Battaglia di Gergovia 52 a.c.
Comandanti
- Gaio Giulio Cesare - (Effettivi 6 legioni 60.000 armati. Perdite: alcune coorti)
- Vercingetorige
«Caesar ex eo loco quintis castris Gergoviam pervenit»
(Cesare, Commentarii de bello Gallico, VII, 36)
La battaglia di Gergovia fu un episodio della Conquista della Gallia da parte della Repubblica romana: la battaglia si svolse nell'anno 52 a.c. tra l'esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare e l'esercito gallico di Vercingetorige, che inflisse una sconfitta ai Romani.
Giulio Cesare arrivò in Gallia nel 58 a.c., dopo il consolato dell'anno precedente. Era, infatti, consuetudine che i consoli, gli ufficiali più elevati in grado di Roma, alla fine del loro mandato fossero nominati governatori in una delle province dal Senato romano. Grazie agli accordi del I triumvirato (alleanza politica con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso), Cesare fu nominato governatore della Gallia cisalpina (la regione fra le Alpi, gli Appennini, l'Adriatico), dell'Illirico e della Gallia Narbonense.
GAIO GIULIO CESARE |
LA PERSONALITA' DI CESARE
Cesare conosce benissimo le sue immense potenzialità, è uno stratega fantastico, ha un'immaginazione senza limiti, una mente mobile come pochi, sa scegliere le persone e sa quali compiti affidargli. Le sue strategie non si somigliano mai, rendendo al nemico imprevedibili i suoi movimenti. E' colto e arguto, ma sa trattare benissimo con i semplici. Ha un fiuto stupendo per i percorsi in luoghi mai visitati, legge nell'animo delle persone, e sa come rapportarsi a loro. E' autorevole ma con grande semplicità.
Gli altri riconoscono immediatamente la sua superiorità mentale e gli si affidano. Cesare è ambizioso di gloria, è vissuto da bambino con l'insegnamento di suo zio, il grande Caio Mario, uomo del popolo a cui i senatori patrizi dovevano sempre rivolgersi, loro malgrado, per salvare le situazioni. E' un generale fantastico, nella strategia e nell'addestramento dei suoi uomini, il popolo lo adora.
Mario se l'è portato nella palestra e gli ha insegnato a combattere, Cesare è il figlio che avrebbe voluto avere, è solo suo nipote ma non appena crescerà se lo porterà in battaglia. Anche Mario è conoscitore di animi e capisce che quel nipote ha un talento speciale. Purtroppo non potrà farlo perchè morirà quando Cesare ha 14 anni e a sedici anni perderà anche il padre, ora poteva contare solo su se stesso.
Ora Cesare, con la scusa di dover impedire che il popolo degli Elvezi attraversi la Gallia e si stabilisca in una posizione pericolosa per Roma, ad occidente dei suoi possedimenti della provincia Narbonense, comincia ad attaccare queste tribù che per secoli avevano costituito il "Metus Gallicus", il terrore che i romani avevano di essere attaccati dai Galli. Del resto queste popolazioni facevano continue incursioni oltre confini, razziando bestiame e viveri, stuprando le donne e uccidendo chi gli si opponeva e pure chi non gli si opponeva, bambini compresi.
Cesare sconfigge una ad una tutte le popolazioni della Gallia, a cominciare dalla Gallia Belgica, per passare a quelle della costa atlantica, fino all'Aquitania.
Sconfigge inoltre le popolazioni germaniche di Ariovisto nell'Alsazia, passa il Reno per due volte, nel 55 e 53 a.c.; e primo tra i Romani, conduce due spedizioni contro i Britanni oltre La Manica nel 55 e 54 a.c.
IL PRELUDIO
Le agitazioni in Gallia non erano ancora finite con l'inverno del 53-52 a.c., benché Cesare fosse tornato per l'inverno a svolgere le normali pratiche amministrative nella Gallia cisalpina, ed a controllare più da vicino quanto accadeva a Roma in sua assenza.
La situazione era precipitata, i galli si erano uniti in una coalizione che si manifestò quando i Carnuti uccisero tutti i coloni romani nella città di Cenabum (moderna Orléans). Questo scoppio di violenza fu seguito dal massacro di altri cittadini romani, mercanti e coloni, nelle principali città galliche. Venutone a conoscenza, Cesare radunò rapidamente alcune coorti che aveva reclutato nel corso dell'inverno ad integrazione dell'esercito lasciato a svernare in Gallia ed attraversò le Alpi, ancora coperte di neve. Cesare non ha regole, combatte d'estate e d'inverno, di giorno e di notte, è imprevedibile.
Con la sua proverbiale rapidità Cesare guida le corti fino al ricongiungimento con le truppe lasciate nel cuore della Gallia, ad Agendico. I successi militari si susseguono comportando l'occupazione delle città di:
Vellaunodunum (dei Senoni),
Cenabum (capitale dei Carnuti),
Noviodunum
Avaricum (capitale dei Biturigi),
Cesare è deciso a portare a termine la campagna di quell'anno, con la sottomissione definitiva delle popolazioni dell'intera Gallia.
