Nome: Lucius Sergius Catilina
Nascita: 108 a.c. Roma
Morte: 62 a.c. Pistoia
Professione: Politico
Sallustio
"L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, ingenio malo pravoque.
Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuerunt, ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credible est.
Animus audax, subdolus, varius, cuiuslibet rei simulator ac dissimulatur, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupidatibus; satis elquentiae, sapientiae parum. Vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat.
Hunc post dominationem L. Sullae libido maxima invaserat rei publicae capiendae; neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regum pararet, quicquam pensi habebat.
Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque iis artibus auxerat, quas supra memoravi. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessimaac diversa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant".
(L. Catilina, nato di nobile stirpe, fu di grande vigore d'animo e di membra, ma d'ingegno malvagio e vizioso. Fin dalla prima giovinezza gli piacquero guerre intestine, stragi, rapine, discordie civili, e in esse spese tutta la sua gioventù. Il corpo resistente alla fame, al gelo, alle veglie oltre ogni immaginazione. Animo temerario, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsivoglia cosa, avido dell'altrui, prodigo del suo, ardente nelle cupidigie, facile di parola, niente saggezza. Spirito vasto, anelava sempre alle cose smisurate, al fantastico, all'immenso. Dopo la dominazione di L. Silla, era stato invaso da una sfrenata cupidigia d'impadronirsi del potere, senza farsi scrupolo della scelta dei mezzi pur di procurarsi il regno. Sempre di più, di giorno in giorno quell'animo fiero era agitato dalla povertà del patrimonio e dal rimorso dei delitti, entrambi accresciuti dai vizi sopra ricordati. Lo incitavano, inoltre, i costumi d'una cittadinanza corrotta, tormentata da due mali funesti e fra loro discordi, il lusso e l'avidità.)
LE ORIGINI
Lucio Sergio Catilina, ovvero Lucius Sergius Catilina, nacque a Roma il 108 a.c., dal patrizio Lucio Sergio Silo e Belliena. I Sergii erano gens patrizia di antichissima origine e di glorioso passato, ma piuttosto decaduta, da molto tempo infatti non facevano più carriera politica nè occupavano posti di comando nell'esercito. Belliena era la sorella di Lucio Annio Bellieno, seguace di Silla a cui il dittatore ordinò di uccidere il suo ex generale Quinto Lucrezio Ofella.
Ebbe due mogli: la sorella di Marco Mario Gratidiano, nipote di Gaio Mario, e Aurelia Orestilla, figlia di Gneo Aufidio Oreste (console nel 71 a.c.). Dalla prima ebbe un figlio che, secondo Sallustio, uccise in quanto ostacolo alle nozze con Aurelia Orestilla, donna di grande bellezza.
LA CARRIERA
Sappiamo che nell'89 a.c. il giovane Catilina segue il generale Strabone nella guerra marsica contro le popolazioni italiche coalizzate contro Roma. Qui conosce conobbe Cicerone che all'epoca servì sotto Gneo Pompeo Strabone e Lucio Cornelio Silla durante le campagne della Guerra sociale,
Qui conobbe pure Pompeo, il cui padre era stato eletto console in quell'anno. Pompeo accompagnava il padre in ogni guerra, quindi si trovò coinvolto anche nella guerra Sociale ed era molto amico di Cicerone, che considerava suo protetto.
Nell'88 a.c. Catilina passa agli ordini di Silla, eletto console, e lo segue in Asia nella I Guerra Mitridatica. Quattro anni dopo, nell'84, Silla rientra a Roma per sterminare i populares nella Guerra civile romana, e Catilina lo segue nell'opera di epurazione con una spietatezza degna del dictator, uccidendo fra gli altri il cognato Marco Mario Gratidiano, nipote di Gaio Mario, da lui stesso torturato e decapitato. Lui stesso porta la testa a Roma e nel Foro la getta ai piedi di Silla.
Si narra che Graditiano fosse stato torturato e smembrato come si trattasse di un sacrificio umano, ma i romani non facevano sacrifici umani se non in un paio di circostanze in tutta la storia. Ma non fu un sacrificio bensì una vendetta, l'assassinio avvenne infatti presso la tomba di Quinto Lutazio Catulo, che era stato console nel 102 a.c. e che era stato costretto al suicidio nell'87 a.c. da Gratidiano, per concedere la ritorsione al figlio di Lutazio.
Qui conobbe pure Pompeo, il cui padre era stato eletto console in quell'anno. Pompeo accompagnava il padre in ogni guerra, quindi si trovò coinvolto anche nella guerra Sociale ed era molto amico di Cicerone, che considerava suo protetto.
