LORICA (MUSCOLATA O ANATOMICA)
(VII sec. a.c - V sec. d.c.)
La lorica di Germanico, riportata qua sopra, dà un'idea della bellezza delle loriche destinate agli imperatori o ai grandi condottieri. Essa sembra rifarsi molto allo stie greco, riportando un mito che non riguardava certo Roma, cioè l'Amazzomachia, quando Atene venne quasi conquistata dalle Amazzoni che infine furono sconfitte e uccise. La lorica dei grandi generali e degli imperatori erano molto ricche e finemente lavorate, ma non fu così nei tempi più remoti.
In epoca arcaica le corazze erano semplici: due valve con il disegno abbozzato della muscolatura, unite sulle spalle e sui fianchi da lacci o cerniere e spesso queste protezioni erano in cuoio imbottito. Dal VII sec. a.c. comparvero in Etruria corazze ispirate a quelle greche del tipo bivalve, cioè un pettorale e un dorsale di bronzo, uniti da corregge, con una decorazione a sbalzo, spesso completati da una gorgiera.
Seguì poi il tipo anatomico che imitava la muscolatura del corpo umano, lo stesso che ritroviamo, arricchito di un gorgòneion, cioè di una testa di medusa orribile ma atrotopaica, nelle statue degli imperatori romani in età imperiale.
(VII sec. a.c - V sec. d.c.)
La lorica di Germanico, riportata qua sopra, dà un'idea della bellezza delle loriche destinate agli imperatori o ai grandi condottieri. Essa sembra rifarsi molto allo stie greco, riportando un mito che non riguardava certo Roma, cioè l'Amazzomachia, quando Atene venne quasi conquistata dalle Amazzoni che infine furono sconfitte e uccise. La lorica dei grandi generali e degli imperatori erano molto ricche e finemente lavorate, ma non fu così nei tempi più remoti.
In epoca arcaica le corazze erano semplici: due valve con il disegno abbozzato della muscolatura, unite sulle spalle e sui fianchi da lacci o cerniere e spesso queste protezioni erano in cuoio imbottito. Dal VII sec. a.c. comparvero in Etruria corazze ispirate a quelle greche del tipo bivalve, cioè un pettorale e un dorsale di bronzo, uniti da corregge, con una decorazione a sbalzo, spesso completati da una gorgiera.
Seguì poi il tipo anatomico che imitava la muscolatura del corpo umano, lo stesso che ritroviamo, arricchito di un gorgòneion, cioè di una testa di medusa orribile ma atrotopaica, nelle statue degli imperatori romani in età imperiale.
A questo tipo di corazza a due parti piatte o leggermente ricurve, si affiancavano armature elegantissime e complicate, che fasciavano tutto il tronco fino alle cosce.
Queste cingevano il busto iniziando dal collo che era leggermente scollato, si da lasciar sporgere la veste su cui poggiava, veste che sporgeva appena al di sotto delle ginocchia.
Queste armature, dette loriche (loricae) erano dette anatomiche o muscolate, in quanto riproducevano fedelmente l'anatomia muscolare di un uomo abbastanza giovane e prestante.
Le loriche dei legionari romani avevano in genere tre alti fascioni attorno al tronco, e la loro altezza esclude la possibilità del ferro, a favore di materiali semirigidi come cuoio o lino a strati.
GORGONEION |
Completa la corazza una piastra pettorale con bottoni, che chiude la parte alta della lorica. Quindi un corsetto di cuoio (o lino indurito) da portare attorno al tronco anche senza gli spallacci in scaglie, dunque destinato alla protezione della schiena durante i lavori pesanti tipici di un legionario.
La Colonna Traiana (II sec. d.c) mostra corazze a segmenti di diversi tipi. Alcune corazze mostrano una lorica con regolare chiusura anteriore e posteriore, i cui spallacci sono segmenti unici, privi di cerniere Questi dettagli tendono a farci ritenere che queste corazze siano in ferro, ma l'aderenza indicherebbe un materiale semirigido.