CARTINA DELLA BATTAGLIA (INGRANDIBILE) |
Giuntagli la notizia dell'avanzata di Cesare, Vercingetorige, interrotti tutti i ponti di quel fiume, si pone in marcia lungo la sponda opposta.
«I due eserciti rimanevano l'uno al cospetto dell'altro, ponevano i campi quasi dirimpetto. La sorveglianza degli esploratori nemici impediva ai Romani di costruire in qualche luogo un ponte per varcare il fiume. Cesare correva il rischio di rimanere bloccato dal fiume per la maggior parte dell'estate, in quanto l'Allier non consente con facilità il guado prima dell'autunno. Così, per evitare tale evenienza, pose il campo in una zona boscosa, dinnanzi a uno dei ponti distrutti da Vercingetorige; il giorno seguente si tenne nascosto con due legioni.
Le altre truppe, con tutte le salmerie, ripresero il cammino secondo il solito, ma alcune coorti vennero frazionate perché sembrasse inalterato il numero delle legioni. Ad esse comandò di protrarre la marcia il più possibile: a tarda ora, supponendo che le legioni si fossero accampate, intraprese la ricostruzione del ponte, utilizzando gli stessi piloni rimasti intatti nella parte inferiore. L'opera venne rapidamente realizzata e le legioni furono condotte sull'altra sponda. Scelse una zona adatta all'accampamento e richiamò le rimanenti truppe.»
(Cesare, De bello Gallico, VII, 35)
E così Vercingetorige è costretto a precederlo fino a Gergovia a marce forzate, mentre Cesare raggiunge la capitale degli Arverni nella quinta giornata di viaggio. In quel giorno deve sostenere un piccolo combattimento tra le cavallerie ed osserva la posizione della città, posta sopra un monte molto alto, di difficile accesso da tutte le parti.
"Il proconsole romano, per prima cosa, reputò necessario procurarsi le necessarie provviste prima di darne l'assalto, e comunque di porre il proprio campo ai piedi della rocca. Vercingetorige, che lo aveva preceduto, si era già installato sullo stesso monte presso la città, avendo inoltre occupato con le milizie di ogni altra nazione gallica, tutte le cime della catena intorno all'oppidum arverno."
Forze in campo:
- Gaio Giulio Cesare si apprestò ad assediare la capitale degli Arverni con sei legioni:
la VI, VIII, IX, X, XIII e XIIII.
- Vercingetorige deve essere stato in possesso di 60/80.000 armati come suggerirebbe il confronto tra due passi del De bello Gallico.
L'ASSEDIO
Non passa giorno che Vercingetorige non provochi i Romani con scontri di cavalleria, ma pure con gli arcieri. Poco distante dal grande campo di Cesare, c'è una collina ben munita, ai piedi della rocca, ed occupata con un consistente presidio di Galli. Il generale romano ritiene che occuparla faciliterebbe l'assalto a Gergovia, ma soprattutto priverebbe il nemico dell'approvvigionamento di gran parte dell'acqua e della possibilità di foraggiare liberamente.
Così una notte, Cesare uscito dal campo in silenzio, prima che possano giungere i soccorsi dalla città, riusce a cacciare il presidio gallico e vi pone a difesa due legioni. Poi fa scavare una doppia fossa, larga dodici piedi, che congiungeva il campo maggiore con il minore, in modo da costituire un camminamento protetto per i soldati che si spostano da un campo all'altro, contro eventuali assalti del nemico.
Però mentre Cesare si trova a Gergovia, il capo degli Edui, Convictolitave, al quale poco prima aveva assegnato la magistratura suprema, si ribella all'alleato romano, sobillato dagli Arverni, dopo aver fatto credere ai suoi sudditi che alcuni dei loro capi siano stati uccisi a tradimento dallo stesso Cesare.
Convictolitave fa trucidare alcuni cittadini romani dopo averli spogliati dei loro beni, inviando poco dopo un certo Litavicco, alla testa di 10 000 armati, ad unirsi alle forze galliche insorte di Vercingetorige.
Eporedorige e Viridomaro, due dei più prestigiosi capi Edui, ora creduti morti, si trovavano a fianco di Cesare nel difficile assedio. Conosciuti i fatti, pregano il generale romano di:
« non permettere agli Edui di venir meno all'alleanza con il popolo romano per colpa dei perfidi piani di alcuni giovani, lo prega di tener conto delle conseguenze, se tante migliaia di uomini si fossero unite ai nemici»
(Cesare, De bello Gallico, VII, 39.)
Cesare non perde tempo e marcia con quattro legioni verso la colonna degli Edui distante solo 25 miglia, dopo aver lasciato al campo base le restanti due legioni ed il legato Gaio Fabio. Giunti in vista dell'esercito Eduo, il proconsole invia proprio Eporedorige e Viridomaro, che gli Edui credevano morti, per smascherare l'inganno di Litavicco. Quest'ultimo, prima di poter essere scoperto, fugge e si rifugia a Gergovia.
