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GENS SESTIA

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GENS SESTIA

La gens Sestia (Sēstia) era una famiglia patrizia minore dell'antica Roma, ma col tempo ebbe pure dei rami plebei. Da non confondere con la gens sestilia che perlatro nacque plebea. L'unico membro di questa gens ad ottenere il consolato, la carica più ambita, al tempo della Repubblica fu Publio Sestio Capitolino Vaticano, nel 452 a.c.



I NOMINA

Il nomen Sestius è talvolta confuso con quello di Sextius, e queste famiglie potrebbero condividere un'origine comune; ma gli scrittori romani le consideravano gentes distinte. Se Sestius e Sextius sono due forme dello stesso nome, allora Sestius è probabilmente un cognome patronimico, basato sul comune praenomen Sextus, che significa "sesto". Lo stesso nome diede origine alla plebea gens Sextilia. I Sestii plebei conosciuti dalla tarda Repubblica potrebbero essere stati discendenti di liberti, o di Sestii che hanno rinunciato al loro status di patrizi.



I PRAENOMINA

I principali praenomina usati dai Sestii includevano Publio, Lucio, Vibio e Tito. I Sestii sono l'unica famiglia patrizia nota per aver utilizzato Vibius. L'epigrafia fornisce anche un esempio del raro praenomen Faustus, sebbene essendo stato portato da una liberta, non è chiaro se il nome appartenesse in precedenza a membri di questa antica famiglia.


I COGNOMINA

L'unico cognomen dei primi Sestii è Capitolinus, presumibilmente riferito al Campidoglio, dove la famiglia doveva originariamente risiedere. Il console del 452 a.c. portava l'agnomen Vaticanus, apparentemente riferito a qualche associazione con il colle Vaticano, dall'altra parte del Tevere rispetto al Campidoglio. Verso la fine della Repubblica si ritrovano i cognomi Pansa, che significa "piede piatto", e Gallus, gallo o Gallo.



MEMBRI IMPORTANTI O CONOSCIUTI

- Vibius Sestius Capitolinus, nonno di Publius Sestius Capitolinus, 

- Publius Sestius, ovvero Publius Sestius Capitolinus Vaticanus, Livio lo chiama Sextius e poi Sestius, Dioniso di Alicarnasso lo chiama Siccius, il cognomen Capitolinus non è certo, fu chiamato anche Capito. Era figlio di Quintus, e fu l'unico della sua famiglia a diventare console.
Nel 452 a.c. fu console con Titus Menenius Lanatus. Durante il suo consolato, i delegati partirono per studiare diritto greco ad Atene. Tornati a Roma, i tribuni della plebe convocarono dei funzionari per creare una commissione per scrivere la legge. Publio Sestio sostenne questa proposta, contrariamente al suo collega Tito Menenio, che ponderò la questione prima di ammalarsi, poi fu reso inattivo fino alla fine del suo consolato. Publio Sestio si rifiutò di prendere l'iniziativa da solo nella composizione della commissione, e quindi rinviò la decisione all'anno dopo. Nel 451 a.c, per il suo appoggio, fu accolto nella prima commissione dei decemviri che redasse le prime dieci tavole della Legge delle Dodici Tavole del diritto romano.

- Publius Sestius, accusato di omicidio da Gaius Julius Iulus, uno dei decemviri, nel 451 a.c.; apparentemente un uomo diverso dal decemvir Capitolinus.

- Publius Sestius, questore nel 414 a.c.. sotto gli ordini del tribuno consolare Marcus Postumius Albinus. Venne ucciso dai suoi soldati ammutinati dopo la presa di Bolae contro gli Equi, popolo del nord-est del Lazio.

Vibius Sestius, fine del IV secolo a.c. ,

Quintus Sestius, figlio del precedente,

- Lucius Sestius, tribuno della plebe, probabilmente all'inizio del I secolo a.c..

Publius Sestius, era figlio di un uomo con lo stesso nome e di una donna di nome Postumia, morto dopo il 35 a.c., fu politico e governatore romano. Compare come questore del console Gaius Antonius Hybrida (zio del famoso triumviro Marco Antonio) e combatté contro la seconda cospirazione di Catilina. Servì un procuratore in Macedonia dal 62 al 61 a.c.. e venne eletto tribuno della plebe per il 57 a.c. cercando di far richiamare Cicerone dall'esilio, combatté, con Tito Annio Milone, le folle urbane di Publio Clodio Pulcher, e tentò anche di interrompere l'elezione di Clodio a edile in quell'anno. Successivamente Cicerone lo difese in Pro Sestio con l'accusa di violenza pubblica nel 56 a.c.. Servì come pretore nel 54 o 50 a.c.. Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo, si unì al secondo, diventando governatore della Cilicia con il grado di proconsole. Marco Giunio Bruto lo accompagnò nella provincia. Dopo la battaglia di Farsalo in cui Pompeo fu definitivamente sconfitto, Sestio fu graziato da Giulio Cesare che servì e che lo inviò in Cappadocia nel 48 a.c.

Lucius Sestius Pansa, si oppose à Quintus Tullius Cicero, di cui era fratello cadetto, nel 54 a.c.,

- Publius Sestius, figlio del precedente, pretore nel 53 a.c. amico e alleato di Cicerone che lo difese nel 56 a.c.. Lo troviamo a fianco di Pompeo durante la guerra civile in cui passa poi al fianco di Cesare che lo perdona e lo invia a combattere per lui in Cappadocia nel 48 a.c.

Publius Sestius al quale Cicerone scrisse intorno al 53 a.c., era stato condannato per un delitto ignoto.

Titus Sestius Gallus, possedeva la terra dove fu ucciso Publio Clodio Pulcher nel 52 a.c.

- Lucius Sestius Quirinalis Albinianus, consul suffectus nel 23 a.c.. Era figlio di Publio Sestio e di una figlia di Gaio Albanio. Sebbene Orazio ne abbia fatto il soggetto di una delle sue odi, Ronald Syme osserva che Sestius, quantunque abbia servito come proquestore di Marcus Junius Brutus, "non lascia traccia né del rango né della capacità adeguata per la magistratura suprema" e ritiene che "Sestius potrebbe aver condotto una vita di tranquillo agio". In tal caso doveva avere un'avversione per la vita pubblica, che però era una delle caratteristiche di un epicureo. Fonti letterarie gli attribuiscono la dedica di tre arae (altari) del culto imperiale nella Hispania nord-occidentale, intorno al 19 a.c.

- Lucius Sestius Carres, un liberto sepolto in un sepolcro del I secolo a Roma, insieme a Fausta Sestia Amaryllis e Publius Caesenus Cerdo.

- Fausta Sestia Amaryllis, una liberta sepolta a Roma, all'età di 20 anni, condivide la sua tomba con i liberti Lucius Sestius Carres e Publius Caesenus Cerdo.


BIBLIO

- Marcus Tullius Cicero - Epistulae ad Familiares, Pro Sestio -
- Dionysius of Halicarnassus - Romaike Archaiologia (Roman Antiquities).-
- Titus Livius - Ab urbe condita libri -
- George Davis Chase - The Origin of Roman Praenomina - in Harvard Studies in Classical Philology - vol. VIII - 1897 -
- Ronald Syme -The Augustan Aristocracy - Clarendon Press - Oxford - 1989 -

COLLE VELIA

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PALAZZO SILVESTRI SULLA VELIA NEL 2019

La Velia era un'altura di Roma, alta circa 40 metri, posta tra il colle Palatino e il colle Oppio, una delle propaggini dell'Esquilino (58,3 metri su viale di Monte Oppio). Oggi scomparsa, era una propaggine del colle Esquilino, Rione Monti, Roma. Il colle, con il Palatino e il Campidoglio, ed era una delle cime che naturalmente sovrastavano l'area dove sarebbe sorto il Foro Romano.

La Velia era un colle a carattere residenziale, che aveva ai lati la depressione dell'area dei Pantani ove sorgevano i Fori Imperiali e sul lato più interno la depressione della Suburra e dall'altro lato la valle del Colosseo. Essa confinava con il quartiere delle Carinae, il settore occidentale del pendio meridionale dell'Esquilino, da cui era separato dal vicus Cyprius, (quello dove Tullia avrebbe ucciso il padre Servio Tullio, schiacciandolo con il suo carro trainato dai cavalli).

La Velia (talvolta indicata come Veliae = le Velie) era compresa nell'antichissima lista del Septimontium (i sette monti) e insieme al Palatino costituì una delle quattro regioni in cui il re Servio Tullio aveva diviso la città. Era costituita una piccola altura di forma rettangolare che raggiungeva il suo punto più alto dove oggi si trova la Basilica di Massenzio, praticamente la parte rimasta è quella all'altezza del clivo di Acilio, del Belvedere Cederna, il punto dove sorge la villa Rivaldi-Sivestri su via del Colosseo.

POSIZIONE DEL VELIA

Sotto la basilica di Massenzio, è stata ritrovata la pavimentazione di magazzini della prima epoca imperiale (horrea piperitaria, ove si conservava il pepe). Dopo il grande incendio di Roma, Nerone sul suo lato orientale fece costruire l'atrio della sua Domus Aurea, dove poi fu costruito il tempio di Venere e Roma, mentre la sua parte occidentale fu sbancata per la costruzione del tempio della Pace.

Tra i popoli albensi (o albani), che a seguito della distruzione di Alba Longa, furono costretti a trasferirsi a Roma, comunque equiparati nei diritti agli stessi romani, sono citati i Velienses, dal nome del colle che andarono a popolare.

Sulla Velia si trovava la domus del re Tullio Ostilio e quella di Publio Valerio Publicola, politico e militare romano del VI secolo a.c., che egli stesso fece demolire in una sola notte, non appena seppe che tra il popolo girava la voce che avesse intenzione di farsi re. Ricostruita la sua domus alle pendici dello stesso colle, alla morte di lui al posto della sua casa fu eretto il tempio dedicato alla Dea Vica Pota.

MURO DI CONTENIMENTO PALAZZO SILVESTRI-RIVALDI

Accanto alla casa si trovava anche la tomba che gli fu concesso di costruire, in via eccezionale, dentro il pomerium. Il colle rimase comunque appannaggio della famiglia dei Valeri, una delle famiglie romane più illustri ed influenti, che qui ebbero la loro residenza principale.

Ai piedi del colle si trovava poi il tigillum Sororium, l'arco di legno sotto cui venne fatto passare l'Orazio superstite, come sola condanna per aver ucciso la sorella Camilla. Sul colle insisteva un tempio dedicato ai Penati mentre sul lato orientale sono state ritrovate pavimentazioni di epoca repubblicana.

Nel IX secolo, presso le rovine del tempio di Venere e Roma, fu fondata la chiesa di Santa Maria Nova, in seguito ridedicata come basilica di Santa Francesca Romana. Nel '500 sull'altura fu edificato Palazzo Silvestri-Rivaldi, i cui giardini si estendevano su gran parte della Velia, fino alla Basilica di Massenzio: la sommità di questa fu adibita a belvedere panoramico su Foro romano e Palatino.

MURO DI CONTENIMENTO BASILICA DI MASSENXIO

La collina venne in gran parte sbancata negli anni trenta per l'apertura di via dei Fori Imperiali che collega piazza Venezia al Colosseo. Probabilmente Confinava con la Velia la zona delle Carinae, c'è una via sul versante del colle Fagutale, che la ricorda, in realtà il vicus ad Carinas era in un tratto del foro Romano tra il Templum Pacis e gli Horrea Piperataria, poi sostituiti dalla Basilica di Massenzio.

Il taglio della Velia non fu effettuato, come si crede, per rendere la strada rettilinea e adatta alle parate militari e alle celebrazioni del regime fascista, i documenti d'epoca smentiscono quest'idea. Il progetto originario prevedeva una curva a gomito all'altezza della Basilica di Massenzio, per poi riconnettersi alla viabilità alla base del Colle Oppio; il taglio della Velia non sarebbe stato necessario o molto ridotto.

Fu il governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi a proporre di rettificare il tracciato, per risparmiare sugli espropri e per rendere il Colosseo visibile tutta la strada, con grande effetto scenico. Antonio Muňoz propose la cosa a Mussolini, che approvò, previe indagini archeologiche sulla Velia. 

Gli scavi rivelarono presso il Tempio di Venere, un piccolo altare, il compitum Acili descritto da Guglielmo Gatti, costruito per i Lares Compitales, le divinità degli incroci; nonchè i resti fossili di un Elephas antiquus, purtroppo deterioratisi quasi immediatamente, conservati all'Antiquarium comunale del Celio.

I resti dell'altura si trovarono dunque separati in due dall'apertura della nuova strada, e furono perciò delimitati da due muraglioni di sostegno: a sud-ovest nelle vestigia del tempio di Venere e Roma e della Basilica di Massenzio, e a nord-est bel Palazzo Silvestri-Rivaldi e quanto rimane del suo giardino, in origine molto esteso su gran parte della Velia.

ELEPHAS ANTICUUS

ANDREA CARANDINI

La topografia di Roma è grandemente facilitata dal fatto che si articola in monti/colli e in bassure/valli, le quali hanno conservato ancora oggi i loro nomi antichi, per cui la conformazione dei luoghi aiuta a comprendere i limiti degli stessi rilievi e valli. Ciò non si verificherebbe se la città fosse stata in pianura, nella quale i toponimi vagherebbero, rendendo tutto assai incerto. 

Vi è però un’eccezione rappresentata dal monte Velia, il secondo in grado d’importanza dopo il Palatium nel contesto del Septimontium. Si trattava di un monte piccolino, sede degli antichissimi Velienses, uno dei populi Albenses, villaggio che deve aver svolto un ruolo preminente, al tempo dei primi Latini, anteriormente al Septimontium e quindi ai centri/centro proto-urbano, quando probabilmente questo monte è sceso al secondo posto. 

Allora è cominciata la fortuna del Palatium e del Cermalus, cioè del Palatino. Di questo monticello della Velia, interposto tra il Palatium e il Fagutal/Esquiliae (l’Esquilino), pertanto centralissimo, non resta quasi più nulla, salvo il lembo della villa Rivaldi. Gli altri tre lembi sono stati asportati, soprattutto da Nerone e dai Flavi, per dar luogo ai portici racchiudenti edifici pubblici e principeschi disposti lungo la nuova Sacra via tra i quali gli horrea flavi, la basilica di Massenzio, il vestibulum della residenza veliense della domus Aurea e il templum Pacis. 

Per contenere le parti superstiti del monte erano servite, fin d’allora, cospicue opere murarie di contenimento. A completare la distruzione del monte è stato infine Mussolini con la sua pomposa via dell’Impero, la quale ha scassato sia la grande domus che sorgeva sulla sua cima, probabile residenza del praefectus Urbi, sia l’aedes/secretarium Telluris con edifici annessi, che chiudeva a est il complesso della prefettura urbana, aperto a ovest dal templum Pacis. 

Per questa parte importantissima di Roma possediamo solamente disegni del ’500 attribuiti a Francesco da Sangallo e a Pirro Ligorio. Solo essi consentono di ricostruire la topografia di questa zona importantissima della città a partire dalla fine del ii secolo d.C. Dunque, la Velia è stata sbocconcellata dai maggiori demolitori urbani. Un monticello è un inno alla varietà e non all’uniformità, dote noiosissima che i despoti, da Nerone a Mussolini, prediligono. 

Ma i resti sopravvissuti e le testimonianze di rinvenimenti poi scomparsi, ma agganciabili a luoghi certi come il nartece della basilica di Massenzio, consentono di ricucire e ricostruire la deliziosa e provocante irregolarità del rilievo e di resuscitare la storia di un quartiere. 

(Andrea Carandini)


BIBLIO

- Tito Livio, Ab Urbe condita libri -
- Dionigi di Alicarnasso -Antichità romane -
- Cicerone -De re publica - II -
- Nicola Terrenato - Velia and Carinae. Some observation on an area of archaic Rome -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma. La città Palatina ed i Sette colli. -
- L. Quilici - Via dei Fori Imperiali prima di Mussolini - Scomparsa di un colle dalla faccia di Roma - Archeologia viva - 1982 -
- A. Cederna - Distruzione e ripristino della Velia - L. Benevolo, F. Scoppola (edd.) - Roma, l'area archeologica centrale e la città moderna - Roma - 1987 -
- A. Carandini - Palatino, Velia e Sacra via. Paesaggi urbani attraverso il tempo, Ghezzano - 2005 -

CLATERNA (Emilia Romagna)

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Claterna è un raro esempio di città scomparsa in Emilia-Romagna, una città posta sulla via Emilia, fra le colonie romane di Bologna (Bononia) e Imola (Forum Cornelii), esattamente tra la frazione Maggio di Ozzano dell'Emilia ed il torrente Quaderna (affluente dell'Idice), da cui la città prendeva il nome. Infatti il centro si chiamò prima Quaterna e poi Quaderna, secondo il nome etrusco del fiume, romanizzato poi in Claterna.

Pertanto nella regione Cispadana il territorio più occidentale, comprendente la maggior parte dell’odierna Emilia-Romagna, fu conquistato stabilmente dai Romani soltanto dopo la II Guerra Punica (218-202 a.c.) e dopo le campagne militari contro i galli Boi all'inizio del II secolo a.c.

Il centro di Claterna nacque infatti durante la prima metà del II secolo a.c., contemporaneamente alla grande colonizzazione agraria della pianura, esso doveva costituire una sosta nel tragitto fra le due colonie maggiori, come gli altri centri sulla via Emilia, a distanza regolare tra loro, e cioè ad una giornata di marcia delle legioni (circa 36 km odierni, o 24 miglia romane). Le vie servivano infatti ai legionari per gli spostamenti veloci e ai carri per gli scambi commerciali.

Con la colonizzazione romana della Gallia Cisalpina (o Gallia Citeriore) e la costruzione della via Emilia, in parte sul tracciato di un antico sentiero ai piedi della collina, Claterna fu fondata alla confluenza di un'altra strada romana che traversava l'Appennino, probabilmente la via Flaminia Minor, voluta dal console Gaio Flaminio nel 187 a.c. tra Bononia (Bologna) e Arretium (Arezzo), come riferisce Tito Livio, che congiungeva la strada emiliana con Arezzo (Arretium).

Claterna fu dapprima un villaggio con funzione itineraria, in quanto posta all’incrocio tra la via Aemilia ed una via transappenninica da identificare forse con la via Flaminia Minor (vie consolari furono realizzate nel 187 a.c.), ma pure commerciale, finchè nel I secolo a.c. (in periodo sillano o forse cesariano) Claterna fu elevata a municipio, come capoluogo di una grande circoscrizione territoriale tra i torrenti Idice e Sillaro, confinante ad ovest con Bononia, e ad est con Forum Cornelii, odierna Imola.


L'insediamento iniziò nel II secolo a.c., verso il il 183 a.c.. prima solo un villaggio che si espanse fino a diventare municipium nel I secolo a.c., divenendo capoluogo del territorio compreso fra i torrenti Idice e Sillaro. Il suo declino avvenne nella crisi economica e politica del III secolo, e dalle incursioni barbariche. La città si impoverì e la popolazione diminuì, fino al definitivo abbandono poco dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, tra il V e VI secolo.

Claterna prese il nome dal fiume che tuttora la bagna, il Quaderna, di origine etrusca che presagisce un insediamento nel luogo già all'epoca. Le prime notizie riguardano un episodio della guerra di Modena, quando Aulo Irzio, nel 43 a.c., la espugnò e vi si insediò al servizio di Ottaviano contro Antonio. Come riferisce Cicerone (ad fam., XII,5,20) la città era stata presa con le armi, il che attesterebbe la presenza di un apparato difensivo, se non di mura,  di un vallo o terrapieno, benché oggi non ne restino tracce.



DESCRIZIONE

L’area urbana aveva una forma quasi trapezoidale, con sviluppo da est ad ovest per circa 600 metri, a cavallo della via Emilia, che ne costituiva il decumanus maximus per un’estensione di circa 150 metri a nord e a sud della stessa. Nella massima espansione, occupava dunque un’area di circa 18 ettari, senza contare i suburbilungo gli assi della viabilità maggiore.

Le altre strade principali erano costituite da una via parallela al corso del Quaderna, da un grande cardine ortogonale alla via Emilia (il cardo maximus) e da altre due vie parallele a quest’ultima, collocate a nord e a sud della città. L’impianto urbano era delimitato ad est dal torrente Quaderna e ad ovest dal Gorgara.

Altre tracce emergono da una ricostruzione archeologica fondamentalmente basata sulle indicazioni provenienti dalle raccolte sistematiche di superficie (survey), dall’analisi della fotografia aerea, dall’applicazione di metodi geofisici e da esplorazioni mediante saggi di scavo. Il Museo della città romana di Claterna, al secondo piano del Palazzo della Cultura in Piazza Salvador Allende a Ozzano, è stato inaugurato nel 2019.

MOSAICO DELLE TERME

GLI SCAVI

Il territorio di Ozzano dell'Emilia accoglie importanti resti archeologici pertinenti all'area compresa tra l'abitato di Maggio e il torrente Quaderna, e riferiti all'antica città di Claterna. Il ritrovamento dei primi reperti (dovuto all'aratura dei campi), determinò i primi scavi fra il 1890 e il 1933, guidati da Edoardo Brizio, direttore del Museo Civico di Bologna e a Salvatore Aurigemma, commissario della Soprintendenza alle Antichità, rinnovate poi tra il 1950 e il 1960, dirette da Guido Achille Mansuelli.
Vennero messi in luce dei tratti stradali, domus con pavimentazioni musive e a cocciopesto, oltre a ceramiche, monete e vasi di vetro.

Negli anni trenta, furono ritrovate alcune pavimentazioni di oggi esposte al Museo Civico Archeologico di Bologna. Seguirono poi solo rinvenimenti casuali dovuti alla realizzazione di nuovi impianti Enel, Hera e fibre ottiche. Dagli anni ottanta un gruppo archeologico organizzato da volontari al seguito di archeologi professionisti, ha riavviato campagne di scavo. Nei recenti scavi condotti nell’area archeologica bolognese sono emersi frammenti di marmo colorato,  iscrizioni, monete e parte di un teatro romano.

Oggi è possibile visitare lo scavo con i pavimenti di una domus detta domus dei mosaici nel settore 12, a sud della via Emilia, e la ricostruzione in archeologia sperimentale di un'abitazione-officina artigiana a nord della strada, nel settore 11, detta domus del fabbro. I resti degli altri scavi (fra cui il teatro e il foro) sono stati ricoperti in attesa di risolvere il problema economico della loro sistemazione.


Reperite anche delle iscrizioni incise su lapidi in pietra sia nel territorio che nel sito della città, dedicate a personaggi di rango, imperatori e divinità. La città è ricordata anche da S. Ambrogio (Ep.II,8), vescovo di Milano, che sul finire del IV secolo la include tra i “semirutarum urbium cadavera” (cadaveri di città semidirute), per la decadenza economica e gli eserciti barbarici o al servizio di usurpatori che devastavano i centri della regione.

Comunque la città scomparsa è da anni al centro di ricerche e studi da parte della Soprintendenza e del Gruppo archeologico Città di Claterna, supportate dal Comune di Ozzano e dall'I.M.A. Industria Macchine Automatiche S.p.A. che hanno permesso la recente istituzione dell’associazione culturale “Civitas Claterna”, nata nel 2005, per gli studi e scavi della città.

Rimane ancora molto da scoprire di questa città, sui suoi precedenti insediamenti etruschi e celtici, sui suoi insediamenti romani, anche perchè dimenticata e sepolta quasi intatta sotto i campi, a mezzo metro di profondità, da ben1500 anni. Il Museo della città romana di Claterna, al secondo piano del Palazzo della Cultura in Piazza Salvador Allende a Ozzano, è stato inaugurato nel 2019.


BIBLIO

- R. Susini - Genesi storica di Claterna - Culta Bononia - 1970 -
- Fabio Pasi (a cura di) - Il fiume Lamone. Aspetti storici - Ravenna - Longo - 2000 -
- Carla Conti - Città romana di Claterna, Ozzano (BO) - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara - 30 novembre 2020 -
- Angela Carusone - Ozzano: inaugurato il Museo Città romana di Claterna - Bologna Today - 30 marzo 2019 -

CORNELIO VALERIANO

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CORNELIO VALERIANO

Nome: Publio Licinio Cornelio Valeriano, Publius Licinius Cornelius Valerianus
Nascita: Roma 250 circa
Morte: Pannonia, 258 circa
Professione: cesare dell'Impero romano tra il 255 e il 258.
Padre: Gallieno
Madre: Cornelia Salonina

La famiglia valeriana apparteneva all'aristocrazia senatoriale romana, elevata al trono nel 253 quando Valeriano viene nominato imperatore. Valeriano è sposato con Mariniana, figlia di Egnazio Vittore Mariniano, da cui ha due figli: Gallieno che nomina il figlio Gallieno Augusto e quindi coimperatore, e Valeriano il giovane che nomina Cesare.

Gallieno è sposato con Cornelia Salonina, da cui ha tre figli: Cornelio Valeriano, Cornelio Salonino e Egnazio Mariniano. Cornelio Valeriano, il figlio maggiore, ricevette il nome Valeriano dal nonno imperatore. Quando Valeriano e il figlio Gallieno divennero augusti, nel 255, Cornelio Valeriano venne innalzato per volere del nonno a cesare.

Mentre Valeriano si occupava delle province orientali e Gallieno della frontiera del Reno, Cornelio Valeriano dovette badare la frontiera del Danubio dal 256, ma aiutato da un generale esperto, sicuramente Ingenuo, in quanto quindicenne. Infatti vi sono molte iscrizioni come princeps iuventutis, che celebrano le ricostruzioni di strade e ponti.

GALLIENO

Non si sa come morì ma la sua monetazione come cesare finisce nel 258, quando in Pannonia vi fu la rivolta di Ingenuo, per cui la sua morte è attribuita a lui. Sulla elevazione di Cornelio Valeriano ad augusto, un'iscrizione che lo celebra come augustus sembrerebbe un tentativo di guadagnargli la lealtà dei soldati in occasione della rivolta di Ingenuo: un tentativo fallito.

Quando infatti l'imperatore Valeriano fu catturato dai Sasanidi, mentre Gallieno era impegnato a tenere assieme il suo impero contro diversi usurpatori Ingenuo si proclamò imperatore. Gallieno richiamò le truppe dalla Gallia, e gli dette battaglia nei pressi di Mursa o Sirmio, l'usurpatore o venne ucciso in battaglia, o, le versioni sono diverse, si tolse la vita per evitare la cattura.


BIBLIO

- Bray, John - Gallienus - Wakefield Press - 1997 -
- Ammiano Marcellino - Rerum gestarum - libri XXXI -
- Corpus Inscriptionum Latinarum - edidit Theodor Mommsen - Berolini  - 1863 -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita -
- Paolo Orosio - Historiarum adversus paganos libri septem -
- Giovanni Zonara - Epitome delle storie -
- Zosimo - Storia nuova -
- Richard Weigel -Valerian (A.D. 253-260) and Gallienus (A.D. 253-268) - su De Imperatoribus Romanis - 2012 -

LUCUS AUGUSTI - LUGO (Spagna)

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MURA DI LUCUS AUGUSTI

Lugo ovvero Lucus Augusti è un comune, una città della Galizia in Spagna, capoluogo della provincia di Lugo e dell'omonima regione. È una città di origine romana, come insediamento in onore del Dio Lug o Lugh e successivamente fondata come accampamento militare dell'impero nel 25 a.c. 

È il centro più antico della Galizia, sorto nei pressi di un castro; i numerosi resti romani, molti dei quali conservati nel Museo Provinciale, e soprattutto le mura romane testimoniano i suoi primi anni di storia, unico al mondo a conservarne l' intero perimetro e dichiarato Patrimonio dell'Umanità nel 2000. La città è uno dei pochi luoghi al mondo riconosciuti come Patrimonio dell'Umanità sia culturale che naturale. 

Lucus Augusti era la capitale più vicina alle finisterrae romane, l'ultimo anello delle fortificazioni romane, quindi dovrebbe essere molto più solida delle altre. La città si trova su un altopiano circondato da fossati naturali su tre lati, il fiume Miño a ovest ea sud e i torrenti Rato, Paraday e Chanca a est ea nord .

Nel 26 a.c., un corpo di spedizione romano al comando di Caio Antisto Veto arrivò nel nord-ovest della penisola iberica, che sarebbe diventata la Galécia, per controllarla. Stabilì nel 25 a.c. un accampamento nel territorio dell'attuale Lugo, che chiamò Luco Augusto, forse originato dalla divinità celtica Lug (che diede origine anche ai nomi di città come Lugano o Lione ) e che divenne capitale della Galecia Lucense. Luco Augusto significherebbe "il bosco sacro di Augusto".

Il toponimo Lucus, deriva dal latino e significa bosco sacro; ma è anche possibile che avesse una radice precedente, poiché il nome del Dio celtico della luce era Lugh, e sarebbe stato venerato in epoca preromana.



