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BACCANTI - MENADI

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LE MENADI

Le menadi, dette anche Baccanti, Tiadi o Mimallonidi, furono donne reali anche se in parte mitizzate (negativamente) che vestite con pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, presero le strade dei monti abbandonando case e talami per celebrare il Dio Dioniso, il liberatore. Tutto questo accadde all'incirca nel VI V sec. a.c., quando le donne greche vennero coperte dai capelli ai piedi e rinchiuse  nelle galere dei ginecei. Di galera si trattava perchè non potevano uscire neppure per fare la spesa.

Però uno spirito libero ancora era conservato se al richiamo del Dio le greche ebbero il coraggio di abbandonare mariti e figli per fuggire sui monti. Perchè le antiche greche gareggiavano nude nelle palestre, vestivano con la veste corta e un'unica spallina come Diana e un tempo avevano diritto al voto, tanto è vero che furono le donne a decretare col loro voto che il Partenone dovesse essere dedicato ad Athena anzichè a Nettuno, come gli uomini desideravano.

BACCANTE
"Ma voi che avete lasciato il Tmolo, che protegge la Lidia, voi, donne del mio corteo che ho condotto via dai barbari, compagne della mia quiete e del mio viaggio, brandite i timpani della terra frigia, invenzione mia e di Rea, la grande Madre. Affollatevi intorno alla reggia di Penteo; percuoteteli questi strumenti, perché la città venga a guardarci. Io me ne vado ora a raggiungere le Baccanti sui pendii del Citerone, mi unirò alle loro danze"

Le Baccanti è una tragedia di Euripide, scritta alla corte di Archelao, re di Macedonia, tra il 407 ed il 406 a.c. Euripide morì pochi mesi dopo averla completata e l'opera fu rappresentata ad Atene pochi anni dopo, in una trilogia che comprendeva anche Alcmeone a Corinto (oggi perduta) e Ifigenia in Aulide. Tale trilogia di opere fruttò all'autore una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.

Nell'iconografia classica le menadi vengono raffigurate come l'oggetto del desiderio dei satiri tra le braccia dei quali vengono spesso raffigurate. Come le ninfe e i satiri esse sono una personificazione della natura, quindi un inno all'istinto, alla vita e alla proliferazione. Come donne ne seguivano i medesimi impulsi naturali, erano libere.



IL RACCONTO

Dioniso, dio del vino, del teatro e del piacere, era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna e il nipote Penteo (re di Tebe) per invidia sparsero la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele e un uomo mortale, negando quindi la natura divina di Dioniso.
Nel prologo della tragedia, Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere Tebe di essere un dio e non un uomo, e per questo ha generato una follia in tutte le donne tebane, che sono fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso stesso divenendo Baccanti.
Penteo non è covinto e pensa che Dioniso sia un demone che ha ideato una trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e di fargli riconoscere Dioniso come un dio, perchè Penteo fa arrestare Dioniso che scatena un terremoto e si libera.

Nel frattempo sul monte Citerone le donne che compiono i riti fanno sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e nel furore dionisiaco hanno squartato una mandria di mucche, devastato dei villaggi, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso convince allora Penteo a mascherarsi da donna per spiare le Baccanti, ma giunti sul Citerone, il Dio gli aizza contro le Baccanti. Queste sradicano l'albero su cui si era nascosto e fanno a pezzi Penteo, e la prima ad avventarsi su di lui e a spezzargli un braccio è Agave, la madre stessa di Penteo.

Questi fatti vengono narrati a Cadmo da un messaggero che ha assistito alla scena. Poi arriva Agave, con un bastone su cui è infilata la testa di Penteo che lei  crede una testa di leone. Cadmo fa rinsavire Agave, che si accorge con orrore di ciò che ha fatto. Riappare allora Dioniso che spiega di aver voluto punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave all'esilio. Con l'immagine di Cadmo e Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda.

