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IL MATTONE CRUDO ROMANO

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COSTRUZIONI DI TERRA

Un "mattone di terra"è un termine che indica un mattone che non è stato cotto nella fornace, ma che è stato fatto asciugare al sole per almeno 25 giorni. In realtà non è fatto di terra ma di una miscela di argilla, terra, sabbia e acqua, mescolato con un materiale legante come paglia, fibre di riso, canne o canapa. Il composto viene poi versato in forme  rettangolari che vengono lasciate asciugare al sole per 25 giorni.

Mescolando l'erba secca con il fango crea la giusta consistenza, la grande resistenza alle intemperie ed evita che i blocchi si spacchino solidificandosi. Per non farli seccare troppo, i mattoni vengono avvolti in un involucro di crine di cavallo. Le giuste dimensioni sono quelle che il bracciante riesce maneggiare con una sola mano.

Poi i blocchi vengono fatti aderire tra loro con del fango per innalzare muri, talvolta combinati col cemento. Oggi si usa un rapporto del 15% di argilla, 10-30% di limo e 55-75% di sabbia, senza aggiunta di paglia o altro.



DAVIDE FRASCA

"Generalmente in una casa vissuta si identificano subito i problemi dovuti all’acqua e si può intervenire prima di arrivare a manutenzioni di una certa rilevanza. Detto ciò ci tengo a precisare che una casa di terra ben protetta dall'acqua può dimostrare di essere estremamente longeva perché la terra, al contrario di un pilastro in cemento armato, non dovrebbe subire alcun degrado chimico-fisico nel tempo, la stessa cosa invece non la si può dire per i ferri di armatura e il legante cemento. 

Ad Auroville ho potuto toccare con mano la possibilità di costruire archi, cupole e volte utilizzando mattoni in terra compressa, buona parte dell’istituto è proprio costruito con questa modalità. La cosa che mi ha impressionato di più è la semplicità con cui riescono a costruire le loro volte senza alcuna centina o supporto grazie alle proprietà adesive dell’argilla.

( Auroville è una città "sperimentale", basata sulla visione di Sri Aurobindo, sorta in India presso la città di Puducherry, e disegnata dall'architetto Roger Anger, intesa per essere una città universale, dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace ed in armonia)

Per la normativa italiana la terra non esiste come materiale da costruzione, cioè non è menzionata tra i vari materiali, quindi non è normata."

MATTONE IN TERRA CRUDA

IL MATTONE CRUDO

Il mattone crudo, cioè di fango, detto anche adobe, fu il passo successivo alla parete di frasche raccolte nel bosco su cui si gettava e si batteva la terra bagnata, il tutto con una base di sassi o pietre, come ad esempio fecero gli Etruschi sul suolo italico (vedi Populonia). 

Il mattone è maneggevole e rapido per costruire, ma venne usato soprattutto nelle regioni calde e secche dei deserti e delle steppe, dove esiste poco legname sia per le costruzioni che per alimentare il fuoco di una fornace per mattoni, pertanto i mattoni vengono cotti al sole. 

In queste terre pioveva raramente ma vennero usati anche in zone temperate dove in inverno la pioggia è frequente, così la vita di questi edifici è di circa 30 anni, dopo di che cominciano a sbriciolarsi ed è allora necessario coprirli con nuovi mattoni cotti in fornace oppure con un intonaco ricco di calce, dalle proprietà idrorepellenti. 

Così la calce divenne preziosa, perchè era sufficiente coprire la superficie superiore di un edificio con la calce perchè non si sgretolasse con la pioggia. Questo tipo di abitazione tende a rimanere fresca in estate e tiepida in inverno.