LA FONDAZIONE

Paulo Fabio Máximo fondò Lucus Augusti nel 14-13 a.c., sull'accampamento militare già installato nel 25 a.c. La città sarebbe stata la capitale del Convento Legale Lucense, in cui era integrata la Gallaecia settentrionale. La città è basata su un altopiano a 475 m. di altitudine circondato da fossati naturali su tre lati, il fiume Miño a ovest ea sud e i torrenti Rato, Paraday e Chanca, a est; A nord, Lucus Augusti aveva la sua Muraglia.



LE MURA

L'antica città romana di Lucus Augusti, fondata da Paulo Fábio Máximo per conto di Augusto nel 13 a.c. per annettere all'Impero Romano il nord-est della penisola iberica, era dotata di una cinta muraria che durò, con poche ristrutturazioni, fino ai giorni nostri, ed è la meglio conservata delle mura romane situate nella penisola iberica. 

MILIARIO ROMANO
Il muro romano di Lugo segue le linee guida dell'ingegnere romano Vitruvio, è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 2000 e dal 6 ottobre 2007 è stato collegato con la Grande Muraglia cinese a Qinhuangdao.  Esso venne eretto alla fine del III secolo, tra gli anni 260-310, quando Roma iniziò a sentire la minaccia barbarica ed è forse il recinto fortificato più importante e meglio conservato del mondo romano. 

Le mura misurano circa 2150 m. di lunghezza, con un'altezza tra i 10 ed i 15 m. Si ritiene che sia stato eretto in un unico progetto, terminato a metà o alla fine del IV secolo. Nell'VIII secolo la città cadde nelle mani dei musulmani, e nel 998 Almançor demolì parte delle mura, anche se non riuscì a conquistare la città.

Si conservano 71 cubi, 60 circolari e 11 quadrangolari degli 85 che aveva. Otto sono sezionati e cinque scomparsi. Su ogni cubo c'era una torre di due o tre piani e quattro finestre in ciascuna di esse, ma solo una parte di una è conservata, nella zona conosciuta come A Mosquera. I materiali utilizzati nella sua costruzione sono principalmente ardesia e, in misura minore, muratura in granito. Il materiale di riporto è una malta composta da terra, pietre sciolte e ciottoli, cementata con acqua. 

Alla cinta muraria e alle torri si accedeva da scale a doppia ala incastonate nei solidi cubi. Sono state scoperte sedici scale di questo tipo e si presume che ce ne sia una in ciascuna torre romana originale. La città aveva 12 porte, attualmente si ritiene che cinque delle sue dieci porte siano romane, anche se con aggiunte successive. 

C'era inoltre un fossato a circa 5 m dalle torri, largo 20 m e profondo 4, un fossato non continuo, ma con più tratti, tra il muro e gli edifici c'era un intervallum che correva lungo tutto il contorno dello stesso, come un camminamento circolare inferiore, a 32 metri dalle mura. Nel tempo venne occupato da edifici.
 
CESARE AUGUSTO E PAOLO FABIO

LE TORRI

La cinta mantiene una serie di torrioni difensivi, con una distanza tra 8,80 e 9,80 m a 15,90 e 16,40 m, e un'altezza tra 8 e 12 m all'esterno. Erano 85, 46 di loro sono intatte mentre ci sono tracce delle altre 39.
Le torri hanno dimensioni da 5,35 m a 12,80 m nella cavità. La forma è poligonale, con vertici smussati.

Vennero costruite: in granito, per la finitura delle porte e degli angoli per rinforzare le torri, e lastre di ardesia per l'esterno delle mura. L'interno è riempito con una malta composta da terra, pietre e ciottoli cementati con acqua. Tutti questi materiali sono abbondanti nella zona.

Delle 85 torri originarie se ne conservano 71, di cui 60 circolari e 11 quadrate. La disposizione delle torri evita i punti ciechi. Ogni torre doveva avere una struttura superiore con almeno due piani, con grandi vetrate colorate dove si trovavano balestre, onagri o scorpioni. La cinta muraria presentava cinque porte di accesso che corrispondevano alle strade principali della città.

In epoca romana le cinque porte coincidevano con quelle attuali di Porta Miñá (Minhã), Porta Falsa, Porta de São Pedro, Porta Nova e Porta de Santiago. La Porta Miñá e forse la Falsa sono originali, gli altri tre sono successivi. 

L'accesso alla merlatura avveniva tramite scale ricavate nei muri delle torri. Si stima che ci fosse una scala per ogni torre. Le scale non raggiungevano il pavimento, per farlo occorrevano scale mobili, una misura di sicurezza.

TERME ROMANE DI MAXIMUS

LE TERME

Le terme romane si trovano all'interno dell'attuale edificio termale. Sono stati datati al primo periodo imperiale, I-II secolo. Questo set è unico in tutta la Galizia. I resti conservati si possono dividere in due nuclei: 
- l'Apoditeryum, che è praticamente intatto e si suppone fosse adibito a spogliatoio, per l'esistenza di nicchie con archi a tutto sesto. Costruito con conci di ardesia.
- Il Caldarium, la stanza adibita ai bagni caldi poi trasformata in cappella cristiana.
In altre parti delle terme sono presenti resti romani, canali e mura e su di essi spicca l'originaria presa d'acqua.

Accanto alla cattedrale di Lugo, vi sono le tracce della piscina romana di Santa María, del IV secolo, è nota dal 1960 e la sua collocazione specifica è avvenuta nel 2004. Faceva parte di un edificio più ampio, probabilmente terme romane o un grande edificio privato. Sembra chiaro che fosse acqua fredda. 

La piscina è di forma rettangolare, con due absidi e conserva un gradino di accesso. Misura 3,5 x 1,80 metri e la sua capacità approssimativa è di 4.000 litri. Né è escluso che in un periodo successivo alla sua costruzione sia stato utilizzato come fontana pubblica.



I RESTI ROMANI

Alcuni resti romani a Lugo sono il muro della basilica romana all'interno del nuovo edificio tecnologico, il muro romano in Plaza Santo Domingo, la base della porta romana in Rúa Nova, e i resti funerari apparsi nel vecchio carcere. Il recupero della fogna romana di Lugo, l'unica che sarà visitabile in Galizia, forse nel febbraio 2023. È lunga 13 metri ed è stata costruita nel IV secolo.



MOSAICO DI DEDALO E PASIFAE

Il Mosaico di Dedalo e Pasifae, l'unico pezzo di questo tipo di cultura romana che include la scena di Dedalo e Pasifae. È esposto al pubblico presso il Museo Provinciale. Il Mosaico raccoglie il momento del parto del vitello. È stato trovato nel 1986, in via Armañá. 

Pasifae, regina di Creta, era stata punita dagli Dei con una vergognosa passione per un toro e chiese a Dedalo, ingegnere del re Minosse e costruttore del famoso labirinto, di escogitare un rimedio per evitare la vergogna. Daedalus gli diede un vitello di legno ricoperto di pelle bovina. Pasifae si consegnò al toro e da esso generò il Minotauro, la famosa bestia del labirinto.



LA DOMUS DEL MITREO

La Domus de Mitreo è un sito che conserva i resti di una casa romana del II e III secolo. La sua estensione superava il muro. Si conservano i resti delle diverse sale e alcuni dipinti, ma pure uno spazio per il culto del Dio Mitra con un altare votivo dedicato da un centurione della Legio VII Gemina addetto al fisco di Lucus Augusti. Quando fu costruito il muro, parte della domus fu "espropriata". Si trova nell'edificio del Vicerettorato in Piazza Pio XII, nº 3. Nella domus si può vedere un telo originale del muro romano.

GRAFFITO DIN GIULIO CESARE

IL TEMPIO ROMANO

Nella Puerta del Obispo Aguirre si trovano i resti di un tempio romano, annesso all'edificio del Círculo de las Artes. La Sala Porta Miñá si trova in Rúa do Carme e ospita un'esposizione permanente della Lugo romana.



LA NECROPOLI ROMANA

Sempre fuori le mura, nei pressi della Porta San Pedro si trova il Centro Archeologico di San Roque, che ospita i resti di una necropoli romana del IV secolo con sepolture a cremazione e inumazione e uno stagno rituale legato a divinità orientali, oltre a un forno per la produzione della ceramica.



L'ACQUEDOTTO ROMANO

L'Acquedotto Romano si trova accanto al Consiglio Provinciale, Piazza San Marco, con i resti di un tratto dell'acquedotto romano del I secolo, che si estende per poco più di 2 km, costruito secondo alla tecnica dell'opus caementicium. La costruzione in ardesia appartiene a una riforma forse medievale, precedente ai lavori eseguiti dal vescovo Izquierdo nel XVIII secolo.

PONTE ROMANO DI LUGO

IL PONTE ROMANO

Il Ponte Romano faceva parte della Via XIX, che collegava Lucus Augusti con Bracara Augusta, le due capitali romane della Hispania nordoccidentale, insieme ad Asturica Augusta, passando per Iria Flavia (Padrón). Fu parzialmente distrutto con le invasioni barbariche. Questo ponte fu oggetto di numerose ricostruzioni, nei secoli XII, XIV e XVII.



SANTA EULALIA DE BOVEDA

Santa Eulalia de Bóveda si trova a 14 km da Lugo. Si tratta di un edificio di epoca tardo romana, a pianta rettangolare, con al centro una piccola vasca e volta a botte decorata da affreschi. All'esterno, una specie di atrio a due colonne precede la facciata, in cui si apre una porta con arco a ferro di cavallo. Molte interpretazioni sono state date sulla sua destinazione originaria: luogo di balneazione, ninfeo, tempio dedicato a Prisciliano. Successivamente fu riutilizzato per usi cristiani ed ebbe un nome cristiano.


LA CASA DEI MOSAICI

La Casa dei Mosaici o Domus Oceani si trova in via Doutor Castro - i resti di una domus costruita alla fine del III o all'inizio del IV secolo e abitata fino al V secolo, scoperta quando sul sito fu edificato un edificio che ha trasformato i resti archeologici in musei in situ. Spicca il mosaico dell'anticamera e dell'"oecus", con motivi geometrici e figurativi; e il suo ipocausto.

SACRAMENTUM IN CALLECIA - ALTARE DI LUCUS AUGUSTI - 10 a.c.

IL SACRAMENTUM

"Così Augusto concluse le sue imprese bellicose, così come le ribellioni in Hispania. Da allora in poi sarebbero rimasti fedeli e in pace costante, sia per la loro stessa disposizione, sia per la loro stessa disposizione, più disposti alle arti della pace, già dal piano di Augusto, il quale, sospettoso del riparo dei monti in cui si rifugiavano, ordinò loro di abitare stabilmente nelle città romane, che si trovavano in pianura e che il consiglio di le persone risiedono lì e si proteggono per il capitale. La natura del paese favoriva questo disegno, poiché l'intera regione circostante conteneva un'abbondanza di oro, borace, minie e altre sostanze coloranti. Per questo Augusto ordinò lo sfruttamento del suolo. Così, lavorando faticosamente in clandestinità, gli Asture cominciarono a scoprire le proprie risorse e ricchezze cercandole per gli altri."
(Lucio Anneo Floro, Epítome del Storia di Livio)

Augusto concesse ai suoi interlocutori la guida e lo status di capitale di il territorio. Questo patto ricevette nell'antichità il nome di Sacramentum; sacramento significava "alleanza sacra".

Durante la repubblica diveniva "Sacramentum" ciò che veniva affidato al tempio perché rimanesse custodito mentre si risolveva un processo, Ma pure veniva chiamato sacramentum qualsiasi tipo di patto, impegno o giuramento davanti agli Dei. Nel  12 a.c, Augusto, Princeps di Roma, amministratore della Gallia e dei Tarraconensi, fu nominato Pontefice Massimo della religione romana, dopo il suo trionfo.

Scrive Augusto nelle Res Gestae. "Quando tornai dalla Spagna e dalla Gallia, durante il consolato di Tiberio Nerone e di Publio Quintilio, dopo aver compiuto con tutto successo quanto era necessario in quelle province, il Senato, per onorare il mio ritorno, aveva consacrato, nel Campo de Marte, un altare dedicato alla Pace d'Augusto e incaricò i Magistrati, i Pretori e le Vestali di compiere su di esso un sacrificio in ogni ricorrenza."

Augusto doveva mantenere la pace nei territori vinti, perché oltre al suo prestigio in gioco, aveva bisogno delle legioni e delle risorse finanziarie per i conflitti in Germania e contro Reti e Pannoni.
Per questo inviò due dei suoi uomini di fiducia dell'ordine equestre, il figliastro Druso e Paulo Fabio Máximo, nei territori pacificati della Gallia celtica e della Callaecia per stipulare accordi con i capi di entrambi i territori. e completarli con rituali religiosi del dio nativo Lug da parte dello stesso Augusto, in quanto sommo pontefice di Roma.

CHIOSTRO DEL MUSEO DI LUGO CON RESTI ROMANI

ARA AUGUSTI

Druso nel Lughansa Festival, il santuario federale dei Galli a Lugdunum, costituisce l'Ara Augusti dove rappresenta Augusto incoronato come il Dio celtico Lug. E' il patto di governo dei Galli con Augusto. Nelle monete è raffigurato al dritto Augusto come figlio di Giulio Cesare, padre della patria e conquistatore della Gallia, e al rovescio l'altare di Lugdunum con due colonne ai lati sopra le lettere ROM ET AVG.

Inoltre, nel territorio delle Voconces, presso Lugdunum, il santuario detto Foresta di Lugh, viene rinominato Lucus Augusti, bosco sacro ad Augusto (attuale Luc en Diois).


LA CALLECIA 12 a.c.

Paulo Fabio Máximo, per ordine di Augusto, fa un patto con gli abitanti della Callecia e, come descritto da Lucio Anneo Floro, che giurarono sarebbero rimasti fedeli e in costante pace, che avrebbero abitato stabilmente le città e gli accampamenti romani, e che il consiglio del popolo avrebbe risieduto presso di loro in qualità di città capitale dello stato. Nelle monete Augusto appare al dritto come Pontefice Massimo, e al rovescio come offerta sacra a Roma e ad Augusto.

Recenti ritrovamenti di una tabula hospitalis hanno permesso di verificare l'esistenza iniziale di un convento chiamato Arae Augustae, precursore della successiva suddivisione del convento operata da Paulo Fabio Máximo.

Così Augusto ordina al suo legato in Callaecia, Paulo Fabio Máximo, di fondare tre nuove città e nomina Lucus Augusti, Bosco Sacro di Augusto, capitale del territorio di Callaecia, iniziandone subito i lavori di costruzione.
AUREO CALICO DI AUGUSTO

Paulo Fabio Máximo divide il territorio della Callaecia in tre Conventi Legali:
- Lucensis con la città di Lucus Augusti. (Lugo)
- Asturum con la città di Astúrica Augusta. (Astorga)
- Bracaraugustanus con la città di Brácara Augusta. (Braga)

Contemporaneamente inizia l'attività economica mineraria ad Asturum e Bracaraugustanus, l'attività metallurgica ad Asturum e Lucensis, e l'attività agricola intensiva a Lucensis e Bracaraugustanus.
Sfruttamenti minerari (oro in particolare) e metallurgici (spade di ferro) sono sfruttati da migliaia di uomini liberi e la loro produzione è di diretta proprietà di Augusto.

L'anno successivo, Paulo Fabio Máximo viene nominato console da Augusto come ricompensa per i suoi servizi in Callaecia.  Tiberio, anni dopo e per ordine di Augusto, stipulò nuovi sacramentum o patti sacri: con i Retios e i Pannonici a Vindobona, l'odierna Vienna, e poi nell'Ara Ubiorum, odierna Colonia, con i popoli germanici.

Quattro furono i sacri patti che Augusto strinse con le genti del limes dell'impero: a Lione, Lugo, Vienna e Colonia. Dice Augusto nelle sue Res Gestae: 
- Ho allargato i confini di tutte le province del popolo romano confinanti con i popoli non soggetti al nostro dominio. Ho pacificato i Galli, gli Ispani e la Germania, fin dove l'Oceano li bagna, da Cadice alla foce dell'Elba. Ordinai la pacificazione delle Alpi, dall'immediata regione del Mare Adriatico al Mar Tirreno, senza far guerra ad alcuno di quei popoli che non fosse giusta. -


CRISTIANIZZAZIONE DEL SACRAMENTO

Il Catechismo della Chiesa Cattolica Romana proclama:
"La Chiesa è in Cristo come sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano": essendo sacramento dell'intima unione degli uomini con Dio è il primo fine della Chiesa".

Il Santissimo Sacramento, pratica 
paleocristiana, era fatta per i malati e i moribondi. Nei secoli IX-XI, si diffuse il culto del Santissimo Sacramento, dichiarando eretiche le tesi che riducevano l'Eucaristia a un simbolismo. Eresia che in genere portava alla condanna al rogo. Il potere di concedere l'onore del Sacramentum alle città apparteneva solo Pontefice di Roma, con grande guadagno delle suddette a cui i fedeli in speranza di miracoli devolvevano denari e preziosi.

 
LUGO, CITTÀ DEL SACRAMENTO 

Lugo, capitale della Callaecia e del regno di Galizia, ha mantenuto la Forma Sacra come emblema sul suo stendardo e scudo fino ad oggi, conosciuta ancora oggi come la Città del Sacramento, senza dubbio a ricordo della sua fondazione come città del Sacramentum con Augusto. Questo emblema, insieme al muro romano sotto il periodo imperiale, è uno dei suoi segni distintivi rimasto nei secoli.


BIBLIO

- Alcorta Irastorza, Enrique - Scavo archeologico nell'area in proprietà nº 106 della ruota Muralla, Lugo - Azioni archeologiche - 2006 -

VENNONETI (Nemici di Roma)

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ARCO ONORARIO DI SUSA PER AUGUSTO

I Vennoneti erano un antico popolo alpino stanziato in Valtellina, corrispondente al bacino idrico del fiume Adda a monte del lago di Como, nella regione Lombardia, e nella Svizzera orientale, corrispondente ai cantoni Glarona, Sciaffusa, Appenzello Esterno, Appenzello Interno, San Gallo, Grigioni, Turgovia. Secondo il Lexicon Universale di Johann Jacob Hofmann (1698) il termine "Vennoni" era sinonimo di "Vennoneti".

Grande fautore della conquista del fronte alpino orientale fu Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, che procedette all'assoggettamento delle valli da Como al Lago di Garda. Intimo amico di Augusto con cui condivideva la passione del gioco, nel 17-16 a.c. fu nominato, probabilmente dallo stesso Augusto extra sortem (senza l'estrazione a sorte), proconsole di Illirico, dove sconfisse e sottomise le tribù alpine ribelli dei Camunni e dei Vennones, e contrastò efficacemente insieme ai suoi luogotenenti un'incursione in Istria dei Pannoni e dei Norici, i quali vennero poi sottomessi.

IN VERDE L'AREA DEI VENNONETI
(INGRANDIBILE)
I Vennonetes vennero però definitivamente sottomessi a Roma, sempre nelle campagne di conquista di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte dai suoi generali Druso maggiore (nipote e figlio adottivo di Augusto) e Tiberio (figlio adottivo di Augusto e futuro imperatore) contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.c. 

Nel 15 a.c. l'azione congiunta di Drudo Maggiore e di Tiberio che avanzarono fino alle sorgenti del Danubio, dove ottennero l'ultima e definitiva vittoria sui Vindelici, permisero ad Augusto di sottomettere le popolazioni dell'arco alpino fino al Danubio, e gli valsero una nuova acclamazione imperatoria, mentre Druso, figliastro prediletto di Augusto, per questa ed altre vittorie, poté più tardi ottenere il trionfo. 

Su una montagna vicino a Monaco, presso l'attuale La Turbie, venne eretto un trofeo delle Alpi.
Infatti il nome dei Vennoneti è ricordato in quarta posizione nel Trofeo delle Alpi ("Tropaeum Alpium"), monumento romano eretto nel 7-6 a.c. per celebrare la sottomissione delle popolazioni alpine e situato presso la città francese di La Turbie:

(LA)
«GENTES ALPINAE DEVICTAE TRVMPILINI · CAMVNNI · VENOSTES · VENNONETES [...].»
(IT)
«Popoli alpini sottomessi: Triumpilini, Camuni, Venosti, Vennoneti [...].»

(Trofeo delle Alpi, Iscrizione frontale)


BIBLIO

- Valerio Lugani - Meravigliosa Italia, enciclopedia delle regioni, volume Trentino Alto Adige - edizioni Aristea -
- Giuseppe Morandini - Trentino-Alto Adige - edizioni UTET - 1971 - 
- Sergio Marazzi - Atlante Orografico delle Alpi - SOIUSA - Pavone Canavese (TO), Priuli & Verlucca editori - 2005 -

CULTO DI AESCULANUS

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DEA TEMI ANTICA AESCULANA

Aescolanus fu una remota divinità romana, protettrice dei mercanti, preposta alla coniazione delle monete. Pertanto era una divinità che presiedeva alla fabbricazione delle monete di rame, la prima coniazione di monete che sostituiva il baratto fu in realtà in bronzo, e andò dalla fondazione di Roma nel 753 a.c. a tutto il periodo monarchico dal 753 al 509 a.c. e parte del periodo repubblicano, praticamente fino al III secolo a.c.,

Allora il commercio, precedentemente basato sullo scambio delle pecore (pecus da cui pecunia) non si basava sulla moneta, ma su una specie di baratto o di pseudo monetazione per cui il mezzo di scambio erano gli scarti di lavorazione del bronzo (aes rude), in base al valore e al peso del metallo.

Codesta divinità però (che all'inizio doveva chiamarsi Aesculana), per quanto ora fosse maschile, veniva ancora rappresentata sotto la figura di donna maestosa che si ergeva in piedi con la mano sinistra appoggiala su un'asta e una bilancia nella destra. 

MONETA DI RAME


E' evidente che il Dio era un tempo una Dea, che l'asta era l'immagine del suo aspetto guerriero e pertanto punitivo in caso di offesa alla legge, e che la bilancia nella destra simboleggiava però il suo aspetto di giustizia, come colei che faceva rispettare la legge. Pertanto la Dea era colei che faceva rispettare l'uso della moneta, uso non facile da instaurare dovendo sostituire il baratto usato fino ad allora.

L'asta era il simbolo dell'arma usata in battaglia, quindi la necessità di combattere per sopravvivere, dove era difficile distinguere la difesa dall'offesa, perchè chi attaccava per primo non era benedetto dagli Dei però più facilmente vinceva. 

Pertanto l'antica divinità da un lato combatteva ma dall'altro lato aveva il simbolo della misura e delle giustizia, quindi della continenza in tutte le sue espressioni per non lasciarsi andare agli eccessi. In tal caso garantiva la giusta equivalenza del denaro, una garanzia che doveva essere per forza divina affinchè gli uomini potessero fidarsi.

AESCULANUS SULLA COLONNA DI SINISTRA RAPPRESENTATO
IN UNA STAMPA MEDIEVALE

Quindi una Dea della Guerra ma pure della Giustizia, ovvero colei che rispondeva per giustizia in quanto offesa, per cui conduceva guerre giuste, fatte per difesa e non per smania di potere, ed esercitava la sua giustizia anche in merito all'equità dei commerci e celle monete di scambio. La divinità col tempo divenne maschile in quanto il patriarcato rafforzò sempre di più il potere del maschio, pur conservando i suoi simboli femminili.

Augustine of Hippo (354 - 430), De Civitate Dei 4.21, 28: "Allo stesso modo, infatti, essi presentarono il loro caso ad Escolano, padre di Argentino, perché il denaro di rame (o di bronzo) era entrato in uso per primo e l'argento per ultimo" (nam ideo patrem Argentini Aescolanum posuerunt, quia prius aerea pecunia in usu esse coepit, post argentea).

Esculano, ovvero Aesculanus divenne dunque il Dio delle monete di rame (aes) e padre di Argentino. il Dio delle monete d'argento, visto che alla moneta di rame seguì quella d'argento che non la soppiantò ma solo l'affiancò. La necessità di portare agevolmente grandi valori fece infatti creare una moneta di metallo più prezioso che consentiva perciò di portare meno peso e meno ingombro.



BIBLIO

- Gian Guido Belloni - La moneta romana. Società, politica, cultura - Firenze - NIS - 1993 -
- Italo Vecchi - Italian Cast Coinage. A descriptive catalogue of the cast coinage of Rome and Italy - Ancient Coins - London - 2013 -
- Alberto Banti - Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione repubblicana - Firenze, Banti ed. - 1980 -
- H.A. Seaby, Roman Silver Coins - vol I: Republic to Augustus - Londra - 1989 -
- William Boyne - A Manual of Roman Coins: from the earliest period to the extinction of the empire - W. H. Johnston - 1865 -
Edward Allen Sydenham, The Coinage of the Roman Republic, New York, 1952 -

BRACARA AUGUSTA - BRAGA (Portogallo)

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L'ANTICA BACARA AUGUSTA

Negli anni 138 - 136 a.c., morto il celebre condottiero lusitano Viriato, ebbe luogo la prima spedizione militare a nord-ovest della penisola iberica, comandata dal console romano Decimo Júnio Bruto Galaico, che vinse una grande battaglia contro i galiziani Bracaros, descritti come grandi guerrieri, con donne altrettanto guerriere, che preferivano morire piuttosto che essere catturati.
 
I Romani conquistarono Bracara nel 137-136 a.c. ma la sottomisero del tutto solamente sotto Augusto. Con le guerre cantabriche, finiscono infatti le operazioni di conquista e inizia la vera romanizzazione del territorio con la fondazione di grandi città e la costruzione di strade per operazioni commerciale e militari, e per la completa integrazione delle popolazioni nel mondo romano.

LA POSIZIONE

Fu a questo scopo che, durante il soggiorno di Augusto nel territorio peninsulare fu fondata la città di Bracara Augusta per promuovere e diffondere la cultura romana nei numerosi centri vicini. Alcuni autori sostengono l'esistenza di un castro, o di un ''oppidum'' (un esteso luogo fortificato, citato da Plinio il Vecchio, come oppidum dei Bracari), prima della fondazione della città di Braga.

Infatti nel 2002 venne rinvenuto uno stabilimento di terme sotto la stazione ferroviaria, a 300 m dal muro dalla città romana di Bracara Augusta. È stato scoperto durante gli scavi della nuova stazione ferroviaria di Braga. È lungo circa 4 m x 2 m di larghezza e, secondo gli archeologi, fu costruito durante il periodo preromano nel nord-ovest della penisola iberica.

BRACARA AUGUSTA RENDE OMAGGIO AL SUO FONDATORE

Lo stabilimento balneare era semi interrato, tipico dei castra dell'epoca, con muri in pietra e soffitto in lastre di pietra che si incastravano alle pareti esterne e trave centrale in legno. L'interno era suddiviso in tre zone: una sauna, un forno e una stanza di transizione intermedia. 

Tra il locale intermedio e la sauna c'è un grande solaio con apertura semicircolare, che permetterebbe l'ingresso e l'uscita dalla stessa. La lastra tratteneva il calore proveniente dalla sauna. All'esterno c'è un patio con un acquaio.

LA CINTA MURARIA

L'acqua che scorreva nel cortile serviva per bagni freddi e lavaggi, e proveniva da una linea d'acqua che scendeva dall'attuale centro cittadino fino al fiume Cávado.. All'interno delle terme, piccole pietre o ciottoli venivano posti nel forno, dove venivano riscaldati onde provocare i vapori che venivano convogliati nella sauna.

Quindi, se questo ''oppidum'' esiste, non è stato ancora scoperto, quindi il sito potrebbe quindi essere stato occupato da:

- Accampamento militare romano, come nel caso di Astorga e Lugo.
- Un luogo di incontro per i vari castros della regione, dove capi e anziani si riunivano per prendere decisioni importanti o risolvere disaccordi
- Un luogo sacro (con occasionale tempio, albero, masso) come luogo di incontro religioso, visto l'esistenza, su un lato della città, della Fonte doidolo, (luogo eretto da Celicus Franto, colono “romanizzato” di Ascobriga, a divinità pagane nel I secolo d.c.) ma che potrebbe già essere stata già sacra, e dall'altra le terme, altro presunto luogo di culto.
- Un mercato, un luogo di incontro ma anche di scambio.

PERSONIFICAZIONE DELLA CITTA' DEA BRACARA

Ad ogni modo questo spazio centrale con tanti castros intorno, potrebbe essere stato un luogo di incontro, una fiera, un luogo in parte sacro e anche con edifici precari. Tuttavia, è molto probabile che le terme non siano l'unico monumento preromano della zona, e che ci sia ancora molto da scoprire.

La città è stata costruita in modo pianificato in modo ortogonale  orientate nord-ovest/sud-est. Era suddiviso in blocchi quadrati, con un'area costruita di 120 x 120 piedi (35,52 m per 35,52 m), occupando complessivamente un'area rettangolare di 29,85 ha. 

GEIRA (VIA NOVA)

La sua origine è civile e il governo condiviso con le élite bracari. I primi decenni della città furono segnati da una grande crescita. Fu costruita la prima infrastruttura urbana con la cloaca, furono edificate le strade, si svilupparono attività economiche (metallurgia, ceramica e commercio) e nuovi quartieri. 

