PESCENNIO NIGRO |
Nascita: 135/140 Aquino
Regno: 9 aprile 193 - Maggio 194
Morte: 194 Antiochia
Padre: Annio Fusco
Madre: Lampridia
Padre: Annio Fusco
Madre: Lampridia
Consolato: 180
«Uomo di mediocre istruzione, di carattere altero, smisuratamente avido di ricchezze, sobrio nel tenore di vita, privo di alcun freno nel dar sfogo ad ogni genere di passioni, per lungo tempo fu centurione e, attraverso numerose cariche militari, giunse infine a comandare per ordine di Commodo gli eserciti di Siria, grazie particolarmente all’appoggio di quell’atleta che poi ebbe a strangolare Commodo, secondo quanto avveniva a quei tempi in ogni cosa.»
(Historia Augusta, Pescennio Nigro)
Pescennio Nigro (ovvero Gaius Pescennius Niger) fu un militare ed un usurpatore dell'Impero tra il 193 ed il 194. Nato ad Aquino, nell'alto Lazio, da un'antica famiglia italica del ceto equestre, il nonno sarebbe stato procuratore di Aquino, ebbe un'ottima carriera e fu il primo della sua gens a diventare senatore nel 180 circa.
Nel 183 fu legato delle Tre Dacie, combattendo con successo contro i barbari, e nel 188 venne inviato da Commodo in Gallia per combattere contro i disertori guidati da Materno. Fu infine eletto console suffetto e ottenne la provincia di Siria da Commodo nel 191.
Mentre si trovava in Siria giunse la notizia che Commodo era stato ucciso e poi anche Pertinace. Inoltre c'era stata la vendita all'asta del titolo imperiale a Didio Giuliano, ormai odiato da tutta Roma. A questo punto Pescennio venne proclamato imperatore dalle legioni orientali.
LA PROPAGANDA
L'Historia Augusta (Pesc. Nigr., 6) lo dice di alta statura, con i capelli ricci, di bello aspetto e piuttosto pingue. Secondo Erodiano (II, 7) al momento della sua elezione era in età avanzata. La sua monetazione coniata in Oriente, ci mostra un ritratto dal viso piuttosto allungato, con tratti grossolani, lunga barba, fronte rugosa, occhio rotondo con sopracciglia ben marcate, naso grosso e prominente; più giovanile di Pertinace, ma piuttosto anziano.
Tra le province che caddero sotto il suo controllo c'era l'Egitto, e Nigro ricevette un grande sostegno dal governo della provincia dell'Asia. Ma in Occidente un altro comandante romano, Settimio Severo si impadroniva del potere e venne riconosciuto dal senato.
Le legioni della penisola balcanica proclamarono imperatore il cirenaico Settimio Severo, mentre le legioni del nord, della Britannia e dell’alta Gallia e Hispania elessero il generale Clodio Albino. Il quarto pretendente era Pescennio Nigro, che vantava l’appoggio delle legioni dell’Egitto, dell’Asia Minore e soprattutto della Siria.
«Nigro fu colto del tutto impreparato dalla notizia che Severo aveva occupato Roma, era stato riconosciuto imperatore dal senato, e avanzava con forze terrestri e navali fra cui tutto l’esercito illirico. Mandò messaggi a tutti i governatori delle province, ordinando loro di presidiare le strade e i porti; inoltre chiese aiuto ai re dei Parti, degli Armeni e degli Atreni. L’Armeno rispose che non avrebbe aiutato nessuno dei due rivali. Il Parto disse che avrebbe scritto ai satrapi incaricandoli di raccogliere milizie, non disponendo né di mercenari né di un esercito permanente.
Per contro vennero in aiuto di Nigro alcuni arcieri atreni, mandati da Barsemio, che regnava su quel popolo; inoltre si arruolarono nel suo esercito moltissimi Antiocheni, soprattutto giovani, spinti dalla loro leggerezza e dall’affetto per Nigro, e lasciandosi guidare dall’entusiasmo piú che dalla riflessione. Nigro ordinò di sbarrare gli impervi valichi del Tauro poi mandò avanti una parte del suo esercito a occupare Bisanzio, la città piú grande e prospera della Tracia, sperando di impedire il passaggio dall’Europa all’Asia attraverso gli stretti. La città era circondata da mura alte e robuste. Severo, dal canto suo, avanzava a marce forzate, non lasciando luogo all’inerzia e al riposo.