ADOBE CHE SI ASCIUGA AL SOLE

ADOBE

L'adobe o adobo (in arabo = cotto) è l'impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata al sole utilizzata da molte popolazioni in ogni epoca per costruire mattoni di terra utilizzati anche oggi per il risparmio di energia e sono un modo ambientalmente sicuro per isolare una casa. Sulle testimonianze di Plinio (Nat. hist. L. XXXV, 14, 48) e di Vitruvio {Architect. II, e. VIII) sembra che le costruzioni di terra vennero usate presso tutte le più antiche civiltà. 

La città più antica ad oggi conosciuta, Çatalhöyük, in Anatolia, del VII millennio a.c., aveva case costruite in adobe, come nelle regioni semidesertiche dell'Africa e dell'America Centrale. La Mesopotamia utilizzava mattoni formati in uno stampo quadrato e arrotondato in modo che il centro fosse più spesso rispetto alle estremità, così una volta seccati al sole erano molto stabili sui piano-convessi e dunque ottimi per edificare città.

In Spagna è caratteristica delle zone secche sud-orientali e In Italia è stato usato in Sardegna e in Sicilia, portato dai Cartaginesi e poi dagli Arabi. Annibale fece innalzare torri di terra in Spagna per le segnalazioni di guerra, ancora ammirate ai giorni di Plinio. 

Nella civiltà minoica a Cnosso sull'isola di Creta, gli archeologi hanno appurato che i mattoni seccati al sole vennero utilizzati fin dal Neolitico. Ma si usarono pure nell'Antico Egitto, nell'epoca tolemaica ma pure durante la colonizzazione romana. 

Anche i Romani fecero grandi costruzioni di terra, come dimostrano alcuni tumuli lungo l'antica Via Appia, e la descrizione del mausoleo di Augusto lasciataci da Strabone e pure il ricordo di un contrafforte o aggere alle falde dell'Esquilino verso le carine, "murus teneus carinarum" (Varrone L LV, 48).

La casa di Re Attalo in Traili, in Turchia,  e quella di Creso in Sardi, capitale del regno di Lidia nel VII secolo a.c. (oggi Turchia) furono di terra. In Grecia a fianco degli splendidi monumenti marmorei innalzati da Ictino e da Fidia e decorati da Zeusi e da Apelle, sorgevano solitamente delle semplici costruzioni di terra. Re Mausolo in Alicarnasso edificò la sua dimora con la terra, e di terra fece ricoprire il suo sepolcro. 



GLI ETRUSCHI

I mattoni crudi nei muri di fortificazioni e in edifici sacri si usavano in Etruria già dal VII a.c., come si vede nei resti di muri di terrazzamento nell’area della collina Nord a Roselle. L'opus isodomum, derivata da modelli greci e seguita da etruschi e romani, presenta ogni fila di mattoni sfalsata rispetto a quella su cui si appoggia, in modo da non avere linee di frattura continue, pericolose soprattutto per i terremoti.

I templi tuscanici, del III - VI secolo a.c., sono descritti da Vitruvio  con alzati in pietra per quelli maggiori, ma in mattoni crudi per quelli più antichi. A Roselle, nell’area del foro di età romana, si trova la “Casa con Recinto” con funzione pubblica e sacrale, con strutture interne in mattoni crudi.
 
A Gravisca, il primo edificio sacro del santuario, del 580 a.c., era costruito con fondazioni a ciottoli ed alzato in mattoni crudi e tetto a doppio spiovente. A Tarquinia, sulla Civita, un edificio di VI secolo a.c., con valenze sacrali ma non monumentali, aveva fondazioni in pietrame ed alzato in mattoni crudi intonacati (Bonghi, Chiaramonte Trerè 1997, 199). 

A Bologna in Viale Aldini si è scoperto un muro etrusco del V secolo a.c. in mattoni crudi di notevoli dimensioni e a Gonfienti a nord dell’Arno, è documentato il mattone crudo (Poggesi et. al 2010, 129). Nell'insediamento del Lago dell’Accesa (Massa Marittima, GR) alcuni edifici arcaici del quartiere A (Complessi VIII e X) hanno murature in mattoni crudi (Giuntoli 1997, 28). 