A Bracara Augusta si acquartierarono militari e immigrati che ben presto formarono famiglie. Già negli anni '50 d.c. il commercio svolgeva un ruolo fondamentale nella città e nella regione per l'aumeno della popolazione e soprattutto per l'aumento delle strade.

LE TERME

LA CITTA'  FLVIO-ANTONINA (dal 68 al 192 d.c.)

L'ampliarsi della produzione e del commercio fa si che e Bracara si crea un nuovo collegamento con Astorga mediante la Via Nova (Geira). Contemporaneamente prosegue la costruzione di edifici pubblici e la “monumentalizzazione” della città con teatro, terme, templi, anfiteatro. I quartieri crebbero e le persone benestanti si stabilirono nella parte orientale della città.

Sappiamo da Plínio il Vecchio che il convento di Braga era diviso in 24 civitates con una popolazione di 285.000 persone libere, essendo il più popolato del nord-ovest della penisola. C'era la promozione legale dei pellegrini alla cittadinanza romana, le élite della città e della regione circostante.

Il forte commercio è caratterizzato da importazioni di vetro, ceramica e oggetti di ornamento, alcuni prodotti importati erano di grande qualità e gusto raffinato, il che suggerisce l'esistenza di una potente élite. Le esportazioni sono state caratterizzate da ceramiche e metalli di qualità. La città dell'Alto Impero era già un riferimento a livello peninsulare.

Poco dopo il saccheggio della città di Tarragona da parte dei Franchi durante il regno di Galiano (218 - 268), attorno al centro della città di Bracara (oltre 48 ettari) fu costruita un'imponente cinta muraria larga 5 - 6 m, con torrette, mentre alcune case e monumenti come il teatro e l'anfiteatro vennero parzialmente distrutte per utilizzare la pietra per la nuova costruzione.

TERME DI MAXIMOS PRESSO BRACARA

L'imperatore Caracalla (188-217) creò la nuova provincia di “ Hispania Nova Citerior Antonina ”, futura Galécia, regione del nord-ovest dell'antica Hispania, corrispondente al moderno Portogallo settentrionale alla Galizia, alle Asturie e a León in Spagna. 

Dopo la conquista romana fece parte della provincia romana di Hispania Tarraconense e successivamente si trasformò in una provincia autonoma nota come Hispania Galécia. Tra le città romane della regione c'erano Bracara Augusta (Braga), Portucale (Porto), i centri amministrativi di Bracara Augusta.

Tra il 284 e il 289 d.c., per ordine di Diocleziano, Bracara Augusta diventa capoluogo della Galécia, che comprendeva i tre conventi del nord-ovest della penisola: Convento Braga, Convento Lucense e Convento Asturicense, e parte del convento di Clunia. A Bracara vengono ristrutturati e realizzati edifici pubblici, strade e ville private. Sembra che nel 385 Bracara Augusta avesse già un vescovado così diventa capoluogo della provincia ecclesiastica.

RESTI DEL TEATRO

L'ECONOMIA

Oltre alla produzione agricola, Bracara in epoca romana sviluppò una grande attività nella lavorazione del vetro, della ceramica (lampade ad olio (lucernas), ceramica comune e fine, anfore, dolia, materiali da costruzione.Tra i vari laboratori spicca il marchio “LUCRETIUS”, che riforniva il mercato della Galécia e della Lusitania settentrionale.

Ma la principale fonte di ricchezza per il convento di Braga era l'estrazione di metalli come stagno, ferro, piombo e argento, ma soprattutto oro, estratto dai i fiumi Douro e Sabor, il convento aveva 50 miniere attive, soprattutto a Trás os Montes come Tresminas (Vila Pouca de Aguiar) e Poço das Freitas (Boticas), e nel “Grande Porto” con le miniere di Fojo das Pombas nella Serra de Santa Justa e Pias (Valongo) e le miniere di Castromil (miniere d'oro di Paredes). 

I Romani estrassero da miniere sia a cielo aperto che nel sottosuolo con ingente forza lavoro. ma pure con macchinari come mulini idraulici (martelli) per la frantumazione del minerale grezzo. Le miniere furono sotto il controllo imperiale, con un procuratore metallorum nelle Asturie e in Galizia, responsabile fino a metà II e inizi III secolo, per la grave crisi dell'impero romano. Una fitta rete viaria del convento di Braga assicurava la rapida partenza dei metalli estratti.



IL NODO VIARIO

Braga era legata al triangolo politico-amministrativo, istituito da Augusto, su tre città: Bracara Augusta (Braga), Lucus Augusti (Lugo) e Astúrica Augusta (Astorga) per diversi percorsi:- la Via XVII : Braga-Astorga via Chaves.
- la Via XIX : Braga-Astorga via Lugo.
- la Via XX : Braga-Astorga, in parte via fiume e via mare.
- la Via XVI : Braga-Emerita
- la Via XVIII o Via Nova: Braga-Astorga, il percorso più diretto che taglia tra Serra Amarela e Serra do Gerês.


BIBLIO

- Marques - O Castelo de Braga (1350-1450) - Braga - 1986 -
- Fernando Mota de Matos - Terme romane di Maximinos in "Portugal: Heritage" - Vol I - Á. Duarte de Almeida, Duarte Belo, Círculo de Leitores, Rio de Mouro - 2007 -
- Topografia e urbanistica fondazionale di Bracara Augusta - M. M. Uminho, UAUM; C. Ribeiro UMinho; OH; J. Ribeiro FCT; U. e R. M. Università Rovira i Virgili - Tarragona -
- Gibbone Edoardo - Declino e caduta dell'Impero Romano - Chicago: Encycl. Britannica - collezione "Great Books" - 1952 -


QUINTO SERVILIO FIDENATE - Q. SERVILIUS PRISCUS

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TRIBUNO CONSOLARE

Nome: Quinto Servilio Prisco Fidenate. ovvero Quintus Servilius Priscus
Nascita: ... - ... V secolo a.c.
Morte: ... - ... V secolo a.c.
Politico: tribuno consolare nel 402/398/395/390/388/386
Gens: Servilia

TRIBUNI CONSOLARI

I "tribuni militum consulari potestate", cioè i tribuni militari con potestà consolare, o semplicemente i tribuni consolari, aventi quindi i poteri di un console, vennero istituiti durante il cosiddetto "conflitto degli ordini" che nella Repubblica romana iniziò nel 444 a.c. e poi si riaccese dall'anno 398 a.c. al 394 a.c. e dall'anno 391 a.c. fino al 367 a.c.



IL CONFLITTO DEGLI ORDINI

Si trattò di uno scontro politico dibattuto e combattuto fra i plebei e i patrizi al tempo della Repubblica, per un principio di equità della plebe che voleva il diritto alle alte cariche governative e alla parità politica. 

Ci vollero ben due secoli per raggiungere quel risultato che divenne diritto solo nel 287 a.c. con la lex Hortensia, o lex Hortensia de plebiscitiis. Questa legge imporrà infatti che le deliberazioni prese durante il Concilio della plebe, vincolassero il popolo romano, equiparando così i Plebiscita dei concilia plebis tributa, alle leges rogatae, deliberate dai comitia centuriata.

Per Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso la magistratura dei tribuni consolari fu creata, insieme alla carica di censore, nel "conflitto degli ordini" onde permettere ai plebei l'accesso alle più alte cariche del governo senza riformare la carica di console che il patriziato difendeva come riservata al suo ordine.



IL PRIMO TRIBUNO CONSOLARE PLEBEO  

La prima nomina avvenne nel 444 a.c. ma solo nel 400 a.c. venne nominato un plebeo, Publio Licinio Calvo Esquilino, alla magistratura del tribunato consolare.

« tuttavia - solo per esercitare il diritto di cui godevano - non si andò più in là dell'elezione a tribuno militare con poteri consolari di un unico plebeo di nome Publio Licinio Calvo. Gli altri eletti erano patrizi e si trattava di Publio Manlio, Lucio Titinio, Publio Melio, Lucio Furio Medullino e Lucio Publilio Volsco. La plebe stessa si stupì di aver ottenuto un tale successo, non meno dell'eletto in persona, uomo privo in precedenza di cariche, semplice senatore anziano e già piuttosto avanti con gli anni. Non si conosce con certezza il motivo per il quale fosse toccato proprio a lui l'onore di godere per primo dell'ebbrezza di quel nuovo incarico
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 12.)

Publio Licino sarebbe stato eletto, per il suo secondo tribunato militare, nel 396 a.c., se non vi avesse rinunciato a favore del figlio, Publio Licinio Calvo Esquilino.

«Se però con i miei colleghi voi scegliete gli stessi uomini di allora trovandoli ancora migliorati grazie al peso dell'esperienza, in me invece non potrete più avere lo stesso Publio Licinio di una volta perché di quell'uomo adesso sono rimasti solo l'ombra e il nome. Il fisico non ha più forza, vista e udito si sono indeboliti, la memoria vacilla e la lucidità mentale si è affievolita». 

Poi, stringendo a sé il figlio, aggiunse: «Eccovi un giovane che è il perfetto ritratto dell'uomo che tempo fa voi avete voluto fosse il primo plebeo a ricoprire la carica di tribuno militare. Questo giovane che io ho cresciuto secondo i miei princìpi di vita lo offro e lo consacro al paese come mio legittimo sostituto e supplico voi, o Quiriti, affinché affidiate a lui che la richiede e per il quale io aggiungo le mie raccomandazioni questa carica che mi è stata offerta senza che io la sollecitassi»

(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 2, 18.)



LEGES LICINIAIE SESTIAE

La scelta della forma di governo, consoli o tribuni consolari, di un dato anno, la decideva il popolo al momento delle elezioni, per cui Roma talvolta era guidata da consoli e talvolta dai tribuni consolari, vale a dire scegliendo più le "persone" che i "tipi di carica".

Il numero dei tribuni consolari variò da 3 a 6 ma poiché venivano considerati anche colleghi dei censori, talvolta si parla di "otto tribuni". L'elezione dei tribuni consolari finì nel 367 a.c., con l'approvazione delle leges Liciniae Sextiae, con cui la plebe riuscì ad ottenere l'accesso alla carica di console, regolamentato poi dalla lex Genucia del 342 a.c.



PRIMO TRIBUNATO CONSOLARE

Nel 402 a.c. Quinto Servilio Fidenate venne eletto tribuno consolare con Gaio Servilio Strutto Ahala, Lucio Verginio Tricosto Esquilino, Quinto Sulpicio Camerino Cornuto, Aulo Manlio Vulsone Capitolino e Manio Sergio Fidenate.

Mentre Roma assediava Veio vennero in soccorso della città contingenti di Capenati e Falisci, che attaccarono la zona comandata da Sergio Fidenate, mettendolo subito in difficoltà, anche per l'arrivo di rinforzi veienti.

L'astio tra Sergio Fidenate e Lucio Verginio, che comandava l'accampamento più vicino alle zone del combattimento, causarono la disfatta per l'esercito romano, che vide distrutto l'accampamento dove risiedevano i soldati di Sergio Fidenate.

«L'arroganza di Verginio era pari all'ostinazione di Sergio, il quale, per non dare l'impressione di chiedere aiuto al suo avversario, preferì lasciarsi vincere dal nemico piuttosto che vincere grazie all'intervento di un concittadino. Il massacro dei soldati romani presi nel mezzo durò a lungo
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 8.)

Allora il Senato decise di anticipare la nomina dei tribuni consolari alle calende di ottobre, invece che alle idi di dicembre, e in quell'anno il presidio armato di Anxur fu sopraffatto dai Volsci. le cose andavano male per Roma.

LUCIO FURIO MEDULLINO

SECONDO TRIBUNATO CONSOLARE

Nel 398 a.c. Quinto Servilio Fidenate per la sua saggezza, valore e capacità venne eletto nuovamente tribuno consolare con Lucio Valerio Potito, Marco Furio Camillo (il salvatore della patria), Lucio Furio Medullino, Marco Valerio Lactucino Massimo e Quinto Sulpicio Camerino Cornuto.

I romani continuarono nell'assedio di Veio e, sotto il comando di Valerio Potito e Furio Camillo, saccheggiarono Falerii e Capena, alleate degli etruschi. Intanto si alzarono le acque del lago Albano, e venne interrogato l'oracolo di Delfi, anche se un vecchio augure di Veio, aveva vaticiniato:

«i Romani non si sarebbero mai impadroniti di Veio prima che le acque del lago Albano fossero tornate al livello di sempre.»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 2, 15)



TERZO TRIBUNATO CONSOLARE

Nel 395 a.c. Quinto Servilio Fidenate, amato dal popolo e stimato da molti senatori, venne ancora rieletto tribuno consolare con Publio Cornelio Scipione, Cesone Fabio Ambusto, Lucio Furio Medullino, Publio Cornelio Maluginense Cosso e Marco Valerio Lactucino Massimo.

Ai due fratelli, Cornelio Maluginese e Cornelio Scipione, fu affidata la campagna contro i Falisci, che però non portò a risultati definitivi, mentre a Valerio Lactuciono e Quinto Servilio toccò la campagna contro i Capenati, che furono vinti e costretti a chiedere la pace.

In città, dove infuriavano le polemiche sulla suddivisione del bottino ricavato di Veio dell'anno prima, si inasprirono ancor più gli animi per la proposta del tribuno della plebe Veio Tito Sicinio di trasferire parte della popolazione romana a Veio, con la ferma opposizione del senato.



QUARTO TRIBUNATO CONSOLARE

Nel 390 a.c. nuovamente Quinto Servilio venne eletto tribuno consolare, stavolta con Quinto Fabio Ambusto, Cesone Fabio Ambusto, Numerio Fabio Ambusto, Quinto Sulpicio Longo e Publio Cornelio Maluginense.

A Quinto Servilio, e agli altri Tribuni, Tito Livio addossa le maggiori responsabilità della sconfitta romana alla battaglia del fiume Allia, prologo del Sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni condotti da Brenno. E Quinto Servilio, insieme agli altri Tribuni consolari, fu tra i più strenui sostenitori della proposta di lasciare Roma per stabilirsi a Veio, dopo che i Galli erano stati sconfitti.

«Dopo averla salvata in tempo di guerra, Camillo salvò di nuovo la propria città quando, in tempo di pace, impedì un'emigrazione in massa a Veio, non ostante i tribuni - ora che Roma era un cumulo di cenere - fossero più che mai accaniti in quest'iniziativa e la plebe la appoggiasse già di per sé in maniera ancora più netta»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 4, 49.)



QUINTO TRIBUNATO CONSOLARE

Nonostante tutto nel 388 a.c. Quinto Servilio venne ancora eletto tribuno consolare, stavolta con Tito Quinzio Cincinnato Capitolino, Lucio Giulio Iullo, Lucio Lucrezio Tricipitino Flavo, Lucio Aquilio Corvo e Servio Sulpicio Rufo.

I tribuni per rivalsa contro gli assalitori guidarono i romani in una serie di razzie nei territori degli Equi e in quelli di Tarquinia, dove presero con la forza Cortuosa e Contenebra, che furono saccheggiate.

«Con un secondo esercito, invasero invece il territorio di Tarquinia, dove presero con la forza le città etrusche di Cortuosa e Contenebra. A Cortuosa non vi fu lotta: con un attacco a sorpresa la presero al primo urlo di guerra e al primo assalto, per poi saccheggiarla e quindi darla alle fiamme.»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", VI, 4.)

«Contenebra resse invece l'assedio per alcuni giorni, ma l'incessante impegno armato, giorno e notte, senza alcuna tregua ebbe ragione dei suoi abitanti. Siccome l'esercito romano era stato diviso in sei contingenti ciascuno dei quali combatteva per sei ore a turno mentre gli assediati erano così pochi che toccava sempre agli stessi uomini stremati il cómpito di opporsi a forze sempre fresche, alla fine questi ultimi cedettero, e i Romani furono in grado di irrompere in città»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", VI, 4.)

Intanto a Roma i tribuni della plebe volevano discutere sulla suddivisione dell'agro pontino, strappato ai Volsci nell'anno passato.

MARCO FURIO CAMILLO

SESTO TRIBUNATO CONSOLARE

Ancora due anni dopo, nel 386 a.c. Quinto Seervilio fu eletto tribuno consolare con Marco Furio Camillo, Lucio Orazio Pulvillo, Servio Cornelio Maluginense, Lucio Quinzio Cincinnato Capitolino e Publio Valerio Potito Publicola.

In quell'anno Anzio si rivoltò contro Roma, sostenuta da Latini ed Ernici, il Senato decise allora di affidare le operazioni belliche a Furio Camillo per quanto avanti negli anni, che accettò ma volle con sé il collega Publio Valerio. 

A Quinto Servilio fu affidato il compito di organizzare un esercito da porre nella campagna romana, a difesa della città da possibili attacchi degli Etruschi. Invece Lucio Quinzio ebbe il compito di presidiare le mura cittadine, e Lucio Orazio di organizzare tutto l'approvvigionamento di guerra. Infine a Servio Cornelio venne affidata l'amministrazione della città che egli eseguì con scrupolo ed onore, e non fu pertanto inferiore ai combattenti.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe Condita - V -
- Eutropii Breviarium - Historia Romana - Bien - 1821 -
- Andrea Giardini - con F. Pesando - Roma caput mundi. Una città tra dominio e integrazione - Milano - Electa - 2013 -
- Antonio de Puente y Franco, José Francisco Díaz - Historia de las leyes, plebiscitos y senadoconsultos más notables des de la fundación de Roma hasta Justiniano - 1840 -

TEATRO DI NERONE

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FOTO SOPRAINTENDENZA SPECIALE DI ROMA
 
I lavori eseguiti per il parcheggio di un hotel di lusso a Roma, nel cortile di palazzo della Rovere, un edificio rinascimentale del XV secolo, hanno dissotterrato una parte del famoso teatro dell'imperatore Nerone, un teatro di 2000 anni fa. La grandezza dell'edificio, la bellezza delle decorazioni e la preziosità dei materiali fanno pensare a un edificio pubblico, sicuramente il teatro di Nerone, così come venne descritto da Plinio, Svetonio e Tacito, come dichiarato anche da Alessio de Cristofaro, uno degli archeologi comunali che ha partecipato agli scavi.



I NERONIA

Svetonio scrive che durante i Neronia l'imperatore promise di esibirsi in hortis ("nei giardini"), un riferimento indiretto al suo teatro, e Tacito afferma che durante i Ludi Juvenales Nerone cantò per domum aut hortos. I Neronia erano giochi istituiti da Nerone che voleva imitare le Olimpiadi Greche e che si rifacevano a Giulio Cesare e ad Augusto che avevano organizzato giochi celebrativi per festeggiare l'anniversario del loro regno.

NEL CORTILE

La festa era divisa in tre parti: la prima dedicata a musica, oratoria e poesia, la seconda alla ginnastica e la terza alle corse dei cavalli. Sotto Nerone venne indetta due volte, nel 54 e nel 68. Nerone vi partecipava personalmente e costringeva i suoi senatori a partecipare, per esaltarsi quando li superava in molte discipline e il popolo lo acclamava estasiato, come un vero e proprio mito. 

Il popolo romano era molto attaccato all'imperatore perchè gli offriva continuamente spettacoli di ogni genere. Il teatro, oggi nel cortile di palazzo della Rovere, ovvero i suoi resti, durante i lavori di scavo hanno rivelato tracce della decorazione dell'edificio, come pitture murali ed enormi colonne di marmo, che dimostrano la grandezza e la magnificenza di questa costruzione del I secolo d.c..

Il teatro fu costruito sull'area degli Horti di Agrippina Maggiore, madre dell'imperatore Caligola, una grande proprietà della famiglia imperiale giulio-claudia dove fu costruito un enorme circo adibito soprattutto alle corse dei cavalli.

LE COLONNE IONICHE

AGRIPPINA MAGGIORE

Nel 15 d.c. nelle guarnigioni romane sulla frontiera del Reno si era diffusa la voce che una spedizione in territorio barbaro fosse stata sconfitta dai Germani e che questi si stavano preparando a invadere la Gallia. Risaliva solo a sei anni prima la tragica disfatta di Teutoburgo che aveva reso invalicabile la frontiera del Reno.

La notizia era falsa, ma i legionari si preparavano a tagliare il ponte che univa le sponde del fiume per mettersi in salvo. Ma intervenne una donna, Giulia Vipsania Agrippina, moglie del comandante romano Germanico, che in quel momento era assente, che con grande coraggio e determinazione, come narra Tacito, impedì alle truppe il taglio del ponte e, «assumendo le funzioni di comandante, ricevette i soldati di ritorno «ponendosi a capo del ponte e dispensando lodi e ringraziamenti alle legioni che ritornavano».

Ma a Tiberio temeva che Agrippina cercasse il favore dei soldati per suo marito Germanico, e poi; «non rimaneva più alcuna autorità ai comandanti se una donna passava in rassegna i manipoli, si poneva accanto alle insegne, ricorreva al sistema dei donativi» e Tacito era d'accordo.

L'UBICAZIONE

IL TEATRO

Il Teatro di Nerone (Theatrum Neronis) era il teatro privato eretto dall'imperatore Nerone a Roma, conosciuto fino ad oggi solo attraverso le fonti letterarie, ma ora suoi resti sono stati riportati alla luce dagli scavi del 2020-2023 dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma.

Qualcuno ha pensato che la "domestica scaena" citata da Tacito come luogo da cui Nerone ammirò il grande incendio di Roma del 64 d.c. non si riferisca alla torre di Gaio Mecenate sull'Esquilino, ma bensì alla scena del suo teatro, dato che, trovandosi sulla riva destra del Tevere, era ben lontano dalle zone colpite, e quindi un punto di osservazione sicuro, a differenza della torre, che si trovava nel mezzo dell'incendio con possibili rischi.

All'inizio del II secolo d.c., l'edificio venne distrutto per recuperarne i materiali, come testimoniano le cinque colonne di marmo abbandonate in terra. Dalle testimonianze di Plinio, Svetonio e Tacito si sapeva ampiamente dell'esistenza del teatro in quest'area, ma i molti edifici del quartiere, di notevole valore artistico e culturale, ha reso difficile procedere agli scavi archeologici dell'edificio.

LE COLONNE

I resti portati alla luce da sotto palazzo della Rovere del teatro di Nerone riguardano il lato sinistro della cavea e del palcoscenico con elementi architettonici come parti di colonne ioniche scanalate di epoca giulio-claudia (27 a.c.-68 d.c.), marmi bianchi e colorati, stucchi ricoperti di foglia d'oro che evidenziano la grandiosità dell'edificio, oltre poi a vari oggetti d'epoca come vari calici di vetro, brocche e ceramiche.

Nel cortile del palazzo rinascimentale sono state rinvenute due strutture in opus latericium che si affacciavano su un cortile aperto che doveva essere circondato da un portico. Gli edifici devono essere datati all'età giulio-claudia grazie alla testimonianza dei bolli laterizi trovati sui mattoni.

La prima struttura ha una pianta a emiciclo (semicircolare), con ingressi radiali e scale e pareti, che pertanto può essere identificata con la cavea del teatro, dove si trovavano le gradinate per il pubblico. La Scaenae frons (fronte scena) era orientata verso ovest. 

Come già detto, l'apparato decorativo era d'ordine ionico e dai resti si deduce che era rivestito di marmi bianchi e colorati e di stucchi ricoperti da foglia d'oro, come nella Domus Aurea. Il secondo edificio, invece, perpendicolare al primo, era adibito a funzioni di servizio e ospitava forse le scenografie e i costumi.


BIBLIO

- Plinius - Naturalis Historia -
- Suetonius - Nero -
- Tacitus - Annales -
- Paolo Liverani - Due note di topografia vaticana: il theatrum Neronis e i toponimi legati alla tomba di S. Pietro - Pontificia Accademia Romana di Archeologia .  2000–2001, -
- Paolo Liverani - Neronis Theatrum - Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium - Quasar - Rom - 2006 -

AGER PUBLICUS

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AGER ROMANUS E AGER PEREGRINUS

L’ ager romanus, esteso talvolta a indicare tutto il territorio romano di proprietà quiritaria, è in genere identificato con il più antico territorio di Roma, verso la fine dell’età regia. Esso, indicato anche come a. antiquus, rimase pure in seguito la sola sede atta alla celebrazione di alcuni atti solenni della vita pubblica.

Ager peregrinus è il territorio di Stati stranieri alleati o riconosciuti, su cui sussistono legittimi diritti degli stranieri, mentre l’ a. hosticus indica il territorio di Stati in guerra con Roma o, comunque, privi di qualsiasi relazione con essa.



AGER PRIVATUS E AGER PUBLICUS

Nel territorio di Roma, occorre invece distinguere fra ager privatus e ager publicus populi Romani.
L’ ager privatus è costituito dai terreni in piena proprietà privata (dominium ex iure Quiritium), e da quelli oggetto di una durevole signoria dei privati, tenuti però al pagamento di un vectigal (canone periodico) allo Stato (a. privatus vectigalisque).

Nel diritto romano, l'ager publicus, agro pubblico, era costituito da porzioni di territorio (terreni, fondi, latifondi) con lo stato giuridico di proprietà dello stato. L'Ager era esterno alla città, delimitata dal pomerio. L'ager publicus, nel diritto romano, era dunque l'insieme di porzioni di territorio di proprietà dello stato romano. Lo stato acquistava questi territori soprattutto attraverso l'occupazione militare di altri territori ma talvolta anche attraverso opere di occupazione consenziente. 




LA DEDITIO

Nel IV secolo a.c., la città di Capua Vetere venne assediata dai Sanniti, per cui inviò un'ambasceria a Roma chiedendone la protezione, ma il Senato romano, che aveva in precedenza stipulato un trattato di non belligeranza con i Sanniti, fu costretto a respingere la proposta.

Gli ambasciatori della città campana, disperati perchè conoscevano la ferocia e la distruttività dei Sanniti, decisero di consegnare l'intera città, i suoi abitanti, i campi, gli averi e ogni altra cosa, nelle mani di Roma. Era la cosiddetta "Deditio", per cui Capua diventava territorio romano e come tale doveva essere difesa a tutti i costi.

Infatti Roma si sentì obbligata ad intervenire in sua difesa, dando inizio alla I Guerra Sannita, nel 343 a.c. che terminò con la vittoria romana. Nel 338 a.c. poi Roma le concesse la civitas sine suffragio, ovvero la cittadinanza senza l'esercizio del diritto di voto.



AGRO POPLICO

La prima menzione di ager publicus si trova nel II secolo a.c. nello storico romano Lucio Cassio Emina, che lo usa nei suoi Annales, ma pure l'agro poplico nell'Elogio di Polla e agrum poplicum nella Tavola di Polcevera del 117 a.v.. Tuttavia il termine ager publicus non voleva significare "agro publico" ma "agro conquistato" o "devastato". Publicus derivava dal verbo populare che, come Mommsen spiega, originariamente aveva il significato proprio di "devastare". Infatti alcune fonti parlano di questo ager come ager nemico occupato militarmente.


AGRO PUBLICO

L'accezione di "agro publico" si avrà in età gracchiana quando il termine ager publicus sarà usato per la prima volta, nel 111 a.c. anche nella lex agraria epigrafica. Per Tiberio Gracco l'ager publicus si chiamava così per distinguerlo dall'ager privatus cioè i terreni appartenenti a privati. 

Parte dei territorio in ager publicus veniva concessa ai privati, dopo la centurizzazione da parte dei censori, in:
- 1) proprietà piena (ager divisus et adsignatus per limites in centuriis) dietro il pagamento di un compenso allo stato vectigal, 
- 2) una parte veniva concessa solo in godimento. 
- 3) una parte veniva destinata a scopi religiosi, per la destinazione di templi, 
- 4) una parte veniva destinata alla realizzazione di colonie romane o latine.



ADSIGNATIO

L'acquisto della proprietà a titolo originario era basato sul perdurare per un determinato periodo di tempo del possesso di un bene. Esistevano però diverse forme di ager publicus a seconda della adsignatio (assegnazione):

- ager occupatorius: con e senza corrispettivo in denaro (cioè con o senza canone periodico), forse in origine venne assegnato ai soli patrizi, non dava però luogo ad usucapione, in latino usucapio, un modo di acquisto della proprietà a titolo originario basato sul perdurare per un determinato periodo di tempo del possesso sul bene in causa.

ager scripturarius: terreno concesso a pascolo con pagamento della scriptura, una somma fissa per ciascun animale che avrebbe pascolato in quel territorio;

- ager compascuus: simile all'ager scripturarius, ma assegnato a comunità o a soggetti plurimi (spesso proprietari di fondi confinanti), forse anche senza obbligo di un canone in origine, e utilizzato col mandarvi i propri animali a pascolare. Fu un territorio lasciato ai vicini per il pascolo comune degli animali. Fu la lex Sempronia Agraria a sciogliere i dubbi, classificando il compascolo come ager publicus;

- ager quaestorius: venduto dai questori, conservava il carattere di pubblico e il privato acquistava il possesso tutelato da interdetti e revocabile, pagando il vectigal a titolo di ricognizione;

ager censorius: locato dai censori;

- ager vectigalis: sottoposto al pagamento di un vectigal (canone periodico), si assegnava al privato questo ager dapprima per 5 anni e poi, successivamente, in perpetuo.

