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IPOGEO DI TREBIO GIUSTO

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L'IPOGEO (FOTO 1)
I proprietari dell'Ipogeo detto di Trebius Iustus, una ricca famiglia di imprenditori, decisero di costruire nella metà del IV secolo d.c.  un cimitero privato in Via Latina, che somiglia, come tipo e posizione sociale alla tomba dei proprietari del vicino cimitero di Via Dino Compagni.

Detta anche Ipogeo di Trebio Giusto, questa fu una piccola catacomba posta sull'antica via Latina, oggi all’incrocio tra via Latina e via Mantellini, nel quartiere Appio-Latino. Posta su un solo piano ha un lungo corridoio su cui si aprono sei stanze e un saloncino.

Fu scoperta nel 1911 ma, trovandosi in una proprietà privata fu espropriata e “riaperta” solo nel 1976, dopo ben 65 anni, uno sconcio.

La catacomba venne scavata interamente nel banco di pozzolana e venne datata ai primi decenni del IV secolo d.c.; all’interno le pareti sono rivestite da laterizi. Dalle scene raffigurate nelle pitture, si può ritenere che Trebio Giusto fosse, oltre ad un ricco proprietario terriero, anche un costruttore edile.

Una cosa che accomuna tutti gli studiosi di questo ipogeo è l’affermazione che non esistono elementi sicuri per dire che la famiglia di Trebio Giusto appartenesse ad una comunità cristiana.

Ma l’importanza di questo ipogeo è data dalle pitture, ancora ben conservate, nelle quali sono ritratti il proprietario del sepolcro, Trebio Giusto, insieme alla moglie, al figlio ed altri personaggi che attendono al lavoro di operai, contadini e pastori.

PADRE MADRE E FIGLIO (FOTO 2)

LA STORIA

Il cimitero sotterraneo fu scoperto casualmente nel marzo 1911, quando il proprietario di un villino decise di far fare dei lavori di verifica della statica della propria abitazione. Così facendo scoprì l'ingresso ad un cubicolo ipogeo che portava ad una camera funeraria totalmente affrescata.

Fu un salvataggio in extremis, perché la costruzione doveva scomparire sotto tonnellate di cemento e mattoni, storia ricorrente e quotidiana in cui proprietari e ambientalisti sono in discussione, ma due anni dopo la scoperta e il primo lavoro di salvataggio, l'ipogeo sembra essere dimenticato.

Fu avvertita la "Pontificia commissione di archeologia sacra", che con i Patti Lateranensi del 1929 aveva competenza su tutte le catacombe presenti nel territorio dello stato italiano, ma alla fine di marzo dello stesso anno il suo segretario, Rudolf Kanzler, ispezionò l'ipogeo ma non vi trovò alcuna traccia di di cristianità, procedendo comunque ad un rilievo foto topografico.

TRASPORTO PRODOTTI AGRICOLI (FOTO 3)
Così nel 1954 la Pontificia Commissione per l'Archeologia Sacra nella persona di Antonio Ferrua è interessata alla tomba, che è già considerata "perduta nell'ultima guerra". Tuttavia, l'interesse non avrà conseguenze più significative quando la natura pagana del monumento è finalmente stabilita.

Se la Commissione pontificia di archeologia sacra, che ha già dovuto purgare mezzo calendario di santi fasulli, e che pertanto è affamata di santi veri. o almeno simil veri, ha accertato che la tomba era pagana, possiamo star tranquilli che di cristiano non c'è traccia, anche se qualcuno ancora non si arrende.

PLANIMETRIA DELL'IPOGEO
Così, terminato il lavoro, il cimitero fu nuovamente chiuso; negli anni successivi nel sopraterra fu edificato l'attuale quartiere (sigh! Quante altre tombe c'erano e sono state spazzate via!), con palazzi e strade.

Solo nel 1976 fu possibile entrare nuovamente nell'ipogeo, questa volta attraverso una botola praticata nel pavimento di un locale a pianterreno della palazzina, che nel frattempo aveva preso il posto del villino del 1911. Anche in questo caso la Sovrintendenza alle Antichità di Roma procedette ad un nuovo rilievo foto topografico, ma poi richiuse la botola e l'ipogeo cadde nuovamente nell'oblio. Una seconda vergogna, ma non per la Sovrintendenza ma per lo stato che non gli finanzia i fondi.