Le possibilità che i segmenti siano in ferro si riducono ancor più nei modelli cosiddetti 'sovrapposti'. Si tratta di corsetti che nella parte anteriore o posteriore, vedono una sovrapposizione a 'cappotto' con chiusura mediante bottone. Questo sistema di chiusura presuppone che i segmenti siano in trazione tra loro una volta chiusi dai bottoni, e questo male si adatta ad una corazza in metallo.
Nei modelli a segmenti continui i fascioni che avvolgono il torace del legionario continuano sul lato anteriore o, viceversa, su quello posteriore. E' evidente dunque che si trattasse di un materiale semirigido, perchè con segmenti di ferro non avrebbero potuto aprirli per indossare o togliere la corazza.
Le loriche presentano inoltre una insenatura lungo la colonna vertebrale, che non è tanto una scelta artistica perchè ad esempio manca sul petto, e non era su tutte le loricae a segmenti come si osserva nella colonna Traiana.
Si tratta di una nervatura che mantiene la parte posteriore del corsetto aderente alla schiena evitandone così il peso sui fianchi, che avrebbe limitato movimenti e respirazione.
Le possibilità che i segmenti siano in ferro si riducono ancor più nei modelli cosiddetti 'sovrapposti'. Si tratta di corsetti che nella parte anteriore o posteriore, vedono una sovrapposizione a 'cappotto' con chiusura mediante bottone. Questo sistema di chiusura presuppone che i segmenti siano in trazione tra loro una volta chiusi dai bottoni, e questo male si adatta ad una corazza in metallo.
Nei modelli a segmenti continui i fascioni che avvolgono il torace del legionario continuano sul lato anteriore o, viceversa, su quello posteriore. E' evidente dunque che si trattasse di un materiale semirigido, perchè con segmenti di ferro non avrebbero potuto aprirli per indossare o togliere la corazza.
Le loriche presentano inoltre una insenatura lungo la colonna vertebrale, che non è tanto una scelta artistica perchè ad esempio manca sul petto, e non era su tutte le loricae a segmenti come si osserva nella colonna Traiana.
Si tratta di una nervatura che mantiene la parte posteriore del corsetto aderente alla schiena evitandone così il peso sui fianchi, che avrebbe limitato movimenti e respirazione.
LE LORICHE DEGLI IMPERATORI
Le loriche degli imperatori non avevano avambracci, se non degli spalloni tagliati sotto le ascelle onde permettere l'alzamento delle braccia. Si hanno tutte le ragioni per sostenere che pure le loriche anatomiche degli imperatori fossero di cuoio, seppure ornate e decorate con elementi di metallo di gran pregio.
Nulla toglie che molte loriche di cuoio fossero però lavorate sul cuoio stesso mediante il calore. Ma è logico che gli imperatori e i militari di alto rango si facessero fare preziose applicazioni in metallo dorato sulle armature. Sicuramente ornamenti realizzati in fusione e ritoccati col cesello, e poi bagnati nell'oro.
Non potevano essere d'oro quelle usate nelle battaglie perchè si sarebbero rovinate facilmente, ma potevano ben esserlo quelle da cerimonia. L'oro matto sulle armature di cuoio scuro dovevano fare un bellissimo effetto,
Del resto fin dall'epoca ellenica le loricae anatomiche o muscolari furono sempre appannaggio dei ranghi più elevati, a causa dei costi molto alti per la loro realizzazione, che richiedeva fabbri e incisori eccezionali.
Infatti la lorica, come si vede in quella di Germanico, era sempre lavorata a rilievo e a cesello per le rifiniture, creando veri e propri bassorilievi con scene mitiche e simboli epici o divini.
Le loriche degli imperatori non avevano avambracci, se non degli spalloni tagliati sotto le ascelle onde permettere l'alzamento delle braccia. Si hanno tutte le ragioni per sostenere che pure le loriche anatomiche degli imperatori fossero di cuoio, seppure ornate e decorate con elementi di metallo di gran pregio.
