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PUBLIO DECIO MURE

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MORTE DI PUBLIO DECIO MURE
Nome: Publius Decius Mus
Nascita: ?
Morte: 340 a.c.
Consolato: 312, 308, 297, 295 a.c.
Politico e condottiero Romano

Diu atque acriter apud montem vesuvium pugnatur. Sub vesperum Decius Mus consul putat dubiam romanorum victoriam, quare ad ponteficem maximum conversus, haec verba dixit:

" Diis hostiam magnificam immolare debemus ".
Tunc pontifex maximus:
" Ut dei benevoli sint erga romanos, satis non est copiam boum et ovium immolare; necesse est, consul, tuam vitam immolari! ".

Decius Mus, pietate insignis qua eius nomen ad sidera pervenereat, pontifici paret et primus romanorum in medios hostes se conicit et vitam diis immolat.
Tunc Romani, muris splendida pietate adducti, latinorum copias fugant.



PUBLIO DECIO MURE I

Publio Decio Mure (Publius Decius Mus; ... – 340 ac.) fu uomo politico, condottiero romano ed eroe del IV secolo ac.



I GUERRA SANNITICA

Publio Decio, al quale fu attribuito il cognome Mure, (che il realtà significherebbe il topo: mus, muris). militò sotto il console Valerio. Tribuno militare nel 343 ac., secondo la tradizione e grazie ad un audace stratagemma, salvò dai Sanniti l’esercito di Aulo Cornelio Cosso Arvina, sventando, durante la I guerra sannitica l'aggiramento dell'esercito consolare spintosi nelle gole presso Saticula (S. Agata dei Goti);


Quando un giorno l’esercito romano fu bloccato in un luogo angusto, Decio scorse un alto colle sovrastante gli accampamenti dei nemici e presa una guarnigione, occupò la vetta. I  nemici a questo punto si spaventarono pensando che volessero attaccarli dall'alto si che si volsero a lui per sostenerne l'urto. Questa manovra dette un certo spazio al console Valerio, permettendogli di condurre via l’esercito in marcia verso un luogo non pericoloso. 

Decio stesso durante la notte tempestosa, riuscì ad evadere incolume tra le sentinelle dei nemici oppresse dal sonno. Per cui gli fu donata dall’esercito la corona civica che era solita essere data a colui che avesse liberato i cittadini dall’assedio.

Per questo suo atto di eroismo, gli fu permesso di partecipare al trionfo dei consoli.
« A entrambi i consoli venne accordato il trionfo sui Sanniti e dietro di loro nella sfilata veniva Decio, coperto di decorazioni e onusto di gloria: i soldati, nei loro rozzi cori, ne citarono il nome un numero non inferiore di volte rispetto a quello del console. »
(Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 38.)



LA GUERRA LATINA

Eletto console nel 340 ac. insieme al collega Tito Manlio Imperioso Torquato, dovette affrontare i Latini alle falde del Vesuvio, nell'anno in cui ebbe inizio la guerra latina. Con l'altro console, arrulolati gli eserciti, attraversando i territori dei Marsi e dei Peligni, per evitare quelli controllati dai Latini, arrivò nei pressi di Capua, nel castro posto presso il fiume Veserim, dove i romani fecero base per le successive operazioni di guerra, insieme al collega Tito Manlio Torquato.

"Decio mure si ferma, nella battaglia contro i latini dell anno 340 a.c., vedendo l suoi soldati già ritirarsi e il nemico attendere con impegno la vittoria sempre piu, il primo tentativo fu di persuadere i soldati affinchè si opponessero ai nemici...".
Poichè entrambi i consoli avevano sognato che avrebbe vinto il popolo al quale fosse morto il comandante in battaglia, (oppure, secondo altri, avendo i consoli appreso dagli aruspici che i Romani avrebbero vinto se uno di loro si fosse immolato, Decio si sacrificò con la Devotio), si accordarono perchè durante il combattimento si sacrificasse agli Dei Mani colui che si fosse trovato in difficoltà con la propria schiera.

Dunque Decio morì durante battaglia del Vesuvio, facendo un atto di devotio, ovvero si immolò agli Dei Mani in cambio della vittoria, promessa dagli aruspici a condizione che uno dei due consoli si immolasse. Era questo l’atto della devotio, una forma speciale di voto agli Dei.
« In questo momento di smarrimento, il console Decio chiamò Marco Valerio a gran voce e gli gridò: «Abbiamo bisogno dell'aiuto degli dèi, Marco Valerio. Avanti, pubblico pontefice del popolo romano, dettami le parole di rito con le quali devo offrire la mia vita in sacrificio per salvare le legioni» »
(Tito Livio, Ab Urbe condita, VIII, 9)

Quindi Publio Decio Mure, vestita la toga pretesta, montò a cavallo tutto bardato per battaglia, gridò le parole di rito e si lanciò furioso tra i nemici, bene in vista di fronte ad entrambi gli schieramenti combattenti. Dopo aver ucciso molti nemici, cadde a terra, abbattuto dai dardi e dalle schiere latine. Ma questo gesto, che i Romani consideravano rituale, diede ai suoi una tale fiducia ed un tale vigore che essi si gettarono tutti assieme nella battaglia ottenendo la vittoria.

Fu così Decio a sacrificarsi, uno dei migliori della gioventù romana, dal momento che la sua schiera era incalzata maggiormente dai nemici. Pagando il prezzo della sua giovane vita lasciò la vittoria e la vita ai suoi compagni.