Nell'opera Dioniso appare crudele e le Baccanti violente, per questo alcuni vi vedono un poema antireligioso  e Cadmo commenta: «non è bene che gli dei rivaleggino nell'ira con gli uomini».
Il filosofo Platone, nel Fedro, afferma che la follia è superiore alla sapienza, poiché quest’ultima è di origine umana, mentre la prima è di origine divina, ed è appunto quella iniziatica, riconducibile al dio Dioniso, ovvero ai suoi misteri.
Ora le Baccanti sono animate da forza sovrumana e bestiale, come quando assalgono paesi o squartano vivi uomini e animali, il che è ovviamente inverosimile persino se si trattasse di uomini. Il mito deve mettere le donne sotto l'aspetto peggiore, hanno una forza assolutamente sovumana, lanciano in alto i vitelli e poi li fanno a pezzi a mani nude, insomma per farne dei mostri devono inventare cose assurde. Però fanno sgorgare fonti di acqua, di vino e di miele, i miracoli di ogni religione, da Apollo a Bernadette. Peraltro appaiono portatrici di un tipo di società alternativa,  a diretto contatto con la natura, in cui la donna dimentica la sua vita cittadina, arrivando ad allattare cuccioli di animali.

Qui la follia diventa un mezzo per uscire dagli schemi cui i maschi l'hanno obbligate, raggiungere la conoscenza diretta del Dio nel proprio corpo cioè nell'istinto, e, quindi, una maggiore consapevolezza di sé. Questa è la Conoscenza per Essenza, mentre l'altra è la Conoscenza Mentale, che descrive ma non sa. Come scrissero gli Alchimisti, un conto è descrivere e un conto è assaggiare la mela.

« Beato chi, protetto dagli dei, conoscendo i misteri divini conduce una vita pura e confonde nel tiaso l'anima, posseduto da Bacco sui monti tra sacre cerimonie.» scrive Euripide e le sue Baccanti aggiungono « Non è sapienza il sapere, l'avere pensieri superiori all'umano. Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente. Costumi stolti di uomini dissennati stiano lontani da me. » (vv. 395-402)

"Beato chi riceve la grazia
di entrare nei divini misteri:
santifica la vita,
consacra l'anima nel tìaso,
e pio si purifica,
celebra sui monti
Bacco
e i riti della
gran madre Cibele;
scuotendo alto il tirso,
il capo cinto d'edera,
si fa ministro di Diòniso.
Andate, andate, Baccanti,
riconducete dai monti di Frigia
alle ampie contrade dell'Ellade
Diòniso, il figlio di un dio,
Diòniso,
il dio Bromio."


Le Baccanti, o Menadi, o Bassaridi, esisterono riunite in gruppi, i tiasi, vestite con pelli animali, con in testa corone improvvisate di edera ma anche di quercia o abete, a seconda delle zone, agitando il tirso, cioè una picca avviluppata dall'edera sulla sommità. Secondo altri, Euripide compreso, non si trattava di edera ma di una pigna legata con nastri a una grossa canna di palude, per altri ancora si trattava della ferula, la stessa pianta di cui si racconta che Prometeo, rubato il fuoco agli dei per donarlo all'uomo, lo trasportò all'interno di un fusto secco di ferula, accendendo il midollo secco contenuto all'interno.

Ad anni alterni le baccanti si appartavano sulle montagne, con danze, canti, sistri e tamburelli, per celebrare i riti di Dioniso, e lì, si dice, compissero azioni quali ridurre a brani un animale con le mani e mangiarne le carni crude. Non è un caso che tali rituali fossero soprattutto femminili: emarginate dalla vita politica e sociale delle poleis, spesso confinate in casa, le donne potevano in questo modo recuperare la loro autonomia, per quanto temporanea.

La mitologia greca racconta ancora che le Menadi accompagnassero il dio Dioniso nei suoi viaggi, costituendo anche un reparto del suo esercito nel suo viaggio in India. Dalle Menadi e dal mito di Dioniso trae origini il culto mistico, definito "menadismo", in cui era previsto anche un rituale caratterizzato dalla consumazione di carni crude. Probabilmente l'esercito allude alle Amazzoni, anch'esse col simbolo dell'edera, che emigrarono in Asia per sfuggire al dominio maschile.



LE BACCANTI

Furono la rivisitazione romana delle Menadi, seguaci del Dio Bacco, che era  il Dioniso romano. Anche qui le prime iniziatrici furono donne, ma in seguito l'iniziazione fu estesa agli uomini. Al culto misterico corrispose riti segreti e riti pubblici. Tra questi ultimi i Baccanali, feste pubbliche abbastanza sfrenate e licenziose. Da ricordare la valle di Baccano di cui si disse che il baccano dipendeva dal rumore dei vulcani. Naturalmente è inverosimile perhè quei vulcani sono spenti da molti millenni, vero è invece che vi si festeggiavano i Baccanali.