IMPERATORE META' II SECOLO |
Non potevano essere d'oro quelle usate nelle battaglie perchè si sarebbero rovinate facilmente, ma potevano ben esserlo quelle da cerimonia. L'oro matto sulle armature di cuoio scuro dovevano fare un bellissimo effetto,
Del resto fin dall'epoca ellenica le loricae anatomiche o muscolari furono sempre appannaggio dei ranghi più elevati, a causa dei costi molto alti per la loro realizzazione, che richiedeva fabbri e incisori eccezionali.
Infatti la lorica, come si vede in quella di Germanico, era sempre lavorata a rilievo e a cesello per le rifiniture, creando veri e propri bassorilievi con scene mitiche e simboli epici o divini.
Mentre le armature dei popoli italici erano lasciate al gusto, alle disponibilità economiche, e a quanto veniva requisito come preda bellica, man mano che Roma crebbe e si organizzò vennero standardizzate le armature per i vari gradi dei legionari, tenendo conto di ciò che poteva tornare più utile in battaglia nonchè dell'impatto visivo adatto a impressionare amici e nemici.
Ad esempio Cesare fece forgiare per i suoi legionari degli splendidi gladio incisi affinchè i soldati non solo dessero l'idea di essere forti e ricchi, e di conseguenza Roma ricca e invincibile, ma anche che fossero ancor più attaccati all'arma e facessero il possibile per non farsela portare via dal nemico.
Ad esempio Cesare fece forgiare per i suoi legionari degli splendidi gladio incisi affinchè i soldati non solo dessero l'idea di essere forti e ricchi, e di conseguenza Roma ricca e invincibile, ma anche che fossero ancor più attaccati all'arma e facessero il possibile per non farsela portare via dal nemico.
Le iconografie del periodo imperiale ci hanno tramandato anche modelli molto più elaborati, arrivando a esemplari riccamente decorati a sbalzo o con applicazioni in metallo che, purtroppo, ci sono stati restituiti in rari frammenti, ma che dalle evidenze lapidee, erano veri capolavori, indossati da figure di grande rilievo.
RINVENUTA UN'INTERA ARMATURA ROMANA
"Il Comune di Cento, l’Università degli Studi di Ferrara - LAD (Laboratorio della Antiche Province Danubiane) Dipartimento di Scienze Storiche, in collaborazione con la Fondazione Carice e Cassa di Risparmio di Cento, hanno reso possibile un evento di eccezionale interesse scientifico: una splendida armatura di epoca romana, con il suo intero apparato, uno dei più considerevoli rinvenimenti archeologici di questi ultimi anni, sarà esposta presso la Pinacoteca Civica.
L’Armatura proviene dalla Colchide, mitica terra degli Argonauti, attuale Georgia, territorio di grande feracità archeologica, dove una Missione archeologica dell'Università di Ferrara sta riportando alla luce un'imponente necropoli.
L'Armatura della Colchide rappresenta un prezioso reperto di grande impatto visivo e di indubbio valore artistico, costituito da un’intera panoplia (armatura) in ottone, databile orientativamente al I-II secolo d.c
Costituito da un elmo a maschera, una lorica anatomica (parte anteriore e posteriore), due bracciali, due schinieri, sei pterugi ed una punta di lancia, il reperto rappresenta un vero e proprio unicum, in quanto sinora non era mai stata ritrovata un’armatura intera e perfettamente integra; senza contare poi la lorica, dal ricco apparato iconografico, opera di un’officina di grande perizia tecnica.
Sino ad ora la conoscenza delle loriche anatomiche si evinceva esclusivamente dalle statue loricate degli imperatori.
Ciò consente di comprendere quanto importante sia questo ritrovamento e quante preziose informazioni consentirà di fornire agli studiosi."
GLI IMPERATORI
GIULIO CESARE
Sopra l'armatura indossa il mantello da generale e sotto la corazza porta una clamide fino al ginocchio. Ai piedi indossa sandali di tipo militare sui piedi nudi.
Sulla corazza in alto si riconoscono due grifoni posti a specchio con un fregio centrale, che potrebbe essere stato anche un trofeo, ma sembra più probabile fosse un alto braciere.
