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LUCREZIO (Svetonio)

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LUCREZIO

« Oh misere menti degli uomini, oh animi ciechi.
In quale tenebrosa esistenza e fra quanti grandi pericoli si trascorre questa breve vita. »


(Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, II, 14-16, traduzione di Luca Canali)


SVETONIO

Lucrezio è l'autore di una famosa opera poetica, in sei libri, "De Rerum Natura", un soggetto che era stato trattato molti secoli prima da Empedocle, un filosofo e poeta di Agrigento. Lucrezio era un seguace convinto di Democrito e della setta di Epicuro, i cui principi riguardanti l'eternità della materia, la materialità dell'anima, e la non-esistenza di uno stato futuro di ricompense e punizioni, lo induce a credere con una certezza pari a quello della dimostrazione matematica. 

Fortemente convinto dalle dottrine ipotetiche del suo maestro, e ignorante del sistema fisico dell'universo, si sforza di dedurre dai fenomeni conclusioni sul mondo materiale non solo non supportate da legittime teorie, ma ripugnante ai principi della più alta autorità della disquisizione metafisica. Ma mentre noi condanniamo le sue nozioni speculativa come degradanti della natura umana, e sovversiva degli interessi più importanti del genere umano, dobbiamo ammettere che egli ha perseguito le sue ipotesi visionarie con ingegno non comune. 

Astraendo da esso la natura rapsodica di questa produzione, e la sua oscurità in alcune parti, egli ha il grande merito di un poema. Lo stile è elevato, e la versificazione in generale armoniosa. Dalla miscela di parole antiquate, possiede un'aria di solennità ben adattato alle astruse ricerche, al tempo stesso dalla risoluzione frequente di dittonghi, egli infonde nel latino le potenze sonore e melodiche della lingua greca.

Lucrezio mentre era impegnato in questo lavoro, cadde in uno stato di pazzia, causato, come si suppone, da un filtro, o pozione d'amore, datogli da sua moglie Lucilia. La denuncia, però, avendo intervalli di lucidità, li impiegò nell'esecuzione del suo piano, e, poco dopo che era finito, posato le sue mani su di sé, nel quarantatreesimo anno della sua età. Questo termine fatale della sua vita, che forse procedeva da pazzia, fu attribuita dai suoi amici e ammiratori per la sua preoccupazione per la messa al bando di un certo Memmio, con cui era intimamente connesso, e per lo stato sbandato della repubblica. 

E' stata, però, una catastrofe che i principi di Epicuro, ugualmente errate e inconciliabili alla rassegnazione e alla forza, autorizzata in particolari circostanze. Anche Atticus, il celebre corrispondente di Cicerone, pochi anni dopo questo periodo, ha fatto ricorso allo stesso disperato espediente, rifiutando ogni sostentamento, mentre lavorò sotto una malattia persistente. Si racconta che Cicerone rivisitò il poema di Lucrezio, dopo la morte dell'autore, e questa circostanza lo indicò come complice di ateismo, come prova che i principi contenuti nell'opera avessero avuto la sanzione della sua autorità. 

Ma nessuna deduzione a favore della dottrina di Lucrezio a buon diritto possono essere tratte da questa circostanza. Cicerone, anche se già sufficientemente a conoscenza dei principi della setta epicurea, potrebbe non essere contrario alla lettura di una produzione, che raccolta e applicata in una tensione nervosa di poesia, tanto più che il lavoro è stato probabilmente per dimostrare interesse al suo amico Attico, e forse permettersi come soggetto di alcune lettere o di una conversazione tra di loro. 

Può essere accaduto solo con riferimento alla composizione che la poesia è stata presentata alla revisione di Cicerone: perchè era stato necessario onde esercitare il suo giudizio sui suoi principi, egli deve senz'altro aver mutilato molte parti del lavoro, come per distruggere la coerenza del sistema. 
Egli potrebbe essersi gratificato con il mostrare  elaborati di ricerca, e fiduciose declamazioni, che esibì, ma deve avere assolutamente disapprovato le conclusioni che l'autore aveva cercato di stabilire.

Secondo le migliori informazioni, Lucrezio morì l'anno 701 a.u.c., quando Pompeo era il console per la terza volta. Cicerone visse parecchi anni di là di questo periodo, e nei due ultimi anni della sua vita, compose quelle opere preziose che contengono sentimenti diametralmente ripugnanti al sistema visionario di Epicuro. 

L'argomento, quindi, tratto dalla revisione di Cicerone, così lontano dalla conferma dei principi di Lucrezio, offre la più forte dichiarazione tacita contro la loro validità, perché era trascorso un periodo sufficiente di riflessione matura, prima che Cicerone pubblicasse il proprio sistema mirabile di filosofia. Il poema di Lucrezio, tuttavia, è stata considerata come il baluardo dell'ateismo - di un ateismo, che, mentre si arroga impietosamente il supporto della ragione, discredita la ragione e la natura.


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