Duemila anni fa esistevano le terme romane ‘Aquae Patavinae’, ovvero ‘acque di Padova’, situate lungo il fianco orientale dei Colli Euganei, ultimi rilievi di origine vulcanica, risalenti a 135 milioni di anni fa, prima dell’immensa piana che si estende verso est fino alla laguna veneta e al Mare Adriatico.
RICOSTRUZIONE DEL COMPLESSO TERMALE (INGRANDIBILE) |
Più tardi, non diversamente da quanto accade oggi, i nostri antenati vissuti tra I secolo a.c. e IV secolo d.c. andavano alle Terme Euganee a prendere bagni rilassanti e curativi contro i dolori, ospiti di stabilimenti pubblici o – i più ricchi – direttamente nelle lussuose ville di proprietà, fatte appositamente costruire per godere i benefici delle acque calde naturali.
Il nome originario di Montegrotto era infatti "Mons Aegrotorum", letteralmente monte dei malati.
Quindi le antiche popolazioni che abitarono queste zone già conoscevano molto bene le proprietà terapeutiche delle acque calde e ne attribuivano la loro origine agli dei. Le piccole sculture rappresentanti parti del corpo umano, dette "ex voto", rinvenute con gli scavi, altro non erano che particolari offerte dei malati guariti dalle acque, che in segno di riconoscenza venivano gettate nei laghi.
IL PARCO ARCHELOGICO DELLE TERME EUGANEE
A Montegrotto Terme restano ancora reperti archeologici che testimoniano il ricco passato di quelle terme; merito dell’Università di Padova, della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto e del Comune di Montegrotto che hanno trasformato l'area in zone archeologiche aperte al pubblico, nel progetto Progetto Aquae Patavinae.
L'area archeologica nella via "Viale Stazione", nel centro urbano di Montegrotto Terme, conserva i resti di un complesso monumentale di epoca romana, che comprende un teatro, delle terme e un "ninfeo". Dell'originario complesso termale sono visibili infatti i resti di tre grandi piscine con relativo sistema idrico, di un piccolo teatro, di un edificio a pianta centrale con due absidi laterali e di un altro edificio di più modeste dimensioni.
IL TEATRO |
IL TEATRO
Si tratta di un teatro utilizzato per spettacoli musicali, poetici e successivamente, dopo una ristrutturazione, anche acquatici, composto da un proscenio, un'orchestra, una cavea e un tempio o tribuna.
Il sito è a tutt'oggi oggetto di scavi e studi da parte del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Padova, che ogni anno indaga nuove aree del vastissimo complesso romano.
La "cavea" del teatro (E, che può essere meglio vista dalla strada "Via degli Scavi") ha un diametro di 28 metri e ospita fino a 11 file di sedili, che possono essere raggiunti attraverso tre scale, una centrale e due laterali. L'area di fronte al palco è semicircolare; il boccascena è largo quanto la "cavea" e profondo 5,5 metri.
La "frons scaneae"è composta da due nicchie rettangolari e due semicircolari alternate da tre porte che conducono ad uno spazio largo circa 40 metri.
IL TEMPIO
Sulla cima della "cavea", e sul suo stesso asse, c'era una grande struttura rettangolare che è stata interpretata come una galleria per un pubblico molto importante o come un piccolo tempio.
Si pensa che, più tardi, il tempio sia stato trasformato in una piscina per spettacoli acquatici. Oggi la maggior parte del teatro è visibile solo nelle sue fondamenta, dal momento che i suoi sedili e tutti i rivestimenti sono andati perduti.
Grazie al lavoro di restauro del Comune di Montegrotto Terme si può visitare il luogo di culto, scoperto tra il 1781 e il 1788, dove venne sancita la natura di città d'acque di Montegrotto e Abano Terme.
Nel corso del tempo numerosi oggetti di età pre-protostorica sono emersi casualmente nel territorio comunale di Montegrotto Terme. Tuttavia, trattandosi di materiale sporadico, non è possibile rintracciare l’insediamento nel territorio all’epoca, ma la presenza di reperti attribuibili ad un ampio arco di tempo testimonia l’intensità e la continuità del nucleo abitativo.