Inno a Dioniso di "Omericchio"
Ultimo tra gli dei
Venisti ai mortali
E così grande
Che antichi
Segreti racconti
Dicono ricevesti
Le chiavi del Regno

A te che sei tutto
E di tutto l’estremo contrario
Non è facile
Levare il canto
Per i molti tuoi doni
E gli insondabili abissi
Tra cui ti nascondi

In te
e solo in te
si confondono
regni lontani
quando dei
animali
e piante
e per ultimo l’uomo
si intrecciano
inestricabili
tra le onde dei tuoi capelli danzanti
al ritmo dei tuoi devoti
e dei suoni
che da sempre
abitano
il vasto universo

Certo,
compagno tu sei dei mortali
antico

quando ignari,
ancora, del fuoco
divisero la preda
esultando e,
strappate le membra,
ne divorano carni
ancora viventi

ed in cerchio danzando
levarono alte
le voci isolate
che prime
si unirono
in un unico canto

Sei tu che l’ebbrezza
del comune sentire
concedi ai viventi
che in cuore ti onorano
per il dono del vino lucente
che levando lo spirito
dalle strette di affanni infiniti
mette le ali alle dolci
ingannevoli attese

Perché implacabile
la tua vendetta
cade
sulla mente
oscurata dalla folle ambizione
di non celebrare
le tue danze notturne
e la perdita del senno
che solo varco ai mortali
è dato per accedere
agli dei
nascosti ben oltre
gli angusti pensieri
della luce del giorno

Tu che radici
hai profonde
nella oscura
nell’umida terra
tu parimenti
nell’alto del cielo
scagli le gemme
dei fruttiferi rami
e col canto ispirato
di poeti
che del tuo sangue
si nutrono
scandisci il duro cammino
perché si sciolga
in amabile danza

Tu della vita
ci conduci ai confini
dove la nera soglia
delle tue grandi pupille
ci invita
con riso dolente
ad inoltrarci
in oscuri sentieri
che non hanno ritorno
se la dolce promessa
del tuo eterno rinascere
non ci accompagna
più amica.




VALLE DI BACCANO

La Valle di Baccano, presso Campagnano di Roma è un antico cratere del vulcano Sabatino, del diametro di circa 3 km, colmato in età antica da una palude e successivamente prosciugato e bonificato.
Si estendeva e si estende presso la Via Cassia e nei pressi vi sorgeva una stazione di posta identificata, dopo le scoperte archeologiche con la Mansio ad Vacanas. Infatti, appena traversata la Cassia, si scorgono dei ruderi di origine romana con un bel tratto lastricato dell'antica via consolare ed i resti della mansio ad Vacanas/Baccanas , una stazione di posta citata da alcuni antichi itinerari che la collocavano al XXI miglio della via Cassia, ad un giorno di viaggio da Roma. 

Il complesso della mansio, che fu in uso dall'inizio del I al V sec. d.c., è costituito da vasti ambienti per ospitare molti viaggiatori, con bagni, botteghe, magazzini, stalle e rimesse disposte attorno ad un cortile carrabile. Non mancava nemmeno un’area adibita alle attività pubbliche, con caserma dei soldati, la piazza dei mercato, portico munito di fontana, un’area adibita al riposo  dei cavalli (stalle e rimesse) e un ampio complesso termale.

La stazione di posta fu abbandonata e spogliata sistematicamente per la realizzazione di un nuovo centro abitato, il Burgus Baccanus, che si dice sorto attorno alla Basilica di S. Alessandro del IV sec. d.c., forse sul luogo del martirio del vescovo di Baccano, Alessandro, ma l'edificio non è mai stato ritrovato.

Il termine Baccano ha pertanto a che vedere con Bacco e i baccanali. "Baccano non è un paese, ma un luogo disabitato e di aria malsana che fu già circondato da ville e da rustiche abitazioni. E’ un nome lieto per il ricordo del tempio sacro a Bacco, ma al presente orrido sito di desolazione", scriveva il Tomassetti nella sua opera sulla Campagna Romana del 1906, descrivendo una parte del territorio di Campagnano.

Fin dai tempi più remoti gli insediamenti umani furono favoriti dalla ricchezza d’acqua, fornita da fiumi, torrenti e dai laghi di Martignano, Stracciacappa e Baccano. Quest’ultimo specchio d’acqua però, non avendo notevoli immissari, ha subito un progressivo abbassamento delle acque, finché tutta la zona si è trasformata in una palude, prosciugata nel 1838 dalla famiglia Chigi.

