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BATTAGLIA DI NICOPOLI SUL LICO

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La battaglia di Nicopoli al Lico fu combattuta tra il generale romano Gneo Pompeo Magno e le forze del re del Ponto Mitridate VI nel 66 a.c., e venne vinta dai Romani. Il dittatore Silla (138 a.c. - 78 a.c.) aveva lasciato a Mitridate VI la podestà sul suo regno, il Ponto, ma il generale Murena, col pretesto che il re pontico stesse riarmando il suo esercito, di sua iniziativa invase il Ponto, provocando lo scoppio della II Guerra Mitridatica. 

Murena venne sconfitto da Mitridate nell'81 a.c., e se ne tornò indietro a leccarsi le ferite, ma la vittoria di Mitridate però ebbe vaste conseguenze, rafforzando l'ambizione e le speranze del già ambiziosissimo re pontico, perchè si riteneva figlio di un Dio, e perchè se era stato in grado di vincere un generale romano, era pure in grado di creare un grande regno asiatico che potesse contrastare i Romani sul Mediterraneo. 

MITRIDATE
Nell'80 a.c. Mitridate nominò generale dell'esercito suo figlio Macare e lo spinse a conquistare le colonie greche intorno al Ponto Eusino. 

L'esito però fu disastroso, Macare era un pessimo generale, vennero perduti due contingenti armati e toccò inviare ambasciatori a Roma per chiedere una nuova pace di certo più favorevole per Roma.

Intanto il re Ariobarzane I nel 78 a.c. lamentò a Roma che la maggior parte dei territori della Cappadocia, non gli fossero stati riconsegnati da Mitridate, come era stato promesso dal senato romano, ma Silla si era ritirato dal potere ed era pure morto e il Senato romano non gli dette ascolto.

Mitridate allora spinse il genero, Tigrane II d'Armenia, ad invadere la Cappadocia e questi eseguì ottenendo un grosso bottino e 300.000 prigionieri, che portò nella nuova capitale del suo paese, Tigranocerta (città di Tigrane) che voleva popolare unitamente ai suoi cittadini.

Attorno all'80 a.c. il re del Ponto, seguendo ancora i suoi sogni di grandezza, decise poi di riconquistare tutte le popolazioni delle colonie greche intorno al Ponto Eusino e di nuovo nominò generale del suo esercito il figlio Macare. 

Nuovamente fu un gesto avventato, visto che le precedenti prestazioni del figlio erano state pessime; infatti la campagna di nuovo fu un disastro, poiché vennero perduti ben due contingenti armati, e si dovette chiedere una nuova pace a Roma che naturalmente la fece pagare a caro prezzo.

In quanto a Macare, qualcuno afferma che si suicidò temendo la vendetta del padre su di lui, altri affermano che fu il padre stesso a farlo uccidere. Intanto nel 78 a.c. il re Ariobarzane I, lamentò a Roma che molti dei territori della Cappadocia non gli fossero stati consegnati da Mitridate, come da accordi di pace. 
QUINTO SERTORIO

QUINTO SERTORIO

Intanto Sertorio (126 a.c. - 72 a.c.) il governatore della Spagna, sobillava le popolazioni ispaniche contro i Romani per destabilizzare Silla essendo lui stato dalla parte di Gaio Mario che tra l'altro era un suo parente. Uomo coraggioso, grande combattente e grande oratore raccolse in torno a sè molti rivoluzionari.

Creò un Senato ispanico di 300 senatori di cui due dei suoi membri, Lucio Magio e Lucio Fannio, proposero a Mitridate di allearsi con Sertorio per una guerra antiromana su due fronti: in Asia per l'oriente e in Spagna per l'occidente.

Strinsero così un patto di alleanza, in cui Sertorio cedeva al re del Ponto tutti i territori romani d'Asia, il regno di Bitinia, la Paflagonia, la Galatia e la Cappadocia, inoltre gli inviava il suo ottimo generale Marco Vario e due consiglieri, Magio e Fannio Lucio, per assisterlo militarmente e diplomaticamente.

Sertorio vinse tutte le battaglie che ingaggiò contro i romani ma venne ucciso da sicari mandati da gneo Pompeo che aveva fatto porre una grossa taglia sulla sua testa, tanto che venne ucciso a tradimento durante un banchetto. 



