Portuno, ovvero Portumnus, era il Dio romano dei porti e delle porte, che in seguito venne identificato con il Dio greco Palemone, detto anche Melicerte, anch'egli protettore dei porti, assorbendone anche i miti, cosicché Portuno ebbe come madre
, la Dea Bianca, trasferita sulla Dea Mater Matuta.
Così la Dea italica Mater Matuta aveva un figlio, appunto Portumnus, proprio nel suo aspetto di Dea marina, una delle qualità della Dea. Sembra infatti che una statua della Dea col figlioletto Portumnus in braccio fosse stata deposta a Roma proprio nel tempio di Portumnus, che venne dedicato proprio il giorno dei Portunalia.
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LEUCOTEA - CASTELLO DI SANTA SEVERA |
PALEMONE
Dapprima chiamato Melicerte, fu il mitico figlio di Atamante, re dei Mini in Orcomeno, e di Ino, una mortale figlia di Cadmo ed Armonia, che fu la seconda moglie di Atamante e divenne madre di Learco e Melicerte. Secondo la leggenda venne gettato nell’acqua bollente dal padre o dalla madre impazziti.
Poi Ino, rinsavita, lo trasse fuori e si gettò con lui in mare e venne trasformata nella divinità marina Ino-Leucotea, mentre Melicerte assunse il nome di Palemone dopo essere stato trasformato in un Dio marino, Portunus per i Romani, Dio propizio ai naviganti.
Secondo quanto riferito da Varrone, quel tempio si trovava presso il Ponte Emilio, come indicano alcuni antichi calendari romani. Nel calendario di Capranica infatti si legge: "Portuno ad pontem Aemiliano ad theatrum Marcelli"; in quello di Amiterno: "Feriae Portuno Portun... ad pontem Aemilium".
Dunque la divinità era collegata al porto fluviale che si trovava negl'immediati paraggi, nella zona ora occupata oggi dall'edificio dell'Anagrafe, ed era pseudoperiptero (dove il colonnato si riduce a una fila di semicolonne o di paraste, aggettanti dalle pareti).
Scavi recenti hanno rivelato l'esistenza, a un livello più basso, di una fase precedente del tempio, attribuibile al IV o al III sec. a.c. Il tempio, che volta le spalle al foro Boario, è uno dei pochi dell'età repubblicana arrivato integro.
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DIO PORTUMNUS |
LA CERIMONIA
Negli Scholia Veronensia si legge che durante la cerimonia dei Portunalia si gettassero delle chiavi nel fuoco, secondo alcuni si sarebbe trattato di portare le chiavi nel Foro per un sacrificio di espiazione, ma non sembra molto attendibile perchè appare come un rito di purificazione.
"huius dies festus Portunalia, qua apud veteres claves in focum addere prope more institutum"
(G. Vaccai, Le feste di Roma antica, Roma, Edizioni Mediterranee, 1986)
Secondo altri ancora si gettavano in acqua le chiavi del tempio che poi venivano ripescate.
Nell'iconografia Portuno veniva rappresentato con le chiavi in mano, in quanto protettore delle porte. Secondo Giuliano Bonfante e Georges Dumézil. Nel tardo calendario filocaliano, la festa del 17 agosto venne chiamata Tiberinalia, nome derivante dal Porto Tiberino, dove si trovava appunto il tempio di Portuno.
Nella Roma dei Cesari, il tempio, prossimo al Tevere, era eretto tra due portici e venne un tempo attribuito falsamente alla Fortuna Virile, alla cui Dea Servio Tullio dedicò un tempio proprio nel Foro Boario, ma era la dedica più antica, trasformata poi in Mater Matuta con figlio Portunus in braccio, e infine dedicata al solo Dio Portunus.
FLAMEN PORTUNALIS
Il flamine portunale (Flamen Portunalis) era il sacerdote preposto al culto del Dio Portumnus, protettore dei porti e del commercio marino.
Il culto pubblico di Portuno, essendo un culto di stato, era curato a Roma da uno dei dodici flamini minori, il flamine portunale. La sua festività era denominata Portunalia e si celebrava il 17 agosto, in quanto era stato dedicato in quel giorno.