Si tratta di numerosi reperti tra cui molti strumenti litici, attribuiti genericamente al Paleolitico Medio e Superiore (130.000 – 10.000 anni fa circa), al Neolitico (VI – IV millennio a.c.) e all’età del Bronzo (II millennio a.c.).
Furono rinvenuti anche vasi protostorici riferibili alle età del Bronzo e del Ferro, cioè al II – I Millennio a.c. – oggi conservati nei Musei Civici agli Eremitani di Padova; alcuni bronzetti votivi e altri reperti dell’età del Ferro (come una paletta di bronzo) uniti agli “ex voto” del santuario posto tra Monte Castello e il Colle di San Pietro Montagnon.
LE TERME
Sembra a che Montegrotto le antiche Terme Romane furono una vera e propria stazione termale, come dimostrano gli scavi romani presenti lungo la via principale della località. Riportati alla luce grazie agli scavi effettuati verso la fine del '700 e più recentemente nel 1960, essi sono parte di un ampio complesso termale della seconda metà del I secolo a.c. che prevedeva oltre a spazi adibiti a cura anche luoghi di svago, intrattenimento e riposo.
Il sito è a tutt'oggi oggetto di scavi e studi da parte del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Padova, che ogni anno indaga nuove aree del vastissimo complesso romano.
Le terme comprendono tre vasche (A, B, C, che possono essere meglio viste dalla strada "Viale Stazione"). La vasca A è lunga circa 30 metri ed è stata interpretata come vasca per l'immersione in acque termali. Ha una forma rettangolare ed è contenuto all'interno di un edificio rettangolare.
La vasca B è anche lunga circa 30 metri e presenta absidi su entrambi i lati corti e una nicchia rettangolare sul lato est. Questa vasca era contenuta in un edificio ed era collegata alla vasca C attraverso le stanze di servizio. Diversamente da quelli precedenti, la vasca C è di forma rotonda e ha un diametro di 9,40 metri.
La scoperta di contrafforti esterni suggerisce che aveva un tetto simile a quello che è stato trovato nella località di Baia, vicino a Napoli. Un sistema di linee logistiche forniva acqua ai bagni termali e ne sosteneva lo scarico.
Infatti, oltre a tre vasche utilizzate per le immersioni e rifornite di acqua grazie ad un sistema di canalizzazione dotato di mulini di sollevamento, emerse un ninfeo (fontana monumentale) e un odeon.
IL NINFEO
Il "ninfeo" (D) è di forma rettangolare con abside su un lato. Ha una fontana nella corte interna e stanze sul suo lato meridionale. L'organizzazione del suo interno ha permesso di interpretare questo spazio come "ninfeo", ovvero una fontana monumentale, con spazi per lo studio e il relax.
LA VILLA
In un'area demaniale sono visibili i resti di una lussuosa villa costruita agli inizi del I secolo d.c., utilizzata e rimaneggiata almeno fino al III - IV secolo d.c. Il principale settore residenziale della villa è protetto con coperture permanenti evocative dei volumi originari. Le imponenti strutture della lussuosa villa realizzata agli si estendono per oltre un ettaro e mezzo.
La villa romana fu eseguita mediante un progetto ingegneristico e architettonico unitario, in cui vennero impiegate maestranze di grande abilità, consapevoli delle risorse per l'edilizia offerte dal territorio e competenti nello sfruttarle adeguatamente.
Nel 1988, in occasione di lavori di aratura, emersero i primi resti archeologici della villa romana. Successivamente, l'allora Soprintendenza Archeologica del Veneto fece eseguire prospezioni con il georadar (1989) e sondaggi di scavo (1989-1992), che dimostrarono la straordinarietà del ritrovamento.
L'area, sottoposta a vincolo (D.M. 26.06.1995), dal 2001 è in concessione all'Università degli Studi di Padova: qui si svolgono campagne annuali di scavo come tirocinio per gli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia e gli studenti di corso di laurea.