Nell'88 a.c. Catilina passa agli ordini di Silla, eletto console, e lo segue in Asia nella I Guerra Mitridatica. Quattro anni dopo, nell'84, Silla rientra a Roma per sterminare i populares nella Guerra civile romana, e Catilina lo segue nell'opera di epurazione con una spietatezza degna del dictator, uccidendo fra gli altri il cognato Marco Mario Gratidiano, nipote di Gaio Mario, da lui stesso torturato e decapitato. Lui stesso porta la testa a Roma e nel Foro la getta ai piedi di Silla.
Si narra che Graditiano fosse stato torturato e smembrato come si trattasse di un sacrificio umano, ma i romani non facevano sacrifici umani se non in un paio di circostanze in tutta la storia. Ma non fu un sacrificio bensì una vendetta, l'assassinio avvenne infatti presso la tomba di Quinto Lutazio Catulo, che era stato console nel 102 a.c. e che era stato costretto al suicidio nell'87 a.c. da Gratidiano, per concedere la ritorsione al figlio di Lutazio.
Da notare che Catilina aveva sposato la sorella di Gratidiano, e cioè Gratidiana, da cui ebbe un figlio di cui poi si sbarazzò uccidendolo in quanto presunto ostacolo alle nozze con la moglie successiva: Aurelia Orestialia, insomma un filicidio, il più orrendo delitto che un essere umano possa compiere.
Dopo la morte di Silla però Catilina non solo non subì condanne, ma ottenne barie cariche politiche:
- questore nel 78,
- legato in Macedonia nel 74,
- edile nel 70,
- pretore nel 68
- governatore dell'Africa nel 67.
LA CONGIURA
C'era di che arricchirsi ma a Catilina i soldi non bastavano mai. Infatti tornato a Roma, nel 66 a.c., si candida a console, ma viene accusato di concussione e abuso di potere, viene processato e assolto. Ma nello stesso anno è accusato di una cospirazione con Autronio e Publio Cornelio Silla.
Autronio si era candidato ed era stato eletto console nel 65 a.c. insieme a Publio Cornelio Silla, nipote di Lucio Cornelio Silla, ma prima che avesse inizio il loro mandato furono accusati ambedue di brogli elettorali da Lucio Aurelio Cotta, seguace di Silla e zio di Giulio Cesare, e Lucio Manlio Torquato, console nel 65 a.c. con Aurelio Cotta. Riconosciuti colpevoli, venne invalidata l'elezione e furono eletti altri due consoli.- pretore nel 68
- governatore dell'Africa nel 67.
LA CONGIURA
C'era di che arricchirsi ma a Catilina i soldi non bastavano mai. Infatti tornato a Roma, nel 66 a.c., si candida a console, ma viene accusato di concussione e abuso di potere, viene processato e assolto. Ma nello stesso anno è accusato di una cospirazione con Autronio e Publio Cornelio Silla.
Fu allora che Autronio tentò una cospirazione assieme a Catilina per eliminare i nuovi consoli (66 a.c.), ma il piano fallì per errore di Catilina, che diede il segnale di intervenire ai congiurati prima che fossero tutti riuniti.
Cicerone si era rifiutato di difendere Autronio, suo collega nella questura del 75 a.c., accusato di partecipazione alla congiura di Catilina e di tentato omicidio nei confronti di Cicerone stesso (lex Plautia de vi), e testimonia invece contro di lui. Così Autronio è esiliato in Grecia, nell'Epiro. Quando poi fu esiliato lo stesso Cicerone nel 58 a.c., egli temette infatti che Autronio potesse ucciderlo.
Il 3 dicembre i prigionieri vengono consegnati a Cicerone, che fa chiamare ed arrestare i capi della congiura, fa confiscare le armi, convoca nel tempio della Concordia il senato ed interroga i testimoni; il senato gli decreta un rendimento di grazie (supplicatio) per l’ottenuta salvezza da incendio e guerra.
Secondo altri autori Cicerone si limita invece ad interrogare i congiurati, senza pronunziare un discorso; la sera pronunzia invece la III Catilinaria davanti al popolo. Comunque Silla viene assolto. Poiché è ancora sotto processo, Catilina può ricandidarsi a console solo nel 64 a.c. per l'anno successivo, ma il Senato, allarmato dalla sua popolarità, gli oppone Cicerone, l'Homo novus. Nel suo discorso di candidatura Cicerone dipinge Catilina a fosche tinte, definendolo incestuoso, assassino e degenerato. Gli optimates, con l'aiuto dei loro clienti, fanno vincere Cicerone.
