Un solo terzo dell'esercito romano riuscì a rompere la resistenza degli Ernici, responsabili di una serie di saccheggi in territorio romano, mentre i restanti due terzi erano impegnati contro i Volsci. La battaglia di Preneste, vinta dai legionari al seguito del console Caio Aquilio, li costringerà ad accettare una volta per tutte il dominio romano.
Caio Aquilio
Generale e politico romano, viene eletto al consolato, insieme a Tito Sicinio, nel 485 a.c.. Egli è l'unico membro della gens Aquilia a salire alla carica di Console di Roma. Dionigi di Alicarnasso premette che si tratta di due "uomini periti di guerra", ossia di due uomini favorevoli all'uso della forza militare per poter chiudere il prima possibile le contese con i popoli italici confinanti. Dopo un brevissimo tentativo diplomatico, Caio Aquilio sconfigge gli Ernici presso Preneste nel 485 a.c..
La sua impresa viene però oscurata dalla vittoria a Velletri del collega Sicinio, che per il popolo, aveva compiuto un impresa più ardua sconfiggendo i Volsci. Aquilio dovette accontentarsi dell'ovatio anziché del trionfo e sfilare a piedi invece del fastoso carro su cui aveva sfilato Tito Sicinio.
Tito Sicinio
«...Consoli Tito Sicinio e Caio Aquilio. A Sicinio toccarono i Volsci, ad Aquilio gli Ernici, scesi anche loro in campo. Quell'anno gli Ernici furono sconfitti. La guerra coi Volsci, dopo alterne fortune, si risolse in un nulla di fatto.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II)
Invece nel racconto di Dionigi di Alicarnasso, i romani ottennero un grande vittoria sui Volsci, dove morì il loro comandante Attio Tullio e per la quale il console, tornato a Roma, ottenne il trionfo.
Attio Tullio
Attio Tullio (Azzio Tullo) capo dei Volsci accolse Gneo Marcio Coriolano esule da Roma per aver oltraggiato i tribuni della plebe ed insieme a lui organizzò una campagna militare con cui riprese molti territori volsci conquistati dai Romani. Ma quando Coriolano, convinto dalla madre, interruppe bruscamente l'assedio di Roma, Attio ordì una congiura che portò alla morte di Coriolano, mentre questo si trovava nel foro di Anzio, per difendere il proprio ripensamento.
Quindi Attio tentò di nuovo di attaccare Roma a pochissima distanza dalle esequie di Coriolano, unendo Volsci ed Equi. Ma tra i due popoli nacque una disputa su chi dovesse avere l'onore del primo attacco che presto finì in scontro aperto e così i due eserciti non più alleati tornarono alle loro case. Attio, nel 485 a.c., fu di nuovo comandante dell'esercito dei Volsci, ma sconfitto dai legionari del console Tito Sicinio, pere la vita sul campo di battaglia.
I PERITI DI GUERRA
Nel 485 o 487 a.c. il consolato venne dunque affidato a due uomini non pacifisti, come scrive Dionigi di Alicarnasso «Presero l'anno appresso il consolato Cajo Aquilio e Tito Siccio, uomini periti di guerra». Gli Ernici, situati nel Lazio fra il Lago del Fucino ed il fiume Sacco, fino a quel momento, erano conosciuti come popolo «amico e confederato», che però aveva effettuato scorrerie in territorio romano durante la guerra dell'Urbe con i Volsci e gli Equi.
Il senato romano mandò loro degli ambasciatori per chiedere risarcimenti, ma questi non solo rifiutarono ma dissero che una guerra non sarebbe stata loro sgradita. Il senato in realtà aveva già mobilitato mezzi e uomini prima ancora che gli ambasciatori partissero.