- agri redditi: denominazione di un terreno demaniale composto da terreni dei paesi conquistati, che veniva restituito ai vinti dietro il pagamento di un tributo.



AGER ROMANUS

I Romani designavano Ager Romanus antiquus il territorio attorno alla città, per un raggio di cinque o sei miglia dal Campidoglio; la zona era delimitata da confini sacri, rimasti inalterati nonostante le successive conquiste, perché ad essi erano connessi gli auspicia. 



AGER ARICINUS

L'ager contiguo ad Aricia, da essa amministrativamente dipendente e gravitante sui laghi di Albano e di Nemi, con i centri moderni di Albano Laziale e di Genzano. Dell’epigrafia del sacro aricina, vi sono
80 epigrafi per lo più sacre, la maggior parte dedicate alla Dea Diana, ovviamente di Nemi.


AGER VEIENTANUS

(INGRANDIBILE)
Ager Veientanus veniva chiamato il territorio immediatamente a nord, di forma più o meno trapezoidale, dominato da Veio. Il limite con l’Ager Romanus era dato da un modesto corso d’acqua, il Cremera, a est giungeva alla sponda destra del Tevere, a nord era delimitato dalle zone di influenza dei Capenati e dei Falisci, a ovest giungeva fino al settore sud-orientale del lago di Bracciano, al limite con un’altra zona di pertinenza etrusca, quella di Caere.

Il territorio è composto dalle vulcaniti dell’apparato sabatino, dalla cui alterazione sono derivati suoli piuttosto fertili, tanto che già prima della conquista romana l’agricoltura aveva prevalso sulla pastorizia. Le ricerche della British School of Rome hanno accertato la presenza di 16 siti abitativi tra il X e il VII secolo a.c., saliti a 137 nei due secoli seguenti. Oltre a Veio, peraltro, si aveva un solo insediamento di una certa entità, sul monte S. Angelo, che limita a est la conca di Baccano.

Dopo la conquista romana solo Veio, nonostante l’iniziale distruzione, sopravvisse come insediamento di tipo urbano, ma si moltiplicarono i siti di popolamento agricolo nelle campagne: oltre 240 secondo gli studiosi inglesi nel II secolo a.c., saliti a oltre 300 agli inizi dell’era cristiana. Col IV secolo cominciò un declino, ulteriormente aggravato con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e le invasioni barbariche.



AGER CAMPANUS

Capua possedeva in origine un territorio vastissimo: l'ager Campanus che si estendeva, a nord, fino alle pendici del monte Massico e includeva anche l'Ager Falernus, che rimase proprietà della città almeno fino al 338 a.c. quando, entrata a far parte della confederazione romana, dovette cedere quel territorio a Roma.

Tra i provvedimenti punitivi contro Capua, presi da Roma nel 211 a.c. durante la II Guerra Punica per l'alleanza della città con Annibale, il più grave fu l'espropriazione dell'intero ager Campanus, la cui estensione doveva essere di 200.000 iugeri, e che fu dichiarato ager publicus.

Poiché però nel 173 a.c. molta terra era tornata in mano ai privati, Roma effettuò la centuriazione del territorio che venne diviso in appezzamenti di 20 actus x 20 (m. 715 x 715) con strade incrociantesi ad angolo retto.

Poichè nel 130 parte della piana Campana era ancora occupata da abusivi e il senato non riusciva a porvi rimedio, una commissione composta da Gaio Gracco, Appio Claudio e Licinio Grasso tresviri agris iudicandis adsignandis, identificò e e delimitò i terreni pubblici.

LE LEGGI ROMANE

LEGGI LICINIE SESTIE

Le Leggi Licinie Sestie del 367 a.c. ponevano dei limiti allo sfruttamento dell'agro Pubblico, ma i ricchi proprietari che da sempre lo occupavano illecitamente si batterono per non farsi togliere questo privilegio aristocratico. Le leggi erano tre:

- De aere alieno: che le usure pagate si computassero a diminuzione del capitale e che i debitori potessero soddisfare i loro creditori in tre rate annue uguali;
- De modo agrorum: che fosse vietato di possedere più di 500 iugeri di ager publicus e di far pascolare sui terreni pubblici più di 100 capi di bestiame grosso e 500 di minuto, e che ci si dovesse servire di una certa aliquota di lavoro libero. Tale disposizione ebbe in realtà fortune alterne, considerando che in epoca successiva a regolare nuovamente la materia fu emessa la lex Sempronia Agraria;
- De consule plebeio.

Quest'ultima consentiva ai plebei di accedere al consolato e nel 342 a.c. i plebei ottennero che uno dei due seggi del consolato fosse riservato ai plebei. Le leggi, scritte dopo la conquista romana di Veio, sancirono che i suoi territori venissero distribuiti tra la popolazione bisognosa, formando 4 nuove tribù. 

La legge stabiliva inoltre la quantità massima di terreno che un privato poteva occupare: 500 iugeri (circa 125 ettari). Pochi anni prima Brenno e i suoi Galli avevano distrutto la città di Roma e molti plebei si erano indebitati per ricostruire le proprie case. Secondo le leggi delle dodici tavole il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo, dunque molti plebei rischiavano di divenir schiavi. La legge prevedeva che la cifra prestata fosse restituita in tre anni.

TIBERIO E CAIO GRACCO

LEX SEMPRONIA

A causa dell'abbandono delle campagne, una minoranza di nobili. con a capo Tiberio e Caio Gracco, sostenne una riforma per migliorare le condizioni del popolo e bloccare la crisi agraria. Tiberio, nel 133 a.c. riuscì a farsi eleggere tribuno della plebee presentò la lex Sempronia, che prevedeva che a ogni colono fosse dato un lotto di terra quattro volte maggiore di quello tradizionale (30 iugeri, anziché solo 7) che però sarebbe restato proprietà dello Stato.

La legge limitava a 500 iugeri la terra dell’agro pubblico che un senatore o un nobile poteva occupare temporaneamente. Le terre occupate illegalmente, sarebbero state distribuite ai cittadini meno abbienti.
Ma i senatori convinsero o corruppero l’altro tribuno della plebe, collega di Tiberio Gracco, e cioè Marco Ottavio a porre il veto. Allora Tiberio convocò l’assemblea della plebe e lo fece destituire. La riforma fu subito approvata e il triumvirato agrario iniziò i lavori.

Il senato negò allora i finanziamenti necessari ma Tiberio propose di utilizzare il tesoro del re di Pergamo, Attalo III, che era morto lasciando il suo regno in eredità a Roma, per finanziare tutte le spese I senatori accusarono allora Tiberio di avere violato, con la destituzione di Marco Ottavio, il principio di inviolabilità dei tribuni della plebe e di mirare al potere regio.

I senatori assassinarono Tiberio ma dieci anni dopo, nel 123 a.c., il progetto di riforma fu rilanciato dal fratello Gaio, ma fece la stessa fine: un corpo di arcieri cretesi assaltò l’Aventino, dove i riformatori si erano rifugiati e nel massacro morirono Gaio, suicidatosi per non cadere vivo nelle mani dei nemici, e tremila uomini.

Dopo il massacro, il senato smontò le riforme: i lotti di terra già assegnati ai poveri divennero alienabili, e furono riacquistati dai grandi proprietari (spesso con violenza e minacce); si interruppero il recupero dell’agro pubblico e la ridistribuzione ai nullatenenti; i grandi possessori dell’agro pubblico ottennero il diritto di conservare per sempre le terre occupate in cambio di un canone di affitto molto basso, che presto fu del tutto abolito. Per questa legge agraria morirono poi molti altri rappresentanti della plebe, solo Caio Giulio Cesare riuscirà a varare la legge.

BIBLIO

- L. Capogrossi Colognesi, Persistenza e innovazione nelle strutture territoriali dell’Italia romana - Jovene editore - Napoli - 2002 -
- Carcopino J. - The Political Origins of the Agrarian Program - Problems in European Civilization - Lexington - Heath and Company - 1970 -
- Mommsen T. - Storia di Roma antica - Firenze - Sansoni - 1960 -
- Giovanni Rotondi - Leges publicae populi Romani. Elenco cronologico con introduz. sull'attività legisl. dei comizi romani - Milano - Società Editrice Libraria - 1912 -
- Gabba E. - Il tentativo dei Gracchi - Storia romana - 1990 -

CULTO DI CAMULUS

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MARS CAMULUS

Camalus era un Dio celtico conosciuto attraverso delle iscrizioni e delle rappresentazioni (C. VI 46) col Mars romano: BRh. 164 = 0. 1977, di Rindem presso Olivia:

"MARTI CAMULO SACRUM PRO SALUTE TIBERI CLAUDI CAESARIS AUGUSTI GERMANICI IMPERATORIS CIVES REMI QUI TEMPLUM EOMSTITUERUNT;

C. VI 46: ARDUINNE, CAMULO lOVI, MERCURIO, HERCULIS MARCUS QUARTIANUS MARCI FILIUS CIVES SAHINUS REMUS MILES COHORTIS"

Nella mitologia celtica, Camulo (in latino Camulus o Camulos) era la divinità della guerra dei Remi, una tribù celtica, britannica e gallica che abitava nell'area dell'attuale Belgio. Tracce di questo culto sono ritrovate anche in Gran Bretagna. Germania, Croazia, Italia, Francia, Romania, Scozia e Inghilterra.. Cesare narra che i Remi furono fedeli alleati dei romani e offrirono ostaggi e vettovaglie per il suo esercito. (De bello Gallico, II, 3.)

È più spesso equiparato al Marte romano ed è la divinità patrona di Camulodunum (Colchester). La città di Camulodunum, antica fortezza legionaria della provincia romana della Britannia, che corrisponde all'odierna città britannica di Colchester, e poi al centro romano di Colonia Claudia Victricensis. Era posizionata nel territorio dell'antica tribù celtico-belgica dei Trinovanti. Potrebbe anche essere stato patrono dei campioni, soprattutto nei giochi gladiatori.

Camulos è noto grazie alle epigrafi rinvenute in tutta Europa: a Magonza e Rindern, in Germania, dove è equiparato a Marte; a Solin, in Croazia, dove è equiparato a Marte e associato a Giove ed Epona; a Roma, associato ad Arduinna, Giove, Mercurio ed Ercole e a Reims, in Francia. La pietra di Rindern è decorata con un albero su entrambi i lati e un contorno di foglie di quercia. 

Ma le molte iscrizioni in Belgio, nelle regioni di Arlon e Kruishoutern, fanno supporre che Camulos fosse una divinità importante per i Remi, una tribù belga della regione, dai quali era denominato Camulos della Spada Invincibile. Il suo nome deriva dal celtico"Camuloduon", che significa "La Rocca di Camulo" dove Camulo rapprersentava il corrispettivo celtico di Marte, il Dio romano della guerra. 

Il suo nome fu alla base della città leggendaria di Camelot col suo castello d'oro e d'argento. I tolleranti Romani identificato Camulo con Marte e ne accolsero il culto, ma quando subentrò l'intransigente cristianesimo, gli Dei celtici vennero demoliti e i loro templi distrutti come tutti gli altri Dei.
Nelle immagini successive è stato talvolta raffigurato con le corna di un ariete e un invincibile con la  spada. 

CAMULUS RIPRESO DA UNA MONETA CELTICA

Vari reperti riguardanti la divinità sono stati rinvenuti: 
- a Reims (Durocortorum - Gallia Belgica), 
- Arlon (Orolaunum - Gallia Belgica), 
- Kruishoutem e Rindern (Harenatium nella Germania inferiore), 
- Mainz (Mogontiacum nel Germania Superior), 
- Kilsyth/ Bar Hill presso il Vallo Antonino in Scozia, 
- Sarmizegetusa (Colonia Ulpia Traiana Augusta Dacica Sarmizegetusa nella Dacia)  
- Southwark, Londra. 

Queste iscrizioni menzionano Marte Camulo. Si fa spesso riferimento a una pietra votiva a Roma, eretta da Marco Quartinio di Reims che prestò servizio con la guardia pretoriana, dove Camulo sarebbe menzionato senza il collegamento con Marte, ma questo non dimostra nulla. 

- Un'iscrizione trovata a Bar Hill, nel Dunbartonshire, sul muro di Antoine, recita Deo Marti Camulo.      -  Una seconda iscrizione che recita Marti Camulo è stata trovata a Croy Hill.                                            Per il resto, le prove provengono dai nomi dei luoghi:                                                                                  - Camulodunum (Forte di Camulo) oggi Colchester,                                                                                     - Essex e Camulodunum oggi Almondbury, Yorkshire.                                                                                - Anche il toponimo Camulosessa Præsidium (sede di Camulos), identificato come Castle Greg, nel West Lothian, in Scozia, sembra associato a questa divinità,                                                                                  - e la vicina Camilty, che, come Cameltree (XVIII secolo), potrebbe derivare dal brittico Camulos Tref, che significa "villaggio di Camulos".

La recente scoperta di una targa con una nuova iscrizione dedicata a Camulos a Londra recita:                  NVM AVGG DEO MARTI CAMVLO TIBERINIVS CELERIANVS C BELL MORITIX LONDINIENSIVM MVS                                                                                                                         (Per gli spiriti degli imperatori e per il dio Martius Camulos, Tiberinius Celerianus, custode dei guerrieri, Moritex del popolo di Londinium, [offre] questo memoriale in adempimento di un voto).        Moritex, il dedicatario dell'iscrizione, si descrive come custode dei guerrieri, probabilmente coinvolto con i gladiatori di Londra.     
                                                                                                                                                                  Data la possibile etimologia del nome Camulos come "Il Campione" (dalla stessa radice del cimbro camwr [campione] e campwr uno che compie imprese), si può associare Camulos ai gladiatori londinesi. L'interpretazione di Camulos come "campione" può anche alludere alla preferenza dei Celti per i conflitti individuali dei campioni piuttosto che la guerra.

Colonia Victricensis, o semplicemente Colonia, fu la prima delle tre colonie che i Romani fondarono in Britannia (C. in Essex), posta in un oppidum (forte) conosciuto come Camulodunum che significa “luogo fortificato di Camulus”, il dio celtico della guerra. Camulodunum era l’insediamento principale dei Trinovantes e comprendeva il più vasto complesso di terrapieni difensivi esistenti allora in Britannia. 


Dal 10 al 40, fu la sede di Cunobelinus, il più potente tra i re della Britannia. Nel 43 l'imperatore Claudio entrò a Camulodunum, quindi tornò a Roma per celebrarvi il trionfo. Vi fu costruita una fortezza per la legio XX. Nel 49  la legione fu ritirata e fu creata la colonia. La maggior parte delle vie venne conservata e molte caserme furono trasformate in case. 

Le difese legionarie furono rase al suolo e nella parte orientale, al posto degli abitati, vennero costruiti alcuni edifici pubblici. Tra essi vi erano un teatro e un grande tempio dedicato a Claudio. Nel 60/1 i Trinovantes si unirono alla vicina tribù degli Iceni e, guidati dalla regina Boudicca, incendiarono gli insediamenti romani di Camulus, Londinium (Londra) e Verulamium (St. Albans). 

Trent’anni più tardi la colonia di Camulus fu ricostituita e munita di un muro difensivo e di un fossato. Il tempio di Claudio fu restaurato e vi fu ristabilito il culto imperiale, benché sia possibile che nel frattempo Londinium fosse già divenuta più importante di Camulus

Dalla metà del II al III sec. si ebbe un periodo di relativa prosperità. Le abitazioni divennero più grandi e meglio costruite, molte dotate di un cortile o di padiglioni laterali, con pavimenti a mosaico. Vennero edificati diversi templi celtico-romani, il più importante si trovava a Gosbecks, dove era stato costruito un santuario sopra l’oppidum. Intorno al 275 vennero rinforzate le difese della città allargando il fossato e chiudendo tre porte cittadine per ostacolare le incursioni sulla costa orientale. I sobborghi si ridussero fin quasi a scomparire e gli abitanti diminuirono sempre più. 

Una chiesa costruita nel 330 presso un vasto cimitero cristiano dimostra che verso la metà del IV secolo vi doveva essere una notevole comunità cristiana nella colonia. Intorno alla metà del V secolo gli abitanti romano-britanni vennero assorbiti dalla cultura sassone straniera. All’interno delle mura comparvero capanne sparse mentre nelle antiche zone cimiteriali romane si trovano cremazioni sassoni con scudi e armi.



MITOLOGIA

Amando la bellissima Muirné, ma suo padre il druido Tagd è contrario, Cumhal deve rapirla. Allora il druido, per punire il figlio disobbediente, fa entrare il re d' Irlanda , Conn Cetchathach (Conn "alle cento battaglie"), che uccide il rapitore. 

Nella mitologia celtica irlandese , Cumhal (o Cumaill ) è un Dio guerriero molto temuto. È figlio del re dei Tuatha Dé Danann Nuada , marito di Muirné e padre di Finn Mac Cumaill , chiamato Deimne quando era bambino. Cumhal, come il Dio gallico noto come Camulos o Camulus , è stato paragonato a Marte , il Dio romano della guerra.



CAMULUS E MARTE

In Gallia, c'è un Dio Camulos, che i romani assoceranno a Marte. Questo nome è vicino a Cumhal per cui l'eroe "Cumhal" sarebbe solo una figura del Dio della guerra "Camulos" ma non è certo,
I Camulos sono cognomines relativi al Dio romano della guerra Marte, è possibile che Cumhal fosse in definitiva solo un eroico doppio di suo padre, il re degli dei Nuada



I REMI

I Remi, il cui nome significa "i primi" erano un popolo della Gallia Belgica meridionale, posti nella Piccardia francese. La loro capitale fu prima Vieux Reims, a Variscourt, e poi Durocortorum, oggi Reims. Cesare cita l'oppidum remo di Bibrax, presso cui, nel 57 a.c., ottenne un'importante vittoria contro i ribelli della Gallia Belgica. Menzionati più volte da Cesare nel suo De bello Gallico, di cui rimasero sempre fedeli alleati durante tutto il periodo della sua conquista della Gallia .

Dunque Cesare in soli dodici giorni allestisce uomini animali e salmerie, e in soli 15 giorni di marcia serrata raggiunge il territorio, il che fa tremare i Remi, gli abitanti dell'attuale territorio di Reimsche che gli inviano come ambasciatori Iccio ed Andecumborio, capi della nazione, a dire che si rimettono al popolo romano, "che loro non s'erano accordati con gli altri Belgi né si erano alleati contro il popolo romano, che erano pronti a dare ostaggi, obbedire agli ordini, accoglierli nelle città e aiutarli con frumento ed altri beni"



BIBLIO
 
- Un Dizionario di mitologia celtica - Oxford University Press - 2004 -
- Cesare - De bello Gallico -
- N. Crummy, Ph. Crummy,C. Crossan - Excavations of Roman and Later Cemeteries, Churches and Monastic Sites in Colchester - 1871-88 - Colchester - 1993 -
Ph. Crummy et al. - Camulodunum - Colchester - 1995 -

VIA ARIMINENSIS

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La via Ariminensis fu un'importante strada consolare romana, che oggi esiste ancora nel suo percorso su reti provinciali attraverso l’Appennino, da Arezzo fino a Rimini. La via venne fatta costruire per scopi militari da Marco Livio Salinatore verso la fine del III secolo a.c. sul tracciato di un antichissimo percorso che collegava l’Etruria alla Val Padana, da cui più volte i Galli scesero per attaccare Roma.

Essa collegava Arezzo, caposaldo a difesa dei confini settentrionali, a Rimini e ai porti dell’Adriatico consentendo un rapido spostamento delle legioni, e la rapidità per l'esercito romano era fondamentale, ma anche un migliore transito commerciale tra Etruria e Valle Padana. 

Inoltre, raccordandosi alla Cassia, che da Arezzo conduceva a Florentia (Firenze) e da qui fino a Lucca (già romana, Livio narra che nel 28 a.c. il console Sempronio Longo si rifugiò a Lucca per sfuggire ad Annibale).

La via si snodava poi fino a Luni, raggiungeva il Mar Tirreno, toccando così entrambi i mari, finchè poi divenne una semplice strada vicinalis in epoca imperiale.

IL PERCORSO

IL PERCORSO

- Uscita da Arezzo in prossimità di Porta San Biagio la via Arimensis attraversava il borgo La Catona (dove sono stati rinvenuti moltissimi reperti archeologici di epoca etrusco romana) e toccava:

- Praedium Tricotianum (Tregozzano), 

- Praedium Camperianum (Campriano), 

- poi, piegando a destra (statale della Libbia), attraverso il passo della Scheggia giungeva al Castello di Montauto.

Poi si biforcava: 
- un ramo si dirigeva verso Castrum Angularium (Anghiari) per poi scendere verso la valle del Tevere, Sansepolcro e Città di Castello (Tifernum Tiberinum);
 
- l’altro ramo procedeva verso Ponte alla Piera, Praedium Asilianum (Sigliano) e Pieve Santo Stefano, ricongiungendosi all'altro ramo.

La strada aveva probabilmente due varianti per entrare in Valmarecchia: 

- la Via Major (risaliva al Passo di Viamaggio e poi, attraversato il territorio di Badia Tedalda  (con antica abbazia costruita su resti romani vicino al castello dei Tedaldi), scendeva al Ranco e seguiva il corso del fiume Marecchia per raggiungere Verucchio e Rimini); 

- la via di Frassineto (dopo l’omonimo valico toccava i territori delle attuali frazioni di Caprile, Fresciano e Rofelle per ricongiungersi con la Via Major al Ranco).

VIA ARIMINENSIS


LA VIA DEL SALE

La località del Ranco fu importante crocevia per la “via del sale” e “dei pescivendoli” verso le abbazie di Camaldoli e Montecoronaro, sede di dogana ma anche di fiere e di mercati, dove si incontravano gli abitanti delle vallate circostanti di Romagna, Marche e Toscana. Da qui la via seguiva il percorso del torrente Marecchia (fluvius Ariminus) lungo la riva destra fino a Rimini.

PORTA MONTANARA, DOVE LA VIA ARIMINENSIS ENTRAVA A RIMINI


PORTA MONTANARA

Il moderno tracciato segue abbastanza fedelmente quello dell’antica via romana e conta numerosi siti archeologici. La costruzione della Porta Montanara di Rimini, detta anche di Sant'Andrea, risale al I secolo a.c. e presenta un arco a tutto sesto, in blocchi di arenaria, che consentiva l'accesso alla città per chi proveniva dalla via Aretina. Il doppio fornice agevolava la viabilità, incanalando in passaggi paralleli il percorso in uscita da Ariminum, attraverso il cardine massimo, e quello in entrata.

Viene attribuito al sistema difensivo cittadino attribuito a Silla. La porta rientrerebbe nell’ambito delle ricostruzioni che nei primi decenni del secolo, seguirono alle rappresaglie nei confronti della città, già sostenitrice di Mario, suo avversario nella guerra civile.

PILONE SUPERSTITE DEL PONTE

IL PONTE ROMANO

Il ponte era costituito originariamente di 5 arcate, su di esso transitò la V coorte di Marco Antonio, luogotenente di Cesare, diretto ad Arezzo per sottometterla dopo il passaggio del Rubicone. Oggi rimane solo un pilone superstite del ponte sul Tevere della Ariminensis all'altezza della frazione di Sigliano a Pieve Santo Stefano AR.



RINTRACCIANDO L'ANTICA VIA

- Il sentiero ha inizio a Badia Tedalda dal “Parco della Memoria”, sopra i campi sportivi.

- Si segue la strada per Tramarecchia per circa 1 km, quindi la si lascia per prendere a destra la vecchia strada che scende a San Patrignano e prosegue poi su sentiero fino alla strada asfaltata per Rofelle (in prossimità del ponte sul Marecchia). 

- Si scende ancora su asfalto e si attraversa il ponte, risalendo in direzione di Rofelle per circa 700 m. 
- A questo punto si lascia l’asfalto e si prende a destra la strada per Giuncheto.

- Dopo poco si prende di nuovo a destra il sentiero CAI 15 con cui si scende fino a guadare un piccolo torrente.

- Ora la traccia e i segnavia si perdono su un campo incolto, ma seguendo il margine del campo delimitato dal bosco, con ampia curva a destra si ritrovano i segnavia poco prima del guado sul Marecchia. 

- Anche traversando diagonalmente il campo, oltre il dosso, è visibile il segnavia che immette sull’ampia traccia che porta al guado. 

- Siamo sempre sul sentiero CAI 15 che conduce alla storica frazione del Ranco, alla confluenza tra il Marecchia e il Presale.

- Dal Ranco si prosegue sempre sul CAI 15 che ricalca ora lo storico tracciato romano fino alla frazione di Mondatio.

- Poi ancora avanti fino alla strada asfaltata che va da Badia Tedalda a Rofelle. 

- Giunti all’asfalto si prende a sinistra e in poco più di 1 km si rientra a Badia.

Lungezza totale: 7,5 km.



Alla scoperta dell'antico tracciato della via Ariminensis, visita guidata al sito archeologico

Una mattina di visite guidate alla scoperta del sito archeologico tra Corpolò e Villa Verucchio che mette in luce l’antico tracciato della via Ariminensis.

La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Ravenna, in collaborazione con Scm Group S.p.A., con la ditta adArte Srl e con il supporto dei Musei Comunali di Rimini e del Museo Civico Archeologico di Verucchio, organizza per sabato 8 ottobre tre visite guidate allo scavo archeologico in corso tra Corpolò e Villa Verucchio.

L’indagine archeologica è collegata con un intervento di nuova edificazione da realizzare da parte di Scm Group S.p.A., che tramite alcune indagini a carattere preventivo ha portato al rinvenimento di un interessante sito archeologico con evidenze di epoca romana. 

In particolare, gli scavi hanno messo in luce per la prima volta l’antico tracciato stradale della via che univa la colonia di Rimini alla città di Arezzo (via Ariminensis) e un gruppo di sepolture di epoca romana imperiale.

Le visite guidate, condotte dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Ravenna e dalla ditta adArte Srl, prevedono la presentazione dello scavo da parte degli archeologi che lavorano sul campo e l’esposizione dei reperti dei corredi tombali recuperati.



Portati alla luce resti della via Ariminensis

Resti della via Ariminensis, che collegava in epoca romana Arezzo con la colonia Ariminum, oggi Rimini, sull’Adriatico, sono stati rinvenuti grazie alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, a SCM Group e AdArte Srl di Rimini. 

Questa strada, realizzata probabilmente per scopi militari nel III sec. a.C., si impiantava su un percorso precedente che collegava l’Etruria e l’Umbria con la Val Padana già tra il IX e l’VIII sec. a.C.


BIBLIO

- Salvatore Aurigemma - Rimini guida ai più notevoli monumenti romani e al museo archeologico comunale - Cappelli - Bologna - 1934 -

HISTORIUM - VASTO (Abruzzo)

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RESTI DI VILLA ROMANA

La storica Histonium (Ἱστόνιον Histónion in greco antico), corrispondente all'odierna Vasto, della provincia di Chieti in Abruzzo, era un'antica città del popolo italico dei Frentani, con un territorio che iniziava a sud del porto di Ostia Aterni (Pescara) e si estendeva fino al Fortore.  I Frentani erano antico popolo italico di lingua osca della costa adriatica centrale, molto affini ai Sanniti, posti nell'Abruzzo sud-orientale e nel basso Molise.

 Histonium, secondo la tradizione mitica, viene fatta fondare da Diomede, il condottiero greco, esule dopo la guerra e la distruzione di Troia. Questi nel suo peregrinare nel Mediterraneo, sbarcò con i suoi reduci nell'Italia meridionale dove fondò diverse città. I coloni greci furono indotti a stabilirsi in loco per via dell'industria ed il commercio della lana. 


IL NOME

La denominazione potrebbe provenire dal greco HERCOS (recinto fortificato) oppure ERCE  dal latino ARX (sommità), ipotizzare ci fosse un'acropoli o una roccaforte; oppure il nome deriverebbe da ARKHAIOS (cioè antico) perchè in queste zone esisteva una colonizza greca, prima dell'arrivo degli italici. 

In località Selvotta venne rinvenuta la lapide che riporta: 
HERRCVLI EX VOTO ARAM / L.SCANTIVS / L LIB.MODESTVS.MAG. / AVG.MAG.LARVM. AVGVST. / M AG. / CERIALLIVM VRBANORVM, riferita a Lucio Scanzio Modesto, capo dei cereali urbani (sacerdoti addetti alla città di Historium).


LA STORIA

Si batterono con la Repubblica romana alla fine del IV secolo a.c., da cui vennero costretti a un' alleanza con Roma, in posizione subordinata. I Frentani erano una popolazione italica che occupava gran parte dell'attuale costa abruzzese meridionale. In seguito alla conquista romana (305 a.c.) il centro frentano si dotò di vari edifici pubblici, in parte ancora visibili.

Tuttavia Roma lasciò loro una certa autonomia interna fino al I secolo a.c., quando si estese a tutti gli Italici la cittadinanza romana, in seguito alla guerra sociale a cui avevano preso parte anche i Frentani. Da allora si accelerò la loro romanizzazione, inquadrati nelle strutture politico-culturali di Roma.

