 dicembre.

        - Cornelius Cethegus -
        un senatore che ha votato la morte di suo fratello, Gaio Cornelio Cetheo, per il suo ruolo nella cospirazione di Catilina.

        - Servio Cornelio Cetheo -
        padre di Servio, console del 24 d.c.

        - Servius Cornelius Cethegus -
        console nel 24 d.c.

        Marcus Gavius ​​Cornelius Cethegus -
        console nel 170 d.c. con il collega Gaio Erucius Clarus. Cethegus è meglio conosciuto per il suo folle comportamento durante il viaggio attraverso la Grecia romana.
        Figlio di Marco Gavius ​​Squilla Gallicanus, venne rieletto console nel 150. Forse Cethegus e sua sorella, Cornelia Cethegilla, non erano figli naturali, per Salomies "erano i bambini adottivi, non naturali di Squilla Gallicanus". Cethegus potrebbe essere il ragazzo che ha pronunciato il suo discorso iniziale davanti al senato romano, che è stato oggetto di una lettera che l'oratore Fronto ha scritto a suo padre, uno Squillus Gallicanus. Ma sia ​​il padre che il nonno di Cethegus hanno lo stesso nome: è possibile che la lettera potesse essere indirizzata al maggiore Gallicanus su suo zio Marcus Gavius ​​Orfitus, come alcuni hanno sostenuto. Cethegus servì come legatus o assistente per suo padre quando Gallicanus era governatore proconsolare dell'Asia, nell'anno 165. Suo zio, Orfitus, fu console lo stesso anno. Fu durante l'attraversamento della Grecia che il comportamento di Cetheo attirò il commento di Luciano sulla sua follia.



        CORNELII MAMMULAE

        I Cornelii Mammulae ebbero diversi pretori, cominciando ai tempi della II Guerra Punica, ma non raggiunsero mai il consolato e scomparvero dopo circa cinquanta anni. Il loro cognome è un diminutivo di mamma, o seno.

        - Aulus Cornelius Mammula -
        pretore all'inizio della seconda guerra punica nel 217 ac. Come propretore in Sardegna l'anno seguente, fece una petizione senza successo al Senato per denaro e rifornimenti per i suoi soldati.

        - Aulo Cornelio Mammola -
        pretore nel 191 ac, in seguito ricevette la provincia di Bruzio.

        - Publio Cornelio Mammola -
        pretore nel 180 ac, ricevette la provincia siciliana.

        - Marco Cornelio Mammola -
        uno dei quattro ambasciatori inviati a Perseo di Macedonia e Tolomeo VI d'Egitto nel 173 ac. 


         
        CORNELII MERULAE 

        Merula si riferisce a un merlo (ma merula è anche la mora, la bacca, che potrebbe indicare una voglia cioè un agioma sul viso). La famiglia che portava questo cognome iniziò nel II secolo ac e continuò per il secolo successivo. I Cornelii Cinnae furono l'ultima famiglia patrizia ad emergere nel tardo II secolo ac; rimasero fino ai primi decenni dell'Impero. 
         
        Lucius Cornelius Merula -
        praetor urbanus nel 198 ac e console nel 193 con Quintus Minucius Thermus. Ebbe come provincia la Gallia Cisalpina. Merula sconfisse totalmente i Galli Boian nel quartiere di Mutina. Ma poiché la sua vittoria costò cara ai romani, e gli ufficiali di Merula lo accusarono di negligenza nella sua marcia verso Mutina, il Senato gli rifiutò un trionfo al suo ritorno a Roma.

        Gneo Cornelio Merula -
        nominato legato dal Senato per risolvere una controversia che riguardava la sovranità di Cipro nel 162 ac.

        CORNELIO MERULA
        - Lucio Cornelio Merula -
        curule aedile nel 161 ac.

        - Lucio Cornelio Merula -
        Console suffectus nell'87 ac. Era stato eletto Flamen Dialis e portava sempre il berretto di flamen, a differenza degli altri sacerdoti che lo indossavano solo durante i sacrifici. Nell'87 ac, durante la guerra civile tra Mario e Silla, fu nominato console  al posto dell'alleato di Marius, Cinna, che era stato cacciato dalla città. Negoziò il ritorno di Cinna e Marius dall'esilio e abdicò al suo consolato. Gli vennero fatte false accuse durante le epurazioni di Marius dai suoi nemici politici, e per questo si suicidò, tagliandosi vene nel Tempio di Giove Capitolino e implorando gli Dei di vendicarlo su Cinna e i suoi alleati. Si era prima preoccupato di togliere il berretto di flamen, perché era considerato un peccato per un flamen portarlo nel momento della morte.
        La posizione di Flamen Dialis restò vacante finchè il nipote diciassettenne di Mario, Giulio Cesare, fu nominato per riempirlo nell'86 a.c. da Marius e Cinna. Tuttavia questa nomina fu annullata da Silla successivamente e la carica rimase vacante fino ad Augusto, secondo Dioniso all'11 ac, secondo Tacito al 15 ac.



        CORNELII SISENNAE 
         
        - Publio Cornelio Sisenna -
        pretore urbano nel 183 a.c.

        - Gneo Cornelio Sisenna -
        pretore in Macedonia nel 119 a.c., proconsole poi l'anno seguente.

        - Gneo Cornelio  Sisenna -
        triumvir monetalis tra il 118 e il 107 a.c.

        Lucio Cornelio Sisenna -
        pretore urbanus e peregrinus nel 78 a.c., allora forse governatore della Sicilia; era un sostenitore di Verres. Legato sotto Gneo Pompeo nel 67, durante la guerra contro i pirati, fu mandato a comandare l'esercito con base a Creta, ma morì poco dopo il suo arrivo. Sisenna era uno storico, il cui lavoro fu molto lodato da Cicerone e Sallustio.

        Cornelio Sisenna -
        legato in Siria nel 57 ac, servì sotto il suocero, Aulo Gabinio, il console dell'anno precedente. quando Gabinio fu perseguito per corruzione da parte di Caio Memmo, Sisenna supplicò Memmius per conto di Gabinio, ma senza risultato. 



        CORNELII CINNAE

        - Lucius Cornelius Cinna -
        console nel 127 a.c.

        - Lucius Cornelius Cinna -
        console in 87 (deposto), e dall'86 all'84 a.c.             

        Cornelia -
        a volte chiamata Cinnilla, o Cinna Minore, figlia del console dell'87 ac, e moglie di Gaio Giulio Cesare. (c. 97 -. c 69 ac) Fu la prima moglie di Cesare, e la madre della sua unica figlia, Julia. Cornelia era imparentata per nascita o matrimonio con molte figure influenti della tarda Repubblica. Cornelia era la figlia di Lucio Cornelio Cinna, uno dei politici più influenti a Roma durante il conflitto tra i generali Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla. Aveva tenuto il consolato per un periodo senza precedenti di quattro anni consecutivi, dall'87 all'84 a.c., quando fu ucciso in un ammutinamento di soldati. Durante questo periodo, si pose dalla parte di Mario, lasciando la sua famiglia esposta all'ira di Silla al suo ritorno nell'82.
        Da sua moglie, Annia, Cinna aveva avuto il figlio Lucio, e due figlie, Cornelia Major, che sposò Gneo Domizio Enobarbo e Cornelia Minore, che sposò Cesare. La moglie di Cesare veniva talvolta chiamata Cornelia Cinnae.
        Svetonio riferisce che Cesare e Cornelia si erano sposati dopo che Cesare aveva perso suo padre, cosa che avvenne nel suo sedicesimo anno. Nella cronologia di Svetonio, Cesare nacque nel 100 ac, ponendo la morte di suo padre nell'85 o nell'84. Così, probabilmente sposò Cornelia nell'83, quando aveva circa diciassette anni o poco meno. La loro figlia, Julia, era l'unico figlio legittimo di Cesare e l'unico riconosciuto.
        Il giovane Cesare fu uno di quelli a cui Silla rivolse la sua attenzione dopo essere tornato a Roma. Sebbene non avesse preso parte al governo di Marius e Cinna e non avesse fatto nulla per opporsi al ritorno di Silla, la zia di Cesare, Julia, era la moglie di Marius; suo cugino era il giovane Marius, che come console in 82 fu sconfitto da Silla, e si era tolto la vita mentre la città cadeva. Marius e Cinna avevano affidato il giovane Cesare a un importante sacerdozio e, sposando la figlia di Cinna, Cesare ottenne il controllo di una notevole dote. Silla considerò Cesare un potenziale rivale e gli ordinò di divorziare da Cornelia.
        Tuttavia, né la privazione del suo sacerdozio, la dote di Cornelia, né la sua stessa eredità, né la minaccia della violenza, avrebbero indotto Cesare a rinunciare alla moglie. Fu proscritto e fuggì da Roma evadendo la cattura cambiando continuamente sede, e in almeno una occasione corrompendo il comandante di una pattuglia inviata a cercare i nemici di Silla. Alla fine Silla cedette, in seguito all'intercessione di numerosi amici e parenti di Cesare, e Cesare tornò a casa da Cornelia.
        Dopo circa tredici anni di matrimonio, Cornelia morì all'inizio della questura del marito, avvenuta nel 69 o nel 68 a.c. Cesare doveva partire per la Spagna e aveva già pronunciato l'orazione funebre di sua zia, Julia, dai rostri, come era consuetudine per le vecchie matrone romane. Poi diede un'orazione in onore di Cornelia, che era straordinaria nel caso di una giovane donna, anche se in seguito divenne un luogo comune.

        Lucius Cornelius Cinna -
        pretore nel 44 e console suffectus nel 32 a.c. figlio del console Lucio Cornelio Cinna, sostenitore di Gaio Mario. Sua sorella Cornelia era la prima moglie del dittatore Giulio Cesare e lui era lo zio materno della loro figlia Julia Caesaris. Nel 78 ac, Cinna si alleò con Marco Emilio Lepido per rovesciare il dittatore Lucio Cornelio Silla.
        CORNELIO CINNA
        Prima di lasciare Roma, cercò l'appoggio di Giulio Cesare per la ribellione che non era imminente. Dopo la sconfitta e la morte di Lepido in Sardegna, Cinna andò in esilio, accompagnando Marcus Perperna Vento a unirsi al generale Quinto Sertorio in Spagna. Cesare fu in grado di richiamare Cinna dall'esilio a Roma per dargli degli incarichi.
        Sebbene Cinna disapprovasse il modo autoritario di governare di Cesare, non partecipò alla cospirazione contro Cesare del 44 ac; ma avendo pronunciato, il giorno prima dell'omicidio, un discorso contro Cesare, divenne un sospettato.
        Il giorno del funerale di Cesare, la popolazione era così furiosa che uccise il tribuno della plebe Helvius Cinna, pensando che fosse lui. Quando l'omicidio ebbe luogo, Cinna stava camminando nella processione funebre di Cesare. Durante il caos di questi eventi Cinna non approfittò per rivendicare una provincia da governare e Cicerone lo elogiò per questo. Nel 32 ac, Cinna pvenne nominato console. Dopo il 47 ac, sposò Pompeia Magna, la figlia di Pompeo e della sua terza moglie, Mucia Tertia. Questo era il primo matrimonio di Cinna e il secondo di Pompeia, il cui primo marito, Faustus Cornelius Silla, era morto in battaglia. Cinna divenne il patrigno del figlio di Pompeia dal suo primo matrimonio. Pompeia portava a Cinna due figli: Gneo Cornelio Cinna Magnus, e Cornelia Pompeia Magna. Sua moglie morì prima del 35 ac e al di là di questo non si sa più nulla.di Cinna.

        - Cornelio Cinna -
        questore di Publio Cornelio Dolabella contro Marco Giunio Bruto.

        Gnaeus Cornelius Cinna Magnus -
        console nell'anno 5. (nato tra il 47 e il 35 ac) figlio del console suffetto Lucio Cornelio Cinna e Pompeia Magna. Sua sorella era Cornelia Pompeia Magna. I suoi nonni materni erano Pompeo e Mucia Tertia, mentre i nonni paterni erano console Lucius Cornelius Cinna e una donna romana senza nome. Cinna è l'unico nipote di Pompeo che ha il nome di "Magnus".
        Cinna divenne un sostenitore di Marco Antonio. Venne promosso a un sacerdozio. Nel 16 ac, Cinna e Aemilia Lepida, la nipote del triumviro Marco Emilio Lepido furono coinvolte in una cospirazione contro l' imperatore Augusto. Cinna e Lepida furono le prime e le ultime persone perdonate dall'imperatore dopo aver cospirato contro di lui. In effetti, questa era notoriamente l'ultima cospirazione documentata contro Augusto. Cinna ha servito come console nel 5 d.c. e si dice che sia stato un caro amico e consigliere di Augusto fino alla sua morte.



        CORENELII BALBII

        Balbo, che come Blasio significa balbuziente, non era originariamente un cognome della gens Cornelia, ma fu adottato da un nativo di Gades, a cui fu concessa la cittadinanza romana da Gneo Pompeo Magno, come ricompensa per il servizio militare durante la Guerra contro Sertorio. Probabilmente prese il nomen Cornelius dopo Gneo Cornelio Lentulo, che ratificò l'atto facendo di Balbus un cittadino nel 72 ac. Alla fine raggiunse il consolato, ma la famiglia, che era plebea, scomparve dalla storia nei primi anni dell'Impero. 

        - Publio Cornelio Balbo -
        fratello del console del 40 a.c.

        Lucius Cornelius Balbo -
        proconsole d' Africa (provincia romana) nel 21 a.c., trionfò sui Garamanti. Detto Maggiore, fu un ricco banchiere ebreo di Gades (Spagna), che divenne un politico e uomo d'affari romano, importante sostenitore di Giulio Cesare e stretto consigliere di Augusto.

        LUCIO CORNELIO BALBO
        Servì in Spagna sotto Pompeo e Metello Pio contro Sertorio e per questo gli venne data la cittadinanza romana a lui e alla sua famiglia da Pompeo. Accompagnò Pompeo al suo ritorno a Roma nel 71 ac e fu uno dei suoi amici più intimi. Divenne poi grande amico di Giulio Cesare. Le amicizie personali di Balbo con Pompeo e Cesare furono determinanti nella formazione del Primo Triumvirato. Era un capo finanziere a Roma. Balbo prestò servizio sotto Cesare come ingegnere capo ( praefectus fabrum ) quando Cesare fu governatore in Ispania nel 61 a.c. e proconsole in Gallia nel 58 ac.Ebbe anche molti nemici, che nel 56 ac che accusarono lui e il triunvirato di aver ottenuto e concesso illegalmente la cittadinanza romana. Ma Cicerone, Pompeo e Crasso parlarono tutti a suo nome, e fu assolto. Durante la guerra civile, Balbo non prese parte aperta contro Pompeo, anche Balbo cenò con Cesare, Sallustio, Irzio, Oppio e Sulfizio Rufus la notte dopo la sua famosa traversata sul fiume Rubicone in Italia, il 10 gennaio del 49 ac. Cercò di convincere Cicerone a mediare tra Cesare e Pompeo, per impedirgli di schierarsi definitivamente com Pompeo, e Cicerone per un po' si convinse.
        Balbo si legò a Cesare e, in congiunzione con Oppio, gestì l'insieme degli affari di Cesare a Roma. Successivamente, Balbo divenne segretario privato di Cesare, e Cicerone fu costretto a chiedere il suo buon ufficio con Cesare. Dopo l'assassinio di Cesare nel 44 ac, Balbo ottenne ugualmente il successo di Ottaviano; nel 43 o nel 42 ac fu priore e nel 40 ac divenne il primo cittadino romano naturalizzato a raggiungere il consolato. Balbo teneva un diario degli eventi principali nella sua e la vita di Cesare (Ephemeris), che è stata persa (Svetonio - Cesare - 81). Si è preso cura che i Commentari di Cesare sulla Guerra Gallica fossero continuati; e di conseguenza l'VIII libro dei Commentarii de Bello Gallico (che fu probabilmente scritto dal suo amico Hirtius su sua istigazione) è dedicato a lui.



        CORNELII GALLI

        Un altro cognome plebeo dei Cornelii era Gallo, conosciuto da Gaio Cornelio Gallo, il poeta Il suo cognome ha significato la sua origine gallica.

