Cosa si intende per orto romano?
- Si intende prima l'orto della villa rustica per le verdure dei bisogni familiari,
- poi gli Horti edificati nella cinta muraria di Roma con padiglioni e portici di splendida fattura.
- infine le piccole domus che sorsero ovunque, come si evince da Pompei, con giardini più o meno grandi ma ben ornati che introducevano alla domus di stile romano.
GLI HORTI ROMANI
I romani chiamavano "horti" le ville dotate di un grande giardino costruite entro le mura urbane, ma in aree suburbane. Erano un luogo ideale per vivere isolati e nella tranquillità, senza però allontanarsi da Roma. Il nome latino hortus indicava il corrispondente del nostro orto, dove i contadini coltivavano nelle ville rurali, le piante per il fabbisogno dei padroni e degli schiavi.
Poi il generale Lucullo si fece costruire una splendida dimora sul colle del Pincio, i famosi Horti Luculliani, con padiglioni e giardini meravigliosi che Lucrezio definì "Le tranquille dimore degli Dei". Subito dopo ne seguì l'esempio Sallustio, con i suoi Horti Sallustiani vicini al Quirinale e in seguito molti altri.
I giardinieri romani però nei loro progetti di giardini privati o pubblici non si limitavano a curare la crescita delle piante ma cercavano di trasformare il loro aspetto naturale potandole e dando loro lorme geometriche o addirittura la forma di particolari o strani oggetti e animali.
GLI HORTI DELLE PICCOLE DOMUS
I giardini delle piccole domus cittadine erano piccoli Horti, in genere rettangolari, con tre comparti, uno centrale con fontana e due laterali con piante, siepi e qualche albero. In genere vi si piantavano erbe odorose come rosmarino e alloro ma pure mirto. Il rosmarino era sacro ai morti, l'alloro era sacro ad Apollo e il mirto era sacro a Venere.
A Roma vi erano anche giardini pubblici che sorgevano in alcune zone della città per offrire possibilità di passeggiate e di svago ai cittadini, in epoca repubblicana erano formati da semplici prati solcati da sentieri senza alcun ornamento: tra questi possiamo ricordare i Prata Flaminia, all’epoca situati sul Palatino e quelli dell’Aventino, che scomparvero in epoca imperiale, perché vennero inclusi nelle aree destinate a zone edificabili e sui quali sorsero delle magnifiche ville patrizie.
Fecero però eccezione gli Horti di Giulio Cesare, lasciati in eredità alla sua morte al popolo romano, splendidi orti che si affacciavano sul Tevere, ricchi di ornamenti e di statue, tanto che quando l'imperatore Tiberio vi fece togliere la superba statua di Niobe, non poteva più comparire in pubblico nei teatri perchè i romani gli richiedevano a gran voce la restituzione della statua finchè "asb torto collo" dovette farla rimettere al suo posto.
Nel III secolo d.c. gli horti occupavano circa un decimo di Roma e formavano una corona di verde intorno al centro, soprattutto di sempreverdi: bosso, cipresso e leccio, ma pure ligustro, quercia, tasso, carpino e faggio, con siepi e cespugli di mirto, alloro, rosmarino, pruno, cioè la classica macchia mediterranea.
Gradualmente, buona parte dei grandi parchi, in particolare quelli della cintura verde attorno al centro della città, divenne proprietà degli imperatori. Durante l’Alto Impero i giardini del demanio imperiale vennero addirittura chiusi al pubblico e le uniche passeggiate possibili rimasero i pochi e ridotti parchi di proprietà pubblica.
Un ottimo esempio di giardino, è il dipinto del secondo stile dal I secolo a.c., che si ha negli affreschi del ninfeo sotterraneo della villa di Livia, un ambiente sotterraneo databile tra il 40 e il 20 a.c., oggi al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, dove venne dipinto un giardino ideale, con una recinzione di canne e rami di salice in primo piano.
Segue una seconda balaustra marmorea che delimita un giardino con 23 specie di piante e 69 varietà di uccelli, tutto dipinto in dettaglio, ma sempre più sfumato nello sfondo.