 Nel 91 a.c. il popolo di Histonium, insieme a tutti i popoli italici prese parte alla confederazione dei popoli italici per ottenere il titolo di municipio.

La città fu ricostruita e, nel 117 venne inserita nella regio Sannio. In seguito la città man mano perse d'importanza e decadde. I vari edifici romani furono saccheggiati durante le "Invasioni barbariche" subendone anche le lotte che si susseguirono fino in epoca feudale.

 L'antico nome di Histon da lui dato sarebbe dovuto al fatto che il suo promontorio dal mare ricordasse all'eroe troiano il monte Histone di Corfù.

MOSAICO DI NETTUNO ALLE TERME

In effetti i coloni greci furono indotti a stabilirsi in loco per via della posizione adatta al commercio della lana che già praticavano da Troia. Historium fu infine municipio romano iscritto alla tribù Arnensis. Tra i culti religiosi sono testimoniati quelli di Ercole, di Cerere, del Sole, di Giove Dolicheno. 

In seguito alla conquista romana del 305 a.c. il centro frentano si dotò di vari edifici pubblici, in parte ancora visibili oggi. Nel 91 a.c. il popolo di Histonium, insieme a tutti i popoli italici prese parte alla confederazione dei popoli italici per ottenere il titolo di municipio, che ottenne venendo iscritto alla tribù Arnensis. Le famiglie maggiori di Histonium erano i Didia, gli Helvidia e i Vibia.

Fabio Massimo fece restaurare il campidoglio. La città fu devastata da Silla nella lotta contro Mario. La città fu ricostruita e, nel 117 venne inserita nella regione del Sannio. L'area archeologica del quartiere Gisone sorto sulla città romana è compreso tra via Roma (fuori Porta Nuova) a nord, e via Barbarotta a sud, dentro cui si ergono quattro file di due isolati rettangolari su strade perfettamente ortogonali. 

Il Corso Palizzi è considerato il cardo maximus, e il Corso Dante il decumanus maximus, mentre altri cardi sono costituiti da Corso Plebiscito e di via Adriatica. Presso l'ospedale si trovano alcuni resti murari di un edificio della fine del I-metà del II secolo d.c.,



IL SITO ARCHEOLOGICO

La città antica corrisponde alla città vecchia, che ne ha conservato la pianta almeno in parte. Restano le vestigia di: teatro, anfiteatro, terme, vari acquedotti, serbatoi idrici, mura civiche reticolate, pregiati pavimenti, statue, colonnati di granito orientale, templi.

Nella città moderna si trovano i resti della remota città romana in gran parte riutilizzati sia nelle chiese (Madonna delle Grazie, San Pietro, piazza del Popolo), sia nelle strade e nelle piazze cittadine (Ospedale, Tagliamento, Sant'Antonio, piazza Dante Gabriele Rossetti).

La zona settentrionale della città attuale, vale a dire il centro storico, ricalca  l'antico impianto urbanistico romano. La città antica è infatti corrispondente alla città vecchia, che ne ha conservato la pianta almeno in parte. In quest'area ubicata sulla collina prospiciente il mare si innalzavano i templi e il Campidoglio. 


L'ANFITEATRO

La Piazza Rossetti conserva la forma ellissoidale dell'anfiteatro che fu costruito tra la fine del I e la metà del II secolo Alcuni resti dell'edificio sono tuttavia visibili  visibile sotto teca di vetro allo sbocco di via Cavour sulla piazza, in opus reticolatum inglobati nei sotterranei del castello di Vasto ed in parte nelle mura che si affacciano nel lato orientale della piazza stessa. 

Vi sono anche atri tratti dell'anfiteatro presso la Torre di Bassano e in un negozio della piazza. I resti visibili sono parte dell'ingresso e parte del perimetro ellissoidale dell'anfiteatro. L'anfiteatro di cui una porzione è fuori dal perimetro urbano, realizzato in opus cementizia: misurava circa 225 piedi (67 m ca.) di lunghezza per 210 (62 m) di larghezza. Gli edifici situati nella parte nord-est della piazza sorgono a forma ellittica, presso la Torre di Bassano, segno che dopo la caduta di Roma, l'anfiteatro fu smantellato per ricavarci materiale di costruzione di nuove case. 

La presenza vicino alla piazza di via Naumachia, a fianco della chiesa dell'Addolorata, ha fatto ipotizzare che l'anfiteatro fosse stato usato anche per le celebri battaglie navali. Un'alluvione nel tardo impero romano ricoperse l'anfiteatro di fango, determinandone l'abbandono.

Presso Via S. e F. Ciccarone vi è un rudere detto cappella della Madonna del Soccorso da cui proviene la lastra funeraria di Gaio Osidio Veterano (Caius Hosidius Veteranus) ora posta nel museo archeologico di Vasto. Il sito venne trasformato nel 1442 in carcere ed in seguito, nel 1614, nella cappella di Santa Maria del Soccorso. Nel 1794 risulta abbandonata.


Nel 1817 la porta viene murata, indi, mediante un'apertura sulla volta viene usata come tumulazione per neonati non battezzati e per impenitenti. L'esterno ha una muratura in calcestruzzo di manifattura romana. L'interno con volta a botte presenta un'intonacatura e pavimentazione moderne. 

Nella parte di via Anelli, all'altezza della Scuola d'Arte, è ancora visibile un muro di 20 metri risalente all'epoca romana, nella facciata di una casa civile; in via Tagliamento affiorano resti di un muro in opus caementitia. In via B. Laccetti la chiesetta della Trinità poggia su fondamenta di un'abitazione romana, con visibili resti sulla destra. 

In seguito la città man mano perse d'importanza e decadde. I vari edifici romani furono saccheggiati durante le invasioni barbariche subendone anche le lotte che si susseguirono fino in epoca feudale.

Nella seconda metà del XVI secolo sul pianoro intorno a Santa Maria della Penna erano visibili fra gli altri i resti di due templi e di un teatro, il che potrebbe ricollegare il contesto al noto complesso di Pietrabbondante, e ancora oggi sono visibili i resti di un abitato e forse dello stesso luogo di culto, databili fra IV-III e I secolo a.c.



I TEMPLI

I culti testimoniati a Historium sono quelli di Ercole, di Cerere, del Sole, di Giove Dolicheno. In Via Antonio Bosco 16 vi è un tempietto romano, scoperto nel 1975 in seguito a lavori a palazzi della stessa via, con forma a V e vertice ad ovest. I lati a sud ed a nord misurano 4,90 e 4,30 m, il primo lato ha un basamento di 25 cm ed una cortina di 10 cm, mentre il secondo ha il basamento e la cortina 10-50 cm. I muri interni ed esterni sono in cortina laterizia con mattoni di 25 cm X 15 X 3 con colori dal rosso vivace all'ocra.

I templi, di cui si ha riferimento da antichi documenti, vennero riordinati dallo storico Luigi Marchesani: 
- un Tempio dedicato al Dio Elio presso la chiesa di Sant'Antonio di Padova, sopra cui oggi poggia la cappella della Madonna delle Grazie, 
- quello della Dea Cerere nell'area dove venne eretta la chiesa collegiata di San Pietro, 
- il tempio di Giove Delicheno o Ammone sorgeva presso Piazza del Popolo, 
- insieme al vicino tempio di Bacco. 
- In località Selvotta si trovava il tempio di Ercole, con la lapide conservata nel Museo archeologico del Palazzo d'Avalos.

Nel 1888 fu rinvenuta, presso la chiesa di Santa Maria della Penna in località Punta Penna, una lastra di rivestimento in terracotta appartenente ad un edificio templare, oggi conservata presso il Museo Civico Archeologico di Vasto. 

 Il motivo principale consiste in due teste contornate da elementi vegetali: in quella di sinistra appare riconoscibile Ercole con la clava sulla destra, l'altra con volto largo e piatto e capelli a fiamma, sembra attribuibile ad una figura femminile inquadrate da una cornice di motivi vegetali, con grossi fiori a forma di campanula. 

CAVALLUCCIO MARINO

LE TERME

Nella zona del Muro delle Lame, dopo la frana del 1956 che inghiottì parte del quartiere, ci fu l'affioramento di un pavimento a mosaico di grande valore, e delle fondamenta dell'edificio termale presso l'ex convento di San Francesco. In Via Adriatica le terme del II secolo d.c. sono divise in tre livelli. Il restauro eseguito a partire dal 1994 ha ricollocato in situ un mosaico riportato alla luce nel 1974 un mosaico con raffigurazioni di Nettuno col tridente.

Da queste terme il mosaico di Nettuno, di ben 13.50 x 12.60 m, per un totale di 170 mq, uno dei più estesi mosaici mai rinvenuti lungo l'intera costa adriatica, ha una decorazione molto articolata, basata su un raffinato intreccio di elementi vegetali stilizzati all'interno del quale campeggia la possente figura del Nettuno con il tridente e quattro Nereidi, due in sella a cavalli, una ad un drago, e una ad un cavallo marino. 

Il mosaico è tessere bianche su sfondo scuro e risale alla prima metà del II secolo d.c. 
 Gli scavi del 1997 hanno riportato alla luce quattro ambienti destinati ad essere riscaldati e il praefurnium, la fornace che riscaldava i locali presso l'ingresso. 

L'ANFITEATRO SOTTO PIAZZA ROSSETTI

 ANFITEATRO 

La Piazza Rossetti conserva la forma ellissoidale dell'anfiteatro. L'anfiteatro fu costruito tra fine I secolo e metà II secolo d.c.. Alcuni resti dell'edificio sono tuttavia visibili, trattasi di resti in opus reticolatum inglobati nei sotterranei del castello di Vasto ed in parte nelle mura che si affacciano nel lato orientale della piazza stessa, ma vi sono anche atri tratti dell'anfiteatro presso la Torre di Bassano e in un negozio della piazza. 

I resti visibili sono parte dell'ingresso e parte del perimetro ellissoidale dell'anfiteatro. In via Pampani nel 1854 venne estratto un pavimento musivo, lungo via Santa Maria Maggiore sono visibili tracce di antiche fondazioni, che corrispondono all'anfiteatro di Piazza Rossetti, di cui una porzione è visibile sotto teca di vetro allo sbocco di via Cavour sulla piazza) fuori dal perimetro urbano, realizzato in opus cementizia.

Il teatro misurava circa 225 piedi X 210 (67 X 62 m). Gli edifici situati nella parte nord-est della piazza sono a forma ellittica, presso la Torre di Bassano, segno che dopo la caduta di Roma, l'anfiteatro fu smantellato per ricavarci materiale di costruzione di nuove case. 

La presenza vicino alla piazza di tal via Naumachia, a fianco della chiesa dell'Addolorata, ha fatto ipotizzare che l'anfiteatro fosse stato usato anche per le celebri battaglie navali, data la presenza degli acquedotti di alimentazione idrica. Un'alluvione avvenuta nel tardo impero romano coprì l'anfiteatro di fango, determinandone l'abbandono.
 

ACQUEDOTTI E CISTERNE

Nel 1614 furono rinvenute in via Lago delle condotte, che si dirigevano verso le chiese di San Giovanni dei Templari e di San Pietro (il Murello), mentre l'acquedotto delle Luci invece era già disseccato.
In via Cavour sono presenti i ruderi delle cisterne di Santa Chiara realizzate in opus signinum. Le cisterne erano alimentate dall'acquedotto delle Luci. Le cisterne erano degli ambienti rettangolari con volta a botte comunicanti tra loro mediante arcate. Anche in Via V. Laccetti vi sono delle Piccole Cisterne.

PARCO ARCHEOLOGICO SOMMERSO DI VASTO (HISTONIUM)

IL PARCO SUBACQUEO

Importanti presenze archeologiche dell'antica città come muri, absidi, colonne e resti di edifici attendono di essere ammirati a Histonium nel piccolo paradiso del Parco archeologico sommerso nel tratto di costa vastese compreso tra il Monumento alla Bagnante e il trabocco “Concarerella”, centro portuale dell'antica città.

Lo storico Luigi Marchesani riferisce che i resti murari attualmente sommersi riemersero nel 1816 e che furono quindi visti dai Vastesi quando le acque del mare si ritirarono a causa dell’innalzamento del fondale, avvenuto in coincidenza di un’enorme frana che sconvolse il settore orientale del promontorio su cui sorge Vasto. Nel 2014 è stato pubblicato per la prima volta un saggio che documenta ed inquadra storicamente l’esistenza del centro.

 
EPIGRAFI

Il materiale archeologico, proveniente dalla città e dai dintorni, e in particolare la ricca collezione epigrafica, sono esposti nel Museo Civico. 
- Notevoli due lastrine bronzee con iscrizioni osche, che testimoniano l'esistenza dell'abitato in età preromana.
- Caio Hosidio Geta, che nel 43 fu legato dell'Imperatore Claudio, al comando dell'esercito romano, sbaragliando i nemici in Inghilterra; divenne console e ricevette le insegne del trionfo a carico dell'impero, testimonianza se ne ha dai resti del monumento pedestre che gli venne dedicato a Histonium.
- Publio Paquio Sceva, questore e giudice, pretore dell'erario e proconsole di Cipro. Il suo sepolcro si conserva nel museo del Palazzo d'Avalos, insieme alla moglie Flavia. 
- Marco Bebio che fu edile della città, e questore e sacerdote, nominato dall'imperatore Tito Flavio Vespasiano. Alla sua morte gli histoniensi gli eressero una statua, di cui si conservano elementi nei musi civici.
- Il più famoso fu però il poeta decorato d'alloro al Campidoglio nel 106 d.c., Lucio Valerio Pudente, nominato da Antonino Pio procuratore delle imposte a Isernia. 



 NECROPOLI

La necropoli più grande risale al V-II sec a.c. e si trovava lungo viale Incoronata, le sepolture erano allineate lungo la via del tratturo che collegava le città di Egnazia, Anxanum, Ortona, Larinum, Cliternia. Presso la città, le tombe si dispongono lungo i lati nord e ovest, e una via lastricata che  scendeva al mare presso la chiesa della Madonna delle Grazie, dove si scoprirono due tratti che racchiudevano l'area di un grande cimitero.

TOMBA DI PAQUIUS SCEVA
La prima parte comprende via Crispi e via Roma sud, il vallone San Sebastiano ad ovest e la chiesa della Madonna delle Grazie ad est, con tombe a tegoloni, pavimento musivi, in opus spicatum e cementizia, con rivestimento in opus reticulatum; dal vallone di San Sebastiano le tombe proseguono in Piazza Diamante, scendendo sino a Piazza Barbacani. 

Le tombe sono a l'inumazione, l'incinerazione  è rara, i sepolcri sono a tegoloni, con copertura a cappuccina, ma anche di altri tipi, come il sarcofago monumentale di P. Paquius Sceva. 

Il monumento più importante è infatti il grandioso sarcofago dove erano sepolti P. Pacuvio Sceva e la moglie Flavia. All'interno del sarcofago, sui lati rispettivi, sono incise le iscrizioni che si riferiscono ai due defunti. In quella di Sceva è riportata la brillante carriera del personaggio. Il sarcofago appartiene ad un raro tipo di età augustea, utilizzato da personaggi che preferivano l'inumazione in un periodo di quasi universale diffusione della cremazione.

Molte tombe nell'area di Santa Maria del Soccorso, dove si trova una cappella, con pavimenti musivi rinvenuti fuori dall'abitato, coincidendo nell'area della Madonna delle Grazie con opus spicatum, e nei sepolcri rinvenuti nell'area conventuale di Santa Lucia, fuori Vasto. In contrada "Incoronata"è venuta alla luce una necropoli molto interessante.

Alcune lapidi, tra le meglio leggibili, riportano di :
- Faustina, vissuta 15 anni. 
- Caio Figellio Frontone vissuto 9 anni otto mesi e due giorni (presso la chiesa di Santa Maria Maggiore - Tito Giulio Hilari Pudente (presso la raccolta dei baroni Genova Rulli).
- Mevia Vittoria dedicata alla sorella Cassandra (in Piazza Barbacani).

Il monumento più importante è però il grandioso sarcofago dove erano sepolti P. Pacuvio Sceva e la moglie Flavia. All'interno del sarcofago, sui lati rispettivi, sono incise le iscrizioni che si riferiscono ai due defunti. In quella di Sceva è riportata la brillante carriera del personaggio. Il sarcofago è a inumazione. 

Nel Palazzo d'Avalos, insieme a sculture come il busto in marmo con basamento, che componeva la scultura del poeta vastese Lucio Valerio Pudente, un busto acefalo di donna, diverse statue e lucerne in terracotta, idoli in bronzo. 


BIBLIO

- AA. VV., Histonium, resti della città romana, in Musei e siti archeologici d'Abruzzo e Molise, Pescara, Carsa edizioni, 2001 -
- A. Marinucci, Le iscrizioni del Gabinetto Archeologico di Vasto, in "Documenti di antichità italiche e romane" Vol. 4, Tipografia Centanri 1973 -
- A.R. Staffa, Dall'antica Histonium al castello del Vasto, Fasano di Brindisi: Schena Editore, 1995 -
- L. Marchesani, Storia di Vasto. Città in Abruzzo Citeriore, Napoli 1838 -
- AAVV - Dall'antica Histonium al Castello del Vasto - a cura di A.R. Staffa - Fasano di Brindisi - 1995 -
- AA.VV - Parco Archeologico delle Terme Romane - Vasto, in Trigno Sinello, Amore a prima visita, Brochure Trigno-Sinello Card - Vasto - 2007 -

CARPI (Nemici di Roma)

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I Carpi o Carpiani erano una tribù dacica che risiedeva nella Romania orientale, in Moldavia, dal 140 circa fino almeno al 318. Sembra che i Carpi fossero una tribù della nazione dacica, per altri erano una serie di gruppi etnici, tra cui Sarmati, Traci, Slavi, popoli germanici, Balti e Celti.

I Romani li chiamavano Carpi o Carpiani. La prima menzione di questi popoli, come Carpiani, si trova nella Geographia del geografo Tolomeo del II secolo d.c.. Il nome potrebbe derivare dalla catena montuosa dei Carpazi che essi occupavano, anch'essa citata per la prima volta da Tolomeo con il nome di Καρπάτης - Karpátēs. Oppure significava "popolo dei Carpazi", o ancora potrebbe derivare dalla parola slava krepu che significa "forte" o "coraggioso".

L'iscrizione sulla lapide di Publio Elio Proculino, centurione della Cohors VII Praetoria (Philippiana) "mancato nella guerra dacica a Castellum Carporum", secondo Bichir e altri, si riferisce alla guerra contro i Carpi condotta dall'imperatore Filippo l'Arabo nel 246/7, e il castellum Carporum è la roccaforte dei Carpi, menzionata da Zosimo, dove si svolse la battaglia finale della campagna. Ciò dimostrerebbe che i Carpi fossero Daci. Ma altri identificano il castellum Carporum come un forte ausiliario romano sul basso Danubio,

Lo studioso rumeno Vasile Pârvan ha ritenuto che i seguenti popoli registrati nelle fonti antiche corrispondano ai Karpiani di Tolomeo;
- i Kallipidai, menzionati nelle Storie di Erodoto del 430 a.c.. come residenti nella regione del fiume Borysthenes (Dnieper);
- i Karpídai, intorno alla foce del fiume Tyras (Dniester), ricordati nello Pseudo-Scymnus del 90 a.c.;
- gli Harpii, situati vicino al delta del Danubio, citati da Tolomeo.
In tal caso i Carpi sarebbero migrati verso ovest nel periodo 400 a.c. - 140 d.c.

GUERRE DACICHE

- 106 - 318 - Dalla conquista romana della Dacia, Bichir identifica due culture distinte in Moldavia, una cultura sedentaria, "daco-carpica", iniziò intorno al 106 e scomparve intorno al 318 e una cultura più piccola simile ai popoli nomadi delle steppe eurasiatiche, "sarmatica".

- 230 - I Sarmati e i Bastarnae sono attestati in Valacchia, Moldavia e Bessarabia. Vi furono ripetute incursioni dei Carpi a sud del Danubio scontrandosi con i Romani nel III secolo, è probabile che verso il 230 i Carpi avessero esteso la loro egemonia sulla Valacchia orientale, precedentemente dominata dai Roxolani.

- 250 - 270 -Tolomeo, che li cita come pacifici nei confronti di Roma, nel 238 li menziona come uno dei nemici più persistenti di Roma. Nel 250-270 i Carpi si coalizzarono con tribù barbare transdanubiane che comprendevano anche elementi germanici e sarmati, autori della "crisi del terzo secolo".

- 270 - 318 - gli "imperatori militari" romani li sconfissero nel 273, nel 297, nel 298-308 e nel 317, trasferendoli poi con la forza nella Pannonia (Ungheria occidentale), per ripopolare le province danubiane devastate con le tribù barbare arrese. Poiché i Carpi non sono più menzionati dopo il 318, è possibile che i Carpi siano stati in gran parte rimossi dalla regione dei Carpazi verso il 318 o, se ne sono rimasti, si mescolarono con altri popoli residenti o immigrarono in Moldavia, come i Sarmati o i Goti.



GLI INSEDIAMENTI

Nel 1976 erano stati identificati 117 insediamenti sedentari, 89 dei quali a ovest del Siret, all'interno dei confini della Dacia definiti da Tolomeo. Vivevano sia in abitazioni di superficie sia in capanne con il pavimento infossato: 
- le abitazioni di superficie, a una sola stanza, erano in argilla e terra battuta, rettangolare o quadrata, tra i 9 e i 30 mq. con un focolare in argilla al centro della stanza.
- le capanne in terra cruda, più numerose, sono invece ovali o tonde. Cremavano i loro morti, ponendo le ceneri dentro le urne. 
Alcune tombe contenevano corredi funerari, ma nessuna arma a parte un unico pugnale. Tra i beni comuni vi sono coltelli, chiavi e fibbie per cinture; specchi, orecchini d'argento, pendenti e perline d'oro.

La cultura sedentaria non emetteva moneta, ma la moneta romana circolò "intensamente" nel loro territorio, come dimostrano  90 ripostigli di monete rinvenuti in Moldavia e circa 100 monete isolate. Ma la circolazione delle monete romane  cessò dopo il 218, dato che non sono stati trovati depositi di monete e solo 7 monete isolate dopo Caracalla (211-218).

Le tombe della cultura nomade sono prevalentemente di inumazione e sono state trovate, nel 1976, in 38 località della Moldavia. Si trovano prevalentemente in pianura, singolarmente o in piccoli gruppi di 2-13 tombe. La grande maggioranza delle tombe della cultura nomade è piatta e contiene sempre corredi funerari, armi e specchi incisi. I sedentari costituivano la maggioranza della popolazione della Moldavia.

FILIPPO L'ARABO

I NEMICI DI ROMA

- 200 - Intorno al 200 iniziarono i grandi spostamenti barbarici forse per la Peste Antonina (165-180), che uccise15-30% degli abitanti dell'impero romano. I Carpi Vengono descritti da Jordanes come "una razza di uomini molto desiderosi di fare la guerra e spesso ostili ai Romani".

- 238 - I Carpi attaccano i romani a sud del Danubio, sotto Gordiano III e i senatori Balbino e Pupieno Massimo, perchè il governatore della Moesia Inferiore, Tullio Menofilo, non vuole versare il sussidio annuale per mantenere la pace. Tuttavia, il governatore riuscì a scacciare i Carpi nel 239.

- 245-247 - sotto Filippo l'Arabo (244-249) i Carpi devastarono la Moesia inferiore. Poichè i governatori non riuscirono a respingere l'invasione, l'imperatore assunse il comando e lanciò il contrattacco ricacciandoli oltre il Danubio. Il corpo principale dei Carpi si rifugiò in una grande roccaforte, dove furono circondati e assediati da Filippo. Gli assediati inscenarono una sortita per distrarre i Romani dall'avvicinarsi dei soccorsi. Ma gli equites Maurorum di Filippo (cavalleria leggera berbera proveniente dal Nord Africa) li intercettarono, costringendo i Carpi a chiedere la pace. Filippo fu acclamato Carpicus Maximus.

- 250-251 - I Carpi parteciparono a una massiccia invasione transdanubiana della Moesia e della Tracia sotto la guida del re goto Kniva limitandosi però al saccheggio: la cattura del maggior numero possibile di schiavi, cavalli, tesori e altri beni da portare nelle loro terre d'origine oltre il Danubio. Nel 250, i Goti si erano spostati a sud, nell'Ucraina occidentale, e compivano frequenti incursioni nell'impero insieme alle tribù locali.

L'orda di Kniva pare comprendesse Goti, Taifali, Vandali, Roxolani, oltre ad alcuni veterani rinnegati dell'esercito romano. Goti e Bastarnae entrarono nella Moesia inferiore, guidata dai due luogotenenti di Kniva. L’assedio di Marcianopoli da parte di una delle colonne di Cniva è respinto, così come l’assedio di Novae, guidato da Cniva stesso. Qui Kniva sarà respinto dal futuro imperatore Treboniano Gallo.
Ancora, quando Kniva punta a sud verso Nicopoli sull’Istro, viene sconfitto in battaglia da Decio, seppur non in modo decisivo.

Il contingente di Carpi contava 3.000 uomini, a fronteggiare l'invasione c'era l'imperatore Decio Traiano, un generale esperto e comandante di Filippo sul fronte danubiano, succeduto al suo patrono dopo che quest'ultimo era stato assassinato da truppe ammutinate nel 249, e Caio Treboniano Gallo, nominato governatore della Moesia Superiore. A Gallo venne affidato il comando delle forze nei forti di frontiera lungo il Danubio, mentre l'imperatore comandava una forza mobile di assalto.

GOTI

Kniva a sorpresa attraversò inosservato le montagne dell'Haemus (Balcani) per entrare in Tracia, in gran parte indifesa. L'imperatore dovette portare il suo esercito in Tracia a marce forzate. A Beroe (Stara Zagora, Bulgaria), Kniva sferrò un attacco a sorpresa all'esercito romano esausto, infliggendogli una grave sconfitta. L'imperatore dovette ritirarsi nella Moesia inferiore e a lasciare che la Tracia al saccheggio dei barbari. L'orda di Kniva assaltò Philippopolis (Plovdiv, Bulgaria) e trascorse l'inverno del 250/251 nella provincia.

Intanto Decio ricostruì il suo esercito nella Moesia inferiore e nel 251, mentre l'esercito barbaro si dirigeva verso il Danubio, carico di un'enorme quantità di bottino, fu intercettato dall'imperatore ad Abrittus, nella Moesia inferiore. In una dura battaglia, il grosso delle forze di Kniva fu sbaragliato. 

L'imperatore guidò quindi i suoi uomini attraverso una palude per attaccare la forza di riserva di Kniva, che custodiva il bottino dei barbari. Ma i Romani si immobilizzarono nel pantano e morirono tutti, compreso l'imperatore e suo figlio, massacrati a lunga distanza dagli arcieri di Kniva o annegati.

Quando la notizia del disastro raggiunse le legioni rimaste sul Danubio, queste proclamarono imperatore il loro comandante Gallo che concluse una pace con i Goti, che permise loro di tornare in patria con il bottino intatto e garantì la ripresa dei sussidi. Ma l'esercito romano fu paralizzato da una devastante pandemia di vaiolo, (251 - 270 circa) peggiore dell'epidemia antonina, che uccise il 15-30% degli abitanti dell'impero. I barbari transdanubiani invasero più volte il territorio imperiale. 


- 252-253 - I Carpi si unirono ai Goti e a due tribù sarmatiche (Urugundi e Borani) devastando la Moesia e la Tracia e le forze romane del basso Danubio non furono in grado di impedirlo. 

Infine, furono intercettati sulla via del ritorno da Emiliano, comandante dell'esercito di Pannonia con un attacco a sorpresa che li sconfisse. 

Inseguirono i barbari nelle loro terre d'origine, recuperando grandi quantità di bottino e liberando migliaia di civili romani che erano stati rapiti. 

Caio Valerio Serapio infatti dedicò un altare ad Apulum (Alba Iulia), nella Dacia romana, come ringraziamento per essere stato liberato dai Carpi[

Emiliano fu acclamato imperatore dalle sue truppe vittoriose e marciò su Roma, dove le forze di Gallo uccisero il loro capo piuttosto che combattere contro l'esercito danubiano. 

Ma solo tre mesi dopo, Emiliano fu a sua volta assassinato dalle stesse truppe che si sottrassero a Valeriano (253-260), comandante delle forze sul Reno, che aveva marciato in Italia per salvare Gallo.

Valeriano fu proclamato imperatore ed elevò il figlio Gallieno (253-268) ad Augusto (co-imperatore). L'impero subì molteplici e massicce invasioni barbariche sul Reno, sul Danubio e in Oriente; almeno 11 generali lanciarono colpi di stato; l'impero fu diviso in tre parti autonome; lo stesso Valeriano fu catturato dai Persiani e morì dopo anni di prigionia.

- 256-257 - I Carpi, con gli stessi alleati del 253, invasero la Moesia, la Tracia e assediarono senza successo Tessalonica in Macedonia. Valeriano e Gallieno sono costretti a lasciare subalterni con forze inadeguate, essendo occupati, il primo contro i Persiani, il secondo sul Reno contro i Germani. Gli Ateniesi ricostruirono le loro mura già demolite da Silla nell'87 a.c.. I barbari vennero sbaragliati dal luogotenente di Gallieno, Aureolo, che portò a Roma molti prigionieri.