        Cornelio Gallo -
        L'identità del presunto luogo di nascita di Gallo, Forum Iulii, è ancora incerta e si basa sull'epiteto "Foroiuliensis" che S. Girolamo (347 - 420) gli ha dato. In epoca romana, c'erano molti luoghi con questo nome. Nel XX secolo, Ronald Syme prese in considerazione Fréjus e Cividale del Friuli, entrambi chiamati una volta Forum Iulii, optando per il primo. Jean-Paul Boucher optò invece il Forum Iulii Iriensium (Voghera). 
        CORNELIO GALLO
        Di famiglia plebea, ma non così povera, tanto che Gallo si trasferì a Roma da ragazzo ed ebbe lo stesso maestro di Virgilio e Varius Rufo. Virgilio, che era in debito con Gallo per l'influenza che ebbe nella restituzione della sua tenuta, gli dedicò una delle sue egloghe (X). Anche l' erotica Pathemata di Parthenio di Nicea fu dedicata a Gallo che godeva di un'alta reputazione tra i suoi contemporanei come intellettuale, e Ovidio (Tristia, IV) lo considerava il primo dei poeti elegiaci di Roma.
        Scrisse quattro libri di elegie principalmente sulla sua amante Lycoris (un nome poetico per Cytheris, una famosa attrice), in cui prese come modello Euforione di Chalcide e tradusse alcune opere di questo autore in latino. Viene considerato un maestro nell'elegia latina dell'amore e un'ispirazione per Properzio, Tibullo e Ovidio. Purtroppo di lui non è sopravvissuto quasi nulla, se non un pentametro ("uno tellures diuidit amne duas") ma, nel 1978, fu trovato un papiro a Qasr Ibrim, nella Nubia egiziana, contenente nove linee di Gallo, probabilmente il più antico manoscritto sopravvissuto della poesia latina.
        I frammenti di quattro poesie a lui attribuite e pubblicati per la prima volta da Aldo Manuzio nel 1590 e stampati in Anthologia Latina (1869) di Alexander Riese, sono generalmente considerati un falso; e altrettanto l'attribuzione di Pomponio Gaurico dei versi elegiaci di Massimiano.
        Gli studiosi credettero che la sua poesia fosse di poco inferiore a quella di Virgilio. Il classicista Tenney Frank dichiarò celebre nel 1922: "Cosa non baratteremo di tutte le epopee di imperi sesquipedali dell'impero per alcune pagine di Cornelio Gallo, mille per ciascuna!"
        Le scoperte di Qasr Ibrim ci hanno dato nove linee di Gallus e uno di loro menziona Lycoris, "rattristato, Lycoris, dal tuo comportamento sfrenato", confermando l'identità dell'autore.
        Probabilmente una volta si trovavano all'inizio di un poema che rendeva omaggio a Giulio Cesare poco prima del suo assassinio, alla vigilia della sua campagna proiettata contro i Parti:
        "Fata mihi, Caesar, tum erunt mea dulcia, quom tu / maxima Romanae pars eris historiae / postque tuum reditum multorum templa deorum / fixa legam spolieis deivitiora tueis".
        "Mi considererò benedetto dalla fortuna, Cesare, quando diventerai la più grande parte della storia romana; e quando, dopo il tuo ritorno, ammirerò i templi di molte divinità adornate e arricchite del tuo bottino".
        Un secondo, incompleto, blocco di quattro linee sembra essere indirizzato a Lycoris. Finché le piacciono i suoi versi, Gallus può ignorare qualsiasi critica malevola di Publio Valerio Catone e Viscus:
        "Finalmente le Muse hanno fatto delle canzoni che posso pronunciare degne della mia signora. Finché. . . [ti piacciono] non ho paura di essere giudicato da te, Viscus,. . . né da te, Catone ».
        Nella vita politica Gallo fu dalla parte di Ottaviano e come premio venne nominato prefetto dell'Egitto (Svetonio, Augusto, 66). Nel 29 ac, Cornelius Gallus condusse una campagna per sottomettere una rivolta a Tebe ed eresse un monumento a Philae per glorificare le sue realizzazioni. Tuttavia la condotta di Gallo non piacque all'imperatore che nominò un nuovo prefetto. Dopo il suo richiamo, Gallo si suicidò ( Cassius Dio, lV 23 ).



        ALTRI CORNELII DURANTE LA REPUBBLICA

        Publio Cornelio Calussa -
        eletto pontifex maximus circa 330 a.c., senza aver prima detenuto alcuna delle curule magistrature.

        - Gneo Cornelio -
        installato come flamen dialis nel 174 a.c..

        - Gaio Cornelio -
        Un senatore nel 129 a.c.. Probabilmente figlio di Marco Cornelio Ceteo, console nel 160, poiché i Cethegi erano gli unici Cornelii a usare il praenomen Gaius in quel momento.

        - Lucius Cornelius -
        Un senatore nel 129 a.c.. Pur avendo la stessa filiazione, i due senatori di 129 non erano direttamente collegati, dato che Lucio apparteneva al tribù Romilia e Gaio era di Stellatina.

        - Cornelio -
        scriba nella dittatura di Silla, e questore durante quello di Cesare.

        - Cornelius Phagita -
        Cornelio per conto di Silla cercava Cesare, proscritto dal dittatore, per ucciderlo nell'82 ac.. Cesare riuscì a persuaderlo a lasciarlo andare corrompendolo con due talenti (equivalente a 30 kg d'argento, oggi a 470 euro)

        Lucius Cornelius Alexander Polyhistor -
        ALEXANDER POLHISTOR
        liberto di origine greca, studioso, tutore e scrittore di storia e geografia della prima metà del I secolo a.c. Detto anche Alessandro di Mileto, fu uno studioso greco schiavizzato dai Romani durante la guerra di Mitridatica e portato a Roma come tutore. Dopo la sua liberazione, continuò a vivere in Italia come cittadino romano. Era uno scrittore così produttivo da guadagnarsi il cognome come polihistor (molto dotto). La maggior parte dei suoi scritti sono perduti, ma i frammenti che rimangono danno varie notizie sul Mediterraneo orientale. Tra le sue opere c'erano resoconti storici e geografici di quasi tutti i paesi del mondo antico, e il libro Sui Giudei ci ha edotto di molte opere che altrimenti ignoreremmo.
        Secondo la Suda (enciclopedia bizantina del X secolo) Alessandro fu allievo di Casse di Mallus e di Milesiano, mentre Stephanus di Bisanzio afferma fosse originario di Cotiaeum a Lesser Frrygia e figlio di Asklepiades, mentre l' Etymologicum Magnum è d' accordo nel chiamarlo Kotiaeus. È possibile che due diversi Alexandroi siano stati fusi o confusi. Divenne prigioniero di guerra, fu venduto come schiavo a Cornelio Lentulo come pedagogo e in seguito fu liberato. Come liberto romano il suo nome era Cornelio Alessandro. Il nomen potrebbe provenire dal Cornelii Lentuli o da Silla Felice, avendo ricevuto la cittadinanza da Silla. Morì a Laurentum in un incendio che consumò la sua casa, e sua moglie Helene secondo la Suda si impiccò per il dolore.
        Alessandro scrisse quarantadue libri di resoconti storici e geografici di quasi tutti i paesi del mondo, tra cui cinque libri su Roma, l' Aigyptiaca (almeno tre libri), Sulla Bitinia, Sul Mare Euxino, Su Illyria, Indica e una Storia Caldea. Un altro lavoro riguarda gli ebrei, riproducendo in parafrasi brani rilevanti di scrittori ebrei, dei quali non si saprebbe nulla altrimenti. Come filosofo, Alessandro scrisse Successions of Philosophers. Delle opere di Alessandro sopravvivono solo citazioni e parafrasi, in gran parte nelle opere di Diogene Laerzio e in Eusebio nella sua Cronaca Caldea.
        Nella sua compilazione ebraica e non, le fonti ebraiche sono citate indiscriminatamente l'una accanto all'altra; Il poeta epico Philo, il tragico scrittore Ezechiele, lo storico Eupolemo, il cronista Demetrio, Artapanus, lo storico Aristeas e Teodoto il samaritano, il retore Apollonio Molon (scrittore antiebraico) - tutti questi autori sono noti ai posteri solo attraverso estratti delle loro opere che Alexander ha incarnato alla lettera nella sua. Di certo interesse per la storia antica degli ebrei è il suo racconto di Assiria - Babilonia, spesso attirato da autori ebrei e cristiani; in esso vengono dati estratti, specialmente da Beroso, e anche dalle Cronache di Apollodoro e dal Terzo Libro dei Sibillini. Giuseppe si servì dell'opera, e anche Eusebio nelle sue Cronache. Probabilmente solo il racconto di Alessandro del Diluvio è tratto da Beroso, mentre il suo resoconto della Confusione delle Lingue è di origine ebraico-ellenica. Un altro suo lavoro sembra contenere informazioni considerevoli sugli ebrei. Ciò che Eusebio cita sembrerebbe essere stato preso da questo lavoro, che non esiste più, se non indirettamente attraverso Giuseppe Flavio. Si può notare che Alessandro menziona due volte la Bibbia, che conosceva superficialmente, come risulta dalla sua curiosa affermazione che la Legge degli Ebrei era stata data loro da una donna di nome Moso , e che la Giudea ricevette il suo nome da Giuda e Idumea, figli di Semiramide.
        Il testo dei frammenti conservati è in una forma insoddisfacente, a causa dell'insufficiente confronto dei manoscritti. Quanto dei suoi originali che lo stesso Alessandro ha omesso è difficile da dire, in considerazione dello stato corrotto del testo di Eusebio, in cui si trovano la maggior parte dei suoi frammenti. Abydenus, l' editore cristiano delle opere di Alessandro, evidentemente aveva davanti a sé un testo diverso da quello che possedeva Eusebio.

        - Gaio Cornelio -
        un questore al servizio di Pompeo, fu tribuno della plebe nel 67 a.c..

        - Publio Cornelio -
        tribunus plebis nel 51 a.c..

        - Cornelio -
        un centurione dell'esercito di Ottaviano nel 43 a.c., inviato a Roma per chiedere il consolato per il loro generale.



        ALTRI CORNELII DELL'IMPERO

        - Cornelio Tlepolemus - (falso Cornelio)
        un pittore di Cibyra in Caria (Sicilia), che entrò al servizio di Verres. Cicerone lo chiamò uno dei cani da caccia di Verres. (I sec. a.c.) Cicerone lo ricorda insieme al fratello Hieron profugo da Kibyra per sospetto di sacrilegio; i due erano venuti dall'Asia al seguito di Verre, che li aveva assoldati per rintracciare opere d'arte in Sicilia (In Verrem). Dei due artisti ricordati insieme è incerto quale fosse il pittore e quale modellatore in cera, cioè toreuta: Cicerone li comprende in una espressione di disprezzo volutamente ambigua, da cui si ricaverebbe che il pittore era Hieron, ma Tlepolemus è detto esplicitamente pictor, dove si ricorda che aveva assunto arbitrariamente il nome di Cornelius senza avere la cittadinanza romana. Dei due, il cesellatore deve aver collaborato con altri vasai e toreuti raccolti da Verre in Sicilia, alla fabbricazione di coppe e vassoi d'oro in cui erano montati gli emblemata tratti dal vasellame trafugato.

        Cornelius Nepos -
        storico e contemporaneo di Cicerone. (110 - 25 ac) Un biografo nato a Hostilia (Ostiglia), un villaggio nella Gallia Cisalpina non lontano da Verona, amico di Catullo, che gli dedicò le sue poesie, di Cicerone e di Tito Pomponio Attico. Eusebio di Cesarea (IV sec.) lo colloca nell'anno 4 del regno di Augusto, quando iniziò ad attrarre la critica con la sua scrittura. Plinio il Vecchio osserva che morì sotto il regno di Augusto (Storia Naturale IX.39, X.23). Quasi tutti gli scritti di Nepos sono andati perduti, ma molti accenni a loro sopravvivono nelle opere di altri autori: 
        - Catullo allude alla "Chronica", un'epitome della storia universale, nella sua dedica a Nepos.
        - Ausonio lo menziona anche nella sua XVI Lettera a Probo,
        - Aulo Gellio nelle Noctes Atticae (XVII.21). "Probabilmente un riassunto cronologico che includeva la storia delle nazioni esterne e di Roma", si pensa sia stato scritto in tre libri e conteneva probabilmente "modelli di imitazione, tratti dai primi romani, la cui semplicità contrastava con il lusso" dell'era di Nepos."
        - lettere a Cicerone;
        - vita di Catone il Vecchio; Una biografia completa di Catone il Censore, dal quale Aulo Gellio disegna un aneddoto di Catone (IX.8).
        - De viris illustribus, vite parallele di illustri romani e stranieri, in sedici libri.
        - Epistulae ad Ciceronem, un estratto di cui sopravvive Lactantius ( Divinarum Institutionum Libri Septem III.15).
        - Plinio il giovane menziona versi scritti da Nepos.
        La sua unica opera superstite è l' Excellentium Imperatorum Vitaece è solo una parte del "De Viris Illustribus" di Nepos, "contenente originariamente" descrizioni di re, generali, avvocati, oratori, poeti, storici e filosofi stranieri e romani ". Apparve nel regno di Teodosio I, come opera del grammatico Emilio Probo, che lo presentò all'imperatore con una dedica in versi latini. Afferma che è stato il lavoro di sua madre o suo padre (i manoscritti variano) e suo nonno. Nonostante le ovvie domande (come il perché la prefazione indirizzata a qualcuno di nome Atticus quando il lavoro era presumibilmente dedicato a Teodosio), nessuno sembrava aver dubitato della paternità di Probus. Alla fine Peter Cornerus ha scoperto in un manoscritto delle lettere di Cicerone le biografie di Catone e Attico. Li ha aggiunti alle altre biografie esistenti, nonostante il fatto che lo scrittore parli di se stesso come un contemporaneo e amico di Attico, e che il manoscritto portava il libro ultimo di Cornelio Nipote. Finalmente l'edizione di Dionisio Lambinus del 1569 recava un commento che dimostrava sul piano stilistico che il lavoro doveva essere solo di Nepos, e non di Emilio Probus. Oggi si pensa opera di Nepos, ma che Probus abbreviasse le biografie quando aggiungeva la dedica dei versi. La vita di Attico, tuttavia, è considerata la composizione esclusiva di Nepos.

        Cornelio Severo -
        AULO CORNELIO CELSO
        poeta epico ai tempi di Augusto, menzionato a Quintiliano e Ovidio. Quintiliano attesta un'epopea sulle guerre siciliane, Bellum Siculum, e Ovidio si riferisce a un lungo poema sugli antichi re di Roma, che potrebbero essere Res Romanae, che esiste solo nelle citazioni di altri autori. Seneca ne citò venticinque righe sulla morte di Cicerone, che si trova nell'Oxford University Press Oxford Book of Latin Verse (1912 ed.). 

        Aulo Cornelio Celso -
        celebre scrittore latino in medicina, probabilmente durante la prima parte del I secolo dc.

        - Cornelio Toscano -
        uno storico di cui parlava Lucio Annae Seneca, che accusò Mamercus Emilio Scauro di majestas nel 34 d.c.

        Cornelio Fusco -
         generale romano e sostenitore di Vespasiano.

        - Cornelio Fusco -
         probabilmente figlio del generale, scritto dal giovane Plinio.

        - Cornelio Martialis -
        servito nell'esercito di Tito Flavio Sabino, e perito nel rogo del Campidoglio, nel 69 d.c.

        Cornelius Laco -
        prefetto della Guardia Pretoriana sotto l'imperatore Galba, dal 68 fino alla sua morte, il 15 gennaio del 69. Laco aveva aderito in seguito al suicidio del precedente imperatore Nerone, sostituendo Gaius Ophonius Tigellinus come capo della Guardia.
        Galba, ormai vecchio, era nelle mani di Laco, di Tito Vinius,  console collega di Galba, e del liberto di Galba, Icelus Martianus. Per questo il nuovo imperatore così impopolare, che il 15 gennaio 69 Marcus Salvius Otho fu proclamato Imperatore al suo posto. Galba fu assassinato e Laco bandito su un'isola dove fu poi assassinato dai soldati di Otho.

        Publio Cornelio Tacito -
        uno dei più celebri tra gli storici romani, che raccontò il I sec. dell'Impero.

        - Aulo Cornelio Palma Frontonio -
        console nel 99 e 109 d.c., legato pretoriano al governatore d'Asia sotto Domiziano. nel 99 divenne governatore della Hispania Tarraconensis, poi della Siria e sotto Traiano, annessa Nabatea nel 106, contribuì a creare la provincia romana dell'Arabia Petraea. Nel 109 console una seconda volta.
        Fu apprezzato da Traiano per le sue capacità amministrative e militari, meno da Adriano che lo fece mettere a morte nel 118, dopo la morte dell'imperatore.

        - Servio Cornelio -
        LUCIO CORNELIO PUSIO
        giurista ai tempi di Adriano (117-138).