Catilina non molla e si ripresenta alle elezioni per il 62 a.c., ha l'appoggio della plebe e degli schiavi, promettendo una ridistribuzione delle terre demaniali e delle prede di guerra, appoggiato dai veterani di Silla, ormai in disgrazia ed emanando un editto per la remissione dei debiti (Tabulae novae). La perdita dei crediti allarma la classe senatoria e Cicerone, nell'orazione Pro Murena, denuncia di Catilina «...la ferocia, nel suo sguardo il delitto, nelle sue parole la tracotanza, come se avesse già agguantato il consolato».
Cicerone presenta in Senato delle lettere anonime che accusano Catilina di cospirazione contro la Repubblica, che abbia raccolto uomini in armi attorno a Fiesole, e che abbia fatto offerte a varie tribù in Gallia per allearsele, gli Allobrogi avrebbero rifiutato e avrebbero avvertito Cicerone.
Con un probabile broglio elettorale, nelle elezioni Catilina viene sconfitto dal generale Murena, gradito al Senato. Servio Sulpicio Rufo, un grande giurista apprezzatissimo da Cicerone, e Catone il Censore denunciano i brogli, si sa che Catone è uomo d'onore e ostile a Catilina, per cui molto credibile. Cicerone difende Murena dall'accusa e attacca Catilina, denunciandolo come congiurato; Catilina è costretto a una fuga in Etruria, presso il suo sostenitore Gaio Manlio, lasciando la guida della sua congiura ad alcuni uomini di fiducia, Publio Cornelio Lentulo Sura e Gaio Cornelio Cetego.
DISCORSO DI CATILINA AI CONGIURATI
«Se io non avessi sperimentato la vostra determinazione e la vostra fedeltà, invano si sarebbe presentata a noi questa occasione favorevole; inutile sarebbe la nostra grande aspettativa di potere, né io cercherei, attraverso uomini codardi e falsi, l'incertezza al posto della certezza. Ma siccome io conosco la vostra fortezza e la vostra fedeltà nei miei confronti in molti e ardui cimenti, proprio per questo il mio animo mi consente di intraprendere questa impresa davvero grande e gloriosa, anche perché ho constatato che condividete con me i possibili vantaggi ma anche i pericoli. Infatti una vera amicizia si basa sugli scopi e interessi comuni. »
(L. Sergio Catilina - De Catilinae - coniuratione - di Sallustio)
LE ORAZIONI CATILINARIE
E' Cicerone a darci la maggior parte delle informazioni su Catilina. Sfuggito all'attentato da parte dei congiurati di Catilina, che si erano presentati a casa sua con la scusa di salutarlo, Cicerone convoca il Senato nel tempio di Giove Statore.
Qui pronuncia la famosa allocuzione nota come Prima Catilinaria, la prima perchè seguita poi da altre tre, e tutte chiamate complessivamente le Orationes in Catilinam. E' l'8 novembre del 63 a.c., e Cicerone pronuncia la famosa allocuzione:
"Quousque tandem Catilina abutere patientia nostra?"
« Fino a quando abuserai, Catilina, della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora cotesta tua condotta temeraria riuscirà a sfuggirci? A quali estremi oserà spingersi il tuo sfrenato ardire? Né il presidio notturno sul Palatino né le ronde per la città né il panico del popolo né l'opposizione unanime di tutti i cittadini onesti né il fatto che la seduta si tenga in questo edificio, il più sicuro, ti hanno sgomentato e neppure i volti, il contegno dei presenti? »
(Cicerone, incipit di Catilinariae orationes)
Sempre nella I orazione Cicerone tenta di convincere il Senato della necessità di condannare a morte Catilina: "Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat". « la tua condanna a morte, o Catilina, avrebbe dovuto essere ordinata da lungo tempo dal Console. »
Il 5 gennaio del 62 a.c. Catilina e i suoi fedelissimi vengono intercettati dall'esercito romano comandato dal generale Marco Petreio, nella piana dell' Ager Pisternensis. Catilina è intrappolato nel passaggio degli Appennini alla Gallia cisalpina da Quinto Cecilio Metello Celere. Non ha speranze, ma pronuncia quest'ultimo discorso ai pochi seguaci rimasti:
« So assolutamente, o soldati, che le parole non aggiungono valore e che un esercito non diventa coraggioso da vile né forte da pavido per un discorso del generale. Quanto è grande il coraggio nell'animo di ciascuno per indole o per educazione, tanto grande è solito manifestarsi in guerra. Colui che né la gloria né i pericoli incitano, lo potresti esortare invano: il timore dell'animo tappa le orecchie.
Con un probabile broglio elettorale, nelle elezioni Catilina viene sconfitto dal generale Murena, gradito al Senato. Servio Sulpicio Rufo, un grande giurista apprezzatissimo da Cicerone, e Catone il Censore denunciano i brogli, si sa che Catone è uomo d'onore e ostile a Catilina, per cui molto credibile. Cicerone difende Murena dall'accusa e attacca Catilina, denunciandolo come congiurato; Catilina è costretto a una fuga in Etruria, presso il suo sostenitore Gaio Manlio, lasciando la guida della sua congiura ad alcuni uomini di fiducia, Publio Cornelio Lentulo Sura e Gaio Cornelio Cetego.