- 259-260 - Gli Sciti, compresi i Carpi, si divisero in due eserciti. Uno invase la Grecia e saccheggiarono Atene. L'altro giunse alle mura di Roma, dove il Senato romano armò la popolazione civile per presidiare i bastioni, poiché Gallieno era sul Reno a combattere l'usurpatore Postumo. I Goti passarono allora a devastare tutta l'Italia. Furono infine scacciati dal luogotenente di Gallieno, Macriano, che portò in Italia l'esercito del Reno.

- 256-268 - Altre grandi invasioni "scite" nel 265-266 e nel 267-268, che fu un'invasione marittima nel Mar Egeo, e che devastò la Tracia. Fu fermata dall'imperatore Claudio II Gothicus, che distrusse l'esercito barbaro a Naissus (268). 

Avvenne una ripresa militare dell'impero sotto il ferreo dominio dei cosiddetti "imperatori illirici", un gruppo affiatato di militari di carriera con origini comuni nelle province e nei reggimenti danubiani, che dominarono l'impero per oltre un secolo (268-379). Questi non solo sconfissero le tribù transdanubiane ma reinsediarono le tribù sconfitte nelle province danubiane dell'impero, devastate dalla peste e dalle invasioni barbariche.

AURELIANO

- 272 - L'imperatore Aureliano (270-275) vince i Carpi, e gli viene concesso dal Senato il titolo di Carpicus Maximus. In seguito reinsediò un gran numero di prigionieri carpigiani nei dintorni di Sopiana (Pécs, Ungheria), nella provincia romana della Pannonia.

- 296-305 - nel 296, l'imperatore Diocleziano (284-305) entrò in guerra contro i Carpi, vincendoli in modo schiacciante nel 297. Diocleziano diventa Carpicus Maximus. Nel 298, Diocleziano affidò il comando del basso Danubio al suo Cesare, cioè a Galerio che inflisse ai Carpi altre quattro sconfitte in due anni. 

- 305-311- Dopo essere stato nominato Augusto (imperatore a tutti gli effetti) nel 305, Galerio rivendica per la sesta volta il titolo di Carpicus, in un momento del suo regno.

- 318 - L'imperatore Costantino I il Grande (312-337) è registrato come detentore del titolo di Carpicus Maximus in un'iscrizione di quell'anno. Ognuna di queste acclamazioni probabilmente implicava l'uccisione di almeno 5.000 Carpi (come tradizionalmente richiesto per la concessione di un Trionfo a Roma). Per i Carpi, queste sconfitte furono accompagnate da deportazioni di massa e dal reinsediamento all'interno dell'impero, centinaia di migliaia di deportati. Secondo Victor, che scrive nel 361, l'intero popolo carpigiano rimasto fu trasferito nell'impero.

Dopo la morte di Costantino, la pianura valacca e la Moldavia caddero sotto il dominio del ramo dei Thervingi della nazione gotica, come dimostra l'esistenza di un consistente regno gotico alla metà del IV secolo. La Transilvania sembra essere stata dominata nel IV secolo da un gruppo, probabilmente germanico, i Taifali anche essi sotto tutela gotica.

- 350 - Dopo il 350, questi regni germanici furono sopraffatti dagli Unni, dando luogo alla grande migrazione dei Transdanubiani, guidata dai Goti, attraverso il Danubio, che culminò nel disastro romano della battaglia di Adrianopoli nel 378. I Carpi non sono menzionati da nessuna parte nel dettagliato resoconto di Ammiano di questi eventi epici, suggerendo che chi era rimasto a nord del Danubio aveva probabilmente perso la propria identità.


BIBLIO

- Bichir, Gh. - The History and Archaeology of the Carpi from the 2nd to the 4th centuries AD - 
- Zosimus - Historia Nova - 1976 -
- Halsall, Guy - Barbarian migrations and the Roman West, 376-568 - Cambridge Univ. Press - 2007 -
- Ammianus Marcellinus - Res Gestae -
- Eutropius - Historiae Romanae Breviarium -
- Anonymous - Historia Augusta -
- Ptolemy - Geographia -
- Gibbon, Edward (1792): The history of the decline and fall of the Roman empire

VILLA DI DESENZANO DEL GARDA (Lombardia)

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Si sa che i romani si appropriavano dei posti più belli del mare e della campagna per farci su le loro magnifiche ville dell'otium e Desenzano del Garda è tra questi. La cosa era favorita dalla Via Emilia, strada consolare romana, appositamente costruita per velocizzare viaggi e spostamenti.

Il nome della località sembra provenga da Decentius, un ricco uomo romano dell'epoca, proprietario di una prestigiosa villa edificata nel IV secolo e tutt’ora visitabile. Ma le coste del lago erano luogo di villeggiatura di molti romani attratti dal clima mite e dalla bellezza del luogo.


Ed ecco tre importanti siti archeologici riemersi durante i lavori della Tav nella zona tra Montonale e San Lorenzino, non lontano dal Lavagnone: in epoca romana, un centro di attrazione e di sviluppo civile tra i più importanti del basso Garda. Anzitutto una villa di epoca romana, ritrovata in località Montelungo (accanto alla trattoria la Rossa), che ha già restituito numerosi reperti tra cui fibule, ornamenti, ceramiche.

Ma sono emerse anche tante monete, con l’effige degli imperatori che si sono susseguiti tra cui Costantino ed Augusto, dal I al IV secolo. Secondo gli archeologi, pur essendo dello stesso periodo, era molto diversa dalla villa romana riccamente decorata del centro storico di Desenzano:


"Oggi come allora l’area era un’importante zona di passaggio verso il Veneto, come una Tav dei tempi antichi - ha spiegato il funzionario archeologo della Soprintendenza Brescia Bergamo, Serena Solano - Stiamo analizzando tutti i dati per costruire un quadro preciso dell’epoca."

Tutti i materiali rilevanti sono ora in fase di restauro e verranno esposti al pubblico entro il 2022, nella sezione romana del museo Rambotti. Sempre in fase di studio il sito di Montonale, ma gli archeologi comunque concordano nel ritenerlo un edificio di culto di epoca romana.


Verso nord, all’interno del centro storico di Desenzano, si arriva dunque alla Villa Romana, un importante sito archeologico che è visitabile sia in estate che in inverno. Al suo interno vi è l’Antiquarium, un piccolo museo con due sale espositive contenenti alcuni reperti ritrovati nella Villa, tra cui statue e un antico frantoio. 

Seguono poi altri tre settori dove si possono ammirare i magnifici mosaici raffiguranti scene di amorini affaccendati nella vendemmia, corse di bighe, giochi vari e diversi animali selvatici. La Villa Romana è la più importante testimonianza archeologica delle grandi villae tardo antiche nell'Italia settentrionale .

I resti, scoperti a partire dal 1921-1923, sono riferibili a più fasi databili tra la fine del I sec. a.c. e il V sec. d.C. e si distinguono per l'eccezionale complesso delle pavimentazioni a mosaico. La villa aveva un'ottima posizione essendo situata poco a Nord della via Gallica, che collegava Bergomum, Brixia e Verona, in una splendida posizione lungo la riva meridionale del lago di Garda, che oggi dista poche decine di metri.



All'interno del perimetro dell'area archeologica, oltre ad un ampia zona di verde, si trova l'Antiquarium che espone una ricca selezione dei materiali provenienti dalla Villa. Il sito è un Istituto di proprietà statale ed è gestito dalla Direzione Regionale Musei Lombardia organo periferico del Ministero della Cultura.

Essa venne costruita in diverse fasi tra il I secolo a.c. e il IV secolo d.c.: le parti ancora oggi visibili risalgono naturalmente all'ultima fase, quando gli spazi all'interno della villa furono riorganizzati e suddivisi in diversi settori. 


Il complesso della villa si estendeva su una superficie di circa un ettaro, in cui i quartieri residenziali si affiancavano agli edifici agricoli e, all'epoca della sua costruzione, la villa si affacciava sul lago. Il paesaggio circostante deve essere stato l'elemento decisivo nella distribuzione delle stanze, che offrivano tutte una vista panoramica.

Il sito presentava una serie di ramificazioni costituite da moli e banchine, e probabilmente da stagni dove veniva allevato il pesce. Diversi pavimenti a mosaico colorato, affascinanti e ben conservati, raffigurano scene pagane.


FLAVIO MAGNO DECENZIO

Sebbene il nome del proprietario della villa non sia certo in modo assoluto, ci sono ottime possibilità che il proprietario, o almeno il committente di questa fase finale dei lavori sia stato il fratello dell'imperatore Magnenzio (350 - 353 d.c.) e cioè Flavio Magno Decenzio, usurpatore di origini barbariche, da cui oggi prende il nome la città di Desenzano.


I reperti più importanti rinvenuti nell'area della villa sono esposti nelle tre sale dell'Antiquarium:

- La prima ospita recipienti da cucina e da pranzo in ceramica e piccoli utensili in bronzo. 

- Nella seconda sala sono esposti frammenti delle statue che decoravano la villa. 

- Nella terza sala, due grandi pannelli espongono i frammenti di un affresco decorativo che ornava una delle stanze della villa.

La scultura in marmo bianco esposta nella seconda sala risale alla metà del II secolo d.c. Insieme alle altre effigi esposte in questa sala, ornava uno dei giardini della villa, in particolare quello aperto ai visitatori o quello riservato al proprietario e alla sua famiglia.



REPERTI

C'è una tazza di vetro, datata al IV secolo d.c., l'immagine della superficie esterna ritraeva il Cristo rivolgersi a un gallo. la scena notturna, che mostrava le stelle nel cielo, dovrebbe alludere al triplice diniego di Pietro nei riguardi del Cristo in accordo al famoso passaggio dai Gospels di origine popolare afro-americana su temi evangelici sviluppatosi nell'America nel XIX secolo.

C'è poi un busto di adolescente in marmo bianco di Carrara, proveniente da una statua a grandezza naturale. Si tratta probabilmente di una rappresentazione celebrativa di uno dei membri della famiglia proprietaria della villa nel II secolo d.c., secondo un'usanza comune alle varie domus e ville dell'epoca.

STATUA DI ERCOLE


BIBLIO

- Gino Benedetti, Desenzano dalla sponda del lago di Garda - storie e colori - Bornato - Sardini -1979 - 
- Attilio Mazza - Il Bresciano - Volume II - Le colline e i laghi - Bergamo - Bortolotti - 1986 -
- Ulisse Papa, La scomunica ed interdetto di Desenzano - Brescia - Tipografia F. Fiori - 1871 -

FORTE DI HISTRIA (Limes Pannonicus)

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L'INSEDIAMENTO

Histria o Istros (greco antico: Ἰστρίη, Dio fluviale della Tracia, Danubio), era una colonia greca o polis (πόλις, città) vicino alle bocche del Danubio (noto come Ister in greco antico), sulla costa occidentale del Mar Nero. Fondato dai coloni milesi per facilitare il commercio con i nativi Getae, è considerato il più antico insediamento urbano sul territorio rumeno.

Venne fondato dai coloni milesi nel VII secolo a.c. e nell'antichità portava anche i nomi Istropolis, Istriopolis e Histriopolis (Ἰστρόπολις, Ἰστρία πόλις). Scymnus di Chios (110 a.c.), datava la sua fondazione al 630 a.c., mentre Eusebio di Cesarea la collocò durante i 33° Giochi Olimpici (657 – 656 a.c.). La prima valuta documentata su territorio rumeno è una dracma d'argento di 8 grammi, emessa intorno al 480 a.c.

L'antica Histria era situata su una penisola, a 5 km (3 miglia) a est del moderno comune rumeno dell'Istria, sulla costa della Dobrugia. Da allora l'antica riva del mare è stata trasformata nella sponda occidentale del lago Sinoe, poiché i depositi di limo del Danubio formavano una secca che chiudeva l'antica costa.


L'attuale lago Sinoe era all'epoca la baia settentrionale aperta, mentre un'altra baia sulla sponda meridionale fungeva da porto. L'acropoli con santuari venne eretta nel punto più alto della pianura costiera nel VI secolo, il centro si trovava a 800 metri a ovest dell'acropoli. L'insediamento aveva strade lastricate in pietra ed era protetto da forti mura. L'acqua veniva raccolta lungo acquedotti lunghi 20 km.

L'abitato era situato vicino a fertili terreni coltivabili e i commercianti raggiungevano l'interno attraverso Histria e la valle del Danubio, come dimostrano i ritrovamenti di ceramica attica a figure nere, monete, oggetti ornamentali, un lebeto ionico e molti frammenti di anfore. Anfore sono state trovate in grande quantità a Histria, alcune importate ma altre locali. La ceramica locale è stata prodotta dopo l'insediamento della colonia e sicuramente prima della metà del VI secolo.

Histria servì come porto commerciale subito dopo la sua fondazione, con la pesca e l'agricoltura come fonti di reddito aggiuntive ma nel 100 d.c., la pesca era diventata la principale fonte di entrate istriane. Come mostra la Tabula Peutingeriana si trova tra Tomis e Ad Stoma; 11 miglia da Tomis e 9 miglia da Ad Stoma.


Intorno al 30 d.c. Histria passò sotto il dominio romano e dal I al III secolo d.c., furono costruiti templi per gli dei romani, oltre a bagni pubblici e case per i ricchi. Il dominio romano durò dal I al III secolo d.c. e, con il nome di Histriopolis, divenne un fortilizio nella provincia romana della Mesia.

Complessivamente esistette ininterrottamente per circa 14 secoli, a partire dal periodo greco fino al periodo romano-bizantino. La baia di Halmyris dove fu fondata la città fu chiusa da depositi di sabbia e l'accesso al Mar Nero fu gradualmente interrotto. Il commercio continuò fino al VI secolo d.c.

L'invasione degli Avari e degli Slavi nel VII secolo d.c. distrusse quasi del tutto la rocca, infine la resero indifendibile e la città fu abbandonata. Gli istriani si dispersero; il nome e la città scomparvero dalle memorie storiche.

LE PORTE DELLA CITTA'

Le rovine dell'insediamento furono identificate per la prima volta nel 1868 dall'archeologo francese Ernest Desjardins. Gli scavi archeologici furono iniziati da Vasile Pârvan nel 1914 e continuarono dopo la sua morte nel 1927 da squadre di archeologi guidati successivamente da Scarlat e Marcelle Lambrino (1928-1943), Emil Condurachi (1949-1971), Dionisie Pippidi (1971-1989), Petre Alexandrescu (1990-1999), Alexandru Suceveanu (1990-2009), Alexandru Avram e Mircea Angelescu (a partire dal 2010).

Il Museo Histria, fondato nel 1982, espone alcuni di questi reperti mostrando una stratificazione di strati tra il periodo arcaico e quello classico:

STRUTTURA PUBBLICA

I GRECI ARCAICI

L'antica città greca copriva circa 60 ettari. La divinità principale era Apollo Ietros (Il Guaritore). Zeus (Gr. Polieus) era invece il protettore della città e si adorava anche Afrodite. Sembra che tutte e sei le tribù milesie fossero rappresentate nella colonia, ma solo quattro tribù sono attestate: Aigikoreis, Argadeis, Boreis e Geleontes. Il governo della città, come narra ìAristotele nella Politica, è un'oligarchia. All'inizio del VI a.c. secolo Histria era già una prospera colonia.


Greci arcaici II (600-550 a.c.)

Venne costruita una nuova cinta muraria intorno alla città, visto le frequenti incursioni degli sciti. L'Acropoli iniziò ad essere difesa da un muro, scoperto da Sc. Lambrino. Un'altra cinta muraria correva intorno all'Altopiano occidentale, difendendo anche il porto.



Greci arcaici III (550-500 a.c.)

L'età arcaica di Histria termina con la distruzione ad opera di una spedizione del generale persiano Mardonios (latino Mardonius) nel 479 a.c. con la battaglia di Platea. Secondo altri la distruzione della città avvenne nel 512 a.c., quando Dario I intraprese una guerra contro gli Sciti. Nel 2021 è stato pubblicato l'articolo "Of Human Sacrifice and Barbary: a case study of the Late Archaic Tumulus XVII at Istros" in cui M. Fowler presenta le prove nella necropoli settentrionale dell'insediamento greco del Ponto che vennero fatti sacrifici umani.



I GRECI CLASSICI

Durante il periodo classico vi fu continuità nei culti di Apollo Ietros; Zeus (Gr. Polieus) e Afrodite. Histria si trovò coinvolta nella lotta con gli Sciti per cui fu costretta a unirsi alla Lega di Delo. Nel V secolo aC queste colonie passarono dall'oligarchia alla democrazia e nacquero le prime monete istriane: un didramma, oboli e monete di bronzo.


Greci classici I (500–425 a.c.)

Quando la flotta ateniese giunse presso le colonie greche poste sulle rive del Pontos Euxeinos (Mar Nero) per riscuotere i contributi per il Tesoro di Delo (Tucidide) venne costruito un nuovo muro attorno all'acropoli istriana, probabilmente per la "rivoluzione" democratica di cui parla Aristotele nella Politica, e la cinta muraria, a protezione dell'insediamento e del porto, fu riparata.



Greci classici II (425–350 a.c.)

La città venne di nuovo distrutta nel IV secolo a.c., nella guerra tra il potente Ateas re degli Sciiti e il re Filippo II dei Macedoni, padre di Alessandro il Grande. che distrusse la cinta muraria che proteggeva l'Acropoli e quella che proteggeva l'intera città.


ELLENISTI CLASSICI

Durante il periodo ellenistico, continuarono i culti di Apollo Ietros, Zeus e Aphrodita e pure i culti di Atena, Poseidone, Helikonios, Taurios, Demetra, Hermes Agoraios, Heracles, Asclepios, Dioscurii e altri.. Fu costruito un nuovo tempio per una grande divinità e un nuovo muro, che proteggeva un'area di 10 ettari. Histria divenne un importante fornitore di grano per la Grecia. Tuttavia, il potere economico di Histria era rappresentato dal commercio. In età ellenistica furono eretti il ginnasio e il teatro.


Ellenisti classici I (350–300 a.c.)

La città venne di nuovo distrutta nel 339 a.c.. Nel periodo 313–309 a.c., ebbe luogo una ribellione di città Pontiche. Però Mileto conferì agli istriani pari diritti politici.


Ellenisti classici II (300–175 a.c.)

Intorno al 260 a.c., Bisanzio fu coinvolta in una disputa con Histria e Callatis (l'odierna Mangalia) su Tomis emporion (Εμπόριον, mercato) (odierna Constanţa). Un'altra distruzione della città, da qualche parte intorno al 175 a.c., probabilmente provocata dai Bastarni di passaggio dopo essere stati chiamati dal re macedone Filippo V o Perseo per rafforzare l'esercito.


Ellenisti classici III (175–100 a.c.)

Mitridate installò una guarnigione militare in Histria, che probabilmente causò la terza distruzione della città nel periodo ellenistico. Durante il regno di Mitridate in Histria vengono coniati gli stateri.

INSEDIAMENTI DACIO-ROMANI

Ellenisti classici IV (100–20 a.c.)

Burebista fu il re delle tribù Getae e Daci dall'82 al 45 a.c.,  unificando le tribù del regno dei Daci. Nel VII e VI secolo a.c. divenne la dimora dei popoli traci, inclusi i Getae ei Daci. Nel II secolo a.c. i Daci espulsero i Celti dalle loro terre. I Daci spesso combattevano con le tribù vicine, ma il relativo isolamento dei popoli Daci nei Carpazi permise loro di sopravvivere e persino di prosperare. Nel I secolo a.c. i Daci erano diventati la potenza dominante.

Gaius Antonius Hybrida, governatore della Macedonia, aveva inflitto molte ferite al territorio soggetto come a quello che era alleato con Roma, e dopo aver devastato i possedimenti dei Dardani e dei loro vicini, fingendo di ritirarsi per qualche scopo, si diede alla fuga; ma il nemico circondò i suoi fanti e li scacciò con la forza dal paese, togliendo loro anche il bottino. Il periodo ellenistico fu concluso da Marco Antonio, che era a capo del governo romano d'oriente, e fu sconfitto da Ottaviano ad Azio.


Ellenisti classici IA (30–100 d.c.)

Vennero costruite le nuove Thermae (Thermae I). Gli storici considerano questo periodo come una seconda fondazione della città.


Ellenisti classici IB (100–170 d.c.)

Intorno al 170 d.c., una parte della città venne distrutta.


Ellenisti classici IC (170–250 d.c.)

La città soffrì una vasta distruzione dalla quale non si riprese mai più. Si pensa venne distrutta da un'invasione di Goti e di Carpi. Alcuni pensano invece che sia stata distrutta da un terremoto.


Periodo Bulgariano (IX - X secolo)

I bulgari arrivarono in Scizia Minore alla fine del VII secolo. La Scizia Minore (in greco: Μικρά Σκυθία, romanizzata: Mikra Skythia) era una provincia romana corrispondente alle terre tra il Danubio e il Mar Nero, l'odierna Dobrugia divisa tra Romania e Bulgaria. Fu staccata dalla Mesia Inferiore dall'imperatore Diocleziano per formare una provincia separata tra il 286 e il 293 d.c. 

La capitale della provincia era Tomis (oggi Costanza). La provincia cessò di esistere intorno al 679-681, quando la regione fu invasa dai bulgari, che l'imperatore Costantino IV fu costretto a riconoscere nel 681.

Secondo il Laterculus Veronensis del 314 e la Notitia Dignitatum del 400, la Scizia apparteneva alla diocesi di Tracia. Il suo governatore deteneva il titolo di praeses e il suo dux comandava due legioni, Legio I Iovia e Legio II Herculia. L'ufficio di dux fu sostituito da quello di questore exercitus, coprendo un'area più ampia, nel 536. 

La popolazione della Scizia Minore era dacica e la loro cultura emerge anche nel VI secolo. Sono state rinvenute anche ville romane. Le città erano antiche fondazioni greche sulla costa (come Tomis) o più recenti fondazioni romane sul Danubio. Le fortificazioni romane risalgono per lo più alla tetrarchia o alla dinastia costantiniana. Sostanziali riparazioni furono effettuate sotto gli imperatori Anastasio I e Giustiniano I, che concessero alla provincia l'immunità fiscale. 

Nel V secolo, la maggior parte delle truppe di stanza in Scizia erano foederati di origine germanica, turca, unna o (forse) slava, una continua fonte di tensione nella provincia. Il cristianesimo fiorì in Scizia nel V e VI secolo e già nel IV secolo iniziò il culto dei martiri. Le chiese con numerose cripte di reliquie.

BIBLIO

- Erodoto - Storie -
- Justin - Epitome of Pompeius Trogus -
- Smith, W. - Istropolis - Dictionary of Greek and Roman Geography - London - John Murray - 1857 - 
- Fowler, Michael - Of Human Sacrifice and Barbarity: A Case Study of the Late Archaic Tumulus XVII  at Istros -  2021 -
- Memnon - History of Heracleia - Hellenistic Greek inscriptions of Istros in English translation
Greek cities on the western coast of the Black Sea -

ORTENSIA L'AVVOCATA ROMANA

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ORTENSIA

La storia di Ortensia, l’avvocatessa delle matrone romane, si svolge nel periodo in cui i membri del secondo triumvirato, Ottaviano, Lepido e Antonio, nel cercare di reperire quanto più denaro possibile, per finanziare la guerra contro gli assassini di Giulio Cesare, padre adottante di Ottaviano, decisero di testa loro di tassare circa 1.400 matrone romane fra le più ricche, che fossero rimaste sole al mondo, quindi vittime designate in quanto prive quindi di una figura maschile in grado di tutelarle.

Sul termine avvocatessa o avvocata vi sono state diverse discussioni su cui i letterati non si sono messi d'accordo. Alcuni dicono che il termine giusto sia avvocata, per altri i termini avvocatessa o avvocata sono ugualmente accettabili, per cui ognuno è padrone di usare quel che preferisce, senza correrere pertanto in errore.

Le donne romane erano abituate a tacere sia in famiglia che fuori, anzi soprattutto fuori, tacere per la donna era un obbligo, così come non potevano bere vino, tante volte le rendessero troppo loquaci. Ne fa fede il culto di Tacita Muta, divinità degli inferi, divenuta in seguito la Dea del silenzio, una figura istituita dal secondo Re di Roma, ma con intenti misterici, in seguito divenuti intenti oppressivi nei riguardi delle romane.

Detto culto si ritrova nei “Fasti” di Ovidio, dove la bellissima ninfa Lala, desiderata da Giove, aveva osato respingere il re degli Dei, e per giunta osò denunciare l’accaduto, prima con la sorella e poi con Giunone, che, non osando arrabbiarsi col marito si sfogò sulla poveretta e per vendetta di non si sa cosa le strappò la lingua. 

DEA TACITA

Ma pure Giove si adontò per la delazione, e ordinò a Mercurio di condurla negli inferi per punizione, perchè non aveva ceduto e perchè l'aveva raccontato. Durante il tragitto Lala ormai muta, non potè nemmeno denunciare che Mercurio l’avesse violentata, a monito della delirante e ingiusta supremazia maschile.

Lala divenne però da ninfa si trasformò in una Dea, la Tacita Muta, madre di due gemelli, i Lares Compitales, due divintà protettive, figlie di uno stupro operato sulla via per gli inferi. A Roma il silenzio in pubblico per le donne era d'obbligo ma non era sancito da nessuna legge scritta, e qualche donna, come Ortensia, ne approfittò si che nel 42 a.c., divenne avvocatessa a difesa delle matrone romane.

Ma anche altre donne osarono difendersi da sole, lo storico Valerio Massimo, che non approva questo ardire, cita per esempio Afrania, descrivendola come: “un mostro, con la voce simile al latrare di un cane”, oppure Mesia, che a suo dire era simile a un uomo come carattere, e non era un complimento. Queste donne diedero quindi scandalo per aver alzato la testa e portato le loro ragioni in un tribunale senza che un uomo le patrocinasse.

Ci fu pure Gaia Afrania, della gens plebea Afrania, moglie del senatore Licinio Buccio, che difese se stessa in tribunale dimostrando buone capacità retoriche e buona conoscenza delle leggi. Fu talmente brava che diverse donne che si dovevano rivolgere al tribunale si riferirono a lei anziché agli avvocati maschi dell'epoca, un peccato imperdonabile. 



IL DISCORSO DI ORTENSIA 

Ortensia era figlia di Quinto Ortensio Ortale, un avvocato rivale di Cicerone, che divenuto console, permise alla propria figlia di ricevere un’istruzione superiore e di studiare la legge. Tali studi erano permessi solamente ai maschi, quindi un padre illuminato, ma per molti esecrabile.

Ortensia fa la sua orazione, ribadisce anzitutto il fallimento dell'intercessione delle mogli dei triumviri per legittimare la sua presenza nel foro, e qui non le si può dare torto. 

Sottolinea poi la rottura delle tradizioni familiari che prevedevano che fossero le mogli a dover parlare con i mariti. E nemmeno a questo ci si può opporre se si è tradizionalisti.

Il perorare la propria causa era un'attività dalla quale le donne avrebbero dovuto astenersi, aggiunge l'avvocata, perchè avrebbe determinato un'inversione del corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche.

Ortensia afferma la tradizione ma supera questa preclusione affermando che, poiché le guerre civili le hanno private di padri, figli, mariti e fratelli, le donne sono "sui juris" ossia non hanno più alcun familiare maschile che le possa rappresentare davanti alla legge. 

Se i triunviri, oltre a privarle del loro diritto a difendersi, le priveranno anche dei loro beni, non potranno neanche mantenere la condizione economica sociale a cui i padri le avevano destinate. E i padri vanno ascoltati e obbediti nei costumi romani tradizionali,

L'ORATRICE

LA SENTENZA

Ortensia dimostrò di essere un'abile oratrice, seppe usare le argomentazioni del diritto romano secondo il quale alle donne era negato l'accesso al potere ed alle cariche di magistratura e se dal potere erano escluse allo stesso modo non si poteva chiedere loro il pagamento di tasse per il suo esercizio.

Ortensia riuscì a vincere in parte la causa tanto che furono tassate soltanto 400 matrone delle iniziali 1400. ma il fatto era sorprendente per la società romana; una donna che riusciva a far riconoscere le ragioni di altre donne davanti ad un tribunale maschile era una cosa mai avvenuta prima.

Il bello è che poi altre donne dovendosi difendere in tribunale ricorsero a lei e il fatto che in genere vinceva le cause fece risentire gli avvocati e in particolare Cicerone, era un sovvertimento inaccettabile, si che poi ne fecero un dibattito al senato che si concluse nel 48 a.c. con l'assoluto divieto alle donne di praticare la professione di avvocato.