        Lucio Cornelio Pusio Annius Messalla -console suffectus nel 72 o 73 d.c. collega di Plotius Pegasus. Originario di Gades, con residenza a Tibur. Senatore sotto la dinastia dei Flavi, prima un "quatraviri viarum curandorum", poi tribuno militare con la Legio XIV Gemina di stanza nella Britannia romana, poi questore, tribuno plebeo e pretore, comandante della Legio XVI Flavia Firma, "'epulonum Septemviri ", governatore proconsolare dell'Africa o dell'Asia

        Lucio Cornelio Pusio Annius Messala -
        console nel 90 d.c. e figlio dell'omonimo console. Sostituì l'imperatore Domiziano come console sufficiente dal 13 gennaio alla fine di febbraio.del 90.

        Quinto Cornelio Senecio Anniano -
        console suffectus nel 142 d.c. Suo fratello, Proculo, fu console quattro anni dopo. Senatore sotto Antonino Pio, attestato da una singola iscrizione di Carteia in Hispania Baetica. Questore, tribuno della plebe e pretore, console, curatore della Via Latina, comandante della Legio VII Gemina in Hispania Tarraconensis, sacerdote di Ercole, di nuovo a Roma come curatore della Via Appia, governatore della Bitinia e del Ponto.

        Marco Cornelio Frontone -
        (100 - 60) famoso oratore e console suffectus nel 143 d.c. .con Gaio Laberio Prisco come collega, noto come Fronto, era un grammatico romano, un retore e un oratore. Nacque a a Cirta in Numidia. Antonino Pio lo nominò precettore dei suoi figli adottivi, Marco Aurelio e Lucio Vero. Declinò il proconsolato dell'Asia per motivi di salute. I suoi ultimi anni furono amareggiati dalla perdita di tutti i suoi figli eccetto una figlia. Forse morì di peste. .

        Quinto Cornelio Proculo -
        fratello di Anniano, fu console suffectus nel 146 d.c., forse originario della Hispania Baetica. Il nome intero fu Lucius Stertinius Quintillianus Acilius Strabo Quintus Cornelus Rusticus Apronius Senecio Proculus, in quanto adottato da un Lucio Sterlinio Quintilliano Acilio Strabone, attestato in un'iscrizione creata dalle sue figlie Cornelia Procula e Cornelia Placida. Fu proconsole d'Asia.

        Quinto Cornelio Quadrato -
        IULIA CORNELIA PAULA
        console nel 147 d.c. con il collega Cupressenus Gallus, e fratello dell'oratore. Senatore e comandante della Legio III Augusta in Nord Africa, che lo rese governatore effettivo della Numidia.

        - Gneo Cornelio Severo -
        Nome intero Manio Acilio Glabrione Gneo Cornelio Severo, console nel 152 d.c., sposò Arria Plaria Vera Priscilla.

        Julia Cornelia Paula -
        imperatrice e prima moglie dell'imperatore Elagabalo, dal 219 al 220 d.c., da cui ricevette il titolo onorifico di Augusta e il nome di famiglia "Julia". Poi Elagabalo divorziò da Cornelia Paula per sposare la Vestale Vergine Aquilia Severa e rimosse a Paula il titolo Augusta. Poiché non avevano figli, Cornelia si ritirò dalla vita pubblica e non si sa più nulla di lei.

        Tito Cornelio Celso -
        uno dei Trenta Tiranni (romano) enumerato da Trebellius Pollio nella storia augustea. Secondo alcuni fu un usurpatore che si ribellò contro Gallieno, secondo altri è un'invenzione dell'Historia Augusta. Venne improvvisamente proclamato imperatore da Vibius Passienus, proconsole della provincia africana, e da Fabio Pomponiano, generale della frontiera libica, ma dopo soli sette giorni venne assassinato e il suo corpo venne gettato ai cani..

        Publio Cornelio Saecularis -
        console intorno al 240 d.c. e di nuovo nel 260.

          QUINTO PETILIO CERIALE - Q. PETILIUS CERIALIS

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          LA CLEMENZA DI CERIALE

          Nome: Quintus Petilius Cerialis o Cerealis
          Nascita: 29 d.c.
          Morte: 83 d.c.
          Gens: Petilia
          Professione: Generale genero di Vespasiano
          Consolati: 70, 83


          Ceriale nacque probabilmente in Umbria dal senatore Petilio Rufo; suo fratello più grande potrebbe essere stato Cesio Nasica, che tra il 52 e il 57, al tempo del governatorato in Britannia di Aulo Didio Gallo, sconfisse Venuzio della tribù dei Briganti. Probabilmente fu il figlio del senatore Petilius Rufus, che accusò un amico del principe romano Germanico nel 28 d.c..

          Sposò Flavia Domitilla Minore, la figlia di Vespasiano morta prima del 1º luglio 69, più giovane di lui di almeno dieci anni. Ebbero due figli, Gaio Petilio Firmo, ufficiale della Legio IIII Flavia Felix, e Quinto Petilio Rufo, console nell'83. Ceriale era molto noto per essere un donnaiolo, ed ebbe molte avventure anche durante le sue imprese militari.



          IN BRITANNIA

          Non sappiamo nulla sulla sua carriera giovanile, tranne che fu legato della IX legio Hispana nel 60, durante il governo di Gaio Svetonio Paolino (console e militare romano, famoso per aver sedato la ribellione della regina Boudica - 60/61).

          Questa unità stazionò in due accampamenti, a Longthorpe e a Newton-on-Trent (dove recentemente è stato scoperto un castrum, accampamento romano). Secondo le fonti, questa soffrì pesanti perdite, circa un terzo della sua unità, durante la rivolta della Regina Boudicca.

          I comandanti delle legioni erano di solito ex pretori e, come tali, dovevano essere all'età di trent'anni. Pertanto, Cerialis doveva avere  29 anni, e avere almeno dieci anni in più di sua moglie Flavia Domitilla. Questa era la figlia di Tito Flavio Vespasiano, un generale romano di successo che aveva svolto un ruolo importante nell'invasione romana della Gran Bretagna (nel 43) ed era stato console nel 51. Domitilla era morta prima del 1° luglio del 69, giorno in cui suo padre fu proclamato imperatore in Giudea.

          CERIALE A BATAVIA

          ANNO DEI 4 IMPERATORI

          Gli anni 68-70 videro cinque imperatori: Nerone fu costretto al suicidio nel giugno del 68 e succeduto dal vecchio senatore Galba; il comandante dell'esercito del Reno, Vitellius, si ribellò contro Galba, che fu ucciso dai soldati di Otho (gennaio 69); Otho fu sconfitto dall'esercito di Vitellius, a sua volta sconfitto dall'esercito del Danubio, che si era schierato con Vespasiano di Giudea (ottobre 69). 

          Nel frattempo, le province lungo il Reno, Germania Superiore e Germania Inferiore, si ribellarono (69 agosto), e un Julius Sabinus si era dichiarato imperatore (70 gennaio). Cerialis aveva pertanto un compito non indifferente.

          Durante la guerra civile seguita alla morte di Nerone nel 68, le legioni del Danubio, comandate da Antonio Primo, si erano schierate con Vespasiano, invasero l'Italia e sconfissero l'esercito di Vitellius (15 - 69). 

          Ma quest'ultimo malgrado la sconfitta nella II battaglia di Bedriaco (24 ottobre 69) era ancora potente a Roma, e la maggior parte dei parenti di Vespasiano lasciarono Roma. tra questi Ceriale, che si era travestito da contadino, ed era fuggito da Roma verso l'Appennino.



          L'AMICO DI VESPASIANO

          Sull'Appennino Ceriale riuscì a mettere insieme una piccola forza irregolare che riuscì ad occupare la Campania, l'importante regione a sud di Roma. Mentre il suo esercito di quasi 1.000 cavalieri, aveva preso contatto con le legioni di Marco Antonio Primo, favorevoli a Vespasiano, e stava avanzando rapidamente verso Roma, un altro parente di Vespasiano, Flavio Sabino, occupò il Campidoglio, ma fu sconfitto e giustiziato. 

          "Gli eserciti di Antonio e Ceriale arrivarono troppo tardi, e quest'ultimo venne ritenuto da alcuni responsabile della lentezza con cui questa si mosse verso la capitale. Giunto a Roma poi, credendo di avere davanti a sé un nemico già allo stremo, affrontò una unità mista di cavalleria e fanteria che al contrario di lui conosceva bene la zona, e che mise in rotta la cavalleria di Ceriale.
          Il comandante di un reggimento, Julius Flavianus, fu catturato, il resto subì un'ignominiosa disfatta, anche se i vincitori non continuarono l'inseguimento oltre Fidenae."
          (Tacito, Storie, 3.79)

          Nonostante tutto ciò le legioni riuscirono ad occupare Roma il giorno dopo. Vitellius fu ucciso nei pressi del Senato e la città fu saccheggiata. Non conosciamo il ruolo di Cerialis, ma Vespasiano lo ricompensò per il suo ruolo nella guerra civile con un consolato negli anni '70, forse in marzo e aprile, il che significa che suo genero aveva combattuto bene.

          BATTAGLIA NAVALE DEI ROMANI CONTRO I BATAVIANI

          L'ABILITA' DI CERIALE

          Diversi storici gli hanno dato addosso, ritenendolo una specie di raccomandato di Vespasiano in quanto suo genero. Una critica su cui non concordiamo per i seguenti motivi:

          1) Vespasiano non era tenero neppure coi figli quando si trattava di combattere. Mandò Tito a sconfiggere gli ebrei in una impresa difficilissima. figuriamoci se era indulgente col genero.

          2) Vespasiano aveva conosciuto Ceriale nelle guerre britanniche e se aveva stretto amicizia con lui era perchè aveva apprezzato le sue ottime capacità di generale e la sua lealtà, al punto che poi gli aveva concesso la mano di sua figlia.

          3) Le figlie venivano sposate in genere per ragioni di ottenimento di favori, ma non era il caso di Ceriale che aveva lo stesso ruolo di Vespasiano ma meno ascendente sulle truppe. E' evidente che il futuro imperatore aveva gli concesso di sposare sua figlia unicamente per stima e amicizia.

          4) Ceriale potè rifiutare (come si vedrà oltre) la richiesta di Domiziano di cedergli il comando delle truppe in quanto sicuro dell'amicizia di Vespasiano, che conosceva sia Petilio che suo figlio, apprezzando di più il primo.



          LA RIVOLTA BATAVA

          Intanto sul confine del Reno, da cui Vitellius aveva portato con sé gran parte degli eserciti della Germania Superiore e della Germania Inferiore, ferveva la rivolta. I Bataviani del Basso Reno, si erano rivoltati nel 69 - 70, insieme ai Trevirani e Sequani (nelle valli della Mosella e del Doubs) e avevano proclamato imperatore Giulio Sabino.

          Ceriale venne inviato dall'imperatore in Germania inferiore a sedare la rivolta del principe romanizzato Gaio Giulio Civile (Vespasiano aveva ancora un potere incerto) e che aveva vinto ben quattro legioni romane. E' chiaro che Vespasiano riponeva grande fiducia in lui.

          TOMBA DI UN CANNANEFATE
          Petilio, a capo delle legioni VIII Augusta, XI Claudia, XIII Gemina, XXI Rapax e II Adiutrix, traversò le Alpi, approfittando della mancata guardia dei valichi riunendosi ancora con le truppe della Britannia, un distaccamento della XIIII Gemina, e dalla Hispania, oltre alla I Adiutrix e alla VI Victrix.

          Sembra che Domiziano, il figlio di Vespasiano, chiedesse a Ceriale il comando delle legioni che stavano sconfiggendo Civile onde gloriarsi una vittoria in realtà già ottenuta da Ceriale, o forse per prendere il potere. Ceriale rifiutò, scartando la richiesta come la fantasia di un ragazzo. 

          Nel 70, Julius Civilis aveva raccolto Frisi, Cananefati, Cugerni di Xanten, Ubiani di Colonia, alcuni Tungriani di Tongeren, Nerviani, e nel sud, Lingoni e Treviriani. 

          Da quando Civile aveva attaccato Xanten, era certo che i romani gli avrebbero inviato contro un forte esercito.

          Ceriale, prima di essere stato il genero di Vespasiano, era stato suo compagno nella guerra britannica, dove aveva già incontrato Giulio Civile.

          "La forza di spedizione era costituita dalla vittoriosa VIII legione Augusta, dall'XI Claudia e dalla XIII Gemina, dalla XXI Rapax (che era stato uno dei sostenitori di Vitellius) e, tra le legioni recentemente reclutate, dalla II Adiutrix. 

          Tutte queste legioni furono guidate attraverso le Alpi dai passi del Gran San Bernardo e del Mont Genevre, anche se parte dell'esercito prese il Piccolo San Bernardo. La XIV legione Gemina fu convocata dalla Gran Bretagna, e la VI Victrix e la I Adiutrix dall'Ispania". 

          (Tacito, Storie, 4,68)

          Non tutte queste legioni combatterono. L'VIII si recò dall'Italia a Strasburgo a protezione dell'attraversamento del Reno. L'XI fu lasciata a Vindonissa (Windisch) in Germania Superiore. Le legioni britannica e le due legioni spagnole dovettero prima combattere alcune rivolte in Gallia.

          Pertanto, per i denigratori di Ceriale, secondo cui Vespasiano gli avrebbe assurdamente concesso un grande esercito perchè lo riteneva poco capace, il suo esercito era solo di tre legioni, II Adiutrix, XIII Gemina e XXI Rapax. 

          Comunque  l'esercito dell'alleato di Civilis Julius Tutor disertò prima dell'arrivo di Ceriale, e gli ex legionari al servizio di Civilis insieme alle due legioni che avevano capitolato, I Germanica e XVI Gallica, fecero lo stesso. Allora Marco Petilio avanzò a Magonza, dove trovò le legioni IIII Macedonica e XXII Primigenia (70 maggio).

          Intanto tre eserciti minacciavano Treviri:

          - le due legioni che erano tornate dalla parte romana: la VI Victrix,
          - la prima Adiutrix di Hispania, 
          - la XXI Rapax di Cerialis da est.

          Poiché Giulio Civilis inseguiva i guerriglieri di Claudio Labeo, i trevirani erano soli, cercarono di fermare i romani presso Rigodulum (Riol), ma vennero sconfitti. Il giorno dopo, Cerialis entrò a Treviri. Qui incontrò la I Germanica e la XVI Gallica, fu clemente con loro, con i Trevirani e con i Lingoni, punendo solo coloro i colpevoli di tradimento.

          Intanto Julius Civilis e ai suoi alleati Julius Tutor e Julius Classicus fecero un attacco a sorpresa di notte a Treviri riuscendo a penetrare nel campo nemico, ma le tre legioni romane per il grande addestramento e disciplina riuscirono ad avere la meglio. Fu la battaglia decisiva della guerra e da allora Cerialis iniziò a ricostruire il confine del Reno.

          Civilis, sapendo che Colonia si era ribellata a lui e aveva ucciso le tribù dei Frisoni e dei Chauci, e che le tre legioni di Cerialis avanzavano verso nord, si diresse a settentrione, soprattutto perché sapeva che la XIV legione Gemina si era imbarcata sulle sue navi in Gran Bretagna e poteva sbarcare sulla costa sabbiosa dell'Olanda.

          Qui i Cananefate avevano distrutto una parte della marina romana, ma la XIV legione era già sbarcata a Boulogne e stava marciando attraverso Belgica fino a Colonia. Civilis raccolse il suo esercito e occupò Xanten. Subito accorse Cerialis con la XXI Rapax, la II Adiutrix, e i nuovi arrivati: la VI Victrix, e la XIV Gemina.

          MONUMENTO ALLA VITTORIA DELLA VI VITRIX
          I due comandanti erano separati da una vasta distesa di terreno paludoso, per cui Civilis aveva edificato una diga sul Reno per trattenere il fiume e farlo poi inondare a suo piacimento. Così lo fece inondare e mentre i legionari avevano carichi pesanti di armature e zaini, i Bataviani e i loro alleati conoscevano i fiumi e le sue secche, e avevano carichi leggeri che potevano innalzare al di sopra del livello delle acque.

          Il giorno dopo, la battaglia ricominciò, ma stavolta i Romani riuscirono a vincere i Bataviani e i loro alleati. Julius Civilis, dovette tornare all'isola dei Bataviani. È stato scoperto un monumento della VI Victrix eretto per commemorare la propria vittoria.

          Ceriale continuò a ricostruire il confine. La XIV legione fu inviata a Magonza, dove si unì alla I Adiutrix; la X Gemina, che era arrivata da Hispania subito dopo la battaglia, prese il suo posto nell'esercito di Ceriale a Xanten. La IIII Macedonica e la XVI Gallica, che si erano disonorate, ricevettero nuovi nomi (IIII Flavia Felix e XVI Flavia Firma) e furono inviate in Dalmazia e Siria. 