Poiché sapeva che Bisanzio era munita di saldissime mura, ordinò che l’esercito passasse la Propontide all’altezza di Cizico. Il governatore della provincia d’Asia, Emiliano, cui Nigro aveva affidato la cura e il comando di quel settore, quando gli si annunciò che l’esercito di Severo si avvicinava, marciò anch’egli verso Cizico, portando tutte le truppe che egli stesso aveva raccolto e che Nigro gli aveva mandato. Quando i due eserciti si scontrarono, in tutta la zona si ebbero sanguinosi combattimenti, e le truppe di Severo ebbero la meglio. I soldati di Nigro si dispersero e fuggirono subendo gravi perdite.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, III)
Tra le legioni che giurarono fedeltà a Pescennio, sappiamo che vi furono la Legio II Traiana Fortis e probabilmente la X Legio Fretensis: oltre a queste, Pescennio schierò altre cinque legioni e conquistò Bisanzio preparandosi ad entrare in Tracia. Ma a precederlo fu Settimio Severo, governatore della Pannonia e della Dalmazia, che aveva a disposizione ben nove legioni, con le quali invase l'Italia. Giuliano, confuso e impreparato, si legò Clodio Albino come cesare, ma Settimio conquistò Aquileia e molte altre città, costringendo le truppe di Giuliano ad arrendersi. La campagna in Italia fu praticamente incruenta, e Giuliano venne ucciso.
Settimio Severo persuase numerosi potentati orientali a sposare la sua causa e a disertare Pescennio: il governatore dell’Arabia si schierò con Settimio, la Legio VI Ferrata passò dalla parte dell’imperatore libico e la II Traiana Fortis e diverse vessillazioni, prima allineate con Pescennio, passarono dalla fazione opposta.
Sembra che Nigro e Severo fossero stati grandi amici quando quest’ultimo era governatore della Gallia Lugdunense, ma ciò non frenò l’imperatore nativo della Tripolitania, Pescennio, indebolito dalla defezione di alcune legioni, dopo una prima grave sconfitta subìta dal suo comandante Asellio Emiliano a Cizico (193), fu battuto presso Nicea (194) e presso Isso.
Perduto il consenso delle legioni e il potere materiale, Pescennio tentò di fuggire nel regno dei Parti, e chiedere asilo al re Vologase V. Tuttavia, durante una tappa a Bisanzio, Pescennio fu raggiunto dagli uomini di Settimio, che lo uccisero e portarono la sua testa al nuovo Imperatore, che in seguito a quest’evento fu declamato per la quarta volta Imperator dal Senato.
«Nigro, informato dell’accaduto, avanzò in gran fretta con l’esercito che aveva riunito: numeroso, ma non allenato alle fatiche e al combattimento. L’entusiasmo delle truppe, dunque, non gli faceva difetto, ma quanto a vigore e a esperienza l’esercito illirico era di gran lunga superiore. I due eserciti si scontrarono nella pianura bagnata dal golfo d’Isso, che è di grandissima estensione. Il combattimento fu lungo, e il massacro tanto grande che le correnti dei fiumi, attraversando la pianura, portavano al mare piú sangue che acqua: infine gli orientali piegarono.
Gli Illiri, incalzandoli, spinsero in mare, a colpi di spada, una parte dei nemici; inseguirono gli altri fino alle colline, e lí ne fecero strage. Sterminarono anche una grande moltitudine di altri uomini che erano accorsi dalle città e dalle campagne circostanti, per assistere alla battaglia da un luogo ritenuto sicuro. Nigro, montato un cavallo molto veloce, fuggí con pochi uomini, e giunse ad Antiochia. Là incontrò altri superstiti che vi si erano rifugiati, e trovò la città funestata dal lutto di coloro che piangevano i figli e i fratelli. Perduta ogni speranza, lasciò Antiochia, e si nascose in un sobborgo. Scoperto colà dai cavalieri mandati a inseguirlo, fu preso e decapitato.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, III, 4,1 -4,6)
Nel 183 fu legato delle Tre Dacie, combattendo con successo contro i barbari, e nel 188 venne inviato da Commodo in Gallia per combattere contro i disertori guidati da Materno. Fu infine eletto console suffetto e ottenne la provincia di Siria da Commodo nel 191.
Mentre si trovava in Siria giunse la notizia che Commodo era stato ucciso e poi anche Pertinace. Inoltre c'era stata la vendita all'asta del titolo imperiale a Didio Giuliano, ormai odiato da tutta Roma. A questo punto Pescennio venne proclamato imperatore dalle legioni orientali.