Almeno è possibile trovare la posizione esatta in Via Mantellini 13, dove già all'inizio del secolo, una piccola villa fu costruita dalle indagini in quegli anni. Aveva cambiato varie mani nel tempo e, in un'estensione dell'edificio, persino l'accesso alla tomba era scomparso sotto il pavimento di un bagno non autorizzato.

Passano altri 30 anni prima che sia possibile iniziare una procedura di espropriazione per queste stanze, con la prospettiva di una terza vita per questo ipogeo. Infatti, negli anni '90, l'Autorità dei Monumenti Archeologici di Roma ha accesso alla tomba per una serie di lavori di manutenzione.

Nel 1996 si è entrati per la terza volta nell'ipogeo per eseguire un nuovo sopralluogo ed iniziare il restauro delle strutture e degli affreschi. Alla buon'ora! Attualmente è in corso una causa di esproprio,  (alla buon'ora) e nel frattempo il locale a pianterreno dell'edificio costruito sopra l'ipogeo è oggi preso in affitto dalla Sovrintendenza Archeologica del Lazio. 

TREBIUS IUSTUS ASELLUS (FOTO 4)

DESCRIZIONE

La catacomba è costituita da un corridoio di accesso, un vestibolo e una camera sepolcrale a pianta quadrata coperta da volta a crociera. Sulle pareti laterali sono una serie di loculi, mentre su quella principale si trova un arcosolio.

Anticamente l'accesso avveniva tramite una galleria cimiteriale, lungo la quale in epoche successive furono realizzate alcune semplici tombe ad arcosolio, il cui ingresso non venne mai trovato a causa della franosità del terreno; Il cubicolo posto in fondo alla galleria era perfettamente quadrato con un lato di 2,60 metri.

Dal tipo di pittura l'ipogeo risalirebbe ai primi anni del IV secolo d.c.

- Nella parete principale, in alto, (foto 2) Trebio Giusto è raffigurato seduto con uno sgabello sotto i piedi; al suo fianco, in piedi, si trovano la moglie Honoratia Severina e un uomo, sembrerebbe il figlio, che tendono un drappo sul quale sono alcuni oggetti. L'uomo è seduto perchè è il personaggio più importante, è il pater familias, il capo famiglia. Gli oggetti sono stati interpretati come orecchini, anelli e bracciali. Effettivamente sembrerebbero tali, ma ci lascia un po' interdetti, perchè in una tomba non c'è ragione di esibire gioielli.


Alcuni hanno interpretato la figura centrale come il figlio, ma la figura a lato non ha la barba mentre la porta la figura al centro. Da notare che Trebio padre appare sempre con la barba. Il figlio appare di solito senza barba, d'altronde ha 16 anni. Ma non c'è nulla di certo e la figura centrale potrebbe essere anche il figlio defunto.

Nell’arcosolio è raffigurato con certezza il figlio, Trebio Giusto Asellus, morto in giovane età e circondato da oggetti per scrivere, tipico corredo degli studenti (Foto 4). Ed è senza barba.
Trebio Giusto figlio secondo la scritta è morto a 21 anni, ma è un errore, morì a soli 16 anni, 9 mesi e 25 giorni. Il computo dei mesi e dei giorni suscita un'immensa tenerezza, si contano accuratamente i giorni solo di chi si è amato tanto, oppure è un'usanza.

Dalla scritta apprendiamo i nomi del padre e della madre Horonatia Severina e più sotto la definizione asellae.piae, leggibile sulla parte bassa del cubicolo del figliolo.

TREBIO PARLA CON IL CAPOMASTRO (FOTO 5)
In latino asella ha il significato di asinella, o, hanno scritto alcuni, potrebbe riferirsi ad Asella (una cristiana seguace di S. Girolamo  334 – 405) e la scritta “ASELLAE PIAE” al genitivo significherebbe "della Pia Asella", ma non ha senso perchè sua madre è Honoratia. Oppure significa "le pie asinelle" ma anche qui non se ne comprende il significato, oppure (A SELLAE PIAE) "alle amorevoli sedie" sempre privo di senso.
Ma anche il figlio è chiamato ASELLUS (asinello), e dare dell'asino non era un complimento neppure tra i romani, eppure era il suo soprannome, infatti c'è scritto SIGNO ASELLUS.