          La I Germanica, responsabile dell'assassinio del generale Gaio Dillius Dillius Vocula, fu sciolta e venne aggiunta alla VII Gemina in Pannonia. La XXII Primigenia, la legione di Vocula, fu premiata. La V Alaudae e XV Primigenia, che erano state distrutte a Xanten, non furono mai ricostituite.

          Civilis si era ritirato sull'isola, aveva raso al suolo la capitale bataviana Nijmegen, e aveva distrutto il molo costruito da Druso, il figliastro di Augusto, nel 13 a.c..

          Cerialis non poteva traversare il fiume finchè non fossero state costruite le navi, intanto i suoi soldati sorvegliavano il fiume. La VI e la XXI legione furono inviate a Neuss e Bonn, la XXII Primigenia arrivò da Magonza a Xanten; la II iniziò a costruire un ponte a Nimega, la X andò ad Arenacium. A Grinnes e Vada stazionarono le unità ausiliarie, non identificate.

          I Romani si occuparono della ricostruzione della Renania. Julius Civilis tentò di attaccare contemporaneamente quattro campi ma Cerialis arrivò rapidamente, e Civilis dovette nuotare attraverso il Reno per salvarsi la vita.

          Poco dopo, i Bataviani con un colpo a sorpresa furono in grado di trainare la nave ammiraglia romana di nuova costruzione durante un raid a sorpresa, ma Cerialis non era a bordo. La nave fu inviata come dono alla profetessa bructeriana Veleda, l'anima della rivolta batava.

          L'offesa andava ripagata e Cerialis devastò duramente l'isola dei Bataviani, utilizzando lo stratagemma di lasciare intatte le terre e le fattorie di Civilis per creare sospetti su di lui. Ma era entrato l'autunno, e le ripetute piogge gonfiarono i fiumi che inondarono l'isola paludosa.

          Il resoconto di Tacito si interrompe quando giunge ai negoziati tra Ceriale e Civile, che si sono svolti su un ponte semidistrutto nel Betuwe dove venne ripristinata la vecchia alleanza tra Roma e i Bataviani, che non furono costretti a pagare le tasse, ma che dovettero fornire otto unità ausiliarie.

          Molti giovani bataviani erano morti per seguire Civilis, e la capitale batava di Nimega era stata distrutta. Agli abitanti fu ordinato di ricostruirla a due km a valle in un luogo in cui non poteva essere difesa mentre i resti della città vennero usati dalla II Adiutrix per farne un fortino, sostituita però entro tre o quattro anni dalla X legione che era di stanza a Nimega-Hunerberg.

          Non sappiamo più nulla del destino di Civilis, se potè invecchiare tranquillo o se ebbe, nonostante le assicurazioni, la "punizione di un criminale" che Munius Lupercus gli aveva promesso quando i Bataviani assediarono Xanten e cioè la crocefissione.



          IL GOVERNATORE 

          In quanto a Ceriale, nel 71 divenne governatore della Britannia, portando con sé la fedele II Adiutrix. Fu aiutato da Gneo Giulio Agricola, comandante della XX Valeria Victrix. 

          EBORACUM
          Ceriale condusse una campagna militare contro i Briganti in Inghilterra settentrionale ponendo per la prima vota una fortezza legionaria ad Eboracum.

          Nel 74 Ceriale lasciò la Britannia e tornò a Roma, dove rivestì la carica di console suffetto per la seconda volta. 

          Mantenne poi il suo favore anche da parte di Tito, il successore di Vespasiano, tanto è vero che nell'83 divenne console per la terza volta, come collega di rango inferiore dell'imperatore Domiziano. Dopodichè non se ne hanno più notizie. .

          AUGUSTA TREVERORUM - TREVIRI (Germania)

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          PORTA NIGRA
          AUGUSTA TREVERORUM, ovvero "la città di Augusto, nel paese dei Treveri" venne fondata dai romani sulle rive del fiume Mosella nel territorio della tribù gallica dei Treveri della Gallia Belgica. In epoca imperiale la popolazione arrivò a circa 80.000 abitanti, tanto da essere considerata la più grande città a nord delle Alpi.

          RICOSTRUZIONE DI AUGUSTA TREVERORUM (by https://jeanclaudegolvin.com)

          CESARE

          Il piccolo insediamento originario potrebbe essere, quindi, sorto alcuni anni dopo la conquista romana della Gallia ad opera di Gaio Giulio Cesare, probabilmente su un primo insediamento militare che controllava tutta la vicina vallata a Petrisberg. 

          LA PLANIMETRIA (INGRANDIBILE)
          Treviri confinava col territorio dei Belgi Atuatuci a nord; con il territorio dei Vangioni, dei Nemeti e dei Germani Ubiad est; con il territorio dei Mediomatrici a sud; con il territorio dei Belgi Remi ad ovest.

          Nel 54 a.c., Cesare, saputo che i Treveri non partecipavano più alle riunioni comuni dei Galli, ma  invece mantenevano buoni rapporti con i Germani d'oltre Reno, temendo stessero preparando una rivolta, decise di muovere contro di loro con quattro legioni ed ottocento cavalieri.

          Giunto sul posto Cesare chiese a Induziomaro, capo della tribù germanico-gallica dei Treveri, numerosi ostaggi tra i suoi familiari, mentre a Cingetorige, fedele al popolo romano, a cui Induziomaro aveva confiscato le proprietà, affidò il comando su Treviri. 

          Poi l'eduo Dumnorige, che aveva terrorizzato i nobili della Gallia sostenendo che Cesare li avrebbe trucidati una volta sbarcati in Britannia, venne messo a morte per ordine di Cesare onde evitare sentimenti di rivolta tra i Galli.

          TERME DI DIOCLEZIANO
          Prima che terminasse l'inverno, il legato Tito Labieno fu nuovamente attaccato dai Treveri, guidati da Induziomaro. Fortuna e abilità consentirono tuttavia al legato di battere un nemico nettamente più numeroso e di ucciderne il capo:

          «Tito Labieno, che non usciva dal campo, che era ben difeso sia dalla natura del luogo sia dalle fortificazioni romane, si preoccupava che non gli sfuggisse un'azione di valore, egli trattenne i suoi dentro l'accampamento, cercando di dare l'impressione che i Romani avessero paura e poiché Induziomaro si avvicinava al campo romano ogni giorno con crescente disprezzo, Labieno fece entrare numerosi cavalieri alleati di notte nel campo, frattanto, come faceva tutti i giorni, avvicinatosi al campo Induziomaro, i cavalieri galli scagliarono dardi sui Romani provocandoli a combattere, dai Romani non giunse nessuna risposta al nemico gallo quando parve il momento di allontanarsi al calar della sera, velocemente Labieno ordina ai suoi di far uscire dalle due porte del campo tutti i suoi cavalieri, ed ordina che una volta terrorizzati e messi in fuga i nemici cerchino Induziomaro e di ucciderlo, non badando ad altri, promettendo grandi ricompense, la fortuna confermò i suoi piani e Induziomaro viene preso mentre stava guadando il fiume ed ucciso, e la sua testa venne portata al campo romano.»

          (Cesare, De bello gallico, V, 57-58.)

          IL PONTE ROMANO
          Pochi i reperti archeologici emersi fin'ora, tra cui terra sigillata (o terra aretina) e un grande frammento di legno databile al 30 a.c. circa, forse relativo alla costruzione della strada che Marco Vipsanio Agrippa (63 - 12 a.c.) fece edificare durante il suo primo governo della provincia delle Gallie negli anni 39-38 a.c. Inoltre risale al 17 a.c. il primo ponte romano sulla Mosella dove sicuramente prima c'era solo un guado.

          TERME DI DIOCLEZIANO

          AUGUSTO

          Nel 27 a.c. Augusto, ordinò il primo censimento nelle province galliche, alla fine del quale nel 12 a.c. fu fondato a Lugdunum ( Lione) un Altare di Roma e Augusto (Ara Trium Galliarum) per ricordare l'evento. 

          TOMBA ROMANA FRATELLI L. SECUNDINIUS AVENTINUS E 
          L. SECUNDINIUS SECURUS
          Sembra che Augusta Treverorum sia stata fondata fondata da Augusto nel suo soggiorno in Gallia nel 16 a.c., presso un insediamento militare risalente al 30 a.c. circa, tenendo conto che Marco Vipsanio Agrippa fu governatore delle Gallie per la seconda volta nel 19 a.c. e che Augusto soggiornò nelle Gallie dal 16 al 13 a.c.

          La città divenne capoluogo della provincia romana della Gallia Belgica e colonia romana sotto l'imperatore Claudio, il che fece di Treviri una delle città più antiche del territorio tedesco. 

          Infatti i primi reperti archeologici appartengono a questo periodo, tanto più che i pali di fondazione del primo ponte in legno sulla Mosella risalgono al 18-17 a.c.

          Sono poi stati rinvenute iscrizioni sui nipoti di Augusto, Lucio Cesare e Gaio Cesare, morti nel 2 e nel 4 d.c., il che prova che entro la fine del regno di Augusto alcune strutture urbane erano già state edificate, dal momento che dovevano essere state apposte nel Forum cittadino.
          Augusta Treverorum crebbe, quindi, in popolazione e prosperità, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici di tombe e corredi funerari.

          Treviri fu infatti il centro di una via commerciale tra suolo italico e Renania, dove erano presenti numerose fortezze legionarie con le truppe ausiliarie del vicino limes renano.

          Per questo Claudio decise di costruire un ponte in pietra sopra la Mosella, a dimostrazione dell'importanza raggiunta dalla città.

          Nel I secolo la griglia stradale formata da cardo e decumano misurava 70-100 metri di larghezza e 100 di lunghezza. Al centro della città, a metà tra il decumano massimo ed il cardo massimo, vi era il forum, ampliato poi da Vespasiano, fino a misurare 140 x 278 metri. 

          A sud del centro urbano, alla periferia della città, nei pressi della Mosella, sorsero varie officine per la produzione di ceramica (terra sigillata) e numerose altre imprese tessili, metallurgiche e della produzione del vetro, che si servivano del vicino corso d'acqua per il trasporto merci. Inoltre nella zona si estraevano argento, oro ed altri metalli.

          LE TERME ROMANE

          VESPASIANO

          Durante la crisi del 68-69, anno dei 4 imperatori, Augusta Treverorum sostenne dopo Galba e Vitellio un'alleanza con i Lingoni e i Batavi per riconquistare l'indipendenza dall'Impero romano.

          La rivolta fu però soffocata nel sangue da Quinto Petilio Ceriale, schierato dalla parte di suo suocero Vespasiano (69-70). La città, come riferisce Tacito, venne tuttavia risparmiata dal saccheggio e non risultano sanzioni per la rivolta, anche se nel 69 vi fu un grosso incendio in città. 

          L'ANFITEATRO ROMANO
          Risalgono al l secolo il foro di Augusta, le prime terme (80 d.c. circa), un teatro ed un anfiteatro (la cui arena era di 70,5 × 49 metri) che, attorno al 100 d.c., sostituì le panchine di legno con strutture in pietra, e che poteva contenere circa 18.000 spettatori. Ciò dimostra chiaramente quanto fosse ormai divenuta importante la città, in concorrenza con le vicine città di Castra Vetera e Colonia Claudia Ara Agrippinensium.

          La cinta muraria invece risale alla fine del II secolo (170 - 180) in seguito allei invasioni dei germani d'oltre Reno, di cui resta il capolavoro della Porta Nigra ovvero la porta nord della città con pietra proveniente dalle cave di zona che però rimase incompiuta. 

          PLASTICO DELL'ANFITEATRO
          Le mura misuravano ben 6.418 metri di lunghezza, racchiudendo al suo interno un'area di 285 ettari e furono costruite con scisti, ciottoli e malta internamente, mentre all'esterno vennero usati arenaria e blocchi di pietra calcarea. 

          Le mura erano un altro capolavoro, alte ben 6,20 metri, in profondità nel sottosuolo per 3 metri e larghe fino a 4 metri, dove potevano transitare due carri in senso opposto. L'intero perimetro era, inoltre, accompagnato da un totale di 48-50 torri. E sempre nel II secolo (tra il 144 ed il 155), l'Imperatore Antonino Pio ordinò la costruzione di un nuovo e più robusto ponte sul Reno, accanto al vecchio di Claudio. .



          CASA DEL LARARIO DI ACHILLE - CASA DEL SACELLO ILIACO

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          Detta anche Casa del Sacello Iliaco, affrescata nel Secondo stile, risale all'incirca all'80-20 a.c.
          Si accede da Via dell'Abbondanza, con ingresso a destra.

          L'ingresso alla casa conserva ancora l'architrave con cornice a dentelli, risalente a una antica fase decorativa del I Stile, di cui sono testimonianza anche i pavimenti in cocciopesto, conservati fino al momento dell'eruzione nel corridoio a lato del tablino e nella stanza (e).
           
          Nonostante lo stato di incompiutezza in cui ci sono giunti, gli ambienti affacciati sull'atrio conservano ampie parti della decorazione di IV Stile. 

          Nel grande triclinio (c), piccoli quadretti raffiguranti nature morte erano inseriti al centro delle pareti ovest e nord, mentre di grande interesse è la parte superiore della decorazione, conservata nel piccolo ambiente posto a fianco del tablino (e). 

          Nella stanza va probabilmente riconosciuto il sacrarium della casa, dove avevano luogo le cerimonie collegate al culto privato. 

          Questo si comprende, oltre che dall'angustia dell'ambiente, dal bellissimo ciclo decorativo riprodotto nella lunetta.

          Qui Selene, nel medaglione al centro della volta compie la sua visita a Endimione. Apollonio Rodio, come tanti poeti, narra che Selene si innamorò perdutamente di questo bellissimo mortale, tanto dai chiedere al padre degli Dèi di concedergli un'eterna giovinezza di modo che lei non sarebbe mai stata costretta a smettere d'amarlo. 

          Secondo un'altra narrazione invece, osservando l'amato con commossa ammirazione mentre egli dormiva inconsapevole all'interno di una grotta nei pressi della città di Mileto, Selene pregò ardentemente Zeus di mantenerlo eternamente in quello stato.

          Come che sia, in entrambi i casi il desiderio venne esaudito e Endimione sprofondò in un sonno ed una giovinezza eterna. Ogni notte Selene scendeva dall'alto dei cieli per fargli visita, là ove egli continuava a dormire; ma non si sa come Selene durante questo sonno ottenne una certa collaborazione dall'amato, perchè da lui ebbe ben 50 figlie.

          IL LARARIO
          Queste cinquanta figlie vengono però da alcuni studiosi equiparate ai 50 mesi che debbono trascorrere da un'edizione dei giochi olimpici antichi all'altra, ma cinquanta erano pure le nereidi e così via.
          Altra scena raffigurata nel larario è il Ratto di Ganimede, il principe troiano fanciullo che Omero descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo. Nel mito viene rapito da Zeus in forma di Aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo.

          Ma la storia riguarda il discutibile costume sociale della pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. In latino era detto Catamitus, il giovinetto che assumeva il ruolo di partner sessuale passivo-ricettivo.

          DETTAGLI DEL LARARIO
          Alcune scene del ciclo troiano del fregio in stucco della zona superiore mostrano il duello mortale fra Achille ed Ettore, con la tragica fine di quest'ultimo. Secondo alcuni le raffigurazioni indicherebbero che il proprietario della dimora desiderava eroicizzare le origini della propria famiglia, ricollegandole con quelle di Roma.

          A noi la tesi sembra un po' azzardata perchè vantare antenati troiani fu ambizione da un lato della familia Iulia, attraverso però origini divine (Venere e Anchise), da un lato di tutto il popolo romano. I romani quando non si sentivano figli di Marte si sentivano figli dei troiani. 

          La scoperta di una serie di piccole colombe in alabastro testimonia che il sacrarium era anche destinato al culto di Venere. Ma Venere fu la genitrice di Enea, non a caso Cesare le dedicò un tempio come Venere Genitrix. Vantarsi di una simile discendenza non era pertanto una distinzione, in quanto appannaggio di tutti i romani.

          Viene da pensare invece che il proprietario dell'abitazione fosse persona molto colta, e qualsiasi buona educazione culturale non poteva prescindere da Omero.

          Un grande impegno decorativo era stato riservato durante la fase tardo-repubblicana agli ambienti affacciati sul loggiato prospiciente il giardino, l'oecus (p) e il cubicolo (q), che mostrano una stretta 
          affinità d'impianto con settori riservati allo studio e alla lettura presenti in alcune residenze di lusso costruite in quegli stessi anni a cavallo delle mura, quali la Casa con Biblioteca (VI, 17, 42).