Così Tito Manlio, insieme al collega Decio Mure, condusse i romani alla vittoria nella sanguinosa Battaglia del Vesuvio, dove l'altro console trovò la morte.

DEVOTIO ROMANA


PUBLIO DECIO MURE II

Publio Decio Mure, figlio del precedente Publio Decio Mure (uno dei primi consoli plebei), Publius Decius Mus (... – 295 ac.), è stato a sua volta un console romano.

Membro della gens plebea Decia, fu console romano nel 312, 308, 297 e 295 ac. e censore nel 304 ac. Fu membro di una famiglia che era nota per essersi sacrificata nelle Devotio sul campo di battaglia per Roma.
Decio Mure fu eletto console per la prima volta nel 312 ac. assieme a Marco Valerio Massimo Corvino. Quando scoppiò la guerra con i Sanniti, Mure dovette rimanere a Roma per una malattia e a combattere fu inviato il suo collega. Quando gli Etruschi si unirono in guerra ai Sanniti, il Senato ordinò a Mure di nominare un dittatore.

Nel 309 ac. servì come legatus sotto il dittatore Lucio Papirio Cursore e l'anno successivo fu rieletto console, questa volta assieme a Quinto Fabio Massimo Rulliano. Mentre il suo collega affrontava in guerra i Sanniti, Mure fu incaricato della guerra contro gli Etruschi, nella quale egli ebbe un tale successo da obbligare gli Etruschi a richiedere una tregua.

Nel 306 ac. Mure fu nominato magister equitum a fianco del dittatore Publio Cornelio Scipione Barbato.
Nominato censore insieme a Rulliano nel 304, e nel 300 ac. Mure sposò con successo la causa dell'apertura del pontificato ai plebei in contrapposizione ad Appio Claudio Cieco.
Console nel 297, di nuovo accanto a Rulliano, combatté contro gli Apuli; Questa volta entrambi i consoli si recarono nel Sannio per far guerra ai Sanniti. In questa campagna, Mure riuscì a sconfiggere un esercito sannita vicino a Maleventum (in occasione della vittoria il nome della città fu cambiato da Maleventum a Beneventum). L'anno successivo gli fu prorogato il comando nel Sannio come proconsole.

La terza guerra sannitica mise assieme una coalizione formidabile di Etruschi, Sanniti,  Umbri e Galli contro Roma. Quando Rulliano fu unanimemente chiamato al consolato, mise come condizione per l'accettazione che Mure fosse nuovamente il suo collega. Così, nel 295 ac., Mure fu eletto al consolato per la quarta volta.

Mentre inizialmente Mure fu di stanza nel Sannio, gli eventi del nord imposero che entrambi gli eserciti romani fossero uniti per affrontare il nemico. Quando gli eserciti si scontrarono presso Sentino, Publio Decio Mure comandava l'ala sinistra dell'esercito romano. Affrontate dai Galli, le sue truppe iniziarono a ritirarsi sotto i loro attacchi. Visto lo scompiglio creatosi nella battaglia e temendo l'accerchiamento da parte dei Sanniti, il console recitò il complesso rituale della devotio e si scagliò nel più folto della mischia, per esservi ucciso. La battaglia, terminò con la vittoria dei Romani e dei loro alleati Piceni.

Il poeta Accio lo fece protagonista di una sua "pretesta" che contribuì ad immortalarne la fama. La Pretexta era una tragedia in cui l'attore, data la solennità dell'argomento, indossava, al postodella solita toga, una toga paetexta, cioè bordata di porpora, come indossavano i re o i senatori ecc.



REALTA' O LEGGENDA

L'episodio famosissimo della devotio fece sì che in tempi successivi lo stesso gesto fosse attribuito anche al padre e al figlio, entrambi omonimi. Il padre morì nella battaglia del Vesuvio nel 339 ac. nella guerra contro i Latini, mentre il figlio morì sconfitto da Pirro nella battaglia di Ausculum (Ascoli Satriano) mentre era console nel 279 ac.. Alcuni storici moderni sostengono che l'unica reale devotio sia stata quella della battaglia di Ausculum (Ascoli Satriano), mentre quella narrata anche dallo storico romano Livio durante la guerra contro i Sanniti sia una versione rielaborata con elementi leggendari. Tuttavia non si hanno prove per sostenere questa teoria. Pertanto nulla lascia supporre che le devotio non fossero tutte e tre nell'ambito della stessa familia.



PUBLIO DECIO MURE III

PIRRO
Publio Decio Mure (Publius Decius Mus; ... – 279 ac.) fu uomo politico della Repubblica romana.

Figlio del precedente Publio Decio Mure, console nel 279 ac. combattè nella battaglia di Ascoli Satriano (attuale provincia di Foggia) avvenuta nel 279 a.c. tra i Romani, agli ordini dei consoli Publio Decio Mure e Publio Sulpicio Saverrione, e le forze unite tarantine, sannite ed epirote, sotto il comando del re Pirro dell'Epiro.

Fu combattuta nell'ambito del conflitto romano-tarantino per il controllo della Magna Grecia. Fu vinta dalla lega tarantina ma con forti perdite, tanto che a Pirro fu attribuita la celebre frase: "Un'altra vittoria così e sarò perduto". Sconfitto nella battaglia di Ascoli Satriano da Pirro, morì sul campo come gli avi immolandosi agli Dei con la Devotio.
(Cicerone, Tuscolanae Disputationes, I.37.89)


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