Nel 485 o 487 a.c. il consolato venne dunque affidato a due uomini non pacifisti, come scrive Dionigi di Alicarnasso «Presero l'anno appresso il consolato Cajo Aquilio e Tito Siccio, uomini periti di guerra». Gli Ernici, situati nel Lazio fra il Lago del Fucino ed il fiume Sacco, fino a quel momento, erano conosciuti come popolo «amico e confederato», che però aveva effettuato scorrerie in territorio romano durante la guerra dell'Urbe con i Volsci e gli Equi.
Il senato romano mandò loro degli ambasciatori per chiedere risarcimenti, ma questi non solo rifiutarono ma dissero che una guerra non sarebbe stata loro sgradita. Il senato in realtà aveva già mobilitato mezzi e uomini prima ancora che gli ambasciatori partissero.
Le forze di Roma vennero così divise in tre parti una sotto Tito Sicinio doveva occuparsi dei Volsci, una ad Aquilio che doveva occuparsi degli Ernici ed una, affidata a Spurio Largio, con compiti di presidio e pattugliamento intorno alla città. Venne anche formata una sorta di milizia cittadina sotto la guida di Aulo Sempronio Atratino, per presidiare le mura dell'Urbe.
Pochissimi giorni dopo la partenza, Aquilio trovò l'esercito degli Ernici che lo aspettava nei pressi di Preneste («in suolo Prenestino»); quindi decise di accamparsi di fronte a loro.
LE FORZE IN CAMPO
L'esercito veniva solitamente diviso in due legioni, ognuna al comando di un console, ma stavolta le forze romane vennero divise addirittura in tre parti, quindi è probabile che il numero di combattenti a disposizione di Aquilio fossero tra i 3000 e i 4000 legionari con il supporto di 150 cavalieri.
Per l'esercito nemico doveva esserci un totale di combattenti uguale o poco inferiore a quello a disposizione di Aquilio. Tutto era dunque da giocare.
BATTAGLIA DI VELLETRI
La battaglia iniziò tre giorni dopo che i romani si erano accampati, levando il grido di battaglia, mentre arcieri e frombolieri iniziavano a tirare da entrambe le parti. Poi vi fu lo scontro delle opposte cavallerie e poi tra le fanterie: «Era l'azione vivissima , sostenendola gli uni e gli altri con ardore; e gran tempo si restarono nel luogo dove si erano schierati senza che gli uni cedessero agli altri. Se non che cominciò poi la legione Romana ad abbandonarsi come astretta, ancora dopo molto tempo, a combattere».
Vedendo questo segnale di cedimento, Aquilio fece pervenire milizie fresche, dando anche la possibilità ai feriti di ritirarsi dietro di essa. Gli Ernici, osservando questo movimento, insistettero nei punti in cui pensavano che la legione potesse vacillare; ma li attendeva una brutta sorpresa: «Li riceverono i Romani freschi delle riserve, e si batterono come al principio della battaglia».
Anche gli Ernici inserirono tra loro forze fresche finché, verso sera il console spronando la sua cavalleria «ne prende il comando egli stesso, e si avventa contro l'ala destra de' nemici. Questi tengono fronte alcun tempo, ma poi piegano; e grande si fa quivi la strage».
IL SEGUITO
Con la vittoria a Preneste, gli Ernici sottomessi potevano ingrossare le file degli alleati potenziali di Roma che così poteva concentrare più forze nello scontro con i Volsci. Ma la vittoria di Tito Sicinio sui Volsci a Velletri, oscurò il suo successo:
Pochissimi giorni dopo la partenza, Aquilio trovò l'esercito degli Ernici che lo aspettava nei pressi di Preneste («in suolo Prenestino»); quindi decise di accamparsi di fronte a loro.
LE FORZE IN CAMPO
L'esercito veniva solitamente diviso in due legioni, ognuna al comando di un console, ma stavolta le forze romane vennero divise addirittura in tre parti, quindi è probabile che il numero di combattenti a disposizione di Aquilio fossero tra i 3000 e i 4000 legionari con il supporto di 150 cavalieri.
Per l'esercito nemico doveva esserci un totale di combattenti uguale o poco inferiore a quello a disposizione di Aquilio. Tutto era dunque da giocare.