          DETTAGLI DEL LARARIO
          II primo ambiente, noto come «Sala degli Elefanti», pavimentato con un elaborato mosaico diviso in due parti da una soglia con decorazione a tralci vegetali, mostra su tre pareti resti di una megalografia; sul lato di fronte all'ingresso erano due giganteschi elefanti disposti araldicamente ai lati di un candelabro e guidati da due Amorini che usavano come redini rami di mirto, la pianta sacra
          a Venere. 

          La casa prende nome da un sacello, o larario che si ispira al mito troiano di Achille, sacello che è posto all'angolo sud - ovest dell'atrio. Particolare del sacello, dccorato finemente a stucchi bianchi, su un fondo con colori di azzurro, rosso, blu, grigio e giallo.

          Il soggetto è da interpretare come un'allegoria della potenza della divinità. Nella parte che decora la parete settentrionale, giuntaci purtroppo in pessimo stato di conservazione, è raffigurato un momento di vita intellettuale: due personaggi ammantati, seduti su seggi, sono profondamente assorti ai lati del globo celeste alla presenza di una Musa identificata con Urania.

          LA SALA DEGLI ELEFANTI
          In essi possono essere identificati Arato, l'autore dei Fenomeni, la cui opera, ripetutamente tradotta in Iatino, era molto apprezzata nel periodo di esecuzione della pittura,e lo stesso proprietario della casa, ritratto come astronomo. 

          La parete occidentale della sala, di minore lunghezza perché interrotta da due ingressi, era occupata da un dipinto raffigurante una Musa seduta con un rotolo in mano, in cui va riconosciuta Clio, la protettrice degli studi storici. 

          La ricca decorazione pavimentale a esagoni rossi e le pareti a grandi pannelli dello stesso colore indicano che il piccolo cubicolo (q), comunicante con la sala tramite una stretta porta, era l'ambiente di riposo più importante della casa; agli incontri amorosi che in esso dovevano svolgersi alludono esplicitamente le due scenette dionisiache di carattere erotico che decorano la parte superiore dell'alcova all'altezza dei piedi del Ietto. 

          Ci sono anche prove che oltre ai santuari domestici alcune case contenevano sacrarie dedicate (stanze del santuario) collegate a specifiche forme di culto. Secondo Fabrizio Pesando, la casa del Santuario di Ilion utilizzava dipinti e stucchi nel sacrario per mettere in chiaro "riferimenti alla pietà dell'occupante, all'esaltazione delle loro presunte origini e alla celebrazione dello spirituale". 

          PAVIMENTO DELLA SALA DEGLI ELEFANTI
          Nell'apice del soffitto a volta del santuario Iliaco dove troneggia il medaglione raffigurante il rapimento di Ganimede, vine interpretata come un'immagine mitologica associata all'apoteosi e all'immortalità. 

          Le rappresentazioni di questo tema erano comunemente poste al soffitto e la sua presenza qui è coerente con l'opinione di Pesanado secondo cui il sacrario era usato per il culto, forse in riferimento alle origini Troiane o familiare dei Troiani. 

          Questa vista è sostenuta da pitture murali e pannelli in rilievo in stucco che raffigurano racconti omerici venerando Ettore, che è anche pensato per essere l'eroe-protettore divinizzato della casa.



          LA FINTA PORTA

          "La casa come santuario ha generato sicurezza tra i suoi abitanti e rispettosa osservanza tra coloro che l'hanno visitata. Ciò è stato possibile grazie ad un complesso mix di motivi apotropaici e catartici che iniziava all'ingresso con immagini come tondi di leone, pitture murali di vittorie alate e mosaici pavimentali che rappresentavano immagini come cani da guardia o ancore di navi. 

          Altre metafore dei santuari sono state inserite in santuari interni (lararia), immagini ancestrali (imagines clipeatae), sale dedicate ai santuari (sacraria), giardini murati (paradeisoi), acquasantiere (ninfeo), e, la più prolifica di tutte, sale contenenti affreschi raffiguranti divinità, miti e santuari. 

          Questo ambiente altamente feticista fungeva da porta d'accesso ad un mondo metafisico abitato da un'impressionante schiera di divinità, divinità, eroi e antenati di famiglia, tutti regolarmente chiamati, attraverso atti votivi, a proteggere e sostenere la casa e i suoi occupanti. 

          Mentre la funzione apotropaica ed escatologica di quanto sopra è parzialmente compresa, l'uso della pittura murale per svolgere una funzione simile in un contesto domestico è passato in gran parte inosservato. 

          Ciò è attribuibile alla loro designazione post-scoperta che collegava quasi interamente i dipinti al concetto di decorazione, nonché ad atteggiamenti post-cristiani che favorivano la chiesa e non la casa come luogo di culto primario. 

          Il suo inverso nella cultura pagana richiedeva che la casa fosse un ambiente spiritualmente carico e quindi sia una dimora catartica che sicura. Nel caso della casa romana, ciò è stato realizzato principalmente attraverso alcune delle tecniche pittoriche più sofisticate che siano mai esistite. 

          Gli artisti che li hanno sviluppati hanno realizzato una transizione psicologicamente perfetta tra spazio architettonico e spazio illusionistico, il cui aspetto simile non è stato eguagliato fino all'avvento della realtà virtuale generata al computer duemila anni dopo.


          Negli ultimi anni si è scritto molto sulle case romane di proprietà dell'élite politica o mercantile. La maggior parte di questi testi si è concentrata sul modo in cui questo strato della società ha utilizzato le proprie case sia in contesti pubblici che privati. 

          Per "pubblico" in questo caso si intende di solito una qualche forma di transazione commerciale, di impegno politico o di mecenatismo pubblico, mentre per "privato" si intendono quelle parti della casa che incorniciano le relazioni condotte tra familiari, amici intimi o eguali sociali. 

          Questa doppia lettura della casa romana deriva in gran parte da testi antichi. 

          Il suo impatto sulla percezione della pittura murale romana, in particolare per quanto riguarda lo status sociale e culturale, è esaminato in "The House and its Double", e criticato sotto la voce che il suo uso quasi esclusivo di materiale testuale ha distorto altre forme di evidenza materiale. 

          Il risultato finale di questa distorsione era che i dipinti collocati in aree "pubbliche" sembravano essere sinonimo di ambizione politica ed economica, mentre quelli in spazi "privati" si concedevano ad un'esposizione edonistica. 

          L'esposizione, al contrario dell'impegno concettuale o estetico, è alla base di gran parte della letteratura che ha sostenuto, per alcuni teorici, la mera presenza della pittura murale come indice di lusso e il tentativo di acquisire uno status. 

          Questo approccio evita approfonditi studi iconologici che mettono in discussione questa visione prevalentemente di derivazione letteraria dei dipinti murali. 
          Questo capitolo capovolge questo pregiudizio ed esamina da vicino l'iconologia, per vedere cosa ci dice di coloro che hanno commissionato i dipinti murali e che hanno vissuto tra di loro."


          LE ISCRIZIONI

          Come riferisce Della Corte, 4 graffiti vennero trovati sulle parete est del largo salone scritti ad altezza d'uomo sopra una parete pitturata di rosso/cinnamon dell'estremo sud:

          Idibus Martia(s!) / in sumptum sumpsi [CIL IV 8013]

          Sembra essere la data di un contratto debitorio per far fronte ad alcune spese (in sumptum).

          XI XV Ka(lendas) Maias [CIL IV 8014]
          Solo una data.

          VII Idus Novem(bres) asseres(!) IIII / Tertius [CIL IV 8015]

          Il terzo, invece, allude a quattro piccole travi o pali (asseres), di cui un servo (?) Tertius, tiene il conto.

          XI K(alendas) Iulias / man() [CIL IV 8016]
          E' vago ad eccezione della data.

          Sulla stessa parete, ma in cima allo zoccolo, sotto la raffigurazione dei due grandi elefanti, c'era un graffito che Della Corte riproduceva in facsimile.


          Venustus is fu[3]in[3] Vibrio(?) lone(?)[3] [CIL IV 8017]
          Il nome Venustus, all'inizio dell'iscrizione è abbastanza chiaro, mentre il resto è piuttosto dubbio.
          A noi fa venire in mente la lotta di un gladiatore con una belva nel circo.



          BATTAGLIA DI CAPO ECNOMO (256 a.c.)

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          Nella I guerra punica, che si protraeva da otto lunghi anni tra Romani e Cartaginesi, le forze finivano quasi sempre, tra vittorie e sconfitte, per equivalersi. Roma e Cartagine pertanto potenziarono le loro flotte, ma Roma voleva spostare lo scontro verso Cartagine alleggerendo la pressione sulla Sicilia, mentre i cartaginesi volevano un maggiore controllo del mare intorno all’isola per meglio supportare le truppe di terra che non reggevano l'urto delle legioni romane e che stavano perdendo territori che avevano impiegato secoli a conquistare. Polibio chiamava la Guerra Punica "la guerra per la Sicilia".

          Nell’estate del 256 a.c., narra Polibio "i romani salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana" (Messina). Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino (odierno Capo Passero), si spinsero fino all’Ecnomo, per il fatto che anche l’esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi.
          I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo (attuale Marsala), e da lì approdarono a Heraclea Minoa (presso Agrigento). Ogni nave romana portava trecento rematori e centoventi soldati di marina, per un complesso di 140.000 uomini. I Cartaginesi potevano contare su circa 150.000 uomini. Si stavano affrontando oltre settecento navi e quasi trecentomila uomini.


          Nell'estate del 256 a.c. i Romani,come narra Polibio:

          «...salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana. Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino, si spinsero fino all'Ecnomo, per il fatto che anche l'esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo, e da lì approdarono a Heraclea Minoa
          (Polibio, Storie, I)


          La battaglia di Capo Ecnomo, oggi Poggio Sant'Angelo (Licata), è stata una delle più grandi battaglie navali dell'antichità. Polibio, storico greco vicino al Circolo degli Scipioni, ma pure esperto di arte militare, la definisce "la più grande battaglia navale" dell'antichità.


          Formazione romana:

          La formazione dei romani prevedeva le due navi a sei ordini di remi, con un console a bordo di ciascuna: Lucio Manlio Vulsone Longo e Marco Atilio Regolo (consoli del 256 a.c.) che sostituiva Quinto Cedicio morto in carica.

          Affiancate sulla punta del cuneo erano poste altre due linee di navi in successione e una terza linea a chiudere la base del triangolo. Questa terza squadra doveva trainare e proteggere le navi da trasporto con i cavalli e l'equipaggiamento per l'invasione del territorio cartaginese. Una quarta linea di navi, più estesa della base del triangolo chiudeva la formazione con compiti di retroguardia.


          Formazione cartaginese

          La formazione cartaginese aveva invece tre quarti delle navi su una sola linea spingendo l'ala destra in mare aperto, il restante quarto, piegato ad angolo, formava l'ala sinistra dello schieramento che così veniva ancorato alla terraferma e protetto da attacchi navali da quel lato. Questa ala era comandata da Amilcare (già sconfitto a Tindari), mentre il comando delle navi più potenti e veloci, poste all'estrema ala sinistra che doveva accerchiare la formazione romana, era affidato ad Annone (già sconfitto ad Agrigento).




          LA BATTAGLIA DI ECNOMUS

          I romani puntano con la prima e la seconda squadra a sfondare lo schieramento nemico in un punto per poi aggirare alle spalle, i punici fanno cedere la linea e impegnano una parte della flotta in una finta fuga, il tutto per attirare quelle romane e scompaginare la loro formazione. Però solo le navi di punta romane si lanciarono all'inseguimento mentre le navi trasporto e la linea di retroguardia mantennero la formazione pur avanzando lentamente.

          Su queste ultime navi, si avventarono le navi cartaginesi dell'ala sinistra quando le videro a debita distanza dalle navi inseguitrici. Ora le navi cartaginesi erano più veloci di quelle romane che però utilizzavano ancora il corvo per immobilizzare quelle nemiche e permettere l'abbordaggio.

          L'ala destra punica, che si era spinta in avanti, tentò di completare l'accerchiamento e l'ala sinistra attaccò le navi che trainavano i trasporti, che dovettero lasciare i cavi di traino e iniziare il combattimento.

           I romani tentano l'abbordaggio con i corvi, per non essere agganciati i cartaginesi tentano di speronare le navi romani, se non vi riescono si allontanano velocemente.

          Infine i vascelli di Amilcare, ricacciati indietro, si dettero davvero alla fuga e Lucio Manlio Vulsone tornò alla flotta romana portando al traino le navi catturate. Intanto Marco Atilio e i suoi corsero al soccorso dei colleghi dell'ultima linea, che già soccombevano all'attacco di Annone. 


          Così i Cartaginesi per non venire circondati abbandonarono la battaglia fuggendo in mare aperto. Le due squadre dei consoli soccorsero dei marinai in pericolo che riuscivano a resistere solo per il timore che i punici avevano dei "corvi" e del corpo a corpo coi romani. 

          I Cartaginesi circondati lasciarono cinquanta navi in mano ai romani e solo poche riuscirono a fuggire, secondo Polibio invece i Romani persero ventiquattro navi ma nessuna venne catturata, mentre catturarono sessantaquattro le navi cartaginesi.
          Al ritorno i Romani celebrarono la vittoria con premiazioni agli equipaggi e ripararono le navi catturate aggregandole alla loro flotta. I Cartaginesi abbandonano la Sicilia, come i romani avevano sperato.

          Ora il controllo del mare di Sicilia passa in mano ai romani e il fronte dello scontro diventa l’Africa. Con un nuovo rifornimento di vettovaglie, i romani salparono alla volta dell'Africa. Toccarono terra presso la città chiamata Aspide (Kelibia), ribattezzata poi dai romani come Clupea.



          BIBLIO

          Polibio, Storie

          VIA CLODIA

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          VIA CLODIA  PRESSO PORTA ROMANA - SATURNIA
          Il nome deriva verosimilmente dal nome del magistrato, ma non sappiamo esattamente chi fosse,
          forse un magistrato romano della "gens" Caudia (o Clodia) che verso la fine del III secolo a.c. curò il rifacimento di diverse altre strade preesistenti. Andava da Roma alla Toscana formando un percorso con la Cassia. Univa Roma a Saturnia, nell’alto Lazio. Mentre l'Aurelia e la Cassia erano destinate agli spostamenti di truppe su lunghe distanze, la via Clodia era una via di corto raggio, che serviva agli scambi commerciali con le colonie etrusche.

          La via Clodia partiva da ponte Milvio e fino al X miglio (La Storta) era un tutt’uno con la Cassia, si dirigeva verso il lago Sabatino, attraversava il centro di Forum Clodii (forse odierna S. Liberato), il territorio di Manziana, poi procedeva a nord passando nei pressi di Barbarano Romano e di Blera. Dopo aver percorso la zona di Vetralla, si dirigeva verso Norchia e raggiungeva Tuscania. Questa via pubblica era denominata “via delle terme”, sia perché giungeva in diverse località termali, sia perché si pensava terminasse a Saturnia. 

          La sua importanza è dovuta al fatto che poneva in collegamento le due vie maggiori: l'Aurelia che percorreva la costa tirrenica e la Cassia che passava nell'entroterra. La via Clodia aveva un percorso comune con la via Cassia fino alla località "La Storta" proseguendo verso nord aggirando ad ovest il lago di Bracciano dal versante ovest mentre la Cassia piegava ad est. Aveva una larghezza quasi costante di circa 4 m, consentendo il passaggio di due carri.

          La maggior parte degli studiosi ritiene fosse una via costruita dai Romani su un tracciato etrusco preesistente (tra Pitigliano, Sorano e Sovana ricalcava il percorso delle preesistenti Vie Cave etrusche), comunque si può parlare di via Clodia già alla fine del III secolo a.c.. Infatti è dopo la definitiva sottomissione delle grandi città etrusche, Veio (396 a.c.), Tarquinia (281 a.c.), Vulci (280 a.c.), Cerveteri (273 a.c.) e Volsinii (265 a.c.), che la via Clodia venne ampliata e lastricata nel 225 a.c.

          TUSCANIA
          Essendo stata individuata solo a tratti, ad oggi non si conosce l’esatto tracciato e non è escluso che avesse diramazioni o diverticoli che collegavano i centri dell’Etruria meridionale e le principali arterie tra loro. La strada preesistente fu probabilmente utilizzata come via di penetrazione e conquista dell'Etruria da parte dell'esercito romano, conquista iniziata nel 310 a.c. La via non sembra aver mai avuto un traffico intenso, ma unicamente di collegamento di Roma con i centri dell'Etruria interna nord-occidentale.