LA PROPAGANDA
L'Historia Augusta (Pesc. Nigr., 6) lo dice di alta statura, con i capelli ricci, di bello aspetto e piuttosto pingue. Secondo Erodiano (II, 7) al momento della sua elezione era in età avanzata. La sua monetazione coniata in Oriente, ci mostra un ritratto dal viso piuttosto allungato, con tratti grossolani, lunga barba, fronte rugosa, occhio rotondo con sopracciglia ben marcate, naso grosso e prominente; più giovanile di Pertinace, ma piuttosto anziano.
«Era di età matura, e aveva raggiunto la fama con molte brillanti imprese: lo si credeva uomo saggio e probo, e si diceva che avesse scelto Pertinace come suo modello di vita. Tutto ciò lo rendeva popolare presso i Romani, i quali lo acclamavano continuamente nelle pubbliche riunioni, e sebbene fosse lontano già lo salutavano imperatore, mentre coprivano d’insulti Giuliano, presente tra loro. Poiché Nigro conobbe l’animo dei Romani, e seppe delle grida che venivano lanciate negli assembramenti, ne fu, com’è logico, ben lieto; e ritenne che le prospettive fossero per lui estremamente favorevoli.
In un primo tempo convocò a casa propria, in piccoli gruppi, i legati e i tribuni militari, con i soldati piú influenti, e li attirò alla sua causa; inoltre li informò delle notizie avute da Roma, affinché la voce circolasse e i fatti fossero noti a tutti i soldati e ai sudditi delle province orientali. Sperava cosí che tutti accettassero di seguirlo, rendendosi conto che egli non aspirava al potere di sua iniziativa, bensí era chiamato al trono, e muoveva in aiuto dei Romani che lo invocavano. E tutti, pieni di entusiasmo, si schierarono al suo fianco senza indugio, supplicandolo anch’essi di assumere il potere. Facendo calcolo su tali circostanze, egli convocò tutti i soldati per un giorno stabilito; e si aggiunse ai soldati grande massa di popolo e cosí parlò:
«Voi ben sapete, e da molto tempo, quanto il mio animo sia pacifico, e alieno dalle imprese temerarie. Né io mi sarei mai presentato a parlarvi, se fossi spinto da aspirazioni personali, o da una folle speranza, o addirittura da una ambizione smoderata. Ma sono i Romani che mi chiamano, e con manifestazioni continue insistono acciocché io tenda loro la mia mano soccorritrice, e non lasci giacere nella vergogna un impero che i nostri avi crearono con tanta gloria e tanto valore. In queste circostanze intendo usufruire del vostro consiglio e della vostra assistenza: sicché, quando la sorte ci sia favorevole, comuni saranno anche i vantaggi.
Noi siamo chiamati, non da una speranza ingannevole e vana, ma dallo stesso popolo romano, cui gli Dei assegnarono il primato e la signoria su tutte le genti; e dallo stato, che è come nave in tempesta e non trova alcun appoggio sicuro. La nostra impresa si prospetta facile, e per il consenso di quelli che l’invocano e per la mancanza di oppositori e rivali. Infatti, secondo le notizie da Roma, nemmeno i pretoriani, che hanno venduto il potere a quell’uomo per denaro, gli sono fedeli e sono disposti a servirlo, ora che non ha mantenuto le sue promesse. Esprimete dunque la vostra volontà».
