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ASSEDIO DI VEIO

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I FABII IN MARCIA

I FABII

A partire dal V secolo a.c. crebbero i motivi di attrito tra Veio e Roma, soprattutto per il possesso di
Fidenae, città alleata di Veio. Allora la gente Fabia si presentò di fronte al senato e il console parlò a nome della propria famiglia:

Nella guerra contro Veio, come voi sapete, o padri coscritti, la costanza dello sforzo militare conta più della quantità di uomini impiegati. Voi occupatevi delle altre guerre e lasciate che i Fabi se la vedano coi Veienti. Per quel che ci concerne, vi garantiamo di tutelare l'onore del popolo romano. E’ nostra ferma intenzione trattare questa guerra alla stregua di una questione di famiglia e di accollarcene tutte le spese: lo Stato non deve preoccuparsi né dei soldati né del denaro."

Seguì un coro unanime di ringraziamenti. Il console uscì dalla curia e se ne tornò a casa scortato da un nutrito drappello di Fabi, i quali avevano aspettato il verdetto del senato nel vestibolo della curia. Quindi, ricevuto l'ordine di trovarsi il giorno dopo, armati di tutto punto, di fronte alla porta del console, rientrarono tutti nelle proprie case.

La notizia fece il giro della città e i Fabi vennero portati alle stelle: una famiglia si era assunta da sola l'onere di sostenere lo Stato e la guerra contro i Veienti si era trasformata in una faccenda privata e combattuta con armi private. 

Nessuno dei Fabii fece ritorno a casa. Nel 477 a.c. la gens romana dei Fabii venne sterminata in un agguato nella battaglia del Cremera.



VEIO CONTRO ROMA

- Nel 420 a.c. Veio chiese aiuto, contro Roma, a tutte le città etrusche riunite al Fanum Voltumnae, vicino Orvieto, ma l'aiuto fu negato. Forse perchè Veio era governata da un re, mentre le altre città avevano un governo repubblicano.

Secondo altri le città etrusche negarono l'aiuto in quanto impegnate contro degli invasori Galli, che minacciavano di scendere da nord. Alleate di Veio rimasero Fidenae, Falerii e Capena. A Roma sono tribuni consolari Lucio Furio Medullino, Lucio Quinzio Cincinnato, Marco Manlio Vulsone e Aulo Sempronio Atratino, l'allarme è iniziato.

- Nel 406 a.c., Roma dichiara finalmente guerra alla potente città di Veio e l'anno dopo iniziò il decennale assedio della città etrusca. Da parte loro i Veienti non riuscirono a trovare alleati nelle altre città etrusche.

Veio è imprendibile ma nel 403 a.c. i romani iniziarono a costruire fortini per controllare il territorio veiente, e terrapieni e macchine d’assedio (vinea, torri e testuggini) per stringere l’assedio alla città.


Il compimento di queste opere comportò la necessità di mantenere i soldati in armi anche durante l’autunno e l’inverno, quando solitamente i cittadini-soldati tornavano in città per attendere alle proprie cose, per evitare che le stesse, lasciate incustodite, fossero disfatte o distrutte dai nemici.

Nonostante la decisa opposizione dei Tribuni della plebe, si giunse alla straordinaria decisione di mantenere l’esercito in armi ad assediare Veio finché questa non sarebbe caduta; ai soldati in armi la città avrebbe garantito il soldo grazie ad una nuova imposizione straordinaria. Veio dal canto suo trovò l’appoggio dei Capenati e dei Falisci, nel 402 a.c. e nel 399 a.c., appoggio che inizialmente non riuscì ad allentare la pressione dell’assedio romano.

Nel 396 a.c. però i Capenati e i Falisci riuscirono a sorprendere i romani in un’imboscata, dove insieme a molti soldati, trovò la morte anche Gneo Genucio Augurino, uno dei 6 tribuni consolari eletti per quell’anno; come per altre situazioni di crisi Roma reagì nominando un dittatore, che questa volta fu trovato nella persona di Marco Furio Camillo.

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ASSEDIO DI VEIO

MARCO FURIO CAMILLO

Marcus Furius Camillus fu censore nel 403 a.c., celebrò il trionfo ben quattro volte, cinque volte fu dittatore, quindi sempre in guerra, e fu onorato con il titolo di Pater Patriae, nonchè di Secondo fondatore di Roma. Fu sei volte tribuno militare con potestà consolare tra gli anni 401 e 381.

Egli divenne popolare da un'azione di combattimento, quando Roma era in guerra contro Volsci e Equi sotto il comando del dittatore Tubero Postumio, dove, essendo Camillo comandante della cavalleria, salvò il dittatore già ferito a una coscia, combattendo da solo contro i diversi nemici che lo attorniavano. Secondo Plutarco ciò gli valse la nomina a censore. Secondo Tito Livio, invece fu eletto tribuno con poteri consolari per la prima volta nell'anno 403 a.c.

Furio Camillo venne eletto di nuovo dittatore durante la guerra contro Veio, che assediata, con un'irruzione notturna aveva bruciato l'accampamento dei Romani. A questo punto ci fu una dura reazione e tutti i giovani dell'Urbe chiesero di combattere e di non tornare se Veio non fosse stata distrutta.