Del flamine portunale sappiamo solo che in occasione dei Portunalia del 17 agosto svolgeva la funzione di ungere le armi (o più precisamente l'asta) della statua di culto di Quirino nel suo tempio sul Quirinale.
Dice infatti Festo che "persillum vocant sacerdotes rudusculum picatum ex quo unguine flamen Portunalis arma Quirini unguet". Il persillum era un vaso impeciato di terracotta nel quale era conservato l'unguento usato per questa operazione.
Kurt Latte aveva escluso che potesse trattarsi del flamine Portunale sostenendo trattarsi invece del flamine Quirinale, ma Georges Dumézil fece osservare come il significato di questa operazione sia quello del mantenimento in efficienza delle armi di
Quirino, che ben si accorda con il suo carattere di Mars tranquillus e la funzione di Portuno di guardiano delle porte (oltre che dei porti) ben si accorda con l'intervento del suo flamine sulle armi di Quirino.
Inoltre la vicinanza delle due divinità e quindi del flamine Portunale è dimostrata anche dalla raffigurazione di Portuno con le chiavi in mano e dall'epiteto di Custos dato a Quirino.
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TEMPIO DI PORTUNO A ROMA |
IL DIO DEI NAVIGANTI
Nell'Eneide, Portuno viene invocato da Cloanto, compagno di Enea, durante la gara delle navi e il Dio risponde spingendo la nave fino alla vittoria, pertanto è anche Dio dei naviganti: "
et pater ipse manu magna Portunus euntem impulit" ("
il padre stesso Portuno con grande mano sospinse la nave in corsa") (P. Virgilio Marone, Eneide, V, 241).
Come attesta
M. Terenzio Varrone, si trovava presso il Ponte Emilio, come del resto indicano alcuni antichi calendari romani.
Portuno sarebbe stato in origine il Dio degli attraversamenti d'acqua, cioè dei guadi, ai tempi in cui i Latini vivevano nei villaggi di palafitte sulla riva del fiume, per cui l'accesso al villaggio sarebbe stato contemporaneamente un porto (per l'attracco delle imbarcazioni) e una porta (per l'entrata al villaggio), ma la cosa è solo una supposizione.
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PORTUMNUS |
LE PORTUNALIA
Nella festa delle
Portunalia i sacerdoti iniziavano la processione di buon'ora con delle barche inghirlandate che scorrevano sul Tevere dove le acque venivano benedette, per la buona navigazione e già che c'erano pure per la pesca. Vi partecipavano dunque i marinai romani che combattevano sulle navi, ma pure gli addetti al porto e i pescatori.
Le ghirlande venivano poi gettate nel Tevere e seguiva poi la cerimonia ai piedi del tempio Portuno dove venivano gettate nel fuoco le chiavi del tempio e venivano, non bruciati, ma grigliati sui numerosi bracieri preparati all'occorrenza sempre ai piedi del tempio, una lunga serie di pesci che venivano poi divisi tra la popolazione. In pratica un cibo benedetto.
Seguiva poi la sfilata delle barche da pesca a loro volta inghirlandate con i marinai che cantavano e bevevano fino a notte quando si accendevano le torce e il Tevere notturno s'illuminava come le sue rive. Sembra che per l'occasione si lanciassero in acqua vari amuleti che proteggessero le navi romane dagli attacchi nemici. la festa terminava quando si spegnevano le fiaccole.
BIBLIO
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- Carlo Buzzetti, s.v. - Portunus, aedes - in Eva Margareta Steinby - Lexicon Topographicum Urbis Romae - IV - 1999 -
- Georges Dumézil - La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana -Milano - Rizzoli - 2001 -
- Publio Ovidio Nasone - Fasti - VI -
- Publio Virgilio Marone - Eneide - V - 241 -
- Dario Sabbatucci - La Religione di Roma antica - edizioni Il Saggiatore -1988 -
- Graves, Richard Perceval - Robert Graves and The White Goddess - 1940-85 - Londra: Weidenfeld and Nicolson - 1995 -