La battaglia iniziò tre giorni dopo che i romani si erano accampati, levando il grido di battaglia, mentre arcieri e frombolieri iniziavano a tirare da entrambe le parti. Poi vi fu lo scontro delle opposte cavallerie e poi tra le fanterie: «Era l'azione vivissima , sostenendola gli uni e gli altri con ardore; e gran tempo si restarono nel luogo dove si erano schierati senza che gli uni cedessero agli altri. Se non che cominciò poi la legione Romana ad abbandonarsi come astretta, ancora dopo molto tempo, a combattere».
Vedendo questo segnale di cedimento, Aquilio fece pervenire milizie fresche, dando anche la possibilità ai feriti di ritirarsi dietro di essa. Gli Ernici, osservando questo movimento, insistettero nei punti in cui pensavano che la legione potesse vacillare; ma li attendeva una brutta sorpresa: «Li riceverono i Romani freschi delle riserve, e si batterono come al principio della battaglia».
Anche gli Ernici inserirono tra loro forze fresche finché, verso sera il console spronando la sua cavalleria «ne prende il comando egli stesso, e si avventa contro l'ala destra de' nemici. Questi tengono fronte alcun tempo, ma poi piegano; e grande si fa quivi la strage».
Il fronte destro destro degli Ernici cedette, ritirandosi dal campo di battaglia, scoperti i fianchi, il centro crollò, e gli Ernici si diedero alla fuga verso il proprio campo. I Romani li inseguirono quasi fino al vallo di protezione del loro campo, ma Aquilio li fece tornare indietro.
Gli Ernici, durante la notte si diedero ad una ulteriore fuga senza curarsi dei loro feriti. All'alba, quando gli esploratori informarono Aquilio della disordinata fuga nemica, egli «invase gli alloggiamenti nemici, pieni di giumenti, di vettovaglie e di arme; impadronendosi insieme de' feriti , numerosi non meno dei fuggitivi. Quindi spedendo la cavalleria su quelli ch'erravano sbandati per le strade e per le selve, fece molti prigionieri: e poi depredò impunemente le terre degli Ernici.»
Gli Ernici, durante la notte si diedero ad una ulteriore fuga senza curarsi dei loro feriti. All'alba, quando gli esploratori informarono Aquilio della disordinata fuga nemica, egli «invase gli alloggiamenti nemici, pieni di giumenti, di vettovaglie e di arme; impadronendosi insieme de' feriti , numerosi non meno dei fuggitivi. Quindi spedendo la cavalleria su quelli ch'erravano sbandati per le strade e per le selve, fece molti prigionieri: e poi depredò impunemente le terre degli Ernici.»
IL SEGUITO
Con la vittoria a Preneste, gli Ernici sottomessi potevano ingrossare le file degli alleati potenziali di Roma che così poteva concentrare più forze nello scontro con i Volsci. Ma la vittoria di Tito Sicinio sui Volsci a Velletri, oscurò il suo successo:
«Giunta in Roma la nuova pe' messaggeri spediti da' consoli inondò gioia vivissima il popolo, e ben tosto decretò sacrifizj di ringraziamento agli Iddii , e la gloria del trionfo ai consoli; non già eguale per ambedue, ma la più grande a Siccio, il quale sembrava di aver liberato la città da pericolo maggiore, annientando l'esercito insolente dei Volsci, ed uccidendone il comandante.
Adunque entrò costui la città con le prede, co' prigionieri, colle milizie compagne, cinto di regia clamide, com'usa ne' trionfi più insigni, e seduto su carro tirato da' cavalli adorni di freni di oro. Aquilio ebbe il trionfo minore che chiamasi ovazione. Egli entrò a piedi in città conducendo il resto della sua pompa».
BIBLIO
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - VIII -
- T. Robert S. Broughton - The Magistrates of the Roman Republic: 509 B.C. - 100 B.C. - Vol I - 1952 -