LUCIO LICINIO LUCULLO

Nel 74 a.c., Mitridate marciò contro la Paflagonia per invadere anche la Bitinia, da poco provincia romana, poichè alla sua morte il re Nicomede IV l'aveva lasciata in eredità ai Romani. Il governatore provinciale, Marco Aurelio Cotta, fuggì a Calcedonia. Mitridate, che non riusciva ad espugnare le città con le guarnigioni romane, andò a Cizico dove fu sconfitto dai legionari del console Lucio Licinio Lucullo 73 a.c. 

Fuggito sulla sua flotta, Mitridate, fu assalito da una terribile tempesta perdendo circa 10.000 uomini e sessanta navi, e il resto della flotta fu dispersa. Egli abbandonò la nave che stava affondando, e salì in un'imbarcazione di pirati che lo sbarcarono a Sinope. 

Da lì raggiunse Amiso, chiedendo aiuti al genero, Tigrane II d'Armenia, e a suo figlio, Macare, re del Bosforo Cimerio, poi ordinò a Diocle di prendere una grande quantità di oro e altri regali presso gli Sciti, ma Diocle poi si rifugiò presso Lucullo consegnando il bottino. 

Lucullo traversò Bitinia e Galazia, sottomettendo i vari territori già romani e raggiungendo la pianura di Themiscyra, il fiume Termodonte. Secondo Plutarco, invece, il generale romano chiese aiuto al vicino al regno di Galazia, che gli fornì 30.000 uomini portatori di grano. Nel 70  conquistò Amiso dopo lungo assedio, ed affrontò di nuovo le truppe di Mitridate presso Cabira sconfiggendolo. 

Alla fine del 70 a.c., Lucullo lasciò Sornazio con 6.000 armati a guardia del Ponto, mentre Appio Claudio fu inviato da Tigrane II ad Antiochia, per chiedere la consegna del suocero, Mitridate VI. Tigrane non solo negò ma con Mitridate decise di invadere Cilicia e Licaonia, fino all'Asia, senza ancora aver dichiarato guerra. 

LUCIO LICINIO LUCULLO
Nel 69 a.c. Lucullo, si diresse allora con sole due legioni e 500 cavalieri piuttosto riluttanti mentre a Roma i tribuni della plebe l'accusarono di cercare la guerra solo per arricchirsi. 

Lucullo attraversò l'Eufrate, poi il Tigri ai confini dell'Armenia, e presso la capitale Tigranocerta assediata da Sestilio, affrontò Tigrane con un numero molto esiguo di uomini rispetto all'avversario ma vinse in modo strabiliante.

Plutarco narra di 100.000 morti armeni, quasi tutti fanti, e cinque morti più un centinaio di feriti tra i Romani. 

Tito Livio commenta che mai prima d'ora i Romani erano risultati vincitori con forze pari a solo un ventesimo dei nemici, grazie alle grandi doti tattiche di Lucullo, che aveva sconfitto Mitridate temporeggiando, e invece aveva sconfitto Tigrane grazie alla rapidità.  Infine anche Tigranocerta fu espugnata dai romani. 

Per le sue vittorie durante l'inverno del 69-68 a.c., Lucullo ricevette diversi sovrani orientali che gli chiesero alleanza ed amicizia. 

Nel 67 Tigrane II e Mitridate VI raccolsero una nuova armata, al comando di Mitridate che intanto chiese aiuto al re dei Parti Fraate III, ma Lucullo, che già gli aveva inviato i suoi ambasciatori, si accorse che il sovrano partico  aveva promesso la sua alleanza a Tigrane, in cambio della cessione della Mesopotamia.

Pertanto pensò di combattere il re partico, ma il rischio di un ammutinamento delle sue truppe  stanche della lunga guerra, lo fecero rinunciare e marciare sulla seconda capitale, Artaxata. Tigrane si accampò di fronte allarmata romana, sulla riva opposta del fiume Arsania, a protezione della città poco lontana. 

Narra Plutarco, che la battaglia venne iniziata da Lucullo traversando il fiume con 12 coorti, mentre le altre rimanevano a protezione dei fianchi. Gli si avventò la cavalleria armena, ma dovettero cedere alla fanteria romana, e fuggirono inseguiti dalla cavalleria romana. Per tutta la notte vi fu strage dei nemici, cattura di prigionieri e raccolta di bottino. Questa volta la morte o la schiavitù toccò, come narra Livio, anche a più alti dignitari.