Cesare deve perdonare l'intera nazione degli Edui, per evitare di aprire un nuovo fronte di guerra, tanto più che deve rientrare al campo base presso Gergovia sotto attacco nemico. E' solo grazie al suo provvidenziale intervento che le due legioni rimaste a guardia dei bagagli, vengono salvate dal costante assedio operato dalle truppe galliche di Vercingetorige fin dalla partenza di Cesare.
LA SCONFITTA
Cesare, recatosi ad ispezionare il campo minore, si accorge che la collina occupata dai Galli di fronte alla capitale degli Arverni, è del tutto libera dagli uomini, contrariamente ai giorni precedenti. Decide allora di occupare quel colle in modo da bloccare ogni via di vettovagliamento a Vercingetorige ed al suo esercito.
Dalla mezzanotte successiva fino all'alba, Cesare invia tra i colli vicini alcuni reparti di cavalleria con bagagli e muli, simulando possibili azioni di attacco da più parti, sapendo che da Gergovia non si poteva riconoscere che cosa realmente accadesse, per la grande distanza. Contemporaneamente invia una legione lungo il crinale occidentale ai piedi della città, in posizione boscosa e quindi nascosta, mentre la cavalleria degli Edui è pronta ad attaccare sul fianco destro lungo un'altra salita.
«Le mura della città distavano dalla pianura e dall'inizio della salita milleduecento passi in linea retta, se non ci fosse stata di mezzo nessuna tortuosità. E tutte le curve che si aggiungevano per attenuare la salita, aumentavano la distanza. Sul colle, a mezza altezza, i Galli avevano costruito in senso longitudinale un muro di grosse pietre, alto sei piedi, che assecondava la natura del monte e aveva lo scopo di frenare l'assalto dei nostri.
Tutta la zona sottostante era stata evacuata, mentre nella parte superiore, fin sotto le mura della città, i Galli avevano posto fittissime le tende del loro campo. Al segnale i legionari raggiungono rapidamente il muro, lo superano e conquistano tre accampamenti. L'azione fu così rapida, che Teutomato, re dei Nitiobrogi, sorpreso ancora nella tenda durante il riposo pomeridiano, a stento riuscì a sfuggire ai nostri in cerca di bottino, mezzo nudo, dopo che anche il suo cavallo era stato colpito.»
(Cesare, De bello Gallico, VII, 46.)
Cesare ordina il rientro delle truppe al campo base, mentre la legione X, che è con lui, si ferma per coprirne la ritirata. Qualcosa però non funziona e molti dei legionari continuano la loro avanzata. «Trascinati, però, dalla speranza di una rapida vittoria, dalla fuga dei nemici e dai successi precedenti, pensarono che non vi fosse impresa impossibile per il loro valore. Così, non cessarono l'inseguimento finché non ebbero raggiunto le mura e le porte della città.»
(Cesare, De bello Gallico, VII, 47.)
La reazione dei Galli, per il timore di essere massacrati come ad Avarico, è immediata. Dopo essersi, precipitati fuori dalle porte della città, mentre le donne gettavano dalle mura indumenti ed argenti supplicando i Romani di risparmiarle insieme ai loro figli, riescono a respingere gli attacchi della legio VIII. La ritirata dei Romani è disastrosa. Cesare deve intervenire con la legio X, dopo che la cavalleria degli Edui, intervenendo sul fianco destro, non viene riconosciuta dai Romani dell'VIII legione, temendo di essere ingannati e circondati.
Anche il legato Tito Sestio, che si trovava presso il campo minore, esce insieme alle coorti della legio XIII e legio VIII (quest'ultima comandata dal centurione Marco Petreio Cesariano), per frenare i Galli che inseguono i Romani. Al termine dello scontro, risultano uccisi quasi 700 legionari e ben 46 centurioni.
Il giorno seguente Cesare, convocato l'intero esercito in assemblea, rimprovera la temerarietà, la cupidigia, la sfrenatezza ed indisciplina dei suoi legionari, che non si sono arrestati al segnale della ritirata e nemmeno poterono trattenerli i tribuni militari e i legati. Cesare spiega che ha dovuto abbandonare una vittoria certa, avendo sorpreso il nemico senza comandante e senza cavalleria, per coprire una ritirata nella quale ha perduto quasi due coorti di armati.
Ricordò loro che è suo compito stabilire la tattica in battaglia e portare a termine l'operazione. Non tollererà alcuna azione di indisciplina in futuro. Poi rincuora gli animi della sua armata, e dispone che, affinché non si scoraggino ed attribuiscano al valore del nemico ciò che è dipeso dalla posizione sfavorevole, le legioni si schierino in ordine di battaglia di fronte al campo romano.
E così fa anche il giorno successivo, ma poiché Vercingetorige non scende per accettare battaglia, certamente per il timore della superiore tattica bellica, Cesare muove il campo in direzione del paese degli Edui, dove si profila una nuova rivolta ai suoi danni. Vercingetorige non lo insegue e rimane arroccato dentro Gergovia.
Cesare non fu sconfitto dal nemico, ma dovette desistere dall'assedio e cercare un nuovo campo di combattimento, ma per lui fu una sconfitta. Ma già si profilava la battaglia di Alesia.