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PROVINCIA ROMANA DELLA MAURITANIA

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VOLUBILIS
Il nome Mauritania deriva dalle antiche tribù berbere dei Mauri e dal loro regno, la parte settentrionale della Mauritania, divenne parte della provincia romana della Mauretania nel 33 d.c. I romani chiamavano con il nome Mauri tutti i popoli nativi del Nord Africa.

La mauritania ebbe una colonizzazione prima fenicia e poi punica, ma vi si era sviluppato un regno indigeno dal IV secolo a.c., dalla confederazione di diverse tribù berbere, che prendeva il nome dalla tribù dei Mauri (da cui il nome successivo di Mori in Nordafrica e nella Spagna musulmana).

PROVINCIA DELLA MAURITANIA

LA STORIA

Alla fine del II secolo a.c. la Mauretania venne a contatto con i Romani: il re Bocco sostenne i romani durante la guerra giugurtina, consegnando lui stesso Giugurta ai Romani nel 105 a.c.. Gli successe il figlio, e il regno fu poi suddiviso tra i due suoi figli, la metà orientale retta da Bocco II e la metà occidentale, da Bogud. Durante la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio, Bogud venne cacciato da una rivolta e il suo regno fu incorporato dal fratello.

Il regno di Mauretania venne lasciato in eredità a Bocco II, e alla sua morte nel 33 a.c., ad Ottaviano, il quale institui ben nove colonie lungo le sue coste: a Igilgili, Saldae,Tubusuctu, Rusazu, Rusguniae, Aquae Calidae, Zuccabar, Gunugu e Cartenna. Nel 25 a.c. però poi Augusto preferì ricostituirne un regno cliente, affidandolo a Giuba II, della famiglia reale numida e suo compagno di studi, che era stato allevato a Roma dopo essere stato condotto nella capitale, in seguito alla sconfitta del padre Giuba di Numidia contro Gaio Giulio Cesare a Tapso nel 46 a.c.
La Mauretania restò indipendente fino al 40 d.c. quando avvenne l'annessione sotto Caligola, mentre la costituzione in province, di Mauretania Caesariensis e di Mauretania Tingitana avvenne solo nel 42 al tempo dell'imperatore Claudio. Entrambe furono province imperiali, governate da un procurator Augusti.

A partire dalla Tetrarchia di Diocleziano (293), dalla Mauretania Caesariense venne staccata la piccola regione all'estremità orientale con il nome di Mauretania Sitifense (Mauretania Sitifensis), mentre la Mauretania Tingitana venne annessa alla diocesi della Spagna.

A questo punto il regno di Mauretania (latino: Mauritania), collocato all'estremità occidentale del Nordafrica, ad ovest del regno di Numidia, si estendeva in corrispondenza dell'attuale Marocco e dell'Algeria occidentale, tra il IV secolo a.c. e il I secolo d.c.. Si divideva in:

- Mauretania Sitifense, la parte più orientale, ai confini della Numidia,

- Mauretania Cesariense, situata ad est del fiume Mulucha (oggi Muluya)

- Mauritania Tingitana, a occidente nell'attuale Marocco.

Fu l’imperatore Clau­dio a operare questa divisione nell’anno 44 d.c.: Mauritania Tingitana, conquistata da Caligola nell’anno 42, e Mauritania Cesariana o Cesariense. La prima corrisponde al Marocco, la secon­da all’Algeria. Diocleziano (anno 200 d.c.) divise la seconda e ne creò una terza: Mau­ritania Sitifense, la cui capitale fu la città di Bugia, a est dell’Algeria.

Tra i due imperi di Costantino I (324) e Teodosio I (395), la diocesi delle Spagne fu sottoposta al controllo della Prefettura del pretorio delle Gallie. Il periodo tardo imperiale vide la difesa provinciale affidata ad un Comes Tingitaniae e ad un Dux limitis Mauretaniae Caesariensis, mentre l'amministrazione a tre praeses, di Mauretania Tingitana, Caesariensis e Sitifensis.

La Mauritania Tingitana fece parte della Spagna, quando nel 429 tutto il Nord Africa fu conquistato dai Vandali, fino al 534, anno nel quale passò sotto il potere di Bisanzio.


TRUPPE CAMMELLATE ROMANE

PUBLIO EMILIO CASTRICO SENATORE E CONSOLE

"Il Divino Augusto, Imperatore del Popolo Romano, dopo aver vinto per mare e terra i nemici in tutto il mondo, chiuse il tempio di Giano; dopo aver riformato lo Stato con ottime leggi e sante istituzioni, inviò degli uomini da Roma nella parte più lontana della Mauritania, con il compito di riuscire a scoprire tutti i misteri dell’altissimo monte: ma costoro riferirono più tardi solo cose inutili, tutte inventate, tutte non reali.

Poiché in quel­l’epoca c’era la convinzione che il Monte Atlante, dal momento che era posto all'estremo del mondo, fosse inaccessibile, era chiaramente lecito a ciascuno raccontare le favole che preferiva; ma oggi che è stato scoperto un altro mondo, lontano dall’Eu­ropa e dall'Africa, al di là di quell'Oceano che è navigabile come nessun altro mare in tutta la terra, tutto ciò che prima era misterioso e segreto è stato svelato, e nulla può più sfuggirci.