Il giardino è simmetrico e tra le specie vegetali predomina l'alloro, in relazione alla leggenda citata da Plinio, Svetonio e Cassio Dione secondo cui Livia il giorno delle nozze ricevette sul grembo lasciata da un'aquila una gallina bianca con un rametto di alloro nel becco. Da quell'alloro, piantato nella villa, nacque un bosco dove gli imperatori coglievano i rametti usati anche nel trionfo dei Cesari.
Questo giardino dipinto rappresentava ottimamente l'architettura reale, come tramanda una lettera di Cicerone a Attico a proposito di una questione col suo architetto Ciro, che suggeriva di non creare finestre ampie in corrispondenza dei giardini perché le vedute che ne risulterebbero non sarebbero abbastanza piacevoli, in quanto più difficili da costruire secondo uno schema aggraziato.
I romani chiamavano "horti" le ville dotate di un grande giardino costruite entro le mura urbane, ma in aree suburbane. Erano un luogo ideale per vivere isolati e nella tranquillità, senza però allontanarsi da Roma. Il nome latino hortus indicava il corrispondente del nostro orto, dove i contadini coltivavano nelle ville rurali, le piante per il fabbisogno dei padroni e degli schiavi.
La parte più importante degli horti era la vegetazione, con boschetti, cespugli, pergolati e piante da siepe spesso con forme geometriche o di animali, secondo l'ars topiaria inventata proprio dai romani. i Romani piantavano soprattutto l’olmo, il cipresso, l’olivo, il pino, l’olivo e la palma.
Tra il verde si trovavano spesso padiglioni, porticati di colonne con oscilla per passeggiare al riparo dal sole e dalla pioggia, fontane, ringhiere di marmo, terme, terrazze, scalinate, tempietti e statue, spesso repliche di originali greche. La ricostruzione odierna degli antichi giardini romani è stata resa possibile dai resti delle radici delle piante e soprattutto dalle pitture dei giardini con le quali i Romani raffiguravano la visione di giardini nelle case.
Da queste decorazioni parietali si può osservare come lo schema del giardino di solito avesse al centro una piazzola con una fontana da dove si diramavano dei viali in linea retta con ai lati filari di rosmarino e mirto potati però in modo da poter scorgere la natura circostante. Agli incroci dei viali venivano collocate erme o statue in marmo e sedili con intorno grandi vasi di piante odorose.
Il giardino romano era quella dello xystus (in greco "passaggio coperto") collocato generalmente nel peristilio, nelle terme o nei teatri e consisteva in una serie di viali (ambulationes) con portici o di rami d'alberi cresciuti a formare una galleria ombrosa, che consentivano un piacevole passeggio al fresco in estate e all'asciutto in autunno.
ARS TOPIARIA
I giardinieri romani però nei loro progetti di giardini privati o pubblici non si limitavano a curare la crescita delle piante ma cercavano di trasformare il loro aspetto naturale potandole e dando loro lorme geometriche o addirittura la forma di particolari o strani oggetti e animali.
Sembra che il loro ideatore fosse stato Gaius Matius dell'ordine equestre, vissuto verso la fine del I secolo a.c.. Ce ne informa Plinio il Vecchio definendola un'arte, che dai romani venne denominata "opus topiarium" o "ars topiaria" e ben presto si diffuse in tutti i giardini.
L'EURIPO
Nell'età imperiale la passione per i giardini e le ville si diffuse a Roma e i cittadini più abbienti costruirono una serie di edifici affogati nel verde con portici, criptoportici, esedre, fontane, piccoli templi ed anche hippodromi per le esercitazioni dei cavalli.
Non mancavano rivoli d'acqua (euripi) che scorrendo da serbatoi posti in alto scorrevano in un ruscello saltellante a cascatelle affiancato da viali con vasi di piante e piccole statue sui bordi elevati, con scalini di marmo o di pietra, che con una serie di canaletti rifornivano le case e le terme e irrigavano i giardini.
Talvolta invece scorrevano più in basso del terreno spingendosi fino a rinfrescare la sala all'aperto dei triclini estivi in giardino. In tal caso il percorso era abbellito da graziosi ponticelli.