          Il tratto tra Bracciano ed Oriolo Romano presenta un rettilineo in cui si individuano i basoli ormai divelti. Alcuni tratti basolati emergono nei territori di Tuscania, Oriolo Romano, Vejano e Blera. La strada odierna che più ricalca il percorso della Clodia è la Claudia Braccianese, che si dirama dalla Cassia all’altezza di La Storta. La realizzazione romana fu probabilmente del III secolo a.c., a seguito della conquista del territorio. Tra il 273 e il 225 a.c. si ebbero tre magistrati di nome Claudius Canina, Claudius Russus e Claudius Centho, e ognuno potrebbe essere quello che ha dato nome alla strada.



          LE MANSIONES

          Le mansiones indicate dalla Tabula Peutingeriana lungo la Clodia, a partire dal distacco dalla Cassia, erano:

          - Sextum - 
          Nell'attuale zona La Storta, da dove la via Clodia si separava dalla via Cassia con un'antica stazione di posta di cavalli situata su una curva della via Cassia al XVII Km. La Storta "nacque per motivi pratici essendo alla giusta distanza da Roma per la prima e l'ultima tappa di un viaggio: collocata inoltre alla confluenza di varie strade come la Braccianese, la Formellese, oggi, e un tempo la Trionfale, e la Veientana.

          Sextum è documentata già nel 380 d.c. su una lapide, sotto gli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio quando fu costruito lo Stabulum (stalla) per il ricovero degli animali. Era comunque già hospitium per i viaggiatori, quando Ottaviano trasformò le rovine della vicina Veio in Municipio, nel I sec. a.c., dando impulso ai commerci e alla trasmissione dei messaggi.

          IL PONTE DEL DIAVOLO (molti ponti antichi ebbero questo nome dal cristianesimo)

          - Careias (Galeria) - 
          Avamposto di guardia etrusco per i territori meridionali, tra Veio e Cerveteri. Fu poi conquistato dai romani, venne probabilmente abbandonata nel corso delle invasioni germaniche.

          ad Nonas -
          Presso Vigna di Valle.

          Forum Clodii -
          Presso San Liberato di Bracciano, era una stazione di posta sulla Via Clodia, a circa 23 miglia a nord-ovest di Roma, sul lato occidentale del "Lago Sabatino" (Lago di Bracciano), e collegato alla Via Cassia a Vacanae (Baccano) da un ramo della strada che corre nel lato nord del lago in direzione di Trevignano Romano. Lungo lo stesso tracciato stradale (SP. Settevene-Palo) si può ammirare l'antico Vicus Aurelii (oggi Vicarello).

          - Olera -
          L'antica città di Blera.

          - Marta -
          Sul lago di Bolsena. Il nome Marta compare nella Tavola Peutingeriana come una stazione della via Clodia e se ne precisa la distanza da Tuscania in 9 miglia, l'attuale distanza Marta-Tuscania.

          GALERIA
          - Tuscana -
          Tuscania.

          - Maternum -
          Forse Canino o Ischia di Castro.

          - Saturnia -
          Con le famose terme tutt'oggi in uso.

          Oltre Saturnia il percorso con ogni probabilità si dirigeva verso mare, per congiungersi all’Aurelia nella zona di Cosa (Ansedonia), ma aldilà di Tuscania il percorso originario è praticamente sconosciuto. Da quel che si sa, quindi, la Clodia univa i centri dell’entroterra di Caere e Tarquinia: una via di interesse locale, posta tra la Cassia e l’Aurelia, le grandi vie di traversamento a lungo percorso. 

          I romani ebbero sempre grandi interessi allo sviluppo delle località poste sulle sorgenti minerali e termali, quali l’acqua Claudia presso Bracciano, Aquae Apollinaris Veteres (Bagni di Stigliano) e Novae (Terme di Vicarello), edificandovi bellissime terme.

          In età imperiale ebbe a decadere per via della mancanza di manutenzione, come tutte le strade dell'impero, Al momento della suddivisione tra Tuscia Langobardorum e Tuscia Romanorum la Clodia divenne elemento divisorio, rimanendo ai romano-bizantini la zona costiera.


          CULTO DEL GENIUS EXERCITUS

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          GENIO DI ROMA CON LE INSEGNE DEL TRIONFO - ARCO DI SETTIMIO SEVERO
          Non sappiamo quanto sia antica l'idea del genio, sicuramente antichissima, perchè legata alla religione animistica, anteriore addirittura agli Dei Indiges di Roma. Il Genio che funge da accompagnatore del Dio, risale però all'età repubblicana: vedi l'iscrizione dedicatoria a Giove Libero ed al suo Genio, a Furfo, del 58 a.c. (C. I. L., ix, 3513). Anche le divinità femminili potevano di conseguenza avere un Genio, come ad esempio il Genio della Vittoria, il Genio di Giunone Sospita, e così via. Da ciò diviene chiaro che la mascolinità del Genio non è necessariamente originaria.

          Ma il Genio di Roma era maschio?



          GENIUS PERSONALE

          Anticamente maschio e femmina, il Genius, o Genio, o Genia, (colui o colei che genera, da cui il termine Gens, Genitale, Genìa, Geniale) è uno spirito tutelare e vitale dell'uomo romano tanto pubblico quanto privato. Egli infatti accompagna ogni essere umano dal giorno della nascita fino all'ora della morte. 

          La donna romana era anche lei, in tempi arcaici, dotata di Genius, ma sembra poi modificarsi, dotata non più di Genius ma di una certa Iuno, non meglio identificata, soltanto a lei associata. Da Iuno proviene Giunone e pure Iuppiter (pater Iunonis). Da codesto Genius, riscontrabile anche nella Lasa Etrusca, ma pure nel Daimon greco, nasce l'angelo custode cattolico. Si dice però che il Genius romano non avesse niente a che fare con quello greco o etrusco, e che fosse squisitamente romano, o almeno laziale.

          Se però gli etruschi immaginarono questo genio come femmina, e se invece i greci l'immaginarono come maschio, e altrettanto maschio l'immaginarono i romani, la chiesa cattolica l'ha immaginato, per complicate e tortuose ragioni, privo assolutamente di sesso. Per indicare una diatriba senza senso si usa dire che si sta discutendo sul sesso degli angeli, che altri non sono che la Lasa, il Daimon e il Genio antichi.

          Servio ci informa che nel giorno del proprio compleanno ci si rivolgeva all'adorazione del Genius toccandosi la fronte, che per i Romani era la sede della creazione dei pensieri: “Frontem Genio (esse consecratam) unde venerantes deus tangimus frontem”. C'è poco da stupirsene, i romani erano un popolo molto razionale. Con la razionalità amministrava un impero e risolveva le guerre, per questo ebbe tanto successo.



          IL GENIUS FAMILIARE

          Era quello del larario, in realtà del capo famiglia che presiedeva al suo rito quotidiano. Secondo alcuni i due serpenti rappresentati nei larari delle dimore romane, vedi Pompei, simboleggiavano i geni della moglie e del marito, ma il caduceo aveva due serpenti in armonia avvolti intorno al bastone apollineo della ragione, e il serpente da sempre ha simboleggiato l'istinto e la terra. Non a caso era il simbolo e il Genio della Madre Terra.

          In molti casi era raffigurato con altre divinità, specialmente i Lari. Non di rado lo spirito geniale veniva associato al serpente, anche se a tale riguardo il sommo Virgilio aveva espresso dei dubbi.



          IL GENIUS DELL'IMPERATORE

          Il Genius Augusti era commisto al Genius Publicus. Il Genius Augusti è visibile ancora oggi ai Musei Vaticani, dove è conservata la splendida statua in marmo, tanto amato dai romani, che nemmeno gli autori cattolici osarono denigrare la sua figura, anzi papa Innocenzo III si inventò, e narrò, che il senato voleva adorare come un Dio Ottaviano per aver riunito e pacificato tutto il mondo; per cui l'Augusto interrogò la Sibilla per sapere se mai sarebbe nato nel mondo qualcuno più grande di lui.
          Apparve allora un cerchio d’oro attorno al sole con una vergine bellissima che teneva in braccio un fanciullo, e una voce disse: - Questa è l’ara del cielo! - allora la Sibilla: - Questo fanciullo è più grande di te; adoralo. -



          IL GENIUS DEL SENATO ROMANO

          Il Genio del Senato viene rappresentato, senza eccezioni, barbuto. Di certo è maschio e pure senior, d'altronde Senatus viene da Senior. Le rappresentazioni più antiche del busto barbuto del Genio del Senato si trovano su monete delle province senatorie che ultimamente sono state raccolte dal Forni.

          Su importanti rilievi storici appare barbuto, vestito come i senatori con scettro, sempre senza la cornucopia.
          F. Magi lo ha riconosciuto sui rilievi flavî della Cancelleria e compare inoltre, sin dall'epoca flavio traianea sui seguenti monumenti importanti:
          - sull'arco di Tito,
          - sull'arco di Traiano a Benevento,
          - sulla base Antonino Pio nella Villa Doria-Pamphili,
          - sul rilievo con l'adventus di Adriano nel Palazzo dei Conservatori,
          - sui rilievi antoniniani dell'arco di Costantino
          - sul sarcofago di Acilia nel Museo delle Terme. 

          Ovviamente la sua importanza è molto inferiore a quella del Genius Populi Romani; si ha anzi la netta impressione che sia una creazione voluta dal Senato da contrapporre al Genius Augusti e degli imperatori e al Genius Populi Romani.

          BASE COLONNA ANTONINO PIO CON GENIO ROMANO

          IL GENIUS DEGLI DEI

          Ma c'è un altro Genio importante e nel I secolo a.c. troviamo il Genius correlato a diverse divinità: - Iovis Genius (il Genio di Giove);
          - Priapi Genius (il Genio di Priapo);
          - Genius Martis (il Genio di Marte);
          - Genius Iunonis Sospitae (il Genio di Giunone);
          - Genius Victoriae (il Genio della Vittoria). 

          Era impegnativo mettersi in rapporto con la divinità ma era più facile collegarsi col suo Genio. Il Genio di Marte per esempio non concedeva la vittoria ma in qualche modo la ispirava, ovvero suggeriva qualcosa che poteva facilitarla, non era un autore ma un suggeritore.



          GENIUS LOCI

          Il Genius Loci fa parte dell'antichissima religione animistica, e nessuno avrebbe varcato l'area di una località sconosciuta in territorio non urbano, senza raccomandarsi al genius Loci con una preghiera, una coppa d'acqua versta a terra e magari se possibile una di vino, o magari un pezzetto di focaccia.

          Un Genius Loci con le sembianze di un serpente fu intravisto da Enea, sulla cui veridicità l’eroe aveva espresso le sue riserve. Ancora Servio, al contrario, confermerà che l’apparizione sostanziatasi a Enea era l'effettivaentità geniale: “Nullus enim locus sine Genio, qui per anguem plerumque ostenditur”. 

          In effetti il ritrovamento di un'iscrizione nella città di Ercolano, tracciata accanto a un altare, attorno al quale si trovava un serpente raffigurato mentre divora l’offerta ricevuta: “Genius huius locis montis”, lo confermerebbe.



          GENIUS POPULI ROMANI

          Vero è che il Genio della città di Roma non sarebbe determinato nel sesso, come si poteva leggere sullo scudo capitolino: "genio urbis Romae sive mas sive femina" (Serv., ad Aen., ii, 351), ma è anche vero che l'aspetto lo aveva da maschio, specie quello rappresentato nel bassorilievo dell'arco di Settimio Severo, che brandisce un bastone con la spoglia opima, insomma un trofeo. 

          GENIUS POPULI ROMANI
          Il Genius populi romani, conosciuto anche come Lare Farnese, è una scultura marmorea di epoca romana databile al II secolo d.c. ed oggi conservata al museo archeologico nazionale di Napoli.
          La scultura, di epoca adrianea, è di un giovane che indossa una toga, riservata al cives romanus, e un tipo di scarpe di tipo militare, con in mano una patera, che lo identifica come pius nei confronti degli Dei e di una cornucopia che permettono di identificarlo come Genius del popolo romano, vale a dire il suo protettore.

          Date le dimensioni eccezionali della statua, si presuppone provenga da un importante edificio pubblico. I fiori nella mano sinistra, invece, sono un'immissione, abbastanza indebita, di Carlo Albacini (1734 — 1813).

          E' difficile pensare a una cornucopia che getti fiori, solitamente una cornucopia genera frutta e spighe, cioè nutrimento per gli uomini, i fiori sono invece un appannaggio femminile, per questo a tutt'oggi si regalano solo alle donne.

          Inizialmente si pensava che la scultura fosse stata rinvenuta alle terme di Caracalla a Roma. Ma la rappresentazione del Lare Farnese in un disegno realizzato dall'artista olandese Maarten van Heemskerck, di data anteriore allo scavo delle terme romane, lo smentisce. Più probabilmente, invece, l'opera proviene da villa Madama.

          La figura, nelle gambe e nelle spalle da legionario fa pensare a un miles, ma il volto riccioluto, pienotto e piuttosto imberbe fa pensare ad un efebo.


          GENIUS PUBLICUS

          Difficile definire la differenza tra Genius Publicus  e Genius Populi Romani, che la stragrande maggioranza degli studiosi fanno coincidere. Di norma, il Genius Publicus aveva come attributo un diadema, ma talvolta questo veniva sostituito da un calathos, un cesto fatto di giunco ​​intrecciato o di vimini, a forma di un calice stretto con la sua base gradualmente allargata. Lo conferma la descrizione della statua d’oro dedicata al Genio che Aureliano pose sui rostri del Foro.


          FESTA DEL GENIUS PUBLICUS

          La ricorrenza del Genius Publicus cadeva il 9 ottobre e in quel giorno si offriva il sacrificio di diversi animali: 
          “- Iovi bovem marem, 
          - Iunoni vaccam, 
          - Minervae vaccam, 
          - Saluti vaccam, 
          - Victoriae vaccam, 
          - Genio populi Romani taurum, 
          - Genio ipsius taurum”.

          Nel calendario di Furio Dionisio Filocalo,  era riportata la festa dedicata al Genio nei giorni 11 e 12 febbraio del 354 d.c., detta dei "Ludi Genialici" che contemplavano feste solenni e giochi nel circo.Successivamente il Genio imperiale venne usato anche nei giuramenti; durante il regno di Settimio Severo veniva punito chi giurava il falso sul Genio del principe, come testimonia Ulpiano. 
          La figura del Genius Publicus Romani è la prefazione al vero Genius dei romani, e cioè al Genio Militare, termine ancora oggi in uso, insomma al Genius dell'Esercito Romano, a cui Roma dovette tutto: onore, ricchezza, gloria, arte e civiltà.

          GENIUS EXERCITI ROMANI

          E' in assoluto il Genio più importante di Roma, senza di esso le frontiere dell'Impero vengono violate e le città distrutte. Tutti i Romani lo pregano, figurarsi gli imperatori e l'esercito. Lo illustra la figura all'inizio, come un giovane con gladio, lancia e armatura, ma il gladio è rovesciato, come a dire che è impugnato più per l'offesa che la difesa, il che fu vero per un lungo tempo. In effetti Roma affrontò una larga parte del mondo conosciuto.

          Stranamente questo è stato molto criticato soprattutto ai nostri giorni, ma stranamente nessuno ha mai osato criticare per gli stessi motivi Alessandro Magno, che pure da solo riuscì a sottomettere perfino l'India.


          RODOLFO LANCIANI

          1480, 12 giugno. ARCVS SEVERI 
          « Ex riiinis quibusdam effossis apud arcum L. Septimii ad radices Capitolii » viene alla luce il piedistallo CIL. 234, dedicato « Genio exercitus ». 
          ECATOSTYLON. Circa questi tempi il card. Francesca Piccolomini fabbrica il suo splendido palazzo in piazza di s. Siena (s, Andrea della Valle). Ne era principale ornamento il gruppo, oggi senese, delle Grazie, intorno l' origine del quale vedi Bull. com. 1886, p. 345, e 1899, p. 104. Fra Giocondo, Chatsworth, e. Ili, ne parla quasi con le stesse parole trascritte dal de Rossi, dal cod. Ashburnam, n. 905, venuto alla Laurenziana di Firenze nel 1885. Deve notarsi che quando fu fatto il trasporto del gruppo dal palazzo Colonna a quello del Piccolomini, il piedistallo restò abbandonato nel primo. Fra Giocondo dice che i versi « sunt nudae Charites etc. " erano bensì moderni, ma che la base sulla quale erano incisi sembrava a lui vetustissima.