Poco più in basso ma sempre nella parte alta dell'armatura si scorgono quelli che sembrano essere una lupa e probabilmente un toro, con riferimento alla Lupa di Roma e al suo segno zodiacale, il toro, che portavano sullo stendardo i suoi legionari.
Nella parte inferiore della corazza vari fregi floreali, incluse foglie di acanto. mentre delle fibie sorreggono la parte più bassa dell'armatura che comprende decorazioni di cuoio o di metallo, e qui sembrerebbero di metallo, con teste di leoni, una testa di Medusa al centro e una seconda fila con palmette più in basso.
Al di sotto ancora gli pterigi, le fasce di cuoio semplici, spesso frangiate come queste sono, e piuttosto spesse che servono ad attutire eventuali colpi alle cosce.
OTTAVIANO AUGUSTO
La statua di Giulio Cesare mostra un'armatura forse di pelle, come era spesso d'uso, affinchè si notasse il fisico scultoreo dell'eroe, rifinito però con applicazioni probabilmente in oro o bronzo dorato.
Queste evidenziavano il laccio che teneva unite le due parti dell'armatura, quella anteriore e quella posteriore. Il laccio morbido si allacciava davanti con un doppio nodo che veniva ripassato attraverso la fascia.
Sopra l'armatura indossa il mantello da generale e sotto la corazza porta una clamide fino al ginocchio. Ai piedi indossa sandali di tipo militare sui piedi nudi.
Sulla corazza in alto si riconoscono due grifoni posti a specchio con un fregio centrale, che potrebbe essere stato anche un trofeo, ma sembra più probabile fosse un alto braciere.
Poco più in basso ma sempre nella parte alta dell'armatura si scorgono quelli che sembrano essere una lupa e probabilmente un toro, con riferimento alla Lupa di Roma e al suo segno zodiacale, il toro, che portavano sullo stendardo i suoi legionari.
Nella parte inferiore della corazza vari fregi floreali, incluse foglie di acanto. mentre delle fibie sorreggono la parte più bassa dell'armatura che comprende decorazioni di cuoio o di metallo, e qui sembrerebbero di metallo, con teste di leoni, una testa di Medusa al centro e una seconda fila con palmette più in basso.
Al di sotto ancora gli pterigi, le fasce di cuoio semplici, spesso frangiate come queste sono, e piuttosto spesse che servono ad attutire eventuali colpi alle cosce.
Un'armatura così deve essere in cuoio magari dorato o con inserti in oro. Se fosse in bronzo sarebbe pesantissima perchè risulterebbe opera di una fusione che richiede un notevole spessore della lastra.
Ma poteva anche essere in ferro, cioè in acciaio, vale a dire ferro battuto ripiegato e ribattuto ed elevate temperature, si che detto ferro fosse anzitutto più refrattario alla ruggine. I soldati erano esposti alla pioggia, alla neve, e pure al loro stesso sudore: un normale ferro di sarebbe arrugginito in
poco tempo, divenendo più fragile e pericoloso per i legionari.
I romani lo chiamavano “ferro duro” cioè acciaio, per ottenere il quale usavano carbone di legna in pezzi più grossi e in maggior quantità, prolungavano il tempo di fusione e riducevano il tiraggio fino a ottenere il grado di carburazione desiderato.
Ma poteva anche essere in ferro, cioè in acciaio, vale a dire ferro battuto ripiegato e ribattuto ed elevate temperature, si che detto ferro fosse anzitutto più refrattario alla ruggine. I soldati erano esposti alla pioggia, alla neve, e pure al loro stesso sudore: un normale ferro di sarebbe arrugginito in
poco tempo, divenendo più fragile e pericoloso per i legionari.
I romani lo chiamavano “ferro duro” cioè acciaio, per ottenere il quale usavano carbone di legna in pezzi più grossi e in maggior quantità, prolungavano il tempo di fusione e riducevano il tiraggio fino a ottenere il grado di carburazione desiderato.