GLI ALBERI
Le piante utilizzate dai Romani si dividevano ini arbores silvestres, cioè quelli a crescita spontanea nei boschi, come l'abete, il faggio, il castagno, il pino silvestre, il leccio, il pioppo, la quercia, il rovere, e gli arbores urbanae il platano, l'olmo, il pino, la palma, l'olivo, il tiglio e il cipresso che venivano definiti mites perché si adattavano alla condizione urbana, fornendo ombra ai cittadini.
Gli alberi da frutto venivano piantati in una parte del terreno della villa chiamato "pomerium" di solito vicino al vigneto e all'uliveto. Non si coltivavano invece molti fiori, a parte rose per onorare gli dei e le viole per i culti funebri del dies violae, il giorno di ogni anno dedicato alle onoranze dei defunti.
Le piante utilizzate dai Romani si dividevano ini arbores silvestres, cioè quelli a crescita spontanea nei boschi, come l'abete, il faggio, il castagno, il pino silvestre, il leccio, il pioppo, la quercia, il rovere, e gli arbores urbanae il platano, l'olmo, il pino, la palma, l'olivo, il tiglio e il cipresso che venivano definiti mites perché si adattavano alla condizione urbana, fornendo ombra ai cittadini.
Gli alberi da frutto venivano piantati in una parte del terreno della villa chiamato "pomerium" di solito vicino al vigneto e all'uliveto. Non si coltivavano invece molti fiori, a parte rose per onorare gli dei e le viole per i culti funebri del dies violae, il giorno di ogni anno dedicato alle onoranze dei defunti.
GLI HORTI DELLE PICCOLE DOMUS
I giardini delle piccole domus cittadine erano piccoli Horti, in genere rettangolari, con tre comparti, uno centrale con fontana e due laterali con piante, siepi e qualche albero. In genere vi si piantavano erbe odorose come rosmarino e alloro ma pure mirto. Il rosmarino era sacro ai morti, l'alloro era sacro ad Apollo e il mirto era sacro a Venere.
GLI HORTI PUBBLICI
LA VILLA DI LIVIA
Segue una seconda balaustra marmorea che delimita un giardino con 23 specie di piante e 69 varietà di uccelli, tutto dipinto in dettaglio, ma sempre più sfumato nello sfondo.
Il giardino è simmetrico e tra le specie vegetali predomina l'alloro, in relazione alla leggenda citata da Plinio, Svetonio e Cassio Dione secondo cui Livia il giorno delle nozze ricevette sul grembo lasciata da un'aquila una gallina bianca con un rametto di alloro nel becco. Da quell'alloro, piantato nella villa, nacque un bosco dove gli imperatori coglievano i rametti usati anche nel trionfo dei Cesari.
Questo giardino dipinto rappresentava ottimamente l'architettura reale, come tramanda una lettera di Cicerone a Attico a proposito di una questione col suo architetto Ciro, che suggeriva di non creare finestre ampie in corrispondenza dei giardini perché le vedute che ne risulterebbero non sarebbero abbastanza piacevoli, in quanto più difficili da costruire secondo uno schema aggraziato.
BIBLIO
- Marcus Terentius Varro - Opere di M. Terenzio Varrone con tr. e note - tip. G. Antonelli - 1846 -
- L. Guerrini, Enciclopedia dell'Arte Antica (1960) ed. Treccani, alla parola "Giardino"
- Maria Luigia Ronco Valenti - L'arte dei giardini nell'antica Roma - su gruppocarige.it. - 2016 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis. historia -
- Plinio il Giovane - Epistole -
- Patrick Bowe - Gardens of the Roman World - Los Angeles -
- Ellen Semple Ancient Mediterranean Pleasure Gardens - Geographical Review - 1929 -
- Marcus Terentius Varro - Opere di M. Terenzio Varrone con tr. e note - tip. G. Antonelli - 1846 -
- L. Guerrini, Enciclopedia dell'Arte Antica (1960) ed. Treccani, alla parola "Giardino"
- Maria Luigia Ronco Valenti - L'arte dei giardini nell'antica Roma - su gruppocarige.it. - 2016 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis. historia -
- Plinio il Giovane - Epistole -
- Patrick Bowe - Gardens of the Roman World - Los Angeles -
- Ellen Semple Ancient Mediterranean Pleasure Gardens - Geographical Review - 1929 -