Forse da qui è nata la confusione. Sopra il ritratto del defunto c'è la scritta ASELLAE – PIAE – Z...., intrepretabile invece come la trascrizione latina della formula augurale greca “Pie Zeses” (letteralmente bevi, vivrai) dove i due dittonghi “ae” sono un errore dello scriba che ricorre anche nella didascalia dell'arcosolio (nelle parole Saeverina eMaerenti). Questa interpretazione ci sembra di gran lunga la migliore.
TREBIUS IUSTUS ET HONORATIA SEVERINA - Trebio Giusto e Onorazia Severeina
FILIO MAERENTI FECERUNT                              - fecero per il meritevole figlio
TREBIO IUSTO SIGNO ASELLUS                         - Trebio Giusto soprannominato Asinello
QUI VIXIT ANNOS XXI                                          - che visse 21 anni
MESI VII DIIS XXV                                                 - 7 mesi e 24 giorni.

Ai lati dell’ingresso sono raffigurati il trasporto di materiali edilizi e di prodotti agricoli. Qui non si tratta di esibizioni ma del lavoro di Trebio Giusto, che in parte è costruttore e si vale i operai, in parte è coltivatore e si vale di contadini. Infatti nella foto 3 Trebio Giusto si trova tra alcuni contadini che hanno portato entro ceste i prodotti della sua terra.

TREBIO MENTRE FA IL COSTRUTTORE (FOTO 6)
- Nella foto 6, sulla destra delle pareti laterali è rappresentata la costruzione di un edificio, interpretato da alcuni come edificazioni di mura con torri, interpretazione a nostra opinione un po' fantasiosa. Qui un gruppo di operai a lavoro costruisce un edificio, che si intravede tra la vegetazione. 
In una scena di efficace realismo, sono rappresentati mentre trasportano mattoni, salgono su una scala e in cima a un'impalcatura stendono la malta, l'unica rappresentazione nota di un ponteggio di età romana. E' evidente che questo era il mestiere del padre che lo stava insegnando al figlio, che sarebbe diventato anch'egli costruttore.

- Sulla destra Trebio Giusto che parla con un altro personaggio, Generosus magister, probabilmente un capomastro (foto 5).

- Sulla volta della camera sepolcrale, all'interno di un clipeo decorato con fiori e foglie, affiancato da due pecore e con in mano un flauto sta un pastore. Tutt'intorno piante e uccelli. Il pastore ha il bastone e la syrinx in mano, il tipico strumento pastorale a fiato, vale a dire la siringa, lo strumento di Pan, tra due pecore che alzano la testa verso di lui.

La scena non ha nulla di cristiano, anche perchè il pastore, anzi il Buon Pastore prima di essere Cristo era Mercurio e perfino Apollo, e portavano la bestiola sulle spalle. La Chiesa non si è inventato nulla sul Buon Pastore.


LE INTERPRETAZIONI

Le interpretazioni che nel corso dei decenni si sono susseguite sono condizionate dalla non perfetta qualità delle foto e riproduzioni effettuate nel 1911 e dalla mancanza, allora, di accurati restauri: infatti, non potendo penetrare nell’ipogeo, l’unico modo per studiarlo ed interpretarlo era attraverso le foto scattate al momento della sua scoperta.

Il primo che cercò di interpretare le figure e gli affreschi fu Orazio Marucchi nel 1911, poco dopo la scoperta dell’ipogeo, che vide nelle diverse pitture elementi legati alla simbologia gnostica, di cui francamente non scorgiamo nulla.

Per Joseph Wilpert invece si tratta semplicemente di scene di vita quotidiana ed agreste, ma interpreta il pastore della volta come un segno chiaramente cristiano. Con gli stivali, lo strumento a fiato, la veste decorata e il mantello, con tutta la buona volontà, non ha nulla del pastorello arcaico del Cristo.
Negli anni Quaranta del secolo scorso, un altro archeologo, Carlo Cecchelli, interpretò gli affreschi della tomba come appartenenti ad una famiglia di religione sincretista: non più pagana cioè, ma non ancora completamente cristiana. Ma di cristiano non c'è nulla, lo riconobbe persino il messo del Vaticano.

E' vero che non c'è neppure nulla di pagano, o quasi nulla, perchè i genietti all'inizio sono pagani, ma è come la tomba del fornaio o del calzolaio, i romani erano fieri del loro mestiere e stop, per il resto accettavano tranquillamente la loro morte (teniamo presente che le tombe le facevano da vivi) senza tante paure o raccomandazioni agli Dei.
Oggi l'ipogeo è ben nascosto da una botola al pianterreno di un edificio degli anni '70 nel quartiere Appio Latino, che ha preso il posto del vecchio villino, in via Martellini al civico 13. Naturalmente non è visitabile.




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