Lucullo a questo punto voleva conquistare il regno armeno ma i legionari iniziarono a lamentarsi per il freddo intenso e il terreno insidioso, umido, paludoso e ghiacciato per cui iniziarono a ribellarsi costringendo il generale a tornare indietro. Però nel paese della Migdonia assediò e conquistò la grande città di Nisibis già tolta dagli Armeni ai Parti. 

Le lamentele delle truppe di Lucullo giunsero a Roma e il Senato decise di sostituire il proconsole romano e di congedare buona parte dei suoi soldati. Lucullo si era anche inimicato la fazione degli usurai e pubblicani, per averli tenuti a freno. 

VILLA DI LUCULLO
Mitridate ne profittò per attaccare i Romani, anzitutto contro un legatus di Lucullo, di nome Fabio, che sarebbe stato massacrato con tutto l'esercito, se Mitridate non fosse stato colpito da una pietra ad un ginocchio e da un dardo sotto l'occhio, costringendolo a sospendere i combattimenti. 

Fabio venne assediato in Cabira ma un secondo legato, Gaio Valerio Triario, che si trovava in marcia verso Lucullo lo liberò e sconfisse il nemico. Poi Triario, deciso ad inseguire Mitridate, lo sconfisse presso Comana, ma giunse l'inverno e i combattimenti vennero sospesi.

In primavera ripresero i combattimenti e Mitridate si accampò presso Gaziura di fronte a Triario cercando di provocarlo. Ci riuscì e lo sconfisse pesantemente nei pressi di Zela. Mitridate si ritirò nel paese Piccola Armenia nei pressi Talauro, distruggendo tutto ciò che non era in grado di trasportare, in modo da evitare di essere raggiunto da Lucullo nella sua marcia. 

Poi Mitridate invase nuovamente la Cappadocia, riconquistando quasi tutti i vecchi domini. Intanto sempre nel 67 a.c. Gneo Pompeo Magno riusciva a ripulire l'intero bacino del Mediterraneo dai pirati, dalla Creta alle coste della Licia, della Panfilia e della Cilicia. 

Pertanto il Senato lo incaricò di muovere guerra contro Mitridate VI re del Ponto, in Oriente nel 66 a.c., grazie alla lex Manilia, proposta dal tribuno della plebe Gaio Manilio, appoggiata da Cesare e Cicerone. 

POMPEO MAGNO

Pompeo richiamò la legione Valeriana e Mitridate, che disponeva di un numero di armati inferiore, non ingaggiò il suo avversario, ma si diede al saccheggio, obbligando Pompeo a corrergli dietro, cercando inoltre di bloccargli i rifornimenti soprattutto dell'acqua. 

Il re del Ponto, che disponeva ancora di un esercito di 30.000 fanti e 3.000 cavalieri, si era posto lungo la frontiera del suo regno, ma poiché Lucullo aveva devastato quella regione, vi erano poche risorse di approvvigionamento si che molti dei suoi armati disertarono.

Il re allora preferì ritirarsi sperando che anche Pompeo patisse della scarsità dei rifornimenti, ma            questi aveva già fatto costruire una serie di pozzi per l'acqua lasciando poi dietro di sè nuove                  postazioni fortificate a 25 km l'una dall'altra. Disegnò quindi una linea di circonvallazione che gli          permettesse di assediare il re del Ponto ed approvvigionarsi senza difficoltà. 

Mitridate, avendo scarsi approvvigionamenti fu costretto a macellare i suoi animali da soma,                  risparmiando solo i cavalli e infine decise di scappare nella notte con i le truppe migliori, lasciando        morire i più deboli, cavalcando verso l'Armenia di Tigrane, per raggiungere l'Eufrate.

LA REGINA PSICRATE MOGLIE DI MITRIDATE

PSICRATE

La regina Psicrate, o Ipsicratea, moglie di Mitridate VI, donna piena di coraggio e dedizione, era talmente innamorata del marito da tagliare i suoi capelli, apprendere le arti militari, imparare a combattere, vestirsi da uomo e seguirlo in battaglia fino all'esilio.

Secondo Ispicratea il suo regno si trovava ovunque fosse il marito, che seguì in battaglia combattendo al suo fianco con l'arco, la spada, la lancia e l'ascia. Anche dopo la sconfitta per mano di Pompeo, Ipsicratea fu una delle tre persone che rimasero fino all'ultimo fedeli a Mitridate.