          Unica personificazione prettamente maschile è quella del GENIUS MILITARIS, mostrato con gli attributi della patera e della cornucopia, in abbinamento alle insegne militari. Il volto corrucciato e il capello corto alla romana, effigiato sull'arco di Settimio Severo, è decisamente da maschio, anche se la veste appare un po' femminea, anche con un minuscolo accenno di seno. Ma pure Apollo vestiva in genere vesti femminee, ma nessuno ha mai dubitato della sua virilità. Però è dotato di ali, che in tempi più antichi non possedeva.

          La riforma mariana dell'esercito non di leva ma permanente, la durata in armi per molto tempo di appartenenti alla stessa unità, dovuta al prolungarsi delle campagne militari rispetto alle prime dell'era repubblicana, portò alla creazione dello spirito di corpo, incentivato dal console Mario, che in occasione di una campagna contro i Galli, assegnò alla fine del II secolo a.c. delle aquile e delle insegne alle legioni per simboleggiarne il Genius Exerciti più inerente a una determinata legione.

          I veterani congedati con onore (honesta missio) potevano fregiarsi di questo titolo anche nella società civile, come si può vedere dalle iscrizioni su alcune tombe che recano la scritta M.H.M "missus honesta missione" e questo fregio gli assicurava il rispetto e la benevolenza della popolazione. Se un veterano congedato con "honesta missio" testimoniava in tribunale, quella testimonianza era molto credibile.

          Verso la fine dell'epoca repubblicana, le legioni vennero battezzate con nomi e ricevettero dei titoli in occasioni di atti di valore e l'identificazione dei combattenti con l'unità di appartenenza divenne un tratto caratteristico dei soldati romani. L'impero mutuò le tradizioni militari repubblicane e le applicò con durezza. Tito congedò con disonore un soldato riuscito a fuggire dalla prigionia, per ribadire il concetto che nessun romano doveva farsi catturare vivo.

          La perdita delle armi in battaglia era soggetta a pene severe nonché al disonore (a parte l'ingente costo delle stesse), perciò lo storico Polibio riporta che i soldati preferivano lanciarsi nuovamente nella battaglia per recuperare le armi perse, piuttosto che fronteggiare la condizione di disarmato. L'insieme di queste norme portò alla codificazione dei comportamenti virtuosi che si innestarono sulle credenze religiose dell'epoca.

          Disciplina, Honos e Virtus vennero considerate divinità del pantheon a cui era dovuta devozione e i soldati veneravano sugli altari il Genius, la rappresentazione dello spirito della legione o della unità di appartenenza, ma soprattutto il Genius Militaris di Roma.

          Le aquile venivano festeggiate il giorno del loro anniversario (natalis aquilae) e il perderle in battaglia avrebbe costituito un disonore enorme, per cui interi reparti preferivano lanciarsi in battaglie incuranti del pericolo personale. Un'etica così forte nei confronti dei simboli di corpo, delle tradizioni e dei commilitoni, non riguardava ovviamente i nemici.


          SOTTOCLASSI DEL GENIUS EXERCITUS:

          - Genius c(ollegii) c(entonariorum) Albensium Pompeianorum (CIL, V, 7595)
          - Genius collegii iumentariorum (CIL, VI, 4211)
          - Genius collegii tibicinum Romanorum (CIL, VI, 240)
          - Genius centuriae (CIL, VI, 207-211; 213-214; 217; 220-221)
          - Genius cohortis (CIL, VI, 233)
          - Genius cohortium praetorianorum (CIL, VI, 216)
          - Genius sanctus Kast(rorum) per(egrinorum) totiusque exercitus (CIL, VI, 36748)
          - Genius n(umeri) equitum singularium (CIL, 31181)
          - Genius tabularii cohortis II (CIL, VI, 30886)
          - Genius turmae (CIL, VI, 225)


          L'ETICA DEL GENIUS EXERCITI

          "Murum aries attigit" fu un precetto di Giulio Cesare, per una città sotto assedio aveva tempo per arrendersi prima che l'ariete da guerra colpisse la prima volta le mura fortificate. Dopo l'evento, tutti gli abitanti indistintamente sarebbero stati uccisi e qualunque richiesta di tregua o proposta di resa successiva sarebbe stata ignorata."
          (De bello Gallico, libro II, capitolo XXXII).

          La clemenza di Cesare fu riconosciuta e famosa ovunque ma qui si trattava di strategia di guerra. Cesare fece si che se una tribù si arrendeva egli le rendeva tutti gli onori evitando gli stupri, le ritorsioni e il saccheggio, cosa che i nemici non facevano. I nemici di Cesare potevano contare sulla sua lealtà in caso di resa, i romani non potevano contare altrettanto sui barbari.

          Altrettanto dicasi per gli ambasciatori: il console Marco Licinio Crasso, triumviro insieme a Cesare e Pompeo, venne catturato dai Parti, e poi torturato e ucciso, mentre si era incontrato per trattare dopo la sconfitta nella battaglia di Carre del 53 a.c.. Per non parlare di Valeriano, che nel 260 venne fatto prigioniero dall'Imperatore sasanide Sapore I che lo aveva invitato ad un incontro proponendogli la pace dopo la battaglia di Edessa. Morì per maltrattamenti poco tempo dopo.

          MARCO OLCONIO RUFO - M. HOLCONIUS RUFUS

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          MARCUS HOLCONIUS RUFUS - MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI

          Nome: Marcus Holconius Rufus
          Nascita: I sec.
          Morte: I sec.
          Professione: Politico (Filantropo)


          Secondo Cooley, Marcus Holconius Rufus era di rango equestre, ma la sua statua si appropriava degli status symbol più correttamente appartenenti ad altri.
          Era vestito in abito militare anche se in realtà non prestava servizio nell'esercito nel suo ruolo. Per giunta si fece raffigurare con i sandali che all'epoca indossavano solo i senatori.

          La colorazione era visibile quando la statua fu trovata per la prima volta nel 1853, infatti la sua tunica era bianca e bordata di giallo, il suo mantello era rosso e le sue scarpe erano nere. Il tronco d'albero che sosteneva la statua era verde. Anche i suoi capelli, gli occhi e le sopracciglia erano colorati. Vedi Cooley, A. e MGL, 2004. Pompei: A Sourcebook. Londra: Routledge. (Pagina 128, F89).

          MARCO OLCONIO - MUSEO DI NAPOLI
          Ma chi era questo strano personaggio che si paludava con indumenti che non gli erano pertinenti? Era Marcus Holconius Rufo, ovvero Marco Olconio Rufo, figlio di Marco, ed è stato non un militare ma un valido imprenditore romano nella Pompei del primo secolo.
          Marcus Holconius Rufus proveniva da una famiglia molto antica, probabilmente di origine etrusca, ma non era patrizio. Ha guadagnato la sua fortuna operando in una fossa di argilla, dove era installata  una fornace, realizzando dunque e producendo vasi, anfore, statuine e così via, ma soprattutto fu a capo dell'esportazione del vino trans-regionale fuori da Pompei fino a raggiungere la città di Roma, dove i palati raffinati dei ricchi romani potevano permettersi  vini delle viti fiorite sotto al Vesuvio.

          Parte della sua fortuna fu investita a Pompei per sostenere le sue ambizioni politiche. Ha finanziato, ad esempio, la ricostruzione del Grande Teatro di Pompei insieme a suo figlio Marcus Holconius Celer, a cui venne riservato su una sede d'onore (un bisellium, cioè una sedia due posti) in un posto di rilievo e una statua onoraria, eretta verso il 13/14 d.c.. 

          I DUE PILASTRI DI VIA DELL'ABBONDANZA A POMPEI RESIDUI DELL'ARCO ONORARIO
          DI MARCUS HOLCONIUS RUFUS
          Il nome però di Marcus Holconius in certi casi non era accompagnato da Rufus ma da Celer, che fu un famoso architetto-ingegnere romano, del I sec. d.c., che in collaborazione con Severus, (entrambi chiamati da Tacito (Ann., 15, 42) magistri et machinatores di Nerone); furono gli autori del progetto della Domus Aurea e del parco circostante.
          Non sappiamo pertanto se Celer fosse un nome ereditato oppure un cognomen attribuito in quanto ingegnere di chiaro valore. In realtà non sappiamo nemmeno se Celer fosse il progettista del restauro del teatro e neppure se fosse figlio di Rufo. 
          Per alcuni autori non si trattava del figlio ma del fratello minore, comunque nemmeno questi ottenne una carica militare. Sembra però che il restauro del grande teatro fosse merito di entrambi.
          CASA DI RUFO A POMPEI
          Comunque nei corridoi del teatro il nome di Rufus fu stampato a lettere di bronzo a memoria del suo evergetismo.

          Inoltre gli venne dedicata una statua onorifica all'incrocio principale della città presso le Terme di Stabia. 

          Rufus è stato ritratto qui come militare in un'armatura ( tipo Mars Ultor ), anche se non aveva mai tenuto una posizione militare.
          Oggi, a Pompei è rimasto solo il piedistallo, la statua, che per altro è molto ben fatta, è nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 
          La presenza della statua sulla strada che andava dal forum, al teatro, fu una scelta con molta intelligente. Diverse volte Marcus Holconius Rufus è stato riscontrato in importanti uffici della città di Pompei. 
          Non paghi i pompeiani gli dedicarono un Arco onorario di cui a Pompei restano solo i due piedistalli laterali.
          CASA DI HOLCONIUS
          È considerato anzi la personalità più importante di Pompei, che ha fatto la più importante carriera di magistrato in città ed è stato insignito con il maggior numero di onori. 
          Tuttavia, non poteva estendere la sua influenza oltre i limiti della città e non avrebbe mai potuto raggiungere un posto desiderato nel Senato romano.

          In un'iscrizione che lo chiama patrono nella ristrutturazione del muro esterno del Tempio di Apollo, Rufus viene chiamato il duumvir per tre volte , che ha ricoperto per la quarta volta questo alto ufficio della città.

          Alla fine della sua carriera, sembra aver ricoperto questo incarico cinque volte, secondo l'iscrizione sulla sua statua onoraria alle Terme stabiane.  
          Fu anche il primo sacerdote del nuovo culto imperiale ( sacerdos Augusti ), che probabilmente aveva il suo posto nel tempio di Genius Augusti nel foro tra il Macellum e l' edificio di Eumachia. 
          LA STATUA SUL SUO PIEDISTALLO
          NEL 1900
          Fu anche un censore per due volte, Il punto più alto nella carriera di Rufus fu come cittadino onorario della città ( patronus coloniae ). Solo uno dei fondatori della colonia romana Pompei, Marcus Porcius, ricevette un'adorazione simile oltre la morte.
          Infatti Marcus Porcius ottenne una tomba d'onore davanti alla porta di Ercolano. Dopo la sua morte, vi fu eretto un altare funebre. La tomba è stata curata per oltre 100 anni, anche se non si conoscono discendenti di Porcius. 

          Quindi, è probabile che sia stato adorato molto tempo dopo la sua morte come padre della città modello. Aveva, con un suo collega che però non viveva a Pompei, edificato a sue spese sia il teatro che il tempio di Apollo. Marcus Holconius Rufus sembra essere stato uguagliato a lui negli onori, se non superato.

          La cosa notevole di questo personaggio non è tanto ciò che lui fece quanto ciò che i suoi concittadini fecero per lui. la statua onoraria infatti non fu fatta erigere da Rufus ma gli venne eretta dai suoi concittadini per ringraziarlo dei molti benefici avuti dalla sua generosità.

          Così la statua eretta che indossa un'armatura degna di un generale e le calzature di un senatore non è segno della megalomania del personaggio ma di come i suoi concittadini pompeiani lo vedessero importante quanto un generale e un senatore, e in questo modo si sentirono di onorarlo.

          Si arguisce che oltre ad essere magnanimo con la città Marco fosse anche una persona saggia, gentile e affabile, insomma una persona molto amata perchè nemmeno a Marco Porcio venne eretto un arco onorario. 

          Ad alcuni piace vedere Rufo come un arrampicatore sociale avido di potere, ma sembra che i suoi concittadini gli rivolgessero tanti onori non per ingraziarselo ma per ringraziarlo. 

          Del resto la casa di Rufo, di cui esistono i resti, seppure particolarmente ampia (di oltre 700 mq) non fu particolarmente sfarzosa, il che depone ancora a favore della sua generosità. Le brave persone esistono ed esiste pure la gratitudine.

          GENS SEVERA O SEVERIANA

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          SETTIMIO SEVERO
          Della gens severiana si hanno poche notizie sino a quando non divenne la dinastia severiana, o dei Severi, che regnò sull'Impero romano tra la fine del II e i primi del III sec, esattamente dal 193 al 235, a parte il regno di Macrino, tra il 217 e il 218, che severiano non era.

          Si cita invece una gens severa che potrebbe avere a che fare con la severiana, a cui appartenne
          Marcia Otacilia Severa o Otacilia Severa, moglie di Filippo I l'Arabo, Marcus Julius Philippus, che regnò dal 244 al 249. Di essa ci resta anche una testa non particolarmente avvenente ma di buona fattura.

          Suo padre fu Otacilius Severus detto anche Severianus, il che confermerebbe, qualora ce ne fossero dubbi, l'equivalenza tra la gens severa e quella severiana. Ebbe inoltre un fratello chiamato Severianus.



          LA DINASTIA IMPERIALE

          La gens Severa è una dinastia imperiale, ovvero non se ne sa quasi nulla perchè evidentemente prima di annotare imperatori non fece nulla di notevole, o non fu abbastanza potente, nonostante la famiglia di Settimio Severo fosse piuttosto ricca.

          La dinastia imperiale, uscita da un lungo periodo di guerre civili,  iniziò con Settimio Severo e finì con Alessandro Severo. La nuova dinastia comprendeva, oltre ai suoi figli, anche i parenti di sua moglie, Giulia Domna, che presero anch’essi il nome di Severo, dal loro capostipite, al momento dell’ascesa al trono. Essi ricorsero molto al lustro della dinastia degli Antonini, molto amati, anche nella titolatura imperiale:

          IMPERATORI CAESARI DIVI MARCI ANTONINI PII GERMANICI SARMATICI
          FILIO DIVI COMMODI FRATRI DIVI ANTONINI PII
          NEPOTI DIVI HADRIANI PRONEPOTI DIVI TRAIANI PARTHICI
          ABNEPOTI DIVI NERVAE ADNEPOTI LUCIO SEPTIMIO SEVERO PIO PERTINACI AUGUSTO.

          Severo dichiarava così di essere figlio adottivo di Marco Aurelio (121-180), pertanto fratello di Commodo (161-192), e tutta la sua discendenza fino a Nerva (30-98), oltre al legame diretto col suo predecessore Pertinace (126-193).


          IL DOMINATO

          L'albero genealogico della dinastia dei Severi inizia con Settimio Macer, da cui discesero sia C. Claudius Septimius Aper che Lucius Septimius Severus (Settimio Severo), e si articola intorno alla famiglia della moglie di Settiptimio  Severo, Giulia Domna, proveniente da una famiglia sacerdotale di Emesa, in Siria, seguace del culto del Dio Eliogabalo o Elagabalo.
          Per la prima volta nell'impero l'Imperatore si fece proclamare Dominus (Signore), un termine riservato alle divinità orientali. In greco era despotēs (Signore) da cui il termine despota, e in fondo era ormai un potere dispotico, non rispondendo più nè al senato nè al popolo, sostenuto soprattutto dall'esercito.



          SETTIMIO SEVERO (193-211)

          Lucio Settimio Severo, di padre berbero dell’ordine equestre e da madre della gens Fulvia, discendente da Tusculum, in Italia. Nato a Leptis Magna, nella provincia romana d'Africa (attuale Libia), marito di Giulia Domna di importante e ricca famiglia siriana.

          Tra il 185 e il 187, quando era governatore della Gallia Lugdunensis,  e comandante della Legio IIII Scythica, aveva sposato una donna di origine siriana, Giulia Domna, figlia di un sacerdote di Emesa. Da questa unione nacquero due figli: Caracalla e Geta.

          Si dice avesse sposato Giulia perchè un oracolo le aveva predetto che avrebbe sposato un imperatore. Settimio parlava latino con un forte accento punico ma dovette poi cacciare la propria sorella da Roma, poiché non parlava latino, lingua obbligatoria per tutti.

          Venne nominato senatore da Marco Aurelio, per poi diventare governatore della Pannonia Inferiore, e quando nel 193, scoppiò la guerra civile per la successione al trono a Roma, le legioni della Pannonia lo proclamarono imperatore e Settimio Severo, nello stesso anno si insediò a Roma. Tutti i suoi avversari vennero uccisi nel corso degli anni successivi.
          Settimio creò tre nuove legioni: le legio I, II e III Parthica, riempiendole di privilegi. Fu così il capostipite della dinastia e del Dominato, di stampo militare e dispotico. Fu però un abile condottiero, portando alla vittoria (195-198) le sue truppe contro i Parti, e conducendo fortunate campagne militari nel nord della Britannia (Scozia) contro i Caledoni (208-211) poco prima di morire.