DISCORSO DI CATILINA AI CONGIURATI
«Se io non avessi sperimentato la vostra determinazione e la vostra fedeltà, invano si sarebbe presentata a noi questa occasione favorevole; inutile sarebbe la nostra grande aspettativa di potere, né io cercherei, attraverso uomini codardi e falsi, l'incertezza al posto della certezza. Ma siccome io conosco la vostra fortezza e la vostra fedeltà nei miei confronti in molti e ardui cimenti, proprio per questo il mio animo mi consente di intraprendere questa impresa davvero grande e gloriosa, anche perché ho constatato che condividete con me i possibili vantaggi ma anche i pericoli. Infatti una vera amicizia si basa sugli scopi e interessi comuni. »
(L. Sergio Catilina - De Catilinae - coniuratione - di Sallustio)
LE ORAZIONI CATILINARIE
E' Cicerone a darci la maggior parte delle informazioni su Catilina. Sfuggito all'attentato da parte dei congiurati di Catilina, che si erano presentati a casa sua con la scusa di salutarlo, Cicerone convoca il Senato nel tempio di Giove Statore.
Qui pronuncia la famosa allocuzione nota come Prima Catilinaria, la prima perchè seguita poi da altre tre, e tutte chiamate complessivamente le Orationes in Catilinam. E' l'8 novembre del 63 a.c., e Cicerone pronuncia la famosa allocuzione:
"Quousque tandem Catilina abutere patientia nostra?"
« Fino a quando abuserai, Catilina, della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora cotesta tua condotta temeraria riuscirà a sfuggirci? A quali estremi oserà spingersi il tuo sfrenato ardire? Né il presidio notturno sul Palatino né le ronde per la città né il panico del popolo né l'opposizione unanime di tutti i cittadini onesti né il fatto che la seduta si tenga in questo edificio, il più sicuro, ti hanno sgomentato e neppure i volti, il contegno dei presenti? »
(Cicerone, incipit di Catilinariae orationes)
Sempre nella I orazione Cicerone tenta di convincere il Senato della necessità di condannare a morte Catilina: "Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat". « la tua condanna a morte, o Catilina, avrebbe dovuto essere ordinata da lungo tempo dal Console. »
Le fonti non riferiscono chiaramente lo scopo dei cospiratori. Cicerone parla di un piano eversivo con incendio doloso e altro, oltre all'assassinio di personaggi politici, tra cui Cicerone.
La congiura si sarebbe organizzata attraverso vari incontri segreti - l'ultimo sarebbe avvenuto nella casa del senatore Leca il 6-7 novembre del 63 a.c., alla vigilia della prima Catilinaria. Come spesso avviene la segretezza non regge perchè a letto pochi tengono il segreto.
Così Quinto Curio, uno dei congiurati, narrò alla sua amante, una certa Fulvia, che stavano per fare una congiura. Quella, che sicuramente giurò di tenere il segreto, corse a riferire Cicerone e addio congiura.
Quella sera stessa due congiurati (Cornelio e Vargunteio) si sarebbero presentati a casa di Cicerone e, con il pretesto di salutarlo, avrebbero tentato di ucciderlo. Ma grazie a Fulvia, Cicerone sarebbe scampato agli assassini. Cicerone non risparmiò mezzi ed effetti speciali per mettere in cattiva luce Catilina. In attesa dell'esito della denuncia per brogli contro Murena, Cicerone si presentò al Campo Marzio circondato da una scorta e «...vestendo quella mia ampia e vistosa corazza, non perché essa mi proteggesse dai colpi, che io sapevo essere suo costume sferrare non al fianco o al ventre ma al capo o al collo, bensì per richiamare l'attenzione di tutti gli onesti».
Dal canto suo Cicerone non smise mai di vantare il proprio ruolo nella salvezza dello stato, come nel famoso brano: Cedant arma togae: "che le armi lascino il posto alla toga (del magistrato)"), grazie al ruolo svolto nel reprimere la congiura, ottenne un prestigio incredibile, che gli valse addirittura l'appellativo di pater patriae.
« Non è più degno morire da valorosi, piuttosto che trascorrere passivamente e con vergogna un'esistenza misera e senza onori, soggetti allo scherno e all'alterigia? »
Nell'orazione Pro Murena del 63 a.c. Cicerone denuncerà il progetto politico di Catilina che affermò: «La Repubblica ha due corpi: uno fragile, con una testa malferma; l'altro vigoroso, ma senza testa affatto; non gli mancherà, finché vivo».