Se i Romani ebbero qualche sicura notizia su questo monte, ciò avvenne quando D. L. Cesare, che comandava lo Stato Romano, mosse guerra alla Mauritania e la sconfisse: allora, per la prima volta, il Console, i Capi dell’esercito e i Senatori giunsero con grande gloria presso il Monte Atlante. Non molto tempo dopo, il Console Svetonio Paolino, valicato per molte miglia il monte, diede ai Romani notizie finalmente chiare: ma non lasciò, purtroppo, niente di scritto, e nulla lasciarono di scritto neppure i suoi successori. Io esporrò correttamente ciò che ho visto: ciò che ho saputo da testimonianze di uomini illustri, noti per integrità, valore, per profonda erudizione e grande prestigio.

Questi barbari non conoscevano, essendo ormai passati molti secoli, le origini di Roma; agli abitanti delle Coste Atlantiche e di tutta l’Etiopia, ai quali ogni tanto era giunta qualche notizia, è invece noto che l'Impero romano si era impadronito di tutto il mondo, estendendosi non solo in Europa, in Asia e in Africa, ma anche nella stessa Etiopia; è nota da sempre la grandissima e immortale fama degli antichi Consoli e degli Imperatori. Questa era l’iscrizione posta sul monumento:

"Io, P. Emilio Castrico, Senatore e Console, dopo molte cose ben fatte in favore del Senato e del Popolo Romano, ho sofferto l’invidia dei cittadini (danneggia infatti talvolta fare il bene, ma dal bene per nessun motivo si deve mai desistere, anche a costo di sacrifici). Passai nella Mauritania Tingitana, mi fermai su un fianco del Monte Atlante, restaurai un tempio del Dio Apollo, costruii una casa unita al tempio in un luogo con alti alberi e ruscelli; e diventato primo sacerdote del tempio, passai il resto della mia vita vivendo in tranquillità, nell'osservanza del culto e dedicandomi a scrivere.

Voi che, dopo aver compiuto correttamente e con zelo il vostro dovere dovete subire le maldicenze dei vostri concittadini, imparate da me: è meglio infatti vivere lontani dal proprio paese e in solitudine, piuttosto che trovarsi in mezzo a continue dispute della città; ciò è estremamente piacevole, anche se a suo tempo sono stati ricevuti degli onori. Ma io non potei allontanarmi troppo dal mio Paese: se avessi potuto, sarei fuggito molto lontano; ebbi tempo di ordinare di scrivere sul marmo queste cose, dal momento che avevo con me uno scultore
."

Io, P. Emilio Liberto, sono stato lasciato erede di lacrime, perché lo scultore si è allontanato dal tempio di Apollo ed il monumento è rimasto incompiuto; e subentrata la morte di P. Emilio, Primo Sacerdote, in seguito aggiunsi io queste parole: è chiaro che il mio padrone P. Emilio ha sofferto per l’odio di Domiziano Augusto, figlio dell’Imperatore Vespasiano; è chiaro che è fuggito dalla città di Roma perché, per il suo valore, gli era contro tutto il partito politico del Principe. Visse santamente sotto il Monte Atlante, dove morì nel primo anno ( Anno 98 d.c. di regno di Nerva Traiano Imperatore Augu­sto, il giorno tre di giugno).

(Liberto: schiavo liberato di P. Emilio Castrico)

TIPAZA
Questi popoli, dei quali devo ora parlare e che si trovano dietro l’Atlante, vivono da nomadi, com’è antica usanza di quei luoghi, e sono sempre errabondi alla ricerca affannosa di nuove terre. Ma al tempo dell’Impero Romano, quando il Divino Caio Lucio Cesare sottomise la Mauritania Tingitana, furono costretti ad abbandonare questo tipo di vita, ad abitare insieme con gli altri, a sopportare i disagi della vita in comune, e a rimanere in grandi città fortificate.

Frate Consalvo Cassalia dopo aver lasciato dietro di sé la Mauritania, trovò una gran quantità di colonne molto alte, fatte di marmi diversi, sulle quali erano incisi gli editti di molti Imperatori. Uno era questo:

Imperatore Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, Pontefice Massimo, Tribuno per la quinta volta, comandante per la quarta, Padre della Patria. (C. Claudio Nerone Lucio Domizio: imperatore romano. (37-68 d.c.)

Per ordine pubblico, dal confine della Mauritania, provincia cartaginese della Numidia, ho inviato un messaggero fino in Egitto, affinché mettesse in esecuzione il mio ordine, scrivendo ovunque su colonne di marmo:

"Comando ed esigo che tutti i popoli nomadi del deserto, che vanno vagando e si spingono dal monte Atlante fino in Etiopia seguendo le lunghissime linee di confine, e che attraversando una vasta zona di deserto si spostano dall'Oceano al Mare Eritreo, costruiscano villaggi, borghi, fortezze e città, secondo l’usanza dell’Africa e della Libia, e che si comportino come cittadini. In caso contrario, costoro, con mogli, figli e con ogni bene personale, siano catturati e fatti prigionieri, siano scambiati come vili schiavi e cacciati da tutto il Mondo Romano. Comando ed esigo."