Ad Acquarossa, tra la fine del VII e la seconda metà del VI secolo a.c., è documentato l’utilizzo del mattone crudo. Nell’abitato costiero di Pyrgi le case del VI secolo a.c. hanno uno zoccolo a ciottoli ed elevato in mattoni crudi, disposti di testa nei muri portanti e di taglio in quelli divisori e sono rivestiti da intonaco (Bellelli Marchesini 2001, 402). 

OSTIA ANTICA

I ROMANI

A partire dal III secolo a.c. aumenta in Italia centrale l’utilizzo del mattone crudo come materiale da costruzione su fondazioni in pietra, soprattutto nell'edilizia privata. Nel II secolo a.c., Catone ne raccomandava l’uso nelle ville per gli alzati dei muri con fondamenta alte un piede, probabilmente in opus caementicium (Cato, agr. 14,4-5). 

In epoca romana i mattoni crudi (lateres) erano composti di argilla, sabbia e materiale organico e, secondo i dettami di Vitruvio, dovevano essere fabbricati in appositi stampi, in autunno o in inverno in modo da asciugare lentamente fino all'estate successiva. 

La fase di essiccazione era cruciale per eliminare in modo uniforme l’acqua ed acquisire la resistenza alla compressione, al punto che Vitruvio consiglia di aspettare due anni per utilizzarli (2,3,1). Le strutture in mattoni crudi, sempre secondo Vitruvio (2,8,9), hanno grande stabilità e durata.

A Roma, il mattone crudo, come documentato da Vitruvio (2, 8, 17-18), veniva sicuramente impiegato ma fu presto abbandonato perché l'Urbe era sottoposta a frequenti inondazioni, come quella del 54 a.c., che causò diversi crolli di edifici realizzati in questa tecnica (Cassio Dione 39,61). 



OPUS FORMACEUM (PISE')

Invece, Vitruvio ne raccomanda la protezione dalle infiltrazioni di acqua piovana, ottenute anche con spioventi del tetto aggettanti (2,8,18). Tra il II e il I secolo a.c., si diffonde la tecnica della muratura in terra cruda pressata entro casseforme, identificata nell’opus formaceum o formatum, che corrisponde al pisé. 

La terra cruda pressata nel III secolo a.c. la troviamo a Cosa, Fregellae, sull’acropoli di Populonia e a Pompei. Anche nella villa di Settefinestre, il cui impianto è del III quarto del I secolo a.c., i muri interni sono realizzati in argilla cruda e mattoni crudi (Carandini 1985, 64- 66). 
 
FORNACE ROMANA

LE FORNACI

Naturalmente, tra II e I secolo a.c., l’impianto di fornaci andò diffondendosi per i mattoni e per il vasellame materiale da costruzione, ma anche per quelle di vasellame. Ma il mattone crudo con funzioni strutturali sopravvive come elemento costruttivo di fornaci, perché le temperature di cottura avrebbero danneggiato i mattoni già cotti, ma soprattutto perché il mattone crudo ha una capacità di isolamento termico migliore di quello cotto. 

Le strutture in terra cruda, una volta messe in opera, venivano cotte a temperature più basse rispetto a quelle necessarie per la cottura dei manufatti, che avveniva intorno agli 800°-900°, in modo da renderle stabili. Queste fornaci in mattoni crudi, sono tutte a tiraggio verticale con doppia camera, di combustione e di cottura, separate da un piano forato sostenuto da archi, con una cottura a fiamma indiretta. 

In Toscana, due fornaci circolari a Massa, datate tra la metà e la fine del II secolo a.c., sono costruite interamente in mattoni crudi e pietre. (Volpi et. al. 2016, 35- 48).  La seconda fornace, parzialmente scavata e forse di datazione più recente, era a pianta circolare, e come la prima, con muri perimetrali in mattoni crudi così come i setti degli archi di sostegno (Volpi et. al. 2016, 45 fig. 17). 