          CARACALLA

          CARACALLA (211-217) E GETA (211)

          Caracalla, figlio di Settimio Severo, abbellì Roma con le immense terme dette appunto di Caracalla, e, con la Constitutio Antoniniana del 212, estese la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero romano per riscuoterne le tasse.

          Caracalla regnò dalla morte del padre nel 211 fino al 217 e condivise per un breve periodo con il fratello Geta il regno, fino a che lo fece assassinare nel 211.

          Già sotto Marco Aurelio era iniziato l'esodo dei contadini dalle campagne ai grandi centri urbani, dovuto alle invasioni barbariche ed alla peste del 166, pertanto i territori vennero abbandonati per mancanza di braccianti e le terre caddero, fin dall'epoca di Caracalla, nelle mani di pochi, concentrando nelle mani di pochi i grandi latifondi terrieri.

          A suo assassinio (217) prese parte anche il prefetto del pretorio Macrino, che non apparteneva all'ordine senatorio e che a lui successe per poco tempo (217-218), pur non appartenendo alla dinastia dei Severi.

          ELIOGABALO

          ELIOGABALO (218-222)

          Eliogabalo, grazie al sostegno della madre, Giulia Soemia (180-222), e della nonna materna, Giulia Mesa (170-226), venne acclamato imperatore dalle truppe orientali, in opposizione all'imperatore Macrino, all'età di quattordici anni.

          Egli si faceva chiamare Eliogabalo o Elagabalo (ovvero Sestio Vario Avito Bassiano, poi Marco Aurelio Antonino). Pur con eccentricità e fanatismi, forse esagerati dai critici cristiani, consolidò il proprio controllo dell'impero.

          Voleva però sovvertire le tradizioni religiose romane, sostituendo a Giove il Sol Invictus, Dio solare di Emesa. A causa dell'opposizione Eliogabalo venne assassinato dalla guardia pretoriana e sostituito dal cugino Alessandro Severo.

          ALESSANDRO SEVERO

          ALESSANDRO SEVERO (222-235)

          Alessandro Severo divenne imperatore alla tenera età di soli 13 anni, ed il suo potere fu gestito dalla madre, Giulia Mamea (180- 235), donna di notevoli virtù, che lo circondò di saggi consiglieri. Dai ritratti appare totalmente calvo, cosa insolita per quei tempi, il che può sottolineare la sua natura molto ansiosa.

          Fallì comunque nel favore dei militari, e benché poi Alessandro conducesse con successo campagne in Oriente contro i Sasanidi e lungo il confine germanico-retico contro la confederazione degli Alemanni, si mise contro l'esercito.

          Così venne ucciso il 18 o 19 marzo del 235, insieme alla madre, a causa dell'ammutinamento capeggiato dal futuro imperatore Massimino il Trace.

          GIULIA DOMNA

          GIULIA DOMNA (180-217)     

          Fu imperatrice romana di origini siriana, moglie di Settimio Severo, venne nominata augusta dell'Impero romano e, molto intelligente e diplomatica,  fu detentrice di un potere mai ottenuto prima dalle imperatrici romane.



          GIULIA MESA (170-226)

          Fu la nonna degli imperatori Eliogabalo e Alessandro Severo. Riuscì, con il concorso di Giulia Domna, ad imporre i nipoti sul trono, eliminando Macrino che aveva interrotto i progetti dinastici dei Severi. Figlia della siriana Giulia Mesa e di Giulio Avito, nipote dell'imperatore Settimio Severo e sorella di Giulia Soemia. Sposò Marco Giulio Gessio Marciano, da cui ebbe un figlio, il futuro imperatore Alessandro Severo.  



          GIULIA SOEMIA (180-222)

          figlia di Giulio Avito e di Giulia Mesa, nipote dell'imperatore Settimio Severo e sorella di Giulia Mamea, sposò Sesto Vario Marcello, da cui ebbe il futuro imperatore Eliogabalo.



          LA RECESSIONE ECONOMICA

          Oltre ai contadini, anche gli artigiani e i piccoli commercianti per le difficoltà economiche e la svalutazione monetaria, divennero humiliores (umili, cioè poveri) con sempre meno diritti rispetto agli honestiores (onesti cioè latifondisti), mentre diventava sempre più difficile la possibilità di scalata sociale. Così l'offerta diminuì e il prezzo aumentò, causando l'inflazione e la svalutazione.

          Vi fu pertanto una recessione, con aumento della povertà e una riduzione delle entrate fiscali. Alcuni imperatori, come Marco Aurelio, misero all'asta le ricchezze personali e della famiglia imperiale per finanziare le guerre marcomanniche, altri dettero a tutti i provinciali la cittadinanza romana per riscuotere più tasse come Caracalla, o elevarono la tassa sulle successioni, oppure tagliarono le spese statali, come Alessandro Severo, riducendo i costi dell'esercito, motivo per cui fu assassinato.

          TONDO SEVERIANO

          IL TONDO SEVERIANO

          Uno straordinario documento dal passato è questa pittura detta "Tondo Severiano", attualmente conservato all’Altes Museum di Berlino. Si tratta di uno dei pochi esempi di pittura su tavola di legno conservatisi e in essa vi sono ritratti Settimio Severo, la moglie e i loro figli. La pittura doveva essere esposta in un ufficio pubblico. Vi si notano i tratti orientali di Giulia Domna e la carnagione scura di Settimio Severo, mentre il volto di Geta venne fatto cancellare da Caracalla per "damnatio memoriae".



          I CAMBIAMENTI AMMINISTRATIVI

          La nuova dinastia sostituì il Senatus consultum con un "Consilium Principis", sostituendo così le decisioni del Senato con quelle della corte imperiale, organo legislativo e di governo, con 50 senatori e 20 giureconsulti, molti di meno rispetto ai precedenti senatori.

          Intanto la Mesopotamia settentrionale tornò sotto il controllo romano governata dal Praefectus Mesopotamiae, con due nuove legioni: la I Parthica e la III Parthica. I Severi si appoggiarono all'esercito, soprattutto non italico, le coorti pretorie furono sciolte e ricostituite con elementi delle legioni provinciali, soprattutto illiriche. La legione II Parthica, formata da Severo, fu posta nei castra Albana a pochi Km da Roma, a difesa del potere imperiale. 

          Severo concesse un aumento della paga da 375 denari annui di Commodo, a 500; suo figlio Caracalla, lo portò a 675 denari annui. Inoltre concesse di contrarre matrimoni durante il servizio militare, tanto che le canabae (quartieri di civili), crescevano attorno agli accampamenti legionari permanenti. Così le carriere militari diventarono ereditarie, tramandate da padre in figlio, mentre le promozioni furono facilitate, si che un soldato semplice poteva accedere ai ranghi più alti, cosa mai più vista dai tempi di Giulio Cesare.

          Sotto Alessandro Severo ritornò lo schieramento falangitico di più legioni, costituendo una massa d'urto di 6 legioni raggruppate, fianco a fianco, senza intervallo. Si ricorse spesso ad unità ausiliarie di arcieri e di cavalieri soprattutto corazzati, reclutati in Oriente ed in Mauretania; crebbe l'utilizzo presso tutte le fortezze del limes di nuovi modelli di catapulte per tenere impegnato il nemico fino all'accorrere delle "riserve strategiche".

          Il periodo fu caratterizzato da guerre condotte:
          - sul fronte renano e danubiano, soprattutto durante il regno di Caracalla (Catti, Alemanni e Goti dal 212 al 215) e Alessandro Severo (234-235);
          - sul fronte orientale durante i regni di Settimio Severo (dal 195 al 198) e ancora Caracalla (216-217); - sul fronte della Britannia ai tempi di Settimio Severo e Caracalla (dal 208 al 211).
          All'esercito romano, in vista delle campagne partiche di Settimio Severo, furono aggiunte tre nuove legioni (legio I, II e III Parthica) portando il numero totale a 33 legioni (pari a 180.000 legionari) e oltre 400 unità ausiliarie (pari a 225.000 ausiliari, di cui 70/75.000 armati a cavallo), per oltre 400.000 unità complessive.

          TOMBA DELL'AIRONE

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          La Tomba dell’airone è un sepolcro familiare del periodo imperiale, II sec. d.c.,  interamente scavato nel tufo, con volta a botte e si trova nella necropoli portuense, tra Monteverde e Pozzo Pantaleo, sfuggito alla distruzione degli speculatori edilizi perché si trova sotto una strada pubblica, l’attuale via Ravizza. Vi si accede dal garage condominiale al civico 12, con una galleria e una porticina in ferro si arriva sotto la strada, nella camera funeraria.

          Il sepolcro presenta affreschi di airone, pavone, colomba, anatra e tre cavalli marini, di dimensioni 6,40 m × 4,20, i volatili nel momento in cui stanno per spiccare il volo o lo hanno appena intrapreso, 
          e rappresentano il volo dell’anima verso l’Aldilà, mentre i tre cavali marini (animali fantastici dal corpo di serpenti e il busto di cavalli) hanno la funzione apotropaica di proteggere la tomba dagli spiriti dell’Ade. Tra le pitture la più suggestiva è quella dell’airone, raffigurato nell’atto di levarsi in volo trasportando un nastro flessuoso, con tonalità che vanno dal bianco al grigio e al rosa.

          PROSPETTI
          Il nastro disegna nell’aria la lettera « M », interpretata come iniziale della famiglia proprietaria del sepolcro. Le pareti ospitano nicchie per le urne cinerarie (disposte a colombario e intorno all’arcosolio del pater familias). Un pavone è a terra, con le ali ancora chiuse e la coda distesa, una colomba già in volo che si abbevera in un vaso e poi c'è un'anatra.

          Tre piccoli affreschi invece riproducono animali fantastici (due nella nicchia del pater familias; un terzo in una nicchia laterale), una specie di cavalli marini, per metà serpenti marini e per metà cavalli, cioè ippocampi. Come decorazioni minori una patera, rose rosse, una cesta con fiori, un candelabro e una maschera.

          Il pavimento contiene sia fosse che sarcofagi a cassone per le inumazioni, mentre le sepolture alle pareti sono a colombario con file ordinate di nicchie, con altre in ordine sparso vicine al nicchione (arcosolio) del pater familias.



          LA LOCAZIONE

          Il sepolcro si trova in una porzione periferica nella vasta area necropolare portuense, probabilmente legata al diverticolo di collegamento tra l’interno (Monteverde) e Pozzo Pantaleo.

          Mentre le sepolture alle pareti sono all’interno di un colombario disposto in file ordinate di nicchie, e altre ve ne sono in ordine sparso vicine al nicchione (arcosolio) del pater familias.
          I quattro affreschi principali riproducono con vivido realismo altrettanti volatili, di specie diverse. Essi sono tutti rappresentati nel momento in cui stanno per spiccare il volo o lo hanno appena intrapreso,

          L’affresco dell’airone (posto alla destra dell’entrata) ha tratti di grande realismo. Il volatile è rappresentato nell’atto di distendere le ali per alzarsi in volo, con colori di tonalità che vanno dal bianco al grigio al rosa. 
          L’animale afferra con le zampe un nastro flessuoso di color porpora, il quale compone nell’aria, con alcune volute, il monogramma « M ». Il monogramma cela probabilmente il nome della famiglia proprietaria del sepolcro. 

          Qualcuno ha pensato, ma con un po' di fantasia, che si potesse trattare dei Manlii, l’antica Gens Manlia all’origine del toponimo Magliana. Si trattava comunque di una famiglia benestante e ben in vista se, per evocarla ai contemporanei, era sufficiente citarne solo l’iniziale.

          Sopra la nicchia del pater familias si trova il secondo affresco, il quale raffigura un pavone in movimento, a terra, con le ali ancora chiuse e la coda distesa. Sulla parete sinistra è presente una colomba già in volo che si abbevera in un vaso: infine un terzo affresco raffigura un’anatra.



          Il SIGNIFICATO

          Gli uccelli in volo, secondo alcuni studiosi, rappresenterebbero simbolicamente le anime dei defunti che, staccatesi da terra, si levano in volo verso la dimensione dell’Aldilà. Ma i romani non ponevano l'aldilà nel cielo ma semmai sottoterra.

          UCCELLO IN VOLO
          Sono presenti anche tre piccoli affreschi che riproducono animali fantastici (due nella nicchia del pater familias; un terzo in una nicchia laterale), definiti nel linguaggio comune draghi. Anche le decorazioni minori. dalla patera alle roselline rosse sbocciate (della rosa spontanea o canina), una cesta con fiori, un candelabro o una maschera, hanno lo stesso intento.

          In quanto ai cavalli marini, per metà serpenti marini e per metà cavalli, che alcuni hanno chiamato erroneamente con il nome di ippocampi, non sono cavalli marini e anche se lo fossero non avrebbero significato apotropaico contro gli spiriti malvagi, come sostenuto da alcuni. Le funzioni decorative volevano essere semplicemente decorative, cioè portare fantasia, leggerezza e bellezza nel luogo funebre.

          La paura della morte non era sentita dai romani come da noi oggi. La frase famosa che si poneva nelle stele funerarie "Che la terra ti sia lieve" (Sit tibi terra levis), denota una connotazione coraggiosamente laica, con riferimento alla vita e alla morte, ma quest'ultima vissuta come compimento naturale della vita (festina lente velociter labuntur anni - affrettati con lentezza, gli anni scorrono veloci). Il richiamo alla morte è invito a vivere intensamente la vita e non a deprimersi.

          Pertanto si cerca di rallegrare il passaggio del defunto con immagini tranquille e insieme liete, che possano non far pesare troppo la terra che lo ricopre al defunto stesso. Uno dei maggiori valori romani era quello dell'affrontare la morte senza paura.

          AQUA AUGUSTA (Emerita Augusta - Spagna)

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          L'Aqua Augusta, il cui nome è noto da un'iscrizione, era il terzo acquedotto che serviva la città di Emerita Augusta in Spagna, città fondata nel 25 a.c. da Ottaviano Augusto, per accogliere i soldati emeriti dell'esercito romano provenienti da due legioni veterane delle Guerre Cantabrihe: la Legio V Alaudae e la Legio X Gemina.

          La città fu la capitale della provincia romana della Lusitania. Il termine emerito veniva dato ai soldati che avevano finito con onore il tempo della loro vita militare. Ad essi spettava una liquidazione sostanziosa che spesso, per non sovraccaricare l'erario dello stato, veniva sostituita con l'attribuzione di una terra nei luoghi occupati.

          L'acqua Augusta ha avuto la sua sorgente nel serbatoio di Cornalvo, dove veniva raccolta l'acqua piovana e si trovava a una quindicina di chilometri a nord della città. Il suo acquedotto venne edificato in opus quadratum usando blocchi di tufo squadrato insieme ai laterizi.

          Si tratta di uno sbarramento di 200 metri di lunghezza. Sembra che sia stata costruita nell'ultimo quarto del primo secolo. A 10 Km da Merida c'è lo splendido parco di Cornalvo, chiamato dai romani Cornus Albo, per la forma di corno del suo bacino idrico.
          LA DIGA ROMANA

          I romani infatti costruirono un bacino idrico sul fiume Albarregas, per fornire di acqua la città di Augusta Emerita, edificando il conseguente acquedotto, detto Aqua Augusta ma pure Acquedotto di Cornalvo.

          L'Aqua Augusta aveva origine da un invaso chiuso mediante una diga caratterizzata da una struttura a gradini provvista di castellum di presa d'acqua. 

          L'acquedotto compiva un percorso di 18 km attraverso la campagna emeritense (se ne conservano resti importanti) e finiva in un deposito ubicato nelle vicinanze dell'attuale Plaza de Toros.

          Le cisterne di Cornalvo e Proserpina (Palude Parco Naturale Cornalvo e Riserva Proserpina), locate nei pressi di Mérida, sembra siano i più antichi serbatoi in Spagna. Sono considerati in genere di origine romana, anche se alcuni sospettano origini medievali, ma dall'aspetto e le finiture si direbbero proprio romane.

          Il lago di Proserpina a 4 km da Merida è un bacino artificiale, riconosciuta da tutti come splendida opera romana che raccoglieva l'acqua per la città. L'acquedotto fu dichiarato nel 1912 Monumento Nazionale e tutt'oggi è in ottimo stato di conservazione tant'è che è ancora usato ai giorni nostri.

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