LA BATTAGLIA DI PISTOIALa congiura si sarebbe organizzata attraverso vari incontri segreti - l'ultimo sarebbe avvenuto nella casa del senatore Leca il 6-7 novembre del 63 a.c., alla vigilia della prima Catilinaria. Come spesso avviene la segretezza non regge perchè a letto pochi tengono il segreto.
Così Quinto Curio, uno dei congiurati, narrò alla sua amante, una certa Fulvia, che stavano per fare una congiura. Quella, che sicuramente giurò di tenere il segreto, corse a riferire Cicerone e addio congiura.
Quella sera stessa due congiurati (Cornelio e Vargunteio) si sarebbero presentati a casa di Cicerone e, con il pretesto di salutarlo, avrebbero tentato di ucciderlo. Ma grazie a Fulvia, Cicerone sarebbe scampato agli assassini. Cicerone non risparmiò mezzi ed effetti speciali per mettere in cattiva luce Catilina. In attesa dell'esito della denuncia per brogli contro Murena, Cicerone si presentò al Campo Marzio circondato da una scorta e «...vestendo quella mia ampia e vistosa corazza, non perché essa mi proteggesse dai colpi, che io sapevo essere suo costume sferrare non al fianco o al ventre ma al capo o al collo, bensì per richiamare l'attenzione di tutti gli onesti».
SENATUSCONSULTUM
Alla fine Cicerone ottenne l'emanazione del senatusconsultum ultimum, (Senatus consultum de re publica defendenda, cioè "Decreto del Senato per la difesa dello stato"che dava ai consoli in carica, tra cui Cicerone, poteri di vita e di morte. Così Cetego e Lentulo, i catilinari rimasti a Roma, secondo l'accusa, per sollevare la plebe e la tribù degli Allobrogi, vennero condannati a morte e strangolati nel Carcere Mamertino.
Come cittadini romani avrebbero avuto il diritto appellarsi al popolo: provocatio ad populum, la richiesta di grazia su cui dovevano pronunciarsi i comizi elettivi delle tribù, e il diritto a scegliere l'esilio invece della morte, anche se questo avrebbe comportato la confisca di tutti i loro beni.
Questa violazione alla Costituzione romana fu rimproverata a Cicerone da Gaio Giulio Cesare durante la seduta del Senato e alcuni anni dopo, su iniziativa del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, Cicerone verrà esiliato per l'uccisione illegittima di cittadini romani.
La situazione è controversa, perchè il senato aveva dichiarato i congiurati nemici della Repubblica e dato pieni poteri al console Cicerone, per cui i nemici della repubblica cessavano di essere cittadini romani.Come cittadini romani avrebbero avuto il diritto appellarsi al popolo: provocatio ad populum, la richiesta di grazia su cui dovevano pronunciarsi i comizi elettivi delle tribù, e il diritto a scegliere l'esilio invece della morte, anche se questo avrebbe comportato la confisca di tutti i loro beni.
Questa violazione alla Costituzione romana fu rimproverata a Cicerone da Gaio Giulio Cesare durante la seduta del Senato e alcuni anni dopo, su iniziativa del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, Cicerone verrà esiliato per l'uccisione illegittima di cittadini romani.
Lo storico Sallustio fece la cronistoria dell'episodio circa 20 anni dopo, nel De Catilinae coniuratione, senza però discostarsi significativamente dalle descrizioni di Cicerone, a parte la cronologia, forse errori involontari di Sallustio, o per scagionare Cesare dal sospetto di aver partecipato alla congiura.
LE TRAME DI CATILINA
« Non è più degno morire da valorosi, piuttosto che trascorrere passivamente e con vergogna un'esistenza misera e senza onori, soggetti allo scherno e all'alterigia? »
Secondo Catilina la Repubblica Romana viveva una scissione tra società e istituzioni. Il corpo fragile era il corpo elettorale romano, spaccato in clientele e bande (nell'88 a.c. tutti gli italici avevano avuto la cittadinanza romana, ma per votare occorreva recarsi a Roma); la testa malferma era il Senato, piuttosto dinastico, colluso con i grandi proprietari terrieri, e patrizio.
Il corpo vigoroso ma senza testa erano contribuenti, tassati e tartassati, per cui Catilina si propone come "testa" pensante, essendosi già fatto alleati non solo tra i plebei, ma anche tra gli equites, nonchè tra i senatori scontenti di Pompeo:
« Nel frattempo Manlio in Etruria istigava la plebe, desiderosa di cambiamenti allo stesso tempo per la miseria e per il risentimento dell'ingiustizia subita, poiché, durante la dittatura di Silla, aveva perso i campi e tutti i suoi beni; inoltre istigava i ladri di qualsiasi genere, di cui in quella regione c'era grande abbondanza, e alcuni coloni Sillani, ai quali, per dissolutezza e lussuria, non era rimasto nulla di ciò che avevano rubato. ......