Tutta la zona appartenne agli etruschi di Veio, fino alla conquista romana del 396 a.c, col trasferimento delle popolazioni e l’abbandono della zona. Per tutto il IV secolo a.c. l’area avrà solo qualche podere privato di ricchi cittadini romani, insediatisi dopo l’invasione dei Galli del 387 a.c.

Il ripopolamento dell’area iniziò nel III secolo a.c., quando metà del territorio diventò ager publicus nella giurisdizione di Roma. Alla fine del secolo, sulla vetta più alta di Monte Razzano nacque un’area sacra, forse dedicata a Bacco, come sembrerebbe testimoniare il toponimo di ad Baccanas dato alla sottostante valle, il che significa "Ai baccanali". Dal II sec. a.c. qui sorsero ville e fattorie, soprattutto sulla sommità dei colli ed in prossimità di corsi d’acqua, con colonne, mosaici e intonaci dipinti, mentre quelli rustici sono caratterizzati da frantoi, silos, pozzi e cisterne.

Con l’età imperiale gli insediamenti aumentarono ulteriormente, e aI XX miglio della Via Cassia nacque la "mansio" di Baccano, che restò attiva dalla fine del I secolo a.c. alla prima metà del V sec. d.c.. Dopo l’abbandono, la stazione è stata spogliata sistematicamente da tutti i rivestimenti marmorei e da numerose parti architettoniche, utilizzate per edificare la vicina chiesa dì S. Alessandro, sul bordo meridionale del lago di Baccano, e per la costruzione del borgo medioevale di Baccanus, sopravvissuto fino al dodicesimo secolo.

La più grande e bella delle ville fu quella detta dei Severi, che, secondo le fonti, sarebbe sorta per volontà dell’imperatore Caracalla. Il complesso venne alla luce durante gli scavi effettuati tra il 1869 ed il 1870, all’altezza del diciassettesimo miglio della via Cassia. Disposto su due piani, presentava rivestimenti marmorei, stucchi, pitture e mosaici.

Al piano terra erano gli ambienti termali, con mosaici a due colori raffiguranti scene marine; al secondo piano si trovavano due pavimenti, uno più grande, di forma rettangolare, con il pannello della Flora contornato da pannelli raffiguranti le Muse, l’altro con le quattro Fazioni del Circo. I preziosi reperti furono acquistati dallo Stato e attualmente sono conservati presso il Museo Nazionale Romano, nella sede di Palazzo Massimo.

Secondo una tradizione, la villa dei Severi nel IV sec. fu teatro del Martirio di S. Alessandro, Vescovo di Baccano, ovviamente inventata perchè i rei contro lo stato non venivano condannati nelle ville private. Narra la "Passio" redatta da Adone che il martire venne condotto nella residenza imperiale, per subire il processo. Da lì fu portato nel "vicus baccanensis", in una fornace presso le terme. Le fiamme, però, lo lasciarono indenne finchè, per nulla stupiti ma anzi annoiati dalla cosa i suoi persecutori lo decapitarono e la fecero finita.

Nel 1875 un contadino di Campagnano rinvenne casualmente due pilastrini d’altare in marmo, che permisero al grande studioso di archeologia cristiana G. B. De Rossi di provare l’esistenza della basilica di Baccano dedicata al vescovo martirizzato, ma in realtà i due pilastrini erano romani.



LE BACCANTI E L'ORFISMO

Le Baccanti vengono anche nominate nella leggenda di Orfeo ed Euridice: Orfeo, dopo aver perso per la seconda volta Euridice, vaga per i boschi, dove incontra proprio un gruppo di Baccanti, che invitano Orfeo a festeggiare insieme a loro. Ma Orfeo, dopo la morte di Euridice non vuole più compagnie femminili, anzi si innamora di un uomo e le Baccanti, offese, lo uccidono. La leggenda più antica dice però che le Menadi lo uccisero perchè cantava solo melodie tristi e non ne potevano più di tragedie e disgrazie. Il menadismo era sfrenatezza gioiosa e libertà senza limiti.
Non a caso l'Orfismo fu spesso adottato dal cristianesimo che sovente rappresentò Cristo nelle vesti di Orfeo, Dio-uomo che muore e risorge come Cristo, ma anche triste e sacrificale come le religioni orientali, mentre Bacco è un Dio vitale e gioioso come le religioni mediterranee.

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