DIONISO BARBATO |
Di questa storia ne rimane memoria nella relazione dell’illustre archeologo britannico Bernard Ashmole che ricordava come lo stesso Paribeni , Soprintendente Regio alle Antichità, gli avesse mostrato la statua priva del capo appena recuperata con un sequestro dopo un tentativo di vendita clandestina. Durante gli stessi scavi sappiamo anche che vennero rinvenuti, oltre ad un’altra statua conosciuta come la Peplophoros, anche i resti di un antico basolato di strada romana.
E’ sempre contemporanea a questi fatti la notizia che vennero venduti al mercato clandestino inglese le due parti del capo mancate del Dioniso. Della parte posteriore se ne sono perse le tracce, mentre di quella anteriore sappiamo che già nel 1930 lo stesso Ashmole ne aveva riconosciuto la pertinenza con la statua di Palazzo Massimo grazie ad un calco che il soprintendente Aurigemma ne aveva preventivamente curato. E’ molto probabile che questo importante frammento, passato poi all’Ashmolean Museum di Oxford come donazione dei coniugi Beazley, facesse parte di una collezione privata ( Warren collection N° 100).
Singolare invece la storia legata alla restante parte della statua, meglio conosciuta come Dioniso Sardanapalo, già restaurata della testa mancante dallo scultore Giuseppe Tonnini prima del 1943 prendendo a modello la statua dei Musei Vaticani rinvenuta nel 1761 a Monte Porzio Catone.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel gennaio del 1944,su ordine di Hitler, la statua, già promessa da Mussolini al dottor George Lǖttke per le celebrazioni del centenario della nascita di Nietzsche (Cercherò la scultura greca da mettere nell’abside dell’Archivio di Nietzsche. Sarà il mio omaggio all’autore di “Also sprach Zarathustra”).
Da una lettera del Duce ricevuta dal dottor Lǖttke il 6 luglio 1942),fu prelevata dal museo di Roma dallo stesso generale Kesserling e trasferita in treno a Weimar in Germania. Nel 1954 la statua passò poi a Berlino ed esposta nel Pergamon museum fino al dicembre del 1991, quando grazie al sapiente lavoro di studio e di diplomazia del Soprintendente Adriano La Regina (Grande Adriano), quest’opera è stata riconsegnata e ricollocata nel museo di origine a Roma.
Per quel che riguarda il frammento della testa originale ancora oggi nell’Ashmolean Museum di Oxoford, sebbene sia stata già presentata una formale richiesta di restituzione, dovremo ancora aspettare.
(Marco Bellitto)
Gli antichi romani, quelli monarchici per intenderci, non si radevano, ma curavano le barbe per non lasciarle troppo lunghe. Varrone e Aulo Gellio infatti osservano come lunghe barbe e lunghe capigliature nelle statue sono indizio sicuro di antichità.
(Marco Bellitto)
Gli antichi romani, quelli monarchici per intenderci, non si radevano, ma curavano le barbe per non lasciarle troppo lunghe. Varrone e Aulo Gellio infatti osservano come lunghe barbe e lunghe capigliature nelle statue sono indizio sicuro di antichità.
Nel 299 a.c. Publio Ticino Menea (o Menas) introduce, per primo, i barbitonsori a Roma, conducendo dalla Sicilia una truppa di barbieri (Varrone, De re rustica, II, 11, 10), segno che in Sicilia la nuova moda è già propagata.
I romani, grandi guerrieri, pensano che con barba e capelli corti non possono essere afferrati dai nemici attraverso questi, inoltre è più igienico, e, ragione non ultima, li distingue dai nemici che diventano "barbari" (non per la balbuzie come qualcuno sostiene ma proprio per la barba)
Si tratta di una divinità completamente sconosciuta agli esperti. “È chiaramente un dio, ma al momento è difficile dire di chi esattamente si tratta”, ha confessato a Live Science Micheal Blömer, archeologo dell’Università di Muenster, Germania, impegnato nel sito.