Per ottenere l'acciaio i romani seguivano l’antico processo di cementazione che, mediante carburazione in una forgia, produceva uno strato esterno di acciaio sul ferro saldato. I fabbri greci e
romani usavano questa tecnica con molta abilità ed erano in grado di ottenere un vero e proprio
acciaio mediante la tempra, il rinvenimento e la ricottura.
romani usavano questa tecnica con molta abilità ed erano in grado di ottenere un vero e proprio
acciaio mediante la tempra, il rinvenimento e la ricottura.
Dall’esame di alcune spade romane del IV sec. d.c. apprendiamo che, per ottenere un buon taglio, erano usate le seguenti tecniche:
a) saldatura di una striscia di acciaio damaschino su entrambi i lati di una lama d’acciaio duro,
b) saldatura di bordi taglienti di acciaio duro su ferro,
c) cementazione superficiale mediante una lunga fucinatura.
STATUA DI AUGUSTO DI PRIMA PORTA |
Potrebbe essere la copia di un originale in bronzo dedicata all'imperatore dal senato nel 20 d.c. e collocata probabilmente nel Foro, e la perfezione e lo splendore della scultura fa pensare a uno scultore greco. Alcuni studiosi ritengono che Tiberio, il figlio adottivo di Ottaviano, abbia regalato la statua in marmo alla madre Livia dopo la morte del padre.
Questo spiegherebbe la presenza di una statua propagandistica dentro la villa di Livia. E si spiegherebbero pure i rilievi sull'armatura: la restituzione delle insegne romane perse nella campagna partica di Crasso e le conquiste occidentali, dove Tiberio si copre di gloria.
Naturalmente la statua poteva essere invece un dono di Augusto alla moglie Livia, che servirebbe a rammentarle il suo sostegno a Tiberio, di cui si celebrano le imprese in oriente e in occidente. Invece regalare la statua di se stesso alla moglie, sebbene Augusto fosse tutt'altro che modesto, appare davvero eccessivo.
La statua rievoca certe immagini celebrate nel "Carmen saeculare" di Orazio, letto pubblicamente per la prima volta il 17 a.c., durante i Ludi Saeculares, indetti dall'imperatore per celebrare la venuta della nuova Pax romana e dell'età dell'oro.
Naturalmente la statua poteva essere invece un dono di Augusto alla moglie Livia, che servirebbe a rammentarle il suo sostegno a Tiberio, di cui si celebrano le imprese in oriente e in occidente. Invece regalare la statua di se stesso alla moglie, sebbene Augusto fosse tutt'altro che modesto, appare davvero eccessivo.
La statua rievoca certe immagini celebrate nel "Carmen saeculare" di Orazio, letto pubblicamente per la prima volta il 17 a.c., durante i Ludi Saeculares, indetti dall'imperatore per celebrare la venuta della nuova Pax romana e dell'età dell'oro.
"alme Sol, curru nitido diem qui
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius".
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius".
(Orazio - carmen saeculares)
Tradotto modernamente:
"Sole che sorgi libero e giocoso
sui colli nostri i tuoi cavalli doma
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma"
(Inno a Roma - Fausto Salvatori - Musica di Giacomo Puccini 1919)
La corazza imperiale, scolpita come aderente, che mette in mostra alla greca il fisico atletico dell'imperatore, era tipicamente in pelle con inserti in metallo, come usava all'epoca. I rilievi che la decorano poi mettono in risalto alcune particolarità dell'imperatore, dalla divinità a cui si ispira alla sua illustre discendenza o ai simboli romani di cui è portatore, riferita ai miti che prediligeva o con cui si identificava nonchè al messaggio propagandistico che voleva trasmettere ai sudditi. Insomma attraverso la corazza l'imperatore trasmetteva un messaggio che lo descrivesse come lui voleva.
Ed ecco i rilievi della corazza di Augusto:
- In alto una personificazione del Caelum, una divinità che Igino nelle Fabulae scrive fosse figlio del Giorno (Dies) ed ebbe come fratelli la Terra e il Mare.
Il Caelum, tipo Fatum era il destino di Ottaviano di governare Roma in qualità di Augusto, per la gloria dell'imperatore e dell'Urbe.