L’utilizzo di tecniche murarie miste ovvero del laterizio per la camera di combustione ed elevato in mattoni crudi, si trova nella fornace di Fiesole (FI) datata 200-150 a.c. (Fabbri et. al, 2008, 304). Nella fornace del Vingone, presso Scandicci (FI), datata tra 20 a.c. - 20 d.c., a pianta rettangolare, sono stati impiegati mattoni crudi per le pareti interne della camera di combustione e per i pilastri che formavano le basi degli archi, con base in blocchetti di arenaria. 

Nello scavo sono emersi numerosi mattoni crudi rettangolari di impasto grossolano mescolato a vegetali di cui sono conservati i resti carboniosi (Shepherd 2008, 185). Anche nel grande impianto produttivo di anfore ad Albinia (GR - II sec. a.c. I sec. d.c.), che era composto da quattro fornaci affiancate a pianta rettangolare, sia nei muri divisori delle fornaci che nelle camere di combustione delle stesse si sono impiegati mattoni crudi. 

I mattoni crudi continuano ad essere impiegati fino almeno al IV secolo d.c. inoltrato, fatto di cui il grande complesso di fornaci di Montelabate risulta un esempio emblematico e piuttosto unico nel suo genere sia per la persistenza dell’impiego strutturale della terra cruda, che per la continuità produttiva.



ALESSANDRO CAPANNARI

"In Italia come esempio di un tal genere di costruzione si ricordano da Vitruvio le mura di Arezzo e quelle di Mevania. In tali opere però debbonsi riconoscere piuttosto costruzioni di mattoni crudi, che lavori di terra propriamente detta. Vitruvio infatti a designarle si serve dell'appellativo di laterizie, il che include l'idea del "later" o mattone di forma regolare.

Plinio (op. cit. XXXV, 14, 48) descrive graficamente il procedimento che si teneva in Àfrica ed in Ispagna per la costruzione delle pareti di terra che quei due popoli, i quali a preferenza ne usarono, designavano col nome di "parietes formacei" perchè la terra veniva posta e pigiata fra due tavole siccome in una forma.
« Quid?» scrive Plinio « Non in Africa Hispaniaque ex terra parietes quos appellànt formaceos, quoniam'in forma circumdatis utrinque duabus tabulis inferciuntur verius quam instruuntur, aevis durant, incorrupti imbribus, ventis, ignibus, omnique caemento firmiores?.... »

Il passo di Plinio testé riferito, troppo chiaramente si conviene alla parete da noi rinvenuta nel 1881 perchè vi debba spendere altre parole in dimostrarlo. Aggiungerò solo che io, presente alla fortunata scoperta, ebbi la cura di trasportare diligentemente sopra una lastra di lavagna, il prezioso frammento; e questo, per gentile concessione del sig. marchese De la Penne colonnello direttore del Genio Militare, conservo adesso gelosamente presso di me, siccome l'unico esempio fino ad ora apparso fra le rovine romane di una di quelle pareti formacee menzionate da Plinio.

Credo assai malagevole il rendere ragione del perchè una tal parete sia stata impiegata in una casa romana costruita interamente di opera laterizia. Economia di tempo o di danaro non poterono al certo consigliarla; che l'apparecchiare la forma di tavole, il riempirla di terra a piccoli strati per facilitarne la coesione, l'attendere il prosciugamento prima di togliere la forma, e finalmente l'applicazione dell'intonaco, doveva senza alcun dubbio richiedere tempo lunghissimo.

Torna inutile il dimostrare che neppure per inferiorità di peso la parete formacea poteva prevalere sulla laterizia. Si potrebbe forse pensare che i Romani, riconosciuta nella terra la proprietà di essere cattiva conduttrice del calorico, si fossero serviti di questo muro, come di parete isolatrice in un qualche ambiente dove la temperatura poteva essere artificialmente ad alto grado elevata.