Il rilievo era inglobato in un muro di sostegno realizzato successivamente per l’edificazione di un monastero cristiano medievale.
La barba veniva poi avvolta in un candido panno e portata solennemente al tempio della Dea Iuventas
dove veniva bruciata ritualmente, si deve a Nerone l’istituzione dei Giovenali o Juvenalia, giochi della gioventù dedicati alla suddetta divinità alla quale si offrivano i peli del viso dei giovani in procinto di diventare ufficialmente cittadini romani.
Stranamente gli antichi Dei erano sempre barbuti, vedi Dioniso e vedi Mercurio, o Saturno, o Nettuno, o Marte, o Ade, per non parlare di Giove. Avere barbe e capelli fluenti era segno di autorità e potere, soprattutto nell'antica Grecia, ma Roma seguì soprattutto la moda di Alessandro Magno che si radeva ogni giorno, copiato poi dal suo esercito.
Pertanto mentre il potente era barbuto, l'eroe non lo era. Al momento della prima tonsura i giovani patrizi dovevano lasciare della toga pretesta (quella indossata dai magistrati curuli che li rendevano intoccabili, pena la morte), insieme alla bulla d'oro che rendeva anch'essa i bambini sacri (usanza presa dai sabini), per offrirla ai Dei lari della propria famiglia, andando appunto ad ornare il larario familiare.
DIONISO SARDANAPALO |
CONFONDE GLI ESPERTI
"Una scultura raffigurante una misteriosa divinità romana, mai osservata prima d’ora, è stata rinvenuta durante gli scavi di un tempio romano in Turchia del I secolo a.c.
"Una scultura raffigurante una misteriosa divinità romana, mai osservata prima d’ora, è stata rinvenuta durante gli scavi di un tempio romano in Turchia del I secolo a.c.
L’immagine di un enigmatico Dio barbuto che emerge da quella che sembra una pianta o un fiore è stata scoperta durante gli scavi di un tempio romano del I secolo a.c. in Turchia, nei pressi del confine con la Siria.
Si tratta di una divinità completamente sconosciuta agli esperti. “È chiaramente un dio, ma al momento è difficile dire di chi esattamente si tratta”, ha confessato a Live Science Micheal Blömer, archeologo dell’Università di Muenster, Germania, impegnato nel sito.
Il rilievo era inglobato in un muro di sostegno realizzato successivamente per l’edificazione di un monastero cristiano medievale.
'Ci sono alcuni elementi che ricordano le antiche divinità del Vicino Oriente, quindi potrebbe essere una divinità più antica del pantheon romano', continua Blömer.
L’archeologo tedesco non è il solo ad essere confuso; più di una dozzina di esperti contattai da Live Science non hanno idea a quale divinità appartenga l’immagine scoperta in Turchia."
IL DIO VEGETAZIONE ANNUALE
Chiunque sia, sembra si tratti di una divinità della vegetazione annuale, quindi un Dio della crescita, come in fondo doveva essere il Dio romano Barbatus, Dio romano protettore dei giovani che passavano dalla pubertà alla giovinezza, ai quali faceva comparire la prima barba.
Non per nulla veniva invocato durante la prima rasatura, che i romani facevano usando un rasoio affilato con cura. In genere era il padre che aiutava il figlio, ma solo nei consigli e nell'incoraggiamento ad effettuare accuratamente questa delicata operazione.
dove veniva bruciata ritualmente, si deve a Nerone l’istituzione dei Giovenali o Juvenalia, giochi della gioventù dedicati alla suddetta divinità alla quale si offrivano i peli del viso dei giovani in procinto di diventare ufficialmente cittadini romani.
Il Dio rinvenuto in Turchia sboccia con molta evidenza da una pianta poggiandosi ad una o due piante, come stesse cercando di liberarsi dal vegetale che lo tiene, e la presenza di un serpente al suo fianco lo denota ancor più come figlio della terra, ovvero della Dea Tellus, o Gaia che dir si voglia.