RESTI DI NICOPOLIS


LA BATTAGLIA DI NICOLPOLIS

APPIANO D'ALESSANDRIA

La mattina dopo i comandanti schierarono le truppe, mentre le avanguardie romane iniziarono i primi attacchi. Appiano aggiunge che un gruppo di cavalieri pontici, per aiutare l'avanguardia, abbandonati i cavalli nell'accampamento, si precipitarono in loro soccorso a piedi.

Ma altra cavalleria romana si era intanto gettata sul nemico, che dovette tornare al campo e risalire sui cavalli. Allora i militari dell'accampamento, vedendo correre i cavalieri appiedati pensarono a una fuga per cui gettarono le armi e fuggirono all'impazzata cadendo nei precipizi circostanti. 

Così l'esercito di Mitridate subì una nuova sconfitta, Pompeo uccidere ben 10.000 soldati e il campo fu preso e saccheggiato. 

(Appiano d'Alessandria - Guerre Mitridatiche)


CASSIO DIONE COCCEIANO

«Pompeo gli tenne dietro, desiderando di venire a battaglia. Ma non poté fare ciò prima che il nemico raggiungesse i confini della regione. Infatti di giorno non riusciva ad attaccarlo, poiché non uscivano dall'accampamento, di notte non osava, poiché non conosceva i luoghi. Quando si accorse che Mitriadate stava per sfuggirgli, si vide obbligato ad attaccarlo di notte

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 48.3.)

Cassio Dione invece si racconta che lo scontro avvenne di notte (e così Tito Livio e Plutarco, che parla di mezzanotte) e probabilmente non distante dall'Eufrate. Pompeo si mise in marcia di nascosto verso il luogo dove il re del Ponto ed il suo esercito sarebbe dovuto passare, e giunto in una valle stretta tra le colline, fece accampare i suoi soldati sulle vette ed attese il nemico. 

Quando le armate mitridatiche penetrarono nella gola, Pompeo piombò su di loro nel buio. I Pontici non avevano fiaccole e in cielo non c'era la luna, i pontici tra il frastuono e il buio si terrorizzarono temendo una collera divina. Intanto i Romani dalle alture colpivano con pietre, frecce e dardi, colpendoli con sicurezza tanto erano accalcati anche con le donne, i cavalli e i cammelli. 

Quando poi i Romani cominciarono ad attaccare, piombando dall'alto sulla colonna, quelli ai margini dello schieramento furono massacrati, anche perché molti erano privi di armature. 

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI)


PLUTARCO

 Secondo Plutarco, lo scontro avvenne durante la notte, presso l'accampamento pontico, prima che           con la luce del giorno seguente, le truppe di Mitridate potessero mettersi in marcia e trovare la loro         salvezza oltre l'Eufrate. Così molti armati morirono e molti altri furono fatti prigionieri dai Romani.         Lo stesso re riuscì a fuggire a stento.   

(Plutarco, Vita di Pompeo, 32.6-7.)

PORTA TRIONFALE DI MITRIDATE


IL SEGUITO

Ancora una volta Mitridate fu costretto alla fuga, attraverso un territorio impervio e roccioso con al seguito un limitato gruppo di cavalieri mercenari e circa 3.000 fanti, i quali lo accompagnarono fino alla fortezza di Simorex, dove il re vi aveva depositato un'ingente somma di denaro. Qui distribuì a tutti un ricco premio pari ad un anno di paga. 

Prese poi i restanti 6.000 talenti e marciò verso le sorgenti del fiume Eufrate, per raggiungere la Colchide. Dopo quattro giorni attraversò l'Eufrate, tre giorni dopo entrò nella Chotene Armenia, dove i suoi abitanti, insieme agli Iberi tentarono di fermarlo con dardi e fionde, per impedirgli di entrare, ma lui riuscì ad avanzare fino al fiume Apsarus.


BIBLIO                                                                                                                                                 

- Appiano di Alessandria - guerre mitridatiche - 
- Cassio Dione Cocceiano - Storia romana - XXXVI -
- Plutarco - Vita di Pompeo - 
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri - 97 - 
- Plutarco - Vita di Lucullo -
- John Leach - Pompeo - il rivale di Cesare - Milano - 1983 -
- G. Antonelli - Mitridate, il nemico mortale di Roma - Il Giornale - Biblioteca storica - Milano -            1992 -
- G.Brizzi - Storia di Roma - 1 - Dalle origini ad Azio - Bologna - 1997 -
- A.Piganiol - Le conquiste dei Romani - Milano - 1989.-5

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