- Sotto di esso la quadriga guidata dal Dio Sol, Indiges prima e Invictus poi. Che rievoca molto l'Helios greco. Augusto si identificava molto, infatti aveva una speciale venerazione per Apollo, che a Roma era il Dio del Sole.
- Verso destra la Luna quasi è completamente coperta da l'Aurora (o il Dio della luce del mattino Phosphorus).
La luna, Dea notturna, quasi scompare all'inoltrarsi dell'Aurora, portatrice della luce del nuovo giorno, un'alba di pace e di gloria sotto il regno di Augusto.
- Al centro il re dei Parti Fraate IV restituisce le insegne catturate ai Romani alla sconfitta di Crasso; il generale romano raffigurato con ai piedi la lupa di Roma deve essere Tiberio, vincitore della campagna partica. Ma per altri è Augusto o in legionario romano oppure Marte stesso.
"Si vis pacem para bellum". "se vuoi la pace prepara la guerra" era anche il motto di Augusto che tuttavia, essendo più un grande politico che un grande condottiero, preferiva davvero la pace alla guerra. Riacquisire però le insegne romane perdute da Crasso era cancellare un'infamia e una vergogna per Roma. Nessuno doveva vantarsi di possedere delle insegne romane, segno di sconfitta per Roma.
- Ai due lati due donne che piangono. Quella a destra tiene in mano uno stendardo sui cui è raffigurato un cinghiale e la tipica tromba celtica a forma di drago: il carnyx. Quella a sinistra, in atteggiamento di sottomissione, porge un fodero senza gladio.
È possibile che la prima rappresenti le tribù celtiche del Nord-Ovest della Spagna, Astures et Cantabri, conquistate da Augusto, oppure la Gallia stessa che sempre dall'imperatore era stata pacificata tra il 12 e l'8 a.c.; la seconda invece, non completamente disarmata, potrebbe raffigurare le tribù germaniche tra il Reno e l'Elba oppure i regni dell'Oriente ellenistico, clienti di Roma. In ogni caso sono nemici vinti e legati al giogo di Roma.
- In basso, semisdraiata, si trovano la Dea Tellus, la Terra, con un corno colmo di frutta e due neonati che si afferrano alla sua veste (simile alla Tellus Mater dell'Ara Pacis).
Augusto teneva molto alle tradizioni gloriose di Roma che ne segnavano il destino di Caput Mundi.
La statua di Augusto, di posa mollemente eppure energicamente ellenica, non porta calzari ai piedi, come ricordasse gli antichi soldati della Roma monarchica o dei primi periodi repubblicani, una trovata pubblicitaria per far apparire Ottaviano come soldato di antiche tradizioni e virtù.
NERONE
- In basso, semisdraiata, si trovano la Dea Tellus, la Terra, con un corno colmo di frutta e due neonati che si afferrano alla sua veste (simile alla Tellus Mater dell'Ara Pacis).
Augusto teneva molto alle tradizioni gloriose di Roma che ne segnavano il destino di Caput Mundi.
La statua di Augusto, di posa mollemente eppure energicamente ellenica, non porta calzari ai piedi, come ricordasse gli antichi soldati della Roma monarchica o dei primi periodi repubblicani, una trovata pubblicitaria per far apparire Ottaviano come soldato di antiche tradizioni e virtù.
NERONE |
NERONE
In questa armatura di Nerone due fanciulle, ninfe o geni o Nike che siano, forse anche alate o con svolazzanti mantelli, cavalcano due grifoni sicuramente alati. Al centro l'immagine è cancellata ma dovrebbe trattarsi del sacro braciere. Sopra è scolpita una feroce testa di Medusa, adatta a spaventare i nemici.
Nell’Impero Romano vi furono potenti corporazioni di fabri a Milano e a Brescia; entrambe
usavano ferro norico e acciaio. Al tempo di Plinio, Como era famosa per la sua industria del ferro.
A Populonia vi erano ancora alcuni fabbri ferrai, ma in buona parte il commercio del ferro si svolgeva a Pozzuoli, dove però non risulta una corporazione di fabri, forse perchè le fucine erano tenute da schiavi imperiali. Al contrario, nella valle del Po le corporazioni di fabbri erano tanto potenti da avere una propria voce nella politica imperiale.