Ai suoi piedi un fiore enorme ha disteso i suoi petali in tutta la sua bellezza. Il figlio della Grande Madre è cresciuto, è diventato un uomo e si accoppierà con la sua stessa madre, come usava a volte nelle antiche religioni della Grande Madre.
GLI DEI BARBUTI
Quando Giove diventò il re degli Dei, molti Dei si rasarono, vedi Dioniso, Mercurio, Apollo e perfino Marte (ma non sempre), a significare che l'autorità massima fosse Giove. Facevano eccezione Plutone e Nettuno perchè erano aldifuori del mondo di Giove, governando l'Ade e il mare.
HERMES BARBUTO |
I romani fissarono l’età adulta tra i quindici e i diciassette anni per i giovani ragazzi, facendo seguire l'evento da cerimonie e feste, nonchè di un ricco banchetto, al termine del quale si donava al giovane patrizio la veste virile. Poi si andava ai templi a fare dei sacrifici e gli si tagliavano i capelli: una parte si gettava nel fuoco in onore di Apollo, una parte si gettava nell’acqua in onore di Nettuno.
I giovinetti assumevano invece la toga virilis (di colore bianco ma non candido come quella dei "candidati"), il vestimento che chiudeva cerimonia chiamata tirocinium (tirocinio); Lo stesso giorno in cui il giovinetto diveniva adulto la sua famiglia lo accompagnava al Campidoglio e al Foro e successivamente veniva iscritto sul registro dei cittadini romani, mentre il padre offriva una moneta alla Dea Juventa.
Un altro tempio a cui si poteva rivolgere una preghiera di protezione accompagnata da un'offerta era Fortuna Barbata uno dei tanti volti della Fortuna romana che accompagnava i giovani fino all'apparizione dei primi peli.
Una divinità analoga nell'accompagnare i ragazzi ai primi peli della barba era la Venere calva, che sarebbe stata venerata sotto il regno di Anco Marzio; ma sembra che questo culto, celebrato dalle matrone romane, si rifaccia a una statua di Venere Calva eretta all'inizio del IV sec. a.c. per commemorare il sacrificio delle Romane che avrebbero tagliato la loro capigliatura per confezionare delle funi, nel corso dell'assedio di Roma da parte dei Galli.
SANTO BARBATO
Al Dio Barbato la chiesa contrappose San Barbato, un vescovo cattolico che convertì molti Longobardi al Cristianesimo, in quanto benché fossero battezzati adoravano ancora gli idoli come la vipera d'oro e gli alberi sacri.
SANTO BARBATO
Al Dio Barbato la chiesa contrappose San Barbato, un vescovo cattolico che convertì molti Longobardi al Cristianesimo, in quanto benché fossero battezzati adoravano ancora gli idoli come la vipera d'oro e gli alberi sacri.
Nel luogo dove fu tagliato il noce delle streghe (in realtà il culto di Diana Caria a cui era sacro l'albero del noce), il Santo fece erigere un tempio con il nome di S. Maria in Voto.
La vipera d'oro era in realtà l'anfesibena o anfisbena, un mitico serpente a due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade.
Secondo il mito greco, l'anfisbena fu generata dal sangue uscito dalla testa di Medusa quando Perseo volò sul deserto libico, ma il simbolo è molto arcaico
Viene citata da Marco Anneo Lucano e Plinio il Vecchio. Il nome deriva dal latino "amphisbaena", dal greco ἀμϕίσβαινα, composto di ἀμϕι «anfi» e βαίνω «andare», il che significa "che va in due direzioni".
Viene citata da Marco Anneo Lucano e Plinio il Vecchio. Il nome deriva dal latino "amphisbaena", dal greco ἀμϕίσβαινα, composto di ἀμϕι «anfi» e βαίνω «andare», il che significa "che va in due direzioni".
E' il simbolo della Madre Terra, cioè della Natura che va nelle due direzioni, cioè verso la vita e verso la morte, dove tutto nasce, cresce, muore e risorge attraverso una reincarnazione.