L'area termale della villa era degna delle grandi dimore coeve del Lazio o della Campania, sia nella forma dell'architettura che nell'arredo decorativo. Il che presuppone una committenza di altissimo rango, anche se non ne conosciamo assolutamente l'identità.
Le caratteristiche geotecniche del terreno da edificare, di bassura e dunque con forte tendenza all'impaludamento, imposero ai costruttori un preliminare sforzo di livellamento e la successiva bonifica dell'area tramite poderosi riporti di terreno impermeabile e l'escavo di almeno un canale perimetrale.
Tutti gli altri ambienti si disponevano intorno a questa sala secondo una rigorosa simmetria. Di alcuni di essi si conservano le pavimentazioni musive: tappeti di tessere nere bordate da fasce bianche (vani 2, 3, 8) o viceversa (vani 6, 10, 12, 22).
Il mosaico del vano 4 presenta un motivo "a zampe di gallina" bianco su fondo nero e la fascia di bordura, anch'essa bianca, risparmia da un lato una sorta di nicchia, nella quale forse era posto in origine un letto, connotando così la stanza come funzionale al riposo ("cubiculum").
Un pavimento straordinario, oggi purtroppo perduto se non per piccoli lacerti, doveva decorare il vano 5: un altro "opus sectile", stavolta policromo e tutto di lastre di marmo, con un motivo di quadrati e rombi. Anche le pitture e gli stucchi che decoravano le pareti e i soffitti di questa lussuosa dimora si conservano per piccoli frammenti, inclusi nel terreno rimaneggiato in seguito; essi tuttavia sono testimoni da un lato della raffinatezza della scelta decorativa e dall'altro della maestria dei pittori impiegati.
La sequenza di vani simmetrici si affacciava su due corridoi (17a, 18).
Il meridionale (17a) costituisce uno dei quattro bracci di un portico (17a, 17b, 17c, 17d) che delimitava un vasto giardino. Un secondo giardino più grande, animato da vialetti e giochi d'acqua, si sviluppava a sud, oltre un lunghissimo corridoio a nicchie e con fronte porticata (H); su questo si affacciava il secondo quartiere residenziale, che comprendeva almeno una sala da pranzo (E: "triclinium") e un ulteriore vasto ambiente di rappresentanza (G), oltre ad alcuni vani di servizio (C, I, M).
Il recinto del giardino più grande formava a sud un'ampia esedra, al culmine della quale, in perfetta simmetria con la sala 1, si trovava un ambiente (b) il cui ingresso dal giardino doveva essere scandito da colonne. Si ipotizza che questo ambiente fosse funzionale allo svolgimento di un qualche culto privato, come del resto tipico nei giardini ben apparecchiati delle ville romane; tra l'altro, proprio lì vicino, appena fuori del recinto della villa, erano state deposte in una fossa alcune anfore e una brocca coricata, come una sorta di rito di fondazione.
La villa subì alcuni rimaneggiamenti nel II e ancora tra III e IV secolo d.c.; in seguito probabilmente venne abbandonata.
In questo luogo, reso suggestivo da un’illuminazione particolare ed evocativa, sono visibili i resti di un grande complesso termale di età romana (fine del I secolo a.c. - II secolo d.c. circa), scoperto nel 1996 in occasione dei lavori di ampliamento dell’Hotel Terme Neroniane.
Sono riconoscibili un'ampia sala rettangolare absidata, parte del sistema di circolazione idrica, forse un porticato e altri ambienti destinati a uso ricreativo.
Gli imponenti condotti per la circolazione dell'acqua termale, che circondavano l’ambiente principale, erano verosimilmente connessi con una grande piscina rettangolare, rinvenuta più a nord degli edifici visibili e alimentata da una sorgente termale naturale.
Le soluzioni tecniche adottate, la qualità dei materiali impiegati, l’eleganza e la ricchezza dei rivestimenti riconducono a una committenza raffinata e a una classe sociale di alto rango.