Subito tutti i soldati, e il popolo colà raccolto, lo proclamarono imperatore e lo salutarono con il nome di Augusto. Quindi gli fecero cingere la porpora imperiale, con le altre insegne del potere preparate in gran fretta, e lo condussero, preceduto dalle fiaccole accese, ai templi di Antiochia, e infine alla sua casa. Inoltre la notizia si era diffusa rapidamente presso le varie province dell’Asia, e tutti, senza eccezione, aderivano sollecitamente alla sua causa: da quei popoli si recavano ambascerie ad Antiochia come presso un monarca già riconosciuto. Anche i satrapi e i re delle regioni al di là del Tigri e dell’Eufrate inviavano i loro rappresentanti a congratularsi, e gli promettevano di mandare soccorsi se ne avesse avuto bisogno.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, II)
In un primo tempo convocò a casa propria, in piccoli gruppi, i legati e i tribuni militari, con i soldati piú influenti, e li attirò alla sua causa; inoltre li informò delle notizie avute da Roma, affinché la voce circolasse e i fatti fossero noti a tutti i soldati e ai sudditi delle province orientali. Sperava cosí che tutti accettassero di seguirlo, rendendosi conto che egli non aspirava al potere di sua iniziativa, bensí era chiamato al trono, e muoveva in aiuto dei Romani che lo invocavano. E tutti, pieni di entusiasmo, si schierarono al suo fianco senza indugio, supplicandolo anch’essi di assumere il potere. Facendo calcolo su tali circostanze, egli convocò tutti i soldati per un giorno stabilito; e si aggiunse ai soldati grande massa di popolo e cosí parlò:
«Voi ben sapete, e da molto tempo, quanto il mio animo sia pacifico, e alieno dalle imprese temerarie. Né io mi sarei mai presentato a parlarvi, se fossi spinto da aspirazioni personali, o da una folle speranza, o addirittura da una ambizione smoderata. Ma sono i Romani che mi chiamano, e con manifestazioni continue insistono acciocché io tenda loro la mia mano soccorritrice, e non lasci giacere nella vergogna un impero che i nostri avi crearono con tanta gloria e tanto valore. In queste circostanze intendo usufruire del vostro consiglio e della vostra assistenza: sicché, quando la sorte ci sia favorevole, comuni saranno anche i vantaggi.
Noi siamo chiamati, non da una speranza ingannevole e vana, ma dallo stesso popolo romano, cui gli Dei assegnarono il primato e la signoria su tutte le genti; e dallo stato, che è come nave in tempesta e non trova alcun appoggio sicuro. La nostra impresa si prospetta facile, e per il consenso di quelli che l’invocano e per la mancanza di oppositori e rivali. Infatti, secondo le notizie da Roma, nemmeno i pretoriani, che hanno venduto il potere a quell’uomo per denaro, gli sono fedeli e sono disposti a servirlo, ora che non ha mantenuto le sue promesse. Esprimete dunque la vostra volontà».
Subito tutti i soldati, e il popolo colà raccolto, lo proclamarono imperatore e lo salutarono con il nome di Augusto. Quindi gli fecero cingere la porpora imperiale, con le altre insegne del potere preparate in gran fretta, e lo condussero, preceduto dalle fiaccole accese, ai templi di Antiochia, e infine alla sua casa. Inoltre la notizia si era diffusa rapidamente presso le varie province dell’Asia, e tutti, senza eccezione, aderivano sollecitamente alla sua causa: da quei popoli si recavano ambascerie ad Antiochia come presso un monarca già riconosciuto. Anche i satrapi e i re delle regioni al di là del Tigri e dell’Eufrate inviavano i loro rappresentanti a congratularsi, e gli promettevano di mandare soccorsi se ne avesse avuto bisogno.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, II)
SETTIMIO SEVERO |
SETTIMIO SEVERO
Le legioni della penisola balcanica proclamarono imperatore il cirenaico Settimio Severo, mentre le legioni del nord, della Britannia e dell’alta Gallia e Hispania elessero il generale Clodio Albino. Il quarto pretendente era Pescennio Nigro, che vantava l’appoggio delle legioni dell’Egitto, dell’Asia Minore e soprattutto della Siria.
«Nigro fu colto del tutto impreparato dalla notizia che Severo aveva occupato Roma, era stato riconosciuto imperatore dal senato, e avanzava con forze terrestri e navali fra cui tutto l’esercito illirico. Mandò messaggi a tutti i governatori delle province, ordinando loro di presidiare le strade e i porti; inoltre chiese aiuto ai re dei Parti, degli Armeni e degli Atreni. L’Armeno rispose che non avrebbe aiutato nessuno dei due rivali. Il Parto disse che avrebbe scritto ai satrapi incaricandoli di raccogliere milizie, non disponendo né di mercenari né di un esercito permanente.
Per contro vennero in aiuto di Nigro alcuni arcieri atreni, mandati da Barsemio, che regnava su quel popolo; inoltre si arruolarono nel suo esercito moltissimi Antiocheni, soprattutto giovani, spinti dalla loro leggerezza e dall’affetto per Nigro, e lasciandosi guidare dall’entusiasmo piú che dalla riflessione. Nigro ordinò di sbarrare gli impervi valichi del Tauro poi mandò avanti una parte del suo esercito a occupare Bisanzio, la città piú grande e prospera della Tracia, sperando di impedire il passaggio dall’Europa all’Asia attraverso gli stretti. La città era circondata da mura alte e robuste. Severo, dal canto suo, avanzava a marce forzate, non lasciando luogo all’inerzia e al riposo.