.... E non era sconvolta solo la mente di coloro che erano i complici della congiura, bensì l'intera plebe, desiderosa di cambiamenti, approvava i propositi di Catilina. Così sembrava facesse ciò secondo il suo costume abituale. Infatti in uno Stato i poveri invidiano sempre i ricchi ed esaltano i malvagi; odiano le cose antiche, desiderano vivamente le novità; a causa dell'avversione alla loro situazione aspirano a sovvertire ogni cosa; si nutrono di tafferugli e di disordini, visto che la povertà rende facilmente senza perdite. »
(Sallustio, De Catilinae coniuratione.)
Il corpo vigoroso ma senza testa erano contribuenti, tassati e tartassati, per cui Catilina si propone come "testa" pensante, essendosi già fatto alleati non solo tra i plebei, ma anche tra gli equites, nonchè tra i senatori scontenti di Pompeo:
« Nel frattempo Manlio in Etruria istigava la plebe, desiderosa di cambiamenti allo stesso tempo per la miseria e per il risentimento dell'ingiustizia subita, poiché, durante la dittatura di Silla, aveva perso i campi e tutti i suoi beni; inoltre istigava i ladri di qualsiasi genere, di cui in quella regione c'era grande abbondanza, e alcuni coloni Sillani, ai quali, per dissolutezza e lussuria, non era rimasto nulla di ciò che avevano rubato. ......
.... E non era sconvolta solo la mente di coloro che erano i complici della congiura, bensì l'intera plebe, desiderosa di cambiamenti, approvava i propositi di Catilina. Così sembrava facesse ciò secondo il suo costume abituale. Infatti in uno Stato i poveri invidiano sempre i ricchi ed esaltano i malvagi; odiano le cose antiche, desiderano vivamente le novità; a causa dell'avversione alla loro situazione aspirano a sovvertire ogni cosa; si nutrono di tafferugli e di disordini, visto che la povertà rende facilmente senza perdite. »
(Sallustio, De Catilinae coniuratione.)
Diversi anni dopo la morte di Catilina, nell'orazione Pro Caelio, (amico di Catilina) del 56 a.c., Cicerone ammetterà che Catilina aveva raccolto attorno a sé «anche persone forti e buone», che era di «qualche stimolo all'attività e all'impegno», e che in certi momenti era «un buon cittadino, appassionato ammiratore degli uomini migliori, amico sicuro e leale».
Inoltre «era gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani» e «vi erano in quest'uomo caratteristiche singolari: la capacità di legare a sé l'animo di molti con l'amicizia, conservarseli con l'ossequio, far parte a tutti di ciò che aveva, prestar servigi a chiunque con il denaro, con le aderenze, con l'opera...».
Cicerone parlava secondo la propria convenienza e se rivalutava Catina forse voleva farsi benvolere dai suoi ex seguaci, ovvero dai seguaci di Silla, visto che il nuovo astro all'orizzonte era Giulio Cesare, l'Homo Novus dei populares.
Inoltre «era gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani» e «vi erano in quest'uomo caratteristiche singolari: la capacità di legare a sé l'animo di molti con l'amicizia, conservarseli con l'ossequio, far parte a tutti di ciò che aveva, prestar servigi a chiunque con il denaro, con le aderenze, con l'opera...».
Cicerone parlava secondo la propria convenienza e se rivalutava Catina forse voleva farsi benvolere dai suoi ex seguaci, ovvero dai seguaci di Silla, visto che il nuovo astro all'orizzonte era Giulio Cesare, l'Homo Novus dei populares.
IL RITROVAMENTO DEL CORPO DI CATILINA |
Il 5 gennaio del 62 a.c. Catilina e i suoi fedelissimi vengono intercettati dall'esercito romano comandato dal generale Marco Petreio, nella piana dell' Ager Pisternensis. Catilina è intrappolato nel passaggio degli Appennini alla Gallia cisalpina da Quinto Cecilio Metello Celere. Non ha speranze, ma pronuncia quest'ultimo discorso ai pochi seguaci rimasti:
« So assolutamente, o soldati, che le parole non aggiungono valore e che un esercito non diventa coraggioso da vile né forte da pavido per un discorso del generale. Quanto è grande il coraggio nell'animo di ciascuno per indole o per educazione, tanto grande è solito manifestarsi in guerra. Colui che né la gloria né i pericoli incitano, lo potresti esortare invano: il timore dell'animo tappa le orecchie.