Da queste fucine, le migliori del mondo conosciuto, uscirono le splendide armature degli imperatori e dei grandi generali romani.
TITO
Sulla corazza porta il simulacro dell'antica Dea tra due grifoni, sugli pteruges (le frange al termine dell'armatura toracica) teste di leoni e mascheroni, ancora teste di leoni sui calzari a gambaletto.
I grifoni, anticamente simboli asiatici e greci della ferinità della Dea Natura, passarono poi a rappresentare la ferinità e rapacità dell'esercito romano. Il braciere sacro a cui i grifoni si rivolgono, era il simbolo della Dea, il sacro fuoco di Vesta, che rappresenta anche il fuoco che sostiene Roma, vale a dire la sua essenza divina. Insomma Roma è la città sacra.
Per celebrare una guerra vittoriosa si seguiva lo schema fisso della:
Nell’Impero Romano vi furono potenti corporazioni di fabri a Milano e a Brescia; entrambe
usavano ferro norico e acciaio. Al tempo di Plinio, Como era famosa per la sua industria del ferro.
A Populonia vi erano ancora alcuni fabbri ferrai, ma in buona parte il commercio del ferro si svolgeva a Pozzuoli, dove però non risulta una corporazione di fabri, forse perchè le fucine erano tenute da schiavi imperiali. Al contrario, nella valle del Po le corporazioni di fabbri erano tanto potenti da avere una propria voce nella politica imperiale.
Da queste fucine, le migliori del mondo conosciuto, uscirono le splendide armature degli imperatori e dei grandi generali romani.
TITO |
TITO
Sulla corazza porta il simulacro dell'antica Dea tra due grifoni, sugli pteruges (le frange al termine dell'armatura toracica) teste di leoni e mascheroni, ancora teste di leoni sui calzari a gambaletto.
I grifoni, anticamente simboli asiatici e greci della ferinità della Dea Natura, passarono poi a rappresentare la ferinità e rapacità dell'esercito romano. Il braciere sacro a cui i grifoni si rivolgono, era il simbolo della Dea, il sacro fuoco di Vesta, che rappresenta anche il fuoco che sostiene Roma, vale a dire la sua essenza divina. Insomma Roma è la città sacra.
- Profectio, partenza
- Costruzione di strade, ponti o fortificazioni
- Lustratio, sacrificio agli Dei
- Adlocutio, incitamento delle truppe (classica la statua di Augusto di prima Porta, raffigurato in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l'attenzione per il discorso incitatorio all'esercito prima della battaglia).
- Proelium, battaglia
- Obsidio, assedio
- Submissio, atto di sottomissione dei vinti
- Reditus, ritorno
. Triumphus, corteo trionfale
- Liberalitas, atto di beneficenza.
- Lustratio, sacrificio agli Dei
- Adlocutio, incitamento delle truppe (classica la statua di Augusto di prima Porta, raffigurato in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l'attenzione per il discorso incitatorio all'esercito prima della battaglia).
- Proelium, battaglia
- Obsidio, assedio
- Submissio, atto di sottomissione dei vinti
- Reditus, ritorno
. Triumphus, corteo trionfale
- Liberalitas, atto di beneficenza.
Spesso così gli imperatori appaiono in una di queste manifestazioni nei bassorilievi, o nelle statue, con in mano un oggetto che simboleggia lo scettro del comando, la legge, la patera, a seconda che vogliano sottolineare l'aspetto militare, civile o religioso.
Ma anche l'armatura significa qualcosa a seconda dei simboli che riporta. In genere i grifoni rappresentavano la rapacità guerriera dei romani al servizio dell'eterna Urbe, ovvero Roma divinizzata. Che appartenesse all'antica Dea asiatica non importava, o forse quel ricordo era andato perduto.
Ma anche l'armatura significa qualcosa a seconda dei simboli che riporta. In genere i grifoni rappresentavano la rapacità guerriera dei romani al servizio dell'eterna Urbe, ovvero Roma divinizzata. Che appartenesse all'antica Dea asiatica non importava, o forse quel ricordo era andato perduto.