BIBLIO

-  Vittoria Longoni - Ortensia - enciclopediadelledonne.it. URL - 2023 -
- La storica orazione di Ortensia, cancellata dalla storia - youtube.com. -
- Augusto Pierantoni - Gli avvocati dell'antica Roma - Tipografia elzeviriana - 1896 -
- Eva Cantarella - Passato prossimo: donne romane da Tacita a Sulpicia - Milano - Feltrinelli - 1998 -
- Francesca Cenerini - La donna romana: modelli e realtà - Bologna - il Mulino - 2002 -

FORTE EQUESTRE VEMANIA

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RICOSTRUZIONE DEL CASTELLO ROMANO

L'ALTA SVEVIA

Nella Germania meridionale, tra l’Algovia e le Alpi sveve, il Lago di Costanza e il Danubio,  si trova l’Alta Svevia, ricca di centri storici e i popoli che l'abitarono. gli Svevi o Suebi (in latino Suēbi o Suevi) furono un popolo germanico proveniente dall'area del Mar Baltico, e le sue città principali sono Augusta e Tubinga. La Svevia venne invasa dagli Alamanni-Svevi nel III secolo d.c. insieme celto-romani con i Germani ebbe origine la popolazione svevo-alemanna. 

Allora il nome della regione fu Alamannia (come appare dall’Anonimo Ravennate e da Paolo Diacono), sostituito poi con Svevia. I romani vi arrivarono all'inizio del secolo e nel corso degli anni costruirono un sistema di sicurezza di confine che oggi è conosciuto come Limes. C'erano diversi corsi. Nella massima estensione dell'Impero Romano, il Limes correva via Aalen fino a Gunzenhausen e da poco prima di Ratisbona lungo il Danubio.

Dal III secolo, soprattutto sotto l'imperatore Diocleziano, i romani si ritirarono nel Danubio-Iller-Reno-Limes. Il corso precedente, noto come Limes germanico-retico superiore, fu abbandonato. Il Donau-Iller-Rhein-Limes correva dal Lago di Costanza via Bregenz fino a Kempten e poi lungo l'Iller. Tra Bregenz (Brigantium) e Kempten (Cambodunum) si trovava il forte di cavalleria Vemania  (anche Vimania), dove oggi si trova la cittadina di Bettmauer, che appartiene a Isny​​.

Questo Limes fu istituito dal 280 d.c. sotto l'imperatore Diocleziano - come nuovo confine e sostituto del Limes germanico-retico superiore che fu abbandonato alla fine del III secolo d.c. La fortificazione fu probabilmente anche il nucleo della successiva città di Isny, menzionata per la prima volta nel 1043.



LA RETIA II

La provincia romana protetta dal Limes era Raetia II, che comprendeva anche l'Alta Sveviae la città di Isny ​​è emersa dal forte abbandonato. Secondo alcuni Isny ​​derivava il suo nome dalla Dea Iside, oppure derivava dal nome del ferro. Tuttavia, il muro del letto potrebbe essere associato al forte, in quanto i resti del muro erano ancora lì fino al Medioevo. Bettmauer è stato menzionato come Bettmaur nel 1307 come punto di confine.

PLASTICO

IL FORTE VEMANIA

Il forte Vemania era un forte di cavalleria tardo romano nell'odierno comune di Isny ​​im Allgäu al confine di stato del Baden-Württemberg con la Baviera nel distretto di Ravensburg nel Baden Württemberg. Faceva parte della catena di forti del tardo antico Donau-Iller-Rhein-Limes nella provincia romana di Raetia II.

Vemania è generalmente identificata con il forte vicino a Isny/Burkwang ma potrebbe aver incluso anche un insediamento civile nell'area Gestratz-Maierhöfen-Grünenbach, che avrebbe potuto anche servire a proteggere.

L'area del forte si trovava due chilometri a est della periferia di Isny, ai piedi di un crinale (Adelegegg) tra Kleinhaslach, a circa 500 m a nord-nord-ovest della frazione di Bettmauer nel distretto di Burkwang. Da qui si godeva una buona visuale delle colline circostanti a nord ea ovest e di un vicino guado al di là del fiume. In epoca romana, il rigonfiamento risultante a est offriva protezione naturale, mentre i lati ovest e sud dovevano essere protetti dagli assalitori da un fossato.

Vemania è menzionata in diverse importanti fonti antiche: la Tabula Peutingeriana, l' Itinerarium Antonini e la Notitia Dignitatum. Quindi il posto doveva avere una certa importanza. Nell'Ottocento si credeva che il nome della città di Isny ​​derivasse da un tempio della Dea Iside, che si dice sorgesse un tempo nelle immediate vicinanze del castello. Significativi resti della muratura in aumento dovevano essere visibili fino al medioevo, poiché il nome dell'adiacente frazione "Bettmauer" si riferisce probabilmente ai ruderi del castello.

Il forte doveva essere di grande importanza ed è stato citato in varie fonti fin dall'antichità. Si trovava di fronte alla catena montuosa Adelegg. La pianta del forte è ancora visibile a tutt'oggi e misurava fino a 80 metri di lunghezza e fino a 45 metri di larghezza. Era un pentagono tagliato sulla sommità della collina morenica su cui sorgeva, all'epoca protetto dal terreno paludoso, ora prosciugato da fossati. 

Nelle vicinanze c'era un importante fiume affluente del Danubio, che a quel tempo poteva passare proprio accanto al forte. La posizione era ottima per controllare la zona. Il forte serviva principalmente a proteggere il confine e quindi la popolazione romana dalle invasioni germaniche. Molte persone si stabilirono anche nelle vicinanze del forte. C'era anche un insediamento vicino a Maierhöfen che era sotto la protezione del forte.

I legionari proteggevano il tratto fino a Bregenz e venivano inviati per ogni necessità. Anche le strade tra Leutkirch e Immenstadt, tra Kempten e Wangen ( "Piccolo pezzo di terra") erano particolarmente sorvegliate e protette dai nemici. L'unità di cavalleria di stanza qui doveva sorvegliare la sezione di Limes fino a Bregenz (Brigantium). La guarnigione del forte controllava quindi gli attraversamenti fluviali e un nodo stradale, da dove partivano i collegamenti stradali:
- Leutkirch a Immenstadt, 
- da Kempten (Cambodunum) 
- a Wangen e a Bregenz.
- Presumibilmente anche un percorso per Augusta (Augusta Vindelicorum) correva via "Viaca" prima che il confine imperiale fosse ritirato all'Iller, perché ciò risparmiava un'intera giornata di tappa rispetto al percorso un più lungo via Cambodunum



LE TORRI

C'erano diverse torri di sorveglianza presidiate, note come burgi. Circa 15 di queste torri di guardia furono assegnate al forte. La torre successiva era vicino a Nellenburg o vicino a Weitnau, probabilmente dove nel Medioevo sorgeva il castello di Alttrauchburg (Baviera). Si sa che vi operò l'ala II Valeria Sequanorum, nel IV e V secolo.

Il Castello di Vemania è stato più volte adattato alle circostanze nel corso dei decenni. Dopo che la struttura fu iniziata a metà del III secolo, i primi lavori di trasformazione furono già sotto l'imperatore Valentiniano. Gli scavi hanno rivelato ben sei fasi costruttive.



IL FOSSATO

Oltre alle mura difensive vi era anche un fossato,  probabilmente fu scavato all'inizio del fortilizio,  profondo oltre 1,50 metri. Il castello è stato ampliato nel corso degli anni ponendole torri agli angoli e in mezzo, che aumentavano di numero man mano che veniva ampliato. Lo spessore delle pareti misuravano fino a un metro.

C'era una porta nella parte nord-occidentale, protetta da torri sporgenti alte quattro metri. Inoltre, il fossato venne approfondito di tre metri sui lati occidentale e meridionale. Dopo aver scavato, gli eventuali aggressori dovevano superare un terrapieno fino a sette metri aldilà del quale trovavano un muro, mentre subivano i colpi e le frecce dall'alto.

Vemania aveva un sedile in muratura per il comandante (principia) e baracche in legno per soldati e artigiani. Il Principia misurava 15 metri per 19,5 metri. Le stanze dell'amministrazione erano situate nella parte orientale. Caserme e scuderie si trovavano a circa cinque metri di distanza nel resto del sito. A seconda dello stadio di espansione, questi hanno raggiunto dimensioni diverse.

Il forte era dotato di 200 cavalieri. Altri 300 furono formalmente assegnati al forte ma erano in servizio sulle torri di guardia della zona. Gli ausiliari erano spesso schierati lontano da dove provenivano per sedare le ribellioni. I soldati di Vemania erano Sequani, guerrieri celto-romani della Francia orientale. Furono inviati contro Cartagine dal 296 al 299.

IL LUOGO

GLI ALEMANNI

Nel 213 gli Alemanni sfondarono il limes retico, ma si spinsero nell'entroterra solo vent'anni dopo, quando le truppe romane di frontiera sul Reno e sul Danubio alla fine del III secolo si erano spostate in oriente per combattere i Sassanidi, sguarnendo le guarnigioni di confine. La popolazione del Limes alto germanico-retico era abbandonata a se stessa e i barbari saccheggiarono le ricche città e i possedimenti delle campagne.

Le truppe di frontiera romane erano state assottigliate a causa delle guerre in Medio Oriente, così gli Alemanni utilizzavano le infrastrutture romane e potevano muoversi rapidamente sulle strade asfaltate. Conquistarono Augsburg e Kempten e si spinsero a saccheggiare fino a Milano.

- Sotto l'imperatore Valeriano (299 - 260) e Gallieno (218 - 268), la pressione degli Alemanni divenne così forte che i Romani, sotto l'imperatore Diocleziano alla fine del III secolo, si ritirarono nel Danubio-Iller-Reno-Limes, per il quale Vemania era una base importante. Si pensa però che ci fosse già prima, nel 260 d.c., un insediamento romano a Vemania e  il precedente imperatore Probus fece quindi rafforzare e ampliare l'insediamento. 

- L'imperatore Massimino Trace (235-238) riuscì a stabilizzare nuovamente il Limes retico, ma sotto i suoi successori Valeriano (253-260) e Gallieno (253-268) le difese di confine in Rezia crollarono nuovamente per cui gli Alamanni devastarono la provincia senza ostacoli, distruggendo Augsburg e Kempten e avanzando fino a Milano (Mediolanum). Una prima fortificazione, forse provvisoria, fu costruita intorno al 260 d.c.

- Sotto l'imperatore Probus (276-282) fu costruita una nuova catena di forti dal Lago di Costanza alla foce dell'Iller, che comprendeva anche Vemania. Infine gli Alemanni distrussero il forte nel 282 e nel 302.

- La ricostruzione iniziò nel 306 e durò fino al 337. A quel tempo regnava Costantino I (306-337), da cui prese il nome la città di Costanza, dove c'era anche un forte. Nell'anno 350 il forte fu riparato e nel 360 ci fu un devastante incendio. Ma il castello di Vemania venne restaurato e poi abbandonato tra il 401 e il 406. 

L'equipaggio stesso del forte aveva ripulito l'accampamento da tutto ciò che poteva essere ancora utilizzato e gli aveva dato fuoco. Il reggente romano d'Occidente Flavio Stilicone (362 - 408) ritirò quasi tutte le truppe di frontiera per proteggere il cuore dell'Italia dall'esercito gotico di Alarico (370 - 410). I ruderi furono poi completamente rimossi nei secoli dai saccheggi.



IL CASTELLO

Un fossato largo 5 m e profondo 1,7 m (fossato A) del primo forte si trovava solo a nord. Nelle successive fasi costruttive e per l'ampliamento del forte, l'area dell'altopiano venne ampliata con terrapieni. Il muro di cinta largo da 1–1, 80 m, misurava 88 m ad est, rinforzato con tre torri angolari e due intermedie.

Il forte era accessibile solo a nord-ovest attraverso una porta fiancheggiata da due torri a ferro di cavallo, ciascuna di 4 m di diametro. Sul lato ovest e sud c'era un fossato difensivo largo 12 m e profondo 3, ancora visibile. A ovest e a sud venne creato un fossato largo 12 m e profondo 3 (Spitzgraben B), ancora visibile.

All'interno del forte si trovavano edifici in legno e a graticcio, posti lungo il muro difensivo. L'unico edificio costruito in pietra era il Principia cum praetorio (15 × 19,50 m), con stanze abitative o amministrative per il comandante, sulla parete est. Fino a cinque caserme a graticcio si trovavano a una distanza di 1,50-5 m dalle mura nord, sud e ovest, che servivano da alloggi per i soldati, officine e scuderie. Nelle officine si lavoravano principalmente ferro, bronzo e legno. L'approvvigionamento di acqua potabile era garantito da due pozzi.

La disposizione lineare delle torri di guardia garantiva il sistema di sicurezza del Donau-Iller-Rhein-Limes, per attraversare la zona di confine dalle città con una ottima rete di strade, controllate da una catena di forti e torri di guardia o Burgi. In caso di attacchi, si trasmettevano messaggi a tutte le unità di truppa disponibili di stanza lungo il Limes, attraverso i roghi che venivano accesi in successione sulle varie torri.  

I RITROVAMENTI

LA GUARNIGIONE

L'unità di guarnigione e il grado del comandante del campo sono noti dalla Notitia Dignitatum, dove è citato per "Vimania" il Praefectus alae secundae Valeriae Sequanorum, Vimania ("il prefetto del secondo squadrone di cavalleria valeriana dei Sequaniani in Vemania ").

Presumibilmente erano soprattutto Sequani celto-romani reclutati nell'area di Besançon (Vesontio), tra Saona e Giura della Svizzera occidentale), provincia di Maxima Sequanorum. Un'ala era composta da circa 500 cavalieri e un massimo di 200 soldati erano ospitati nel forte stesso. I restanti 300 uomini furono probabilmente divisi come guarnigione tra i dodici-quindici Burgi tra Vemania e Brigantium. Dal 296 al 299 d.c. l'unità combattè una campagna africana dell'imperatore Massimiano (240 - 286).
 


L'ABBANDONO DEL CASTELLO

Solo dal 401 e infine fino al 406 il forte di cavalleria Vemania fu abbandonato dai Romani. A questo punto i Romani distrussero essi stessi il complesso per non lasciare nulla di valore agli Alemanni in avvicinamento. 

Le truppe furono inviate sotto il comandante Flavio Stilicone contro il Goto Alarico, che era già penetrato molto nel cuore dell'Impero Romano. Le pietre del sistema difensivo furono riutilizzate in altri edifici, come era comune nel medioevo.



GLI SCAVI NEL CASTELLO

Nel 1490 il sito fu scavato per conto dell'abate Georg dal monastero di Isny ​​​​alla ricerca di tesori presumibilmente nascosti e in effetti rinvennero dei manufatti d'oro e d'argento. Nel 1855 iniziarono gli scavi archeologici. Tuttavia, cercavano principalmente i resti di un tempio di Iside per confermare la derivazione del nome della città di Isny ​​con Iside.

Gli scavi più importanti furono eseguiti tra il 1966 e il 1970 dalla Commissione per la ricerca archeologica dell'Accad. bavar. delle scienze di Monaco e dall'Uff. statale per la conservazione dei monumenti di Tubinga, presieduto da Jochen Garbsch, ritrovando 4 tesori:

- un ritrovamento smarrito presso la porta;
- uno di 387 monete nella caserma sulla parte meridionale del muro est, ambedue databili al 282/283;
- Un altro contenente 771 folles di Cartagine è stato rinvenuto nella caserma dell'equipaggio sulla parete nord:
- Un altro ancora composto da monete e gioielli femminili, rinvenuto all'estremità sud della stessa caserma composto da 157 monete conservate in un sacchetto di lino. Una selezione di collane, bracciali, orecchini e anelli d'oro era in una scatola di legno. Questi due reperti di tesoro sono databili agli anni 302/303.



MONUMENTO STORICO 

Il monumento al suolo è protetto come monumento culturale registrato ai sensi della legge sulla protezione dei monumenti dello Stato del Baden-Württemberg (DSchG) . La ricerca e la raccolta mirata di reperti sono soggette ad approvazione, reperti accidentali da segnalare alle autorità monumentali.


BIBLIO

- Eduard Paulus - Scavo del forte romano vicino a Isny - riviste trimestrali del Württemberg per la storia regionale - 1883 -
- Jochen Garbsch - Scavi e ritrovamenti nel forte tardo romano Vemania - Allgäu - 1973 -
- Winfried Piehler - I reperti ossei dal forte tardo romano Vemania - Dissertazione all'Università di Monaco - 1976 -
- Jochen Garbsch, Peter Kos - Il forte tardo romano Vemania vicino a Isny - Due tesori dell'inizio del IV secolo - Verlag Beck - Monaco - 1988 -
- Bernhard Overbeck - Il forte tardo romano Vemania vicino a Isny - Un tesoro di monete dal tempo di Probo - Beck -Monaco - 2009 -

TORRE DI ERCOLE

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La Torre di Ercole (Torre de Hércules) è un faro di origine romana sulla penisola della città di Coruña, in Galizia, Spagna. La città, situata nel Magnus Portus Artabrorum dei geografi classici, e di probabile origine celtica, fu attivo porto all'epoca romana e ne conserva ancora lo splendido faro. Dal 2009 il faro è inserito tra i patrimoni dell'umanità dell'UNESCO, ed è considerato il più antico faro ancora funzionante esistente al mondo.

La Torre di Ercole fu costruita per assolvere alla funzione di faro per la navigazione nel II secolo durante il mandato dell'imperatore Traiano (53-117) o Adriano (76 - 138) come riporta l'iscrizione che si trova ai piedi della torre. La sua realizzazione si attribuisce all'architetto del II secolo Caio Servio Lupo, di origine portoghese (lusitano), come testimonia questa epigrafe sul monumento:

"MARTì /AGO[USTO] SACR[UM] /C[AIUS] SEVIUS /LUPUS /ARCHITECTUS /AEMININIENSIS /LUSITANO EX VO[TO]"
"Consacrato a Marte Augusto. Gaio Sevio Lupo, architetto dell'Eminio Lusitano in adempimento di una promessa"

Eminium (latino: Aeminium) è un'antica città romana costruita sul sito dell'attuale città portoghese di Coimbra, Il progetto fu dunque affidato a Caio Servio Lupo, un architetto romano ma di origine lusitana, chiamato a erigere un faro di segnalazione per le navi che costeggiavano la Penisola iberica, e che contemporaneamente servisse come punto di osservazione per l'antico porto di Brigantium, cioè l'attuale A Coruña. Secondo alcuni Servio Lupo fu anche l'architetto del criptoportico.


Secondo il progetto originale, la Torre di Ercole, di pianta quadrata, doveva avere muri laterali larghi 18 metri, per una altezza di 36, (ma l'attuale aspetto è di 48 m, che diventano 68 se ci si aggiunge la base), era suddivisa in tre piani e ogni piano aveva quattro stanze comunicanti tra loro con scala esterna, con sopra un pinnacolo di 4 metri, di forma cilindrica. 

Il faro fu consacrato al Dio della guerra, Marte, in quanto la sua funzione era anche di punto di avvistamento per proteggere il porto di Brigantium, l'odierna A Coruña. La torre è suddivisa in tre parti progressivamente più strette fino ad arrivare alla lanterna.

La luce che emana si scorge in mare da una distanza di 32 miglia. e all'epoca era prodotta dal fuoco che ardeva in alcuni bracieri intorno al pinnacolo. La Coruna romanizzata di Brigantium con la sua torre di Ercole fanno dunque parte dell'eredità della conquista dell'lmpero Romano in GaIlaecia (Galizia).

Che A Coruna fu sottoposta a romanizzazione, lo testimoniano:
- Un accampamento militare (la Cittadella di Sobrado),
- i ponti e le strade che ne strutturavano il territorio (la strada romana sul Ponte dos Brozos ad Arteixo),
- il porto che era un centro commerciale di grandi dimensioni.


La torre ha perso il suo uso come strumento utile per la navigazione nel corso del Medioevo quando fu convertita in fortificazione. L'aspetto odierno della fortificazione è del 1788, quando essa fu interessata da un restauro in stile neoclassico condotto dall'ingegnere navale (e successivamente governatore intendente del Paraguay) Eustaquio Giannini, per ordine del re Carlo IV.

La Torre romana all'esterno aveva un muro in pietra con due porte nella parte inferiore e finestre asimmetriche che lo attraversavano fino al piano superiore. L'interno presenta anch'esso una base quadrata, con 4 aperture interne. 

Gli spazi erano tutti ricoperti da volte a botte e secondo gli studiosi servivano come riparo per il personale che erano in servizio alla torre e che vi alloggiavano almeno temporaneamente, ma anche per conservare il combustibile che avrebbe bruciato nella parte superiore.

L’architetto Giannini rivestì l'antica Torre con una copertura in granito, che le conferì maggiore volume, ridistribuendo le finestre e le porte e costruendo una scala interna in pietra. Infine, smontò la cupola e al suo posto eresse un edificio ottagonale in cui ospitò il faro. Una fascia diagonale percorre attualmente la Torre d'Ercole in ricordo dell'originaria rampa.



I MITI


Nel corso dei secoli sono state raccontate molte storie mitiche sull'origine del faro.


I MITO

Secondo un mito che mescola elementi celtici e greco-romani, l'eroe Ercole uccise il gigante tiranno Gerione dopo tre giorni e tre notti di battaglia. Ercole quindi ordinò che fosse costruita una torre sul punto esatto in cui aveva seppellito la testa di Gerione con le sue armi. Il faro, sopra a un teschio e ossa incrociate che rappresentano la testa del nemico ucciso da Ercole, appare nello stemma della città di A Coruña.


II MITO

Invece nel Lebor Gabála Érenn, ovvero "Il libro della Presa dell'Irlanda" si dice che Breogán, un discendente del patriarca biblico Noè, costruì la torre, e che il figlio di Breogán, Ith, riuscì a vedere per la prima volta dalla torre l'Irlanda (!), che si trovava 900 Km a nord di A Coruñ. Successivamente Ith fu a capo della prima spedizione che partì dalla penisola iberica alla volta dell'Irlanda, che fu infine conquistata dai figli di Míl Espáine, pronipoti di Breogán.


III MITO

Breogán fu un mitico sovrano celtico proveniente dalla Galizia (Spagna), di cui sarebbe stato il fondatore. Era figlio di Brath. Secondo il Lebor Gabála Érenn (Il libro della presa dell'Irlanda), fondò la città di Brigantium (La Coruña), che avrebbe preso il nome da lui, e vi costruì una gigantesca torre, identificata con la Torre di Ercole.

Secondo la leggenda, suo figlio Ith riuscì a scorgere l'Irlanda dalla cima della torre, e lui e suo fratello Bile giunsero sull'isola verde, dove furono accolti dai Túatha Dé Danann (nelle tradizioni irlandesi uno dei sei popoli preistorici che invasero e colonizzarono l'Irlanda prima dei Gaeli), che in seguito uccisero Ith. Decenni dopo i pronipoti di Breogan, AmerSecondo il Lebor Gabála Érenn, Breogán ebbe dieci figli. Bile fu il padre di Míl Espáine, e Ith fu il padre di Lughaidh. 

Gli altri figli furono Breogha, Cuailgne, Muirtheimhne, Cualu, Fuad, Bladh, Eibhle e Nár. La maggior parte di essi sono ricordati in nomi di località o montagne irlandesi. L'idea secondo cui l'origine dei moderni irlandesi sia da tracciare nella Spagna settentrionale è basata probabilmente sulle similarità tra i nomi Iberia e Hibernia, e tra Galizia e Gaeli.

Al di là del mito, tuttavia, la conquista dell'Irlanda da parte di immigrati provenienti dalla penisola iberica in epoca preistorica si accorda con uno studio genetico condotto nel 2006 presso l'Università di Oxford, dove si notò che la maggior parte degli abitanti delle Isole britanniche discendono in realtà da pescatori neolitici che attraversarono il Golfo di Biscaglia provenienti dalle regioni costiere del nord della Spagna.

La storia di Breogán è ancora piuttosto popolare in Spagna, e in particolare in Galizia, dove è sentita l'origine celtica del popolo gallego (della Galizia). A La Coruña è stata posta vicino alla Torre di Ercole una statua che lo raffigura, e anche l'inno gallego cita molte volte il personaggio. Ma la torre di Ercole è squisitamente romana e stupisce ancora il mondo per la sua maestosità e bellezza.


BIBLIO

- Squire, Charles - Celtic Myth and Legend - Newcastle Publishing Co. - USA - 1975 - 
- Celts descended from Spanish fishermen, study finds - in The Independent - 2006 -
- Patricia Monaghan - The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore - Infobase Publishing - 2004 -

CULTO DI LATERANUS

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FORNO ROMANO A POMPEI

Lateranus è un antico Dio tutelare romano dei focolari (focus - foci) e un genio dei forni di mattoni, secondo un passaggio satirico dello scrittore cristiano Arnobio, un apologista cristiano di origini berbere durante il regno di Diocleziano (284–305).

"Lateranus, ut dicitis, deus est focorum et genius adiectus que hoc nomine, quod ex laterculis ab hominibus crudis caminorum istud exaedificetur genus. Quid ergo? si testa aut materia fuerint quacumque alia fabricati, foci genios non habebunt, et ab officio tutelae quisquis iste est Lateranus abscedet, quod regni sui possessio non luteis constructa est formis? et quid, quaeso, ut faciat, praesidatum focorum deus iste sortitus est? (Arnobe, Adversus Nationes)



FORNAX

La Dea Fornace era però una divinità preromana antichissima, precedente al Dio Lateranus, come colei che presiedeva alla cottura dei cibi e alla sessualità. Si ritiene che da lei venga il termine fornicare, cioè esercitare la sessualità, anch'essa collegata al calore. Grazie a Numa Pompilio venne introdotta una festa propiziatoria in onore della Dea Fornace, protettrice dei forni per il pane.

Il forno costruito con mattoni pieni che si scaldavano e si raffreddavano molto lentamente, permetteva dopo aver cotto il pane, di cucinare arrosti, verdure e dolci. Fornace (dal latino fornax) era dunque la Dea del forno in cui si cuoce il pane. In suo nome si festeggiavano le Fornacalia (19-20 e 21 gennaio), feste di ringraziamento per la tostatura del farro nei forni dei panificatori, infatti nel periodo più arcaico in territorio romano si coltivava il farro, solo successivamente si coltivò il grano, che era più nutriente e di sapore migliore. 

Le Fornicalia erano le feste in onore della Dea Fornix dove si cuoceva e si offriva la mola salsa alla Dea e il pane alla gente, dopo avervi impresso i segno del sole, un punto centrale coi raggi intorno. Soprattutto i poveri si giovavano di queste elargizioni festive pagate dallo stato. Si organizzava la processione con pane vino e latte che veniva offerto ai cittadini.

LA VENDITA DEL PANE

IL MATTONE

Il nome del Dio deriva da Lateritium, il mattone che da crudo diventa cotto ad alte temperature. Il Dio, o genio, controlla con quali tipi di legna si produca il calore nei focolari; dà forza e coesione ai vasi di creta, perché non volino in pezzi, vinti dalla violenza delle fiamme; si adopera affinchè il sapore dei cibi raggiunga il gusto del palato con la propria piacevolezza, fa la parte dell'assaggiatore, e prova se le salse siano state ben preparate.

Il nome Lateranus si basa infatti sulla radice latina che significa mattone, "later", come in "opus latericium", un tipo di muratura fatta di mattoni cotti dai romani per renderli resistenti alla pioggia e nel tempo. WH Roscher colloca Lateranus tra gli indigitamenta, l'elenco delle divinità mantenuto dai sacerdoti romani per assicurare che la divinità corretta fosse invocata per i rituali. 

Il Dio Laterano era dunque il Dio del forno a mattoni cotti ad alte temperature in grado di scaldare fortemente il forno e cuocere rapidamente e uniformemente i cibi. I forni diventano tabernae o thermopolii dove si cuociono e si vendono i cibi, 

L'artigianato diventa commercio, La Dea Fornax viene affiancata dal Dio Lateranus, la cucina romana, dapprima di area mediterranea si estese anche ai gusti dell'oriente formando una cucina varia e gustosa a tal punto da guadagnarsi oggi il titolo di patrimonio dell'UNESCO.



BIBLIO

- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- W. Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic: An Introduction to the Study of the Religion of the Romans - London - Macmillan and Co. -1899 -
- J. Eckhel - Doctrina numorum veterum - IV - Vienna - 1794 -
- Jorg Rupke - Communicating with the Gods - A Companion to the Roman Republic - Blackwell - 2010 -

QUINTO FABIO MASSIMO E. - Q, FABIUS MAXIMUS AEMILIANUS

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Nome: Quintus Fabius Mazimus Aemilianus, ovvero Quinto Fabio Massimo Emiliano 
Nascita: 186 a.c.
Morte: 130 a.c.
Professione: statista e console romano
Padre biologico: Lucius Aemilius Paulus Macedonicus
Madre biologica: Papiria Masonis
Padre adottante: il nipote di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore 
Zia: Emilia Terzia, figlia di Lucio Emilio Paolo
Fratello minore: Scipio Aemilianus
Figlio: Quinto Fabio Massimo Allobrogico 


Quintus Fabius Mazimus Aemilianus, ovvero Quinto Fabio Massimo Emiliano fu uno statista e console romano (nel 145 a.c.). Quando il padre ebbe da un secondo matrimonio altri due figli, fece passare i due più grandi per adozione in altre gentes, cioè, il secondo nella gente Cornelia, con il nome di Publio Cornelio Scipione Emiliano, e il primo, maggiore di uno o due anni, nella gente Fabia, nel ramo dei Fabî Massimi e nella famiglia di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, perché molto probabilmente fu un nipote di questo che adottò il figlio maggiore. 