Ma io vi ho convocato per ammonirvi riguardo a poche cose e contemporaneamente esporvi il motivo del mio piano. Invero certamente sapete, o soldati, qual grave danno abbiano portato a noi la viltà e l'indolenza di Lentulo, e anche a lui stesso, e per quale modo mentre aspettavo rinforzi dalla città, non sono potuto partire per la Gallia. Ora dunque a quale punto sia la nostra situazione, voi tutti lo capite insieme a me.
Due eserciti nemici ci sbarrano la strada, uno dalla città e uno dalla Gallia; rimanere più a lungo in questi luoghi, anche se il nostro animo lo desidera moltissimo, lo impedisce la mancanza di frumento e di altre cose. Dovunque ci piaccia andare, bisogna aprirsi la strada con le armi. Perciò vi esorto a essere forti e pronti e, quando entrerete in combattimento, a ricordare che voi portate nelle vostre mani destre ricchezze, onore, gloria, senza contare la libertà e la patria.
Se vinceremo, non correremo più alcun pericolo; ci saranno vettovaglie in abbondanza, municipi e colonie spalancheranno le porte. Se, causa la paura, ci saremo ritirati, quei medesimi diventeranno ostili, nessun amico, nessun luogo potrà proteggere chi le armi non siano riuscite a proteggere. Inoltre, soldati, non è il medesimo bisogno a incombere su di noi e su di loro: noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per loro è superfluo combattere per il potere di pochi. Perciò, attaccate con maggior audacia, memori dell'antico valore!
Vi sarebbe stato concesso passare la vita in esilio con il massimo disonore: alcuni di voi avrebbero potuto bramare a Roma, dopo aver perso le proprie, le ricchezze di altri. Poiché quelle azioni sembravano turpi ed intollerabili agli uomini, avete deciso di seguire queste. Se volete abbandonare questa situazione, c’è bisogno di coraggio; nessuno, se non da vincitore, ha mai cambiato in pace una guerra. In guerra il massimo pericolo è quello di coloro che di più hanno paura; il coraggio è considerato come un muro.
Quando vi guardo, o soldati, e quando considero le vostre azioni, mi prende una grande speranza di vittoria. L'animo, l'età, il valore vostri mi incoraggiano, e la necessità, inoltre, che rende coraggiosi anche i pavidi. E infatti l'inaccessibilità del luogo impedisce che la moltitudine dei nemici possa circondarci. Se la fortuna si sarà opposta al vostro valore, non fatevi ammazzare invendicati, e neppure, una volta catturati, non fatevi trucidare come bestie piuttosto che lasciare ai nemici una vittoria cruenta e luttuosa combattendo alla maniera degli eroi!»
Sallustio - De Coniuratione Catilinae
Catilina lascia scappare i cavalli per ribadire che mai si sarebbe ritirato, ed attese l'arrivo delle legioni romane. Combatte coraggiosamente e muore insieme a tutti i suoi 20000 soldati . Non c'è un solo superstite. Il corpo di Catilina venne gettato nel fiume, mentre la testa viene riportata a Roma da Antonio, uno dei congiurati di Catilina che li aveva traditi, assumendo il comando dell'esercito nella battaglia di Pistoia. Però poi si era finto malato per non combattere contro Catilina e soprattutto per non rischiare che questi ne rivelasse la partecipazione alla congiura, lasciando così il comando delle truppe romane a Marco Petreio.
Sallustio - De Coniuratione Catilinae
Catilina lascia scappare i cavalli per ribadire che mai si sarebbe ritirato, ed attese l'arrivo delle legioni romane. Combatte coraggiosamente e muore insieme a tutti i suoi 20000 soldati . Non c'è un solo superstite. Il corpo di Catilina venne gettato nel fiume, mentre la testa viene riportata a Roma da Antonio, uno dei congiurati di Catilina che li aveva traditi, assumendo il comando dell'esercito nella battaglia di Pistoia. Però poi si era finto malato per non combattere contro Catilina e soprattutto per non rischiare che questi ne rivelasse la partecipazione alla congiura, lasciando così il comando delle truppe romane a Marco Petreio.
In qualità di tribuno designato, Catone, sempre nello stesso anno, chiede e ottiene dal senato la condanna a morte per alcuni seguaci di Catilina (pena poi eseguita da Cicerone), in opposizione a Cesare, che proponeva pene più miti.
Corrnelio Lentulo
Fu Console anziano nel 71 a.c. con Gneo Aufidio Oreste come collega giovane. Allo scadere del consolato venne espulso dal Senato per immoralità nel 70 a.c., ma riuscì a rientrare in Senato come Questore e infine Pretore urbano per il 62 a.c. Avendo molti debiti partecipò alla congiura di Catilina di cui era uno dei maggiori esponenti, denunciato da Quinto Curio in Senato e venne condannato a morte nel 62 a.c.