Un'altra ipotesi vorrei però permettermi su tal proposito e questa varrebbe insieme, come dissi più sopra, a confermare che la casa dove avvenne il trovamento del muro formaceo avesse appartenuto a Q. Valerio Vegeto. Ecco senz'altro gli argomenti che a mio avviso potrebbero consolidare la nostra congettura.

Iliberris (Municium Plorentinum: cf. C. /. L II p. 285 e Bull, di C. A. ISl p. 173 e segg.) è il posto più avanzato de' popoli montani celtiberi e risponde all'attuale Oranada. Nel 1755 alcuni falsificatori di oggetti antichi, praticarono diverse escavazioni sul colle Albaizin di rimpetto all'Alhambra, ove sorgeva un castello arabo, allo scopo di riporvi e poi estrarne le anticaglie da loro stessi fabbricate.

Per tale occasione si fecero invece delle scoperte di grande interesse archeologico, essendo tornate alla luce le vestigia di un edificio romano di cui l'architetto Sanchez rilevò accuratissima pianta. Tra le rovine della fabbrica si scopersero a varie riprese molte iscrizioni delle quali torna al caso nostro il ricordare soltanto quelle della madre e della moglie di Q. Valerio Vegeto e quella di un Caio Vegeto nota però fino dal 1588.

La prima epigrafe è dedicata a Cornelia Severina, figlia di Publio, Flaminica, madre di Valerio Vegeto console, per decreto dei decurioni dei Fiorentini Iliberritani. La seconda per decreto dei decurioni stessi fu dedicata ad Etrilia Afra moglie di Valerio Vegeto (cf. C. I. L II 2074, 77).

Da tali scoperte avvenute a Granada mi sembra potersi trarre argomento che Quinto Valerio Vegeto avesse avuto rapporti strettissimi con la Spagna dove indubbiamente aveva esercitato una qualche magistratura e dove aveva saputo accattivarsi per modo l'animo degli Iliberritani da meritare per la madre, per la moglie, e certo anche per sé, il perenne ricordo decretato da quei decurioni.

Si è appunto in questi stretti rapporti che legarono Q. Vegeto alla Spagna che io crederei ritrovare la ragione dell'esistenza di una parete formacea nella casa urbana di quel console. Questa costruzione spagnola ricordava forse a Valerio Vegeto nella sua casa di Roma una delle caratteristiche di quei luoghi che a lui dovettero rimanere sempre carissimi."

(Alessandro Capannari)



IL MATTONE COTTO

La cottura del mattone fu comunque un grande traguardo raggiunto tra il I sec a.C e il I secolo d.C. che svolse un ruolo cruciale per superare i problemi inerenti alla lunga tempistica in termini di essicazione dei mattoni crudi e, allo stesso tempo, aumentava la loro resistenza.

La scomparsa del mattone crudo in epoca romana fu anche dovuta ad una piena del Tevere che portò ad un’alluvione nel 54 a.c. provocando un’azione erosiva sulle strutture. Il mattone crudo fu proibito proprio per questa fragilità.


BIBLIO

- L. Crema - L’architettura romana - Torino - 1959 -
- Procopius - De Aedificiis - 3.5.8.11. -
- James C. Anderson - Architettura e società romana - Baltimore - Johns Hopkins Univ. Stampa - a cura di Martin Henig - Oxford - Oxford Univ. - Comitato per l'archeologia - 1997 -
- L. Quilici, S. Quilici Gigli - Architettura e pianificazione urbana nell'Italia antica - L'Erma di Bretschneider - 1997 -
- Tecniche di stabilizzazione dei leganti in terra cruda: reattività pozzolanica e forze di coesione capillare - M. Bellotto, S. Goidanich, D. Gulotta, R. Fiore, A. Losini, F. Ongaro.
- F.M. Butera - Dalla Caverna alla casa ecologia - Edizioni Ambiente - Milano - 2007 -

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