Poiché sapeva che Bisanzio era munita di saldissime mura, ordinò che l’esercito passasse la Propontide all’altezza di Cizico. Il governatore della provincia d’Asia, Emiliano, cui Nigro aveva affidato la cura e il comando di quel settore, quando gli si annunciò che l’esercito di Severo si avvicinava, marciò anch’egli verso Cizico, portando tutte le truppe che egli stesso aveva raccolto e che Nigro gli aveva mandato. Quando i due eserciti si scontrarono, in tutta la zona si ebbero sanguinosi combattimenti, e le truppe di Severo ebbero la meglio. I soldati di Nigro si dispersero e fuggirono subendo gravi perdite.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, III)
Settimio Severo persuase numerosi potentati orientali a sposare la sua causa e a disertare Pescennio: il governatore dell’Arabia si schierò con Settimio, la Legio VI Ferrata passò dalla parte dell’imperatore libico e la II Traiana Fortis e diverse vessillazioni, prima allineate con Pescennio, passarono dalla fazione opposta.
Sembra che Nigro e Severo fossero stati grandi amici quando quest’ultimo era governatore della Gallia Lugdunense, ma ciò non frenò l’imperatore nativo della Tripolitania, Pescennio, indebolito dalla defezione di alcune legioni, dopo una prima grave sconfitta subìta dal suo comandante Asellio Emiliano a Cizico (193), fu battuto presso Nicea (194) e presso Isso.
LA FUGA
«Nigro, informato dell’accaduto, avanzò in gran fretta con l’esercito che aveva riunito: numeroso, ma non allenato alle fatiche e al combattimento. L’entusiasmo delle truppe, dunque, non gli faceva difetto, ma quanto a vigore e a esperienza l’esercito illirico era di gran lunga superiore. I due eserciti si scontrarono nella pianura bagnata dal golfo d’Isso, che è di grandissima estensione. Il combattimento fu lungo, e il massacro tanto grande che le correnti dei fiumi, attraversando la pianura, portavano al mare piú sangue che acqua: infine gli orientali piegarono.
Gli Illiri, incalzandoli, spinsero in mare, a colpi di spada, una parte dei nemici; inseguirono gli altri fino alle colline, e lí ne fecero strage. Sterminarono anche una grande moltitudine di altri uomini che erano accorsi dalle città e dalle campagne circostanti, per assistere alla battaglia da un luogo ritenuto sicuro. Nigro, montato un cavallo molto veloce, fuggí con pochi uomini, e giunse ad Antiochia. Là incontrò altri superstiti che vi si erano rifugiati, e trovò la città funestata dal lutto di coloro che piangevano i figli e i fratelli. Perduta ogni speranza, lasciò Antiochia, e si nascose in un sobborgo. Scoperto colà dai cavalieri mandati a inseguirlo, fu preso e decapitato.»
(Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio, III, 4,1 -4,6)
BIBLIO
- Aurelio Vittore - De Caesaribus -
- Aurelio Vittore - Epitome -
- Birley A.R. - Septimius Severus. The African Emperor - London & N.Y. - Routledge - 1988 -
- Calderini A., I Severi - La crisi dell'Impero nel III secolo - Bologna - 1949 -
- Cassio Dione Cocceiano - Historia Romana - libri LXXII, LXXIII, LXIV -
- Potter Meckler - Pescennius Niger, Cassio Dione - LXXV -
- Erodiano - Storia dell'impero dopo Marco Aurelio -
- Pasek S. - Bellum civile inter principes. Der Bürgerkrieg zwischen Septimius Severus und Pescennius Niger (193/194 n. Chr.) - Beiträge zur Geschichte - AVM - München - 2014 -
- Aurelio Vittore - Epitome -
- Birley A.R. - Septimius Severus. The African Emperor - London & N.Y. - Routledge - 1988 -
- Calderini A., I Severi - La crisi dell'Impero nel III secolo - Bologna - 1949 -
- Cassio Dione Cocceiano - Historia Romana - libri LXXII, LXXIII, LXIV -
- Potter Meckler - Pescennius Niger, Cassio Dione - LXXV -
- Erodiano - Storia dell'impero dopo Marco Aurelio -
- Pasek S. - Bellum civile inter principes. Der Bürgerkrieg zwischen Septimius Severus und Pescennius Niger (193/194 n. Chr.) - Beiträge zur Geschichte - AVM - München - 2014 -