Dunque Fabius era per adozione un membro della gens patrizia Fabia, da un figlio o da un genero di Quinto Fabio Massimo Verrucoso, ovvero di Quintus Fabius Maximus Verrucosus, ma per nascita era il figlio maggiore di Lucio Emilio Paulo Macedonico, ovvero Lucius Aemilius Paulus Macedonicus, e di Papiria Masonis, la sua prima moglie. Inoltre era il padre di Quinto Fabio Massimo Allobrogico. 



III GUERRA MACEDONICA

Nella III Guerra Macedonica sia lui che Scipione prestarono servizio con distinzione sotto Paolo durante la campagna contro Perseo. Infatti appena diciottenne, Fabius accompagnò il padre biologico nella campagna contro la Macedonia e guidò insieme con Paolo Scipione Nasica l'aggiramento dell'esercito macedone. 

La battaglia di Pydna avvenuta nel 168 a.c., fu lo scontro decisivo della guerra macedonica, conclusa con la netta vittoria delle legioni romane guidate dal console Lucio Emilio Paolo, padre di Quinto Fabio Massimo, sull'esercito macedone del re Perseo. 

Ma Quinto Fabio divenne famoso tra il popolo per avere a proprie spese mostrato varie pitture e aver messo su varie scene che illustrassero le fasi salienti e più drammatiche della III Guerra Macedonica cui egli stesso aveva partecipato.



AMBASCERIA A ROMA

Questa vittoria portò alla fine della guerra e al passaggio di tutta la Grecia sotto il controllo romano, il padre naturale lo inviò a Roma per annunciare la sua vittoria. e visse in quei circoli in cui brillò il fratello, Scipione Emiliano l'Africano, e che accolsero con tanta simpatia Polibio. 



IN GRECIA

Tornato in Grecia, partecipò alle spedizioni punitive del 167 a. c. contro le città ribelli dell'interno della Macedonia e dell'Illiria. 



CONSOLE E PROCONSOLE

Nel 154 a.c. andò ambasciatore in Pergamo. Poi Fabius servì come pretore in Sicilia tra il 149 a.c. e il 148 a.c. e fu eletto console insieme con Lucio Ostilio Mancino per il 145 a.c.. Dopo il consolato si recò come proconsole in Hispania, dove combatté e sconfisse Viriato che aveva fatto prigioniero e fatto uccidere il pretore Caio Vetilio, ma non riuscì a catturarlo. 

Il comando delle due provincie spagnole fu allora riunito nelle mani di Fabius e fu suo merito aver compreso che invece di inseguire grandi successi, conveniva riordinare tutto l'esercito. 
La guerra continuò fino a quando suo fratello, Scipione Emiliano, prese la Numantia un decennio dopo.



AMBASCERIA ROMANA

Fece poi parte di quell'ambasceria romana alla quale fu sottoposta, come è ricordato in epigrafi (Dittenberger, Syll., 3ª ed., n. 6845 e Suppl. Ep. gr., II, 511, cfr. III, 775), una controversia confinaria fra Ierapitna e Itano, e in quello stesso torno di tempo indirizzò agli abitanti di Dime una lettera ordinante la punizione dei capi d'un tentativo rivoluzionario contro la costituzione data alla città dai Romani nel 146 a. C. (Dittenberger, op. cit., n. 684). 

Nel 145 venne eletto console insieme al magistrato e generale Lucius Hostilius Mancinus, insieme a cui illustrò al popolo la guerra macedonica.

Fabius e suo fratello furono allievi e patroni dello storico Polibio, che registrò il forte legame fraterno tra i fratelli, anche dopo la loro adozione in altre case. Nel 133 Fabio fu legato del fratello Scipione nella guerra numantina, e morì sicuramente prima di lui, verso il 130 a.c.


BIBLIO

- Cicero, Marcus Tullius - De Amicitia - Evelyn Shirley Shuckburgh - (ed.) Laelius; Elem. classics series - Oxford University. - 1885 -
- M. Hoffmann - De Viriathi Numantinorumque bello - Greifswald - 1865 -
- F. Münzer - in Pauly-Wissowa - Real-Encycl. - VI - 1791 -
- Harriet I. Flower - The Cambridge Companion to the Roman Republic - Cambridge University Press - 2014 -

BATTAGLIA DI ARAUSIO (105 a.C.)

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L'INVASIONE

La battaglia di Arausio fu combattuta il 6 ottobre 105 a.c. nell'attuale città francese di Orange, in Provenza, fra l'esercito romano e le tribù nomadi di alcuni popoli germanici, Cimbri e Teutoni, i più numerosi, con Ambroni, Tigurini e Cimbri. Tra il 120 e il 115 a.c. la popolazione dei germani Cimbri abbandonò l’odierna Scandinavia, per cercare nuovi terreni verso l’Europa meridionale. Sono circa circa 300.000.

Nel 113 a.c, i germanici raggiungono il Danubio e si incontrarono con i Taurisci, alleati di Roma. I Taurisci, preoccupati per l'invasione dei loro territori, inviarono ambasciatori al Senato chiedendo aiuto. Il Console Gneo Papirio Carbone si recò così con un esercito in zona, i Cimbri e i Teutoni inviarono dei messaggeri, sostenendo che la loro occupazione del territorio dei Taurisci non voleva danneggiare la repubblica romana, non sapendo degli accordi tra i due popoli.

I Romani cercano di proteggere l’area danubiana, ma subiscono una prima sconfitta a Norea nel 113 a.c.: è solo l’inizio delle guerre romano-germaniche che si protrarranno per secoli.



L'IMBOSCATA

Carbone diede dunque l’ordine immediato di abbandonare i territori che erano stati occupati, per poi superare il fiume Danubio e ritornare nelle loro terre. I Germani accettarono l’ordine, ma mentre questi venivano condotti dalle guide a tornare nei loro territori, il Console Carbone senza aver consultato il senato di Roma organizzò un’imboscata per sterminarli, sperando in una gloria militare. 

Da notare che i germani avevano i guerrieri Ulfheonar (vestiti di lupo) che della mitologia norrena si coprivano esclusivamente con la pelle del lupo ucciso da loro stessi. Erano famosi per il loro impeto guerriero, concesso loro dal Dio Odino e dal lupo, loro animale totemico. 

Questi guerrieri prima del combattimento, assumevano: birra, un estratto di amanita muscaria (tossico e allucinogino) e digitale. Questo mix dava loro allucinazioni, e comportava un aumento della temperatura corporea, del battito cardiaco e dell'adrenalina. Dopo aver assunto queste sostanze, festeggiavano sino allo stremo e da lì si lanciavano in battaglia, combattendo come lupi.

Inoltre tra le file dei loro combattenti si annoverano anche le donne, coraggiose e capaci, per nulla inferiori ai maschi, delle vere e proprie “valchirie”. 



IL RIFIUTO DEL SENATO

Fatto sta che l'imboscata si rivelò uno sfacelo, i germani si difesero prima e poi attaccarono sconfiggendo i romani. Incoraggiati dalla vittoria i Cimbri e i teutoni si sentirono autorizzati a inviare messaggi al Senato richiedendo una terra in cui vivere. Il Senato rifiutò e le tribù germaniche si spostarono nella Gallia Narbonese, dove sconfissero anche il Console Marco Giunio Silano, lì giunto per arginare la loro migrazione. Ormai era guerra. Quello che una volta era il Metus Gallicus ora era diventato il Metus Teutonicus.



IL RIFIUTO DI PUBLIO RUFO

A Roma si scatenò il dibattito politico per decidere a quale generale assegnare la guerra. Il più anziano dei due Consoli di quell’anno, Publio Rutilio Rufo, era un generale esperto e, veterano della recente guerra di Numidia, ma decise di non farsi carico della campagna militare, rimanendo a Roma e lasciando la gestione del conflitto al suo collega più giovane e più inesperto Mallio Massimo.

L'esercito di Roma era dunque comandato dal console Gneo Mallio Massimo, un homo novus, e dal proconsole per la Gallia Quinto Servilio Cepione, che era stato console l'anno precedente nonchè esponente dell'aristocrazia.

Lo scontro, avvenuto nei pressi di Arausio nella Gallia Transalpina, seguiva di due anni la disfatta di Agen, evidenziando le difficoltà dei Romani di combattere in luoghi poco conosciuti e con la guerriglia
La differenza di status tra i due comandanti generò mancanza di coordinazione e dissidi, che inevitabilmente ebbero ripercussioni durante le manovre. 

Come console in carica per quell’anno, Massimo aveva una autorità superiore rispetto a quella di Cepione, e per legge avrebbe dovuto prendere l’ultima decisione sulla tattica da impiegare. Ma poiché massimo era un Homo Novus, Cepione, si rifiutò così di prestare servizio sotto di lui e si accampò di propria iniziativa sulla sponda opposta al fiume.

Poco prima del combattimento, due tra i maggiori contingenti romani disponibili nell’area erano accampati vicino al fiume Rodano, nei pressi della città di Arausio. Il primo contingente era guidato direttamente da Mallio Massimo, mentre l’altro dal proconsole Quinto Servilio Cepione. 



LE SCONFITTE ROMANE

Dopo l’ennesima vittoria, i Cimbri e i Teutoni decisero di allargare i loro alleati coinvolgono anche la popolazione dei Tigurini e degli Elvezi infliggendo un’ulteriore sconfitta ai romani a Burdigala, odierna Bordeaux, nel 107 a.c.



QUINTO SERVILIO CEPIONE

106 a.c. - Quinto Servilio Cepione, figlio dell'omonimo console del 140 a.c., nel 106 a.c. fu eletto console, promulgò una legge che reintegrava i senatori nelle giurie e marciò da Narbona con otto legioni contro le tribù cimbriche stanziate nella zona di Tolosa, che si erano ribellate a Roma impossessandosi di un'enorme somma di denaro custodita nei santuari dei templi (Oro di Tolosa o Aurum Tolosanum).

Il tesoro, che si diceva maledetto, di 50.000 lingotti d'oro pari a 15.000 talenti d'oro, 10.000 lingotti d'argento e macine interamente in argento per un valore di 10.000 talenti d'argento, fu rinvenuto vicino alla città. La maggior parte del bottino durante il trasporto verso Massilia (Marsiglia) fu prelevato dai predoni i quali si impadronirono dei 450 carri che trasportavano i lingotti d'oro. Secondo la leggenda l'aura di maledizione che accompagnava quel bottino sarebbe stata alla base della disfatta dei Romani nella battaglia di Arausio.



MARCO AURELIO SCAURO

Comandante della cavalleria dell'esercito di Gneo Mallio Massimo nella Gallia Narbonese. Il suo distaccamento, accampatosi a distanza dal resto dell'esercito, nella città di Arausio, fu il primo ad essere attaccato dai germani e fu completamente annientato; Scauro fu catturato e portato al cospetto dei capi germanici e lì, secondo Granio Liciniano, "non fece né disse nulla che non si addicesse a un romano che ricopriva un ruolo così elevato". 

Le epitomi di Tito Livio riferiscono che mentre cercava di dissuadere i germani dal valicare le Alpi, dicendo che sarebbe stato impossibile vincere Roma, Boiorige, un giovane germano carico di ferocia, lo uccise. Pochi giorni dopo l'esercito di Mallio e quello di Quinto Servilio Cepione, in conflitto tra l'oro per la detenzione del comando supremo, furono sconfitti e annientati nella battaglia di Arausio.

Theodor Mommsen commenta: "Mallio e Cepione si equivalgono come capacità militari: sono due perfette nullità."



LA BATTAGLIA

105 a.c. - Lo scontro ebbe luogo il 6 ottobre del 105 a.c. in una zona tra la città di Arausio, odierna Orange, Sud - Est dell’attuale Francia, e il fiume Rodano. La battaglia si verificò tra i due eserciti romani guidati dal proconsole Quinto Servilio Cepione e dal console Gneo Mallio Massimo contro le tribù germaniche dei Tigurini, degli Ambroni, dei Cimbri, guidati dal Re Boiorix, e i Teutoni guidati dal Re Teutobod.

Cepione, nonostante la gravità della situazione, ignorava tutte le disposizioni di Massimo, aspettando che fosse direttamente il Senato ad ordinargli di traversare il Rodano. 

Il primo scontro si ebbe a 65 km nord di Arausio (Orange in Francia), allorché Marco Aurelio Scauro, alla testa di 5.000 cavalieri, ingaggiò una prima battaglia perdendo contro le avanguardie della coalizione germanica. 

Inoltre, il territorio in cui combattevano divenne sfavorevole, dal momento che l’accampamento era stato posizionato con un fiume alle spalle, che impediva ogni fuga. All’attacco dei Cimbri, i romani tentarono di scappare in quella direzione, ma con le loro ingombranti armature, la loro fuga si trasformò in un suicidio. 

La battaglia di Arausio fu la peggiore sconfitta subita dalle armate di Roma nella sua storia (peggio della battaglia di Canne contro Annibale). Le perdite sono stimate da Tito Livio, che cita Valerio Antias, in 80.000 soldati, oltre ad altre 40 mila truppe ausiliarie, praticamente tutti i partecipanti alla battaglia. Pochissimi romani riuscirono a sopravvivere, compresi i servitori e gli addetti all’accampamento, che di solito contavano almeno la metà delle truppe effettive. 

Negli scontri successivi Cepione alla testa di sette legioni fu battuto a 48 km Nord di Arausio e poi Mallio con nove legioni subì una nuova disfatta. I Cimbri riuscirono addirittura a saccheggiare l’accampamento di Cepione, che rimase praticamente indifeso in balìa del nemico, anche se Cepione riuscì a fuggire dal campo di battaglia, illeso. Incoraggiati dalla straordinaria vittoria, i Cimbri attaccarono la forza comandata da Massimo. che aveva assistito impotente alla completa distruzione dei suoi commilitoni.



LA FINE

Quinto Servilio Cepione: si salva dal campo di battaglia e con un rapido viaggio si reca a Roma per spiegare la sua versione dei fatti. Messo sotto accusa dal Senato, per la vicenda dell'oro tolosano, perse la cittadinanza, gli furono confiscati i beni e fu condannato all'esilio. Morì a Smirne, in Asia minore.perde la cittadinanza romana e muore in esilio a Smirne (attuale Izmir in Turchia).

Gneo Mallio Massimo: viene salvato dal campo di battaglia dal figlio di Cepione, ma perde i suoi due figli. Rientrato a Roma di lui si perdono le tracce nella storia ufficiale.
Sebbene ai più ignota la Battaglia di Arausio fu la più grande sconfitta subita dalle legioni, nella secolare storia romana.



COLPA DELL'EMPIETA'

La disfatta aprì le porte della Gallia Narbonense e dell'Italia ai Teutoni e ai Cimbri. Alla sconfitta di Cepione è legata una tradizione semi-leggendaria, che la vorrebbe causata dal suo furto sacrilego dell'Aurum Tolosanum, il presunto bottino del santuario di Apollo a Delfi, saccheggiato durante la spedizione celtica in Grecia.

Cicerone nel De natura deorum cita il modo di dire "aurum habet Tolosanum" per intendere quelle disgrazie che derivano dal guadagno tratto in modo empio. Questa tremenda sconfitta verrà poi vendicata da Gaio Mario nelle successive celebri battaglie (battaglia di Aquae Sextiae e battaglia dei Campi Raudii) che posero definitivamente fine all'espansione dei Teutoni e dei Cimbri.


LE CONSEGUENZE

La sconfitta privò l’esercito di un grandissimo quantitativo di uomini e di manodopera. Il nemico, ormai incoraggiato dalle sue vittorie, era veramente ad un passo dalla invasione del nord Italia. Successivamente i Cimbri si scontrarono con gli Arverni e, dopo una dura lotta, partirono verso i Pirenei, il che dette ai romani il tempo di riorganizzarsi e di eleggere un nuovo generale che sarebbe diventato noto come il salvatore di Roma.

Il Senato romano, constatata la gravità della situazione, ignorò infatti i vincoli legali che impedivano ad un uomo politico di essere console per una seconda volta fino a quando non fossero trascorsi 10 anni dal suo primo incarico, e i patrizi ignorarono pure che fosse plebeo. e proposero l’elezione immediata dell’abilissimo generale Gaio Mario.

Mario avrebbe combattuto ed annientato quei popoli di lì a poco in due battaglie: la battaglia di Aquae Sextiae, 102 a.c, e la battaglia dei Campi Raudii, 101 a.c. Con queste due vittorie Caio Mario non solo entra nella storia di Roma, ma pone le basi per il cambiamento radicale della struttura dell’esercito romano. I Cimbri e Teutoni sono completamente annientati o resi schiavi.


BIBLIO

- Theodore Mommsen - Storia di Roma - volume II - Milano - Armando Curcio Editore - 1964 -
- Vincenzo De Vito - Calata dei Cimbri in Italia - Roma - 1886.-
- Lodovico Mangini - Historie di Asola, fortezza posta tra gli confini del ducato di Mantova, Brescia e Cremona - Vol. I - Mantova - 1999 -
- S. Fischer Fabian - I Germani - ed. Garzanti - 1985 -
- Giuseppe Antonelli - Gaio Mario - Newton - 1995 -
- Tacito - De origine et situ Germanorum - traduzione italiana del Progetto Ovidio -
- Fabian S.Fischer - I Germani - ed. Garzanti - 1985 -
- Maureen Carroll - Romans, Celts & Germans: the german provinces of Rome - Gloucestershire & Charleston - Tempus Pub Ltd - 2001 -

GAIO ATEIO CAPITONE - G. ATEIUS CAPITO

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ATEIO MALEDICE CRASSO CHE VA A FARE UNA GUERRA PARTICA DISASTROSA

Nome: Gaio Ateio Capitone, ovvero Gaius Ateius Capito
Nascita: 38 a,c,
Morte:22 d.c.
Padre: Gaio Ateio Capitone
Console suffetto: anno 5 d.c.
Gens: Ateia
Professione: giurista

Figlio di Gaio Ateio Capitone, il tribuno della plebe che nel 55 a.c. ostacolò ed esecrò pubblicamente Marco Licinio Crasso che andava a combattere i Parti procurando a Roma una delle più grandi sconfitte della sua storia. Fu uno dei più distinti giuristi dell'età augustea, che fu console suffectus nell'anno 5.

Capitone divenne il più insigne giurista della prima età imperiale alla pari del suo più famoso rivale, Marco Antistio Labeone, ovvero Marcus Antistius Labeo (... – 10 o 11), dal quale si differenziava sia per le opinioni politiche, sia nei concetti della giurisprudenza.

Roma fu civilissima proprio perchè i suoi studiosi si applicavano per migliorare le fonti del diritto, onde dare ai cittadini una possibilità di uguaglianza almeno nei diritti fondamentali. In tal senso Roma fu la massima civiltà antica, civiltà che riportò non solo nel diritto ma anche nell'arte pittorica, scultorea, poetica, letteraria, storica e architettonica ancora oggi insuperate. 

Capitone e Labeone fondarono le due più importanti scuole di diritto della Roma antica, caratterizzate da un differente approccio al diritto (Cfr. D.1.2.2.47):
- la scuola dei Sabiniani, fondata da Ateio Capitone, si distingueva per un atteggiamento maggiormente conservatore rispetto al diritto.
- la scuola dei Proculiani, fondata da Labeone, caratterizzata da un atteggiamento più innovatore nei confronti del diritto da parte dei suoi adepti.

A questo proposito si racconta un aneddoto:
"Un barbiere che operava all’aperto, al di fuori della sua bottega, serviva un cliente radendolo sul marciapiede del foro; dei bambini, giocando fra loro, tirano una pallonata maldestra che colpisce la mano del barbiere che disgraziatamente taglia la gola dell’avventore. 
Il barbiere era responsabile della morte del cliente?
Se oggi la risposta può sembrare piuttosto scontata, altrettanto non era all’epoca: i Sabiniani ne sostenevano, infatti, l’innocenza, indicando come causa, piuttosto, il comportamento sprovveduto del cliente a farsi radere in un luogo esposto.
Molto più ragionevolmente la scuola di Labeone, ovviamente, sottolineava come fosse l’esercente dell’attività il responsabile, in quanto doveva svolgere la sua attività in luoghi idonei e sicuri, scegliendoli ed operando secondo la normale diligenza
."

Labeone si dimostrò più conservatore e difensore degli ideali repubblicani, Capitone aderì prontamente al nuovo ordine costituzionale romano legandosi ben presto ad Augusto, l'imperatore di Roma. Le sue idee politiche gli garantirono il favore di Ottaviano che lo ricompensò facendolo accedere al consolato (sebbene solo come consul suffectus) all'età di 43 anni, nel 5 d.c.

Tacito ci fornisce un giudizio alquanto negativo di Capitone, proprio in raffronto al rivale Labeone:
« Labeone serbava incorrotto il senso della libertà e godeva per questo di più larga rinomanza, mentre la condotta ossequiosa di Capitone lo rendeva più caro ai dominatori. Al primo, appunto perché non salì oltre la pretura, questa ingiustizia procurò maggior considerazione: il secondo, per avere ottenuto il consolato, si attirò l'odio che nasce dall'invidia. »
(Annales, III, 76)

Non si può però dimenticare che il dominio degli imperatori romani dette all'Impero un impulso notevolissimo non solo nell'estensione ma pure nei commerci, nelle innovazioni, nelle scoperte di terre e di scienza, di leggi e di diritto, di matematica e di medicina, di arte e di architettura.

LABEONE IL RIVALE DI CAPITONE

IL PEGGIOR NEMICO DI ATEIO

Iniziò circa duemila anni fa da alcune ambigue insinuazioni di Tacito, che hanno trasformato Capitone in un cortigiano ambizioso e corrotto e nota altresì che Capitone discendeva da un avo che era stato centurione di Silla e da un padre che non era andato oltre la carica di pretore, insomma un uomo da poco che nulla aveva a che vedere un homo novus perchè era pure un tradizionalista.



LE OPERE

Tutte le opere di Capitone sono andate perdute, purtroppo vi fu con il cristianesimo una devastazione totale di tutti i libri o scritti in quanto ritenuti pagani e fuorvianti dalla religione che, al contrario della religione pagana, prevaleva su ogni campo. Pertanto di queste preziose opere se ne conosce solo il titolo attraverso la citazione di autori della tarda antichità:

- De pontificio iure (Sulla legge del pontificato), di almeno sei libri;
- De iure sacrificiorum (Sulle leggi sui sacrifici);
- Coniectanea (Varie) almeno nove libri su tematiche varie;
- De officio senatorio (Sul ruolo senatorio)
- Un'opera il cui titolo è sconosciuto sugli auguri;
- Epistulae (Lettere).


BIBLIO

- Theodor Mommsen - Diritto pubblico romano - V volumi - 1888 -
- Theodor Mommsen - Diritto penale romano - 1899 -
- Theodor Mommsen - Codex Theodosianus - editore critico con Paul Meyer - 1905 -
- Alexander e Barbara Demandt - Storia di Roma imperiale. Dagli appunti delle lezioni del 1882/86 di Sebastian e Paul Hensel - 2004 -
- Melillo G., Palma A., Pennacchio C. - Labeone nella giurisprudenza romana. Le citazioni nei giuristi successivi, le Epitomi, i Pithana, i Posteriores - Edizioni scientifiche - 1995 -
- De Martino Francesco - Storia della Costituzione romana - ed. Iuvene - 1975 -

LUCUS JUNONIS LUCINAE

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IL  LUCUS ROMANO

IL TEMPIO DI GIUNONE LUCINA

Prima dell'edificazione del tempio, sull'Esquilino il culto di Giunone Lucina era già attivo in un bosco sacro (lucus, da cui potrebbe derivare l'epiteto della dea Lucina); Varrone assegna l'introduzione del culto a Tito Tazio, re dei Sabini.

Nel VI secolo a.c. Servio Tullio aveva promulgato una legge che obbligava il versamento al tempio di Giunone lucina una moneta da parte dei genitori in occasione della nascita di ogni neonato al fine di avere una statistica delle nascite.

Ma il tempio di Giunone Lucina fu dedicato però il 1º marzo del 375 a.c. per cui non poteva trattarsi di quel tempio. Nel 190 a.v. il tempio fu colpito da un fulmine, che ne danneggiò il timpano e le porte, interpretato come segno della collera della Dea.

Nel 41 a.c., il questore Quinto Pedio costruì o ristrutturò un muro che probabilmente recintava sia il tempio sia il bosco sacro. Alcune iscrizioni ne testimoniano l'esistenza anche in età imperiale.

IL LUCUS DI GIUNONE LUCINA 

Di nessun altro bosco come di questo si è in grado di meglio fissare la posizione, conoscendosi con ogni certezza quella del tempio di Giunone Lucina, e del sesto sacello degli Argei che presso il bosco era situato. Sorgeva il tempio, come si può vedere nella tavola XXIII della F. TI. del chiaro professor Lanciani, sull'estremo lembo del Cispio, nel versante che guarda il vico Patricio, e precisamente tra le moderne vie in Selci ed Urbana, non lungi dal punto in cui dalla via Cavour si dirama la via G. Lanza. 

Ciò per molte ragioni che non giova ripetere, potendosi leggere nei libri di topografia romana; ma soprattutto per essersi ivi scoperta nel 1770 una iscrizione appartenente al tempio di Lucina, e ritrovata si può dire in situ. 

Infatti, benché la iscrizione sia tornata in luce, non proprio nel Cispio, ma nell' estremo confine dell'Oppio, fu però rinvenuta a così breve distanza dal Cispio, da far credere che nell'Oppio giacesse, perchè sbalzatavi nel cadere dall'alto di qualche parete, o perchè trasportatavi più tardi dal luogo ove si trovava originariamente.

Lì presso adunque si collocava dai topografi il Lucus ed il sesto sacello degli Argei, ciò essendo pure consigliato dalla ragione più volte accennata, che cioè i sacrari degli Argei dovevano anche topograficamente succedersi in quell'ordine con cui vengono enumerati nel testo varroniano. Pertanto, servendo il bosco di Lucina a determinare l'ultimo sacello della regione Esquilina, è chiaro che tanto il sacello quanto il bosco erano da ricercare all'estremità del Cispio, dove appunto passava la linea di confine tra la seconda regione Esquilina e la terza Collina.

Orbene, questa deduzione è stata mirabilmente confermata dalla scoperta (avvenuta nel 1888, ed illustrata con la solita erudizione dal ch. prof. Gr. Gatti nel Bull. com. di quello stesso anno) di uno dei sacelli compitalici eretti da Augusto nel luogo medesimo dove sorgevano gli antichi sacrari degli Argei, e rispettando anzi, per quanto era possibile, come  ha pure dimostrato la scoperta di cui parlo, la precedente costruzione. 

Il sacello tornato in luce nel 1888, a cagione del luogo in cui fa scoperto, dietro l'abside della chiesa di san Martino ai Monti altro non può essere se non il sesto della regione Esquilina. In quelle adiacenze, dunque, si deve collocare il sacro boschetto di Lucina, nel quale si sarebbe fatta udire la voce che prescrisse alle sterili Sabine di farsi battere dai Luperci per diventare feconde. Perciò la tradizione attribuiva la dedicazione del tempio alle matrone, e se ne celebrava la ricorrenza alle none di marzo. 

Del progressivo sparire del luous si lamenta Varrone nel passo che mi è servito di guida principale per fissare la posizione dei boschi dell'Esquilino; e ne incolpa l'avidità dei privati, i quali pur di accrescere l'area fabbricabile» non si astenevano dall'invadere i confini del lucus. Suppone perciò il Nibby che il muro, di cui parla la già ricordata iscrizione a proposito di .restauri fattivi, avesse precisamente lo scopo di proteggere il bosco dalle continue usurpazioni, di cui si lagna Varrone. 

E forse a questo muro si deve se qualche avanzo del lucus si potè conservare almeno fino ai tempi di Plinio il Vecchio, il quale riferisce che davanti al tempio di Lucina si vedevano ancora alcuni alberi di loto antichissimi, e che ad uno di questi, chiamato perciò "arbor cavillata", si appendevano i capelli che il pontefice massimo 'tagliava alle Vestali. 

Questi alberi si ritenevano più antichi dello stesso tempio, la costruzione del quale si fa da Plinio risalire all'anno 379 di E,. Anche se ciò non sia vero nel caso particolare, è però sempre una prova dell'anteriorità dei luci sui templi fabbricati.

BIBLIO

- R. Lanciani - Storia degli Scavi di Roma e le Notizie intorno alle Collezioni Romane di Antichità -
- Giuseppe Ragone - Dentro l'àlsos. Economia e tutela del bosco sacro nell'Antichità Classica in Il sistema uomo-ambiente tra passato e presente - Bari - 1998 -
- AA.VV. - Les bois sacrés - Actes du Colloque International, du Centre J. Bérard - Napoli - 1993 -
- Servio - Ad Aeneidem -





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