"Erano entrati i Volsci e gli Equi con gli eserciti loro ne’ confini romani. Mandossi loro allo incontro i Consoli. Talché, nel travagliare la zuffa, lo esercito de’ Volsci, del quale era capo Vezio Messio, si trovò, ad un tratto, rinchiuso intra gli steccati suoi, occupati dai Romani, e l’altro esercito romano; e veggendo come gli bisognava o morire o farsi la via con il ferro, disse a’ suoi soldati queste parole:

« Ite mecum; non murus nec vallum, armati armatis obstant; virtute pares, quae ultimum ac maximum telum est, necessitate superiores estis ». 
(Venite con me, nè muro, nè vallo, nè uomini armati sono di ostacolo agli armati; la virtù splende come l'ultimo e il massimo giavellotto, perchè la necessità rende superiori)."


Sì che questa necessità è chiamata da Tito Livio « ultimum ac maximum telum » (ultimo e massimo giavellotto)

Camillo, prudentissimo come tutti i capitani romani, essendo già dentro nella città de’ Veienti con il suo esercito, per facilitare il pigliare quella, e torre ai nimici una ultima necessità di difendersi, comandò, in modo che i Veienti udirono, che nessuno offendessi quegli che fussono disarmati; talché, gittate l’armi in terra, si prese quella città quasi sanza sangue. Il quale modo fu dipoi da molti capitani osservato."

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ANTEFISSA VEIENTE (PROBABILE DEA TURAN,  LA VENERE ETRUSCA)
Furio Camillo, dopo essersi coperto le spalle sbaragliando Capenati e Falisci, intensificò l’assedio di Veio, iniziando anche la costruzione di una galleria sotterranea, che arrivava fin sotto la cittadella di Veio. Completata l’opera, il dittatore attaccò in forze e in più punti le mura della città, per dissimulare la presenza di soldati nella galleria sotterranea.

« La galleria, piena com’era in quel momento di truppe scelte, all’improvviso riversò il suo carico di armati all’interno del tempio di Giunone sulla cittadella di Veio: parte di quegli uomini prese alle spalle i nemici piazzati sulle mura, parte andò a svellere dai cardini le sbarre che chiudevano le porte e altri ancora appiccarono il fuoco alle case dai cui tetti i servi e le donne scagliavano una gragnuola di sassi e tegole. »
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, V, 2, 21.)

Furio Camillo fece voto, se avesse conquistato Veio, di riedificare a Roma il tempio della Mater Matuta, e dopo l'assedio e le varie battaglie durati ben 10 anni, riuscì a vincere, scavando un cunicolo che portava dentro la cittadella, e contemporaneamente attaccando le mura per distrarre i Veienti.

Come aveva appreso da notizie di nemici corrotti, il cunicolo portava direttamente nel tempio di Giunone, da cui irruppero nella città. Conquistata la città, per evitare ulteriori guerre contro gli irriducibili veienti, rase al suolo Veio riportandone grande bottino, tra cui la bellissima statua di Giunone corredata dai sacerdoti auruspici etruschi.

Veio fu così conquistata, con grande bottino per i romani, che con questa vittoria posero le basi della propria supremazia sull’altra sponda del Tevere, fino ad allora controllata da popolazioni etrusche.

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TRIONFO DI FURIO CAMILLO
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita:
"Dal Senato fu inviato in qualità di dittatore contro i Veienti, che dopo vent'anni si erano ribellati, Furio Camillo. Egli li vinse prima in battaglia, quindi conquistò anche la loro città."

Dunque nel 406 a.c., Veio viene sconfitta da Roma, ma molti la datano al 396 a.c., dopo un assedio di 10 anni. Livio narra che Veio fu presa solo perchè vi fu un traditore che permise alle truppe romane di entrare in città attraverso un cunicolo che sbucava all'interno del tempio di Giunone Regina, localizzato a sud-est del pianoro.

Che il cunicolo fosse già esistente è molto probabile perchè Veio era costruita su un costone di tufo, che non solo non era tenero da scavare, ma sicuramente in qualche modo sarebbe stato udito. Il che dimostra quanto Veio fosse ben protetta da mura e combattenti, per cui solo con l'inganno avrebbe potuto cedere.

Marco Furio Camillo, che guidava le truppe romane, saccheggiò il santuario pieno di ori e argenti e ne trasferì la statua di culto a Roma per mezzo del rito della evocatio, avvenuta, come si narra, con il "consenso" di Giunone, espresso - narrano le fonti - con un cenno del capo (secondo altre fonti fece udire il suo "si").

Una parte del territorio veientano venne assegnata a cittadini romani. Gli scampati al massacro del
396 a.c. ottennero anch'essi la cittadinanza romana e non furono ridotti in schiavitù, ma diedero origine alle tribù Stellatina, Tromentina, Sabatina e Arniensis. Come suo solito Roma lungimirante accoglieva e si ingrandiva per estendere il suo dominio sul mondo. .


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