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BOLA (Città scomparse)

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L'ANTICA BOLA

Bola (o Bolae) fu una città del Latium vetus (l'antico Lazio), citata nel libro VI dell'Eneide di Virgilio, v. 766, assieme alle colonie di Suessa Pometia, Castrum Inui e Cora. Secondo la tradizione più nota Bola sarebbe sorta come colonia di Alba Longa, ricordata da Diodoro Siculo, anche essa città scomparsa che Dionigi di Alicarnasso colloca tra il Monte Cavo e il lago Albano.

Sebbene Dionigi di Alicarnasso non l'abbia inserita nell'elenco delle città che avevano aderito alla Lega Latina, Bola era indubbiamente una città latina. Anche Plinio il Vecchio, inserisce i Bolani fra le popolazioni albane che tuttavia alla sua epoca (I secolo d.c.) erano totalmente scomparse.

Dionigi d'Alicarnasso la cita come una delle città prese dai Volsci condotti da Coriolano quando tradì i Romani (le altre erano Tolerium e Labicum). Così i Volsci saccheggiarono le case, fecero schiavi gli uomini, e infine dettero Bola alle fiamme. 

Per intendersi i Volsci erano quelli della Vergine Camilla, alleata dei Latini e di Turno contro i Troiani di Enea. Nel libro VII di Virgilio l'Amazzone italica compare alla testa d'uno squadrone di cavalieri, compiendo prodigi di valore nella grande battaglia del libro XI, finché viene uccisa dall'etrusco Arunte.

Questo episodio non è riportato da Tito Livio che invece la ricorda come città degli Equi, avversaria di Roma nelle guerre contro gli Equi e i Volsci, il che lascerebbe pensare che Bola fosse caduta sotto il dominio degli Equi.

TRIONFO DI CAMILLA REGINA DEI VOLSCI


MARCO POSTUMIO

Nel 418 a.c. i Romani rasero al suolo l'antica Labicum, che si era ribellata, e ne distribuirono il territorio a 1500 veterani. L'anno dopo, mentre i romani discutevano se inviare o meno dei coloni romani a Bola, questa venne riconquistata e fortificata dagli Equi; il Senato romano si rivolse allora a Marco Postumio Regillense (... – Bola, 414 a.c.).

«La campagna contro gli Equi fu affidata a quest'ultimo, uomo di indole malvagia, anche se essa si manifestò più nell'ora della vittoria che durante la guerra»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 49.)

Marco Postumio condusse l'esercito romano alla vittoria contro gli Equi, ma si inimicò i soldati, mancando alla promessa di dividere con essi il bottino di guerra. Richiamato a Roma, mancare alle promesse con l'esercito era cosa grave, ebbe a discutere in modo veemente in assemblea con i tribuni della plebe:

«Postumio esclamò: «Guai ai miei soldati se non staranno tranquilli!»»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 49.)
Il fatto giunse al campo militare che iniziò a ribellarsi facendo tornare Postumio al campo:

«Quando la frase di Postumio arrivò alle orecchie dei soldati, suscitò nell'accampamento un'indignazione ancora più grande: l'uomo che era ricorso alla frode per togliere il bottino alle sue truppe, ora minacciava anche di punirle?»
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 50.)

Marco Postumio affrontò i propri soldati con molta durezza, decidendo addirittura di mandare a morte alcuni soldati, allora vi furono ancora maggiori tumulti e fu lapidato dai suoi stessi soldati.

«Richiamato da questo tumulto, Postumio aggravò la situazione con duri interrogatori e crudeli punizioni. Quando le urla di quelli che erano stati condannati a morte con il graticcio richiamarono una gran folla, egli, non riuscendo a frenare la collera, corse giù come un forsennato dai banchi del tribunale verso coloro che protestavano contro la pena. Non appena littori e centurioni si buttarono sulla folla cercando di disperderla, la rabbia proruppe a tal punto che il tribuno militare venne lapidato dalle sue truppe
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", IV, 4, 50.)
Ma i tribuni della plebe impedirono ai tribuni consolari di aprire un'inchiesta sull'accaduto e i legionari ebbero salva la vita.

IL TRIONFO DI FURIO CAMILLO

LA DISTRUZIONE

Bola venne infine conquistata da Furio Camillo, reduce dalla vittoria contro i Volsci vicino a Maecium (nei pressi di Lavinio), nel 389 a.c.. Diodoro Siculo ci informa che poi venne occupata dai Latini e assediata dagli Equi. Questa è l'ultima menzione nota della città; probabilmente fu distrutta durante queste guerre e non se ne trovano ulteriori tracce, se non in Plinio il Vecchio che la cita tra le città scomparse.

Bola sparì dunque verso la fine dell'età repubblicana, senza lasciare tracce di sé, tanto è vero che oggi ci sono diversi dubbi sulla sua collocazione. L'ipotesi più accettata è che si trovasse nella Valle del Sacco in prossimità dell'antica Labicum, corrispondente probabilmente all'odierna Monte Compatri, e di Palestrina. Molti la identificano con l'odierna Labico.



LA LOCAZIONE

Livio racconta che il suo ager confinava con quello di Labicum e di Pedum, dove Labicum era ubicata nella Valle del Sacco tra Roma, Tusculum e Praeneste, e Pedum era situata tra Tibur e Praeneste, presso l'odierna Gallicano, sempre nel Lazio

Molti studiosi, tra cui Francesco de' Ficoroni e Antonio Nibby, ne hanno dedotto che Bola occupasse il sito di Lugnano, l'odierna Labico, che era posto 7 Km a sud di Palestrina (Praeneste), ed a 12 Km a sud-est di Colonna. Questa posizione era piuttosto felice, in quanto naturalmente fortificata dalla presenza di numerosi burroni che la circondano e che esemplificano di molto la sua fortificazione.

Era inoltre molto vicina alla località "Ad Statuas" (vedi la cartina in alto) così chiamata per l'enorme presenza di statue che l'abbellivano, distante da Roma intorno ai 29 km, e collegato ad essa dalla Via Labicana che proprio qui si diramava in più strade per potere arrivare alle vicine città di Tusculum, Praeneste e Gabii.

Oggi la località "Ad Statuas" si chiama S. Cesareo e qui, intorno alla metà del II secolo a.c., sorsero locande, taberne e ville di otium di alti personaggi romani, tra cui Giulio Cesare, che proprio nella sua villa ancora esistente, redasse il suo testamento. Sempre qui, il 28 settembre del 306 d.c., fu acclamato imperatore dai pretoriani e dal popolo, Valerio Massenzio mentre si trovava nella villa imperiale.

Nel 1191 diventato feudo della famiglia Colonna, prese il nome di Burgus et Castrum Sancti Caesarii. Nel 1622 fu venduto alla famiglia Ludovisi di Bologna, i quali iniziarono gli scavi per riportare alla luce le opere dell'epoca romana, soprattutto le famose statue.


BIBLIO

- Diodoro Siculo - VII - Ap. Euseb. Arm -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia - III -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - VIII -
- Plutarco - Coriolanus -
- Tito Livio - Ab Urbe condita - IV, VI -
- Francesco Ficoroni - Memorie di Labico - Roma - stamperia di Girolamo Mainardi - 1745 -
- Antonio Nibby - Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma - vol. I -

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