In quel luogo c’erano poi molti editti di altri Imperatori, che qui non mi sono preso la cura di trascrivere: ho però voluto riportare anche questa testimonianza dell’Imperatore Vespasia­no, messa in evidenza da una colonna molto alta:

VESPASIANO

VESPASIANO

"Io, Imperatore Cesare Augusto Vespasiano, Pontefice Massimo, Tribu­no per la seconda volta, Generale per la settima, Console per la quarta, designato Padre della Patria.

Volendo provvedere al bene delle nazioni, come è giusto per un Principe messo a capo dell’Impero dei Romani, io rendo noto e ordino a tutti i Proconsoli, Pretori e Propretori che governano la Mauritania, la Numidia, la Libia e l’Africa, in nome dello Stato, di procurare ai popoli del deserto costruttori, falegnami, fabbri, carpentieri e altre persone in grado di fare questi lavori, come architetti e artigiani, perché siano costruite case e uffici pubblici dello Stato, templi, mura e castelli. In caso contrario saranno destituiti dalle loro cariche per opera della stessa magistratura delle Province, o per opera dello stesso Imperatore, qualora giungessero segnalazioni che quanto or­dinato non è stato eseguito. E infatti compito dei Principi Romani provvedere, senza eccezione, a tutto l’Impero
."

Francesco Consalvo Cassalia trovò, nella piazza di una città molto grande e ormai demoli­ta, in un vasto spiazzo, due editti di Imperatori su colonne poste all’ingresso e all’uscita del foro. Queste sono le iscrizioni:

"Io, Imperatore Cesare Traiano Germanico (Ulpio Traiano 53-117 d.c.), imperatore romano di origine iberica, adotta­to da Nerva, figlio del Divino Nerva, vincitore dei Daci, Pontefice Massimo con tribunica potestà per la quinta volta, e Console per la sesta, Padre della Patria.

Poiché mi sta giustamente a cuore il bene pubblico di questo Paese del deserto, e tutto ciò che può portare vantaggio a questa terra, e dal momento che è compito dell’Imperatore dei Romani dare leggi utili a tutto il mondo, con questo editto reso pubblico a tutti i popoli che prima erano nomadi, comando che, se qualcuno è in possesso di un gregge o di armenti, li faccia custodire da servi o da altri assunti a stipendio.

I padroni rimangano invece nelle città o nei castelli: se sarà necessario che greggi e armenti siano custoditi dai padroni, voglio che mogli e figli restino nelle città o nei castelli. In caso contrario, ordino che i loro beni siano confiscati; che essi, le mogli, i figli e i nipoti, siano venduti all’asta sulla pubblica piazza della città e diventino schiavi, che mai possano essere liberati dai loro padroni; e che tutti i loro discendenti rimangano schiavi per cento anni. Ho infatti deciso che cess­i, perché sbagliata, l’abitudine di andare nomadi per tutto il paese."

DJEMILA
C’era, in quella zona, un’altra colonna di Adriano Augusto  (Publio Elio Adriano 76-138 d.c. imperatore romano, cugino e successore.); si leggevano anche molti editti fatti da Principi, riguardanti ponti e territori della regione: non mi sono curato di tra­scriverli, ma ho voluto qui riportare quanto si riferisce all’Impe­ratore Adriano.

"Cesare Imperatore Traiano Adriano Augusto, figlio del Divo Traiano Par­tico, nipote del Divo Nerva, Pontefice Massimo con tribunica Potestà, Con­sole per la terza volta.

Poiché molti non vogliono distaccarsi dalla vecchia consuetudine dei loro Maggiori, ma insistono col vivere nel vagabondaggio dei loro padri ereditato quasi per testamento; e vanno vagando di continuo, attraversando i confini dell’Etiopia con cammelli, cavalli, buoi, carri e tutti i componenti della famiglia; vivono all'aperto ed evitano ogni contatto con le città e rifiutano di abitare nelle città stesse inducendo molti a comportarsi nello stesso modo: così, con un pubblico editto dei Magistrati e un ordine chiaro dei Consoli, questa gente sia deportata in Etiopia.

Io ordino, con incarico ufficiale agli stessi Consoli, Proconsoli, Pretori e Propretori delle Provincie, e a tutti quelli che, in ogni luogo, sono a capo dei popoli, che con scelto drappello muovano subito dall’Etiopia contro di questi: nei limiti del possibile li trovino e li catturino. Nelle piazze delle vicine città, o in luoghi aperti al pubblico, li uccidano in modo che abbiano una morte crudele e terribile. A nessun costo si può infatti tollerare che questa gente torni all'antico modo di vivere."

In tutte le città ci sono simili colonne: poste nelle piazze, agli incroci, nei luoghi aperti al pubblico, e su di esse sono riportati i vari editti degli Imperatori: dobbiamo, a questo punto, sapere perché i popoli della Zona Selvaggia hanno abbandonato le loro città.


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