I Romani assegnavano un custode ai rei di Maiestas fino all'esecuzione della condanna, e il custode fu il consolare del 65 a.C. Lucio Giulio Cesare, fratello di sua moglie Giulia, madre del futuro triumviro Marco Antonio. L'esecuzione avvenne per strangolamento nel carcere Mamertino, insieme a Cetego, Statilio, Cepario, Volturcio e Gabinio Capitone, tutti congiurati di Catilina.
Corrnelio Lentulo
Fu Console anziano nel 71 a.c. con Gneo Aufidio Oreste come collega giovane. Allo scadere del consolato venne espulso dal Senato per immoralità nel 70 a.c., ma riuscì a rientrare in Senato come Questore e infine Pretore urbano per il 62 a.c. Avendo molti debiti partecipò alla congiura di Catilina di cui era uno dei maggiori esponenti, denunciato da Quinto Curio in Senato e venne condannato a morte nel 62 a.c.
I Romani assegnavano un custode ai rei di Maiestas fino all'esecuzione della condanna, e il custode fu il consolare del 65 a.C. Lucio Giulio Cesare, fratello di sua moglie Giulia, madre del futuro triumviro Marco Antonio. L'esecuzione avvenne per strangolamento nel carcere Mamertino, insieme a Cetego, Statilio, Cepario, Volturcio e Gabinio Capitone, tutti congiurati di Catilina.
Cornelio Cetego
Fin da giovane aveva mostrato un carattere dissoluto, violento e dissipatore, per cui si era coperto di debiti.
Nel 63 a.c. si alleò con Catilina e quando questi fuggì in Etruria, Cetego e Publio Cornelio Lentulo Sura presero le redini della congiura, e Cetego passò al comando di Lentulo Sura.
Cetego doveva uccidere i senatori più importanti, tra cui Cicerone, ma il ritardo di Lentulo non gli permise di eseguire gli ordini. Cetego venne arrestato e condannato a morte con gli altri congiurati. Come prova della sua congiura, venne trovata in casa sua una collezione di spade e pugnali ed una lettera con sigillo degli ambasciatori Allobrogi.
Grazie alla collaborazione degli ambasciatori dei Galli Allobrogi, Cicerone poté accusare Lentulo e Cetego davanti al senato. Vi era stato un finto arresto degli ambasciatori galli che avevano carte scritte dei congiurati in cui si promettevano grandi benefici se avessero appoggiato Catilina. Quei documenti finirono così nelle mani di Cicerone.
Per decidere la pena dei congiurati, vi fu un rovente dibattito tra i sosteniori della pena capitale e Gaio Giulio Cesare, che propose il confino e la confisca dei beni. Cesare aveva quasi convinto i senatori ma Marco Porcio Catone Uticense perorò con grande enfasi la necessità della pena di morte. I congiurati furono quindi giustiziati, e Cicerone annunziò la loro morte al popolo con la formula:
« Vixerunt » « Vissero » poiché era considerato di cattivo auspicio pronunciare la parola "morte" o espressioni come "sono morti" nel foro.
Fin da giovane aveva mostrato un carattere dissoluto, violento e dissipatore, per cui si era coperto di debiti.
Nel 63 a.c. si alleò con Catilina e quando questi fuggì in Etruria, Cetego e Publio Cornelio Lentulo Sura presero le redini della congiura, e Cetego passò al comando di Lentulo Sura.
Cetego doveva uccidere i senatori più importanti, tra cui Cicerone, ma il ritardo di Lentulo non gli permise di eseguire gli ordini. Cetego venne arrestato e condannato a morte con gli altri congiurati. Come prova della sua congiura, venne trovata in casa sua una collezione di spade e pugnali ed una lettera con sigillo degli ambasciatori Allobrogi.
Grazie alla collaborazione degli ambasciatori dei Galli Allobrogi, Cicerone poté accusare Lentulo e Cetego davanti al senato. Vi era stato un finto arresto degli ambasciatori galli che avevano carte scritte dei congiurati in cui si promettevano grandi benefici se avessero appoggiato Catilina. Quei documenti finirono così nelle mani di Cicerone.
Per decidere la pena dei congiurati, vi fu un rovente dibattito tra i sosteniori della pena capitale e Gaio Giulio Cesare, che propose il confino e la confisca dei beni. Cesare aveva quasi convinto i senatori ma Marco Porcio Catone Uticense perorò con grande enfasi la necessità della pena di morte. I congiurati furono quindi giustiziati, e Cicerone annunziò la loro morte al popolo con la formula:
« Vixerunt » « Vissero » poiché era considerato di cattivo auspicio pronunciare la parola "morte" o espressioni come "sono morti" nel foro.