DOMIZIANO 2 |
DOMIZIANO
Nell'armatura di Domiziano 1 due Nike scudate si rivolgono a una Dea che si erge su una colonna e che ha tutta l'aria di essere Atena con scudo e lancia.
DOMIZIANO 1 |
Invece nell'armatura qua sotto (Domiziano 2) si notano in basso due Dee che sorreggono l'una un cesto di frutta e l'altra un mazzo di spighe, come dire Opi e Cerere.
Al centro, ma la statua è molto corrosa, sembra scorgere un serpente, simbolo della Dea Terra. A lato c'è una figura su una cavalcatura ma è difficile da identificare.
Alcune differenze tra arte greca e romana, si notano anche dal tema principale della rappresentazione artistica: i Greci trasfiguravano in mitologia anche la storia contemporanea (le vittorie sui Persiani o sui Galati diventavano centauromachie o lotte fra Dei e Giganti o ancora amazzonomachie), mentre i Romani rappresentavano l'attualità e gli avvenimenti storici nella loro realtà.
Pertanto le corazze degli Imperatori, Augusto a parte, non ebbero decorazioni particolarmente complesse, e nemmeno furono così dissimili tra loro. Questa decorazione delle armature di Vespasiano e di Domiziano sono praticamente identiche e danno il via ad un modello che sarà spesso ripreso, ma fu già usato anche da Nerone come si osserva sulla statua che gli è pertinente.
I due grifoni fronteggiano un tripode, colonnina, cero, simulacro, comunque emblemi molto somiglianti, con al centro del petto una gorgoneion.
La Gorgonein o Testa della Gorgone, o Testa di Medusa era il capo che Perseo, con l'ausilio di Minerva tagliò ad una delle tre Dee Gorgoni, che si chiamavano Medusa, Stheno, ed Euryale, decapitando per l'appunto la feroce Medusa dai capelli di serpi.
I due grifoni fronteggiano un tripode, colonnina, cero, simulacro, comunque emblemi molto somiglianti, con al centro del petto una gorgoneion.
La Gorgonein o Testa della Gorgone, o Testa di Medusa era il capo che Perseo, con l'ausilio di Minerva tagliò ad una delle tre Dee Gorgoni, che si chiamavano Medusa, Stheno, ed Euryale, decapitando per l'appunto la feroce Medusa dai capelli di serpi.
Medusa aveva la ferale capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse, per cui Perseo vince con lei tutti i nemici, ma siccome stava un po' esagerando Atena gli toglie il cimelio attaccandolo al suo scudo o al suo seno. In realtà compare sempre sopra la sua veste all'altezza del seno. Counque, indossato da Atena, più che pietrificare sembra terrorizzare i nemici che si disorientano e diventano proclivi alla fuga.
Lo stesso effetto era auspicabile per gli imperatori che ponevano il simbolo medusaceo sulla propria corazza. Non dimentichiamo però che il simbolo è greco anche se acquisito dai Romani.
TRAIANO 1 |
TRAIANO
Nessuna di queste loriche metalliche è arrivata fino ai giorni nostri, tuttavia è tra le più conosciute, grazie alle numerose statue giunte sino a noi. Le statue più antiche sono caratterizzate da un alto livello di dettagli del torso, mentre quelle più recenti presentano degli ornamenti in rilievo, spesso anche applicati.
La lorica in cuoio, in genere rafforzata con un rivestimento metallico a difesa del petto e del ventre, consentiva maggiore mobilità e libertà di movimenti, rispetto alle loriche metalliche, e una migliore difesa rispetto la lorica interamente di cuoio, per la presenza del rivestimento metallico.
TRAIANO 2 |
Questo perchè il popolo aveva a memoria delle loriche imperiali più nelle cerimonie, sia trionfi che compleanni o ricorrenze varie, che erano piuttosto frequenti, che non delle partenze alla guerra con l'imperatore tutto armato, per ovvi motivi piuttosto rari.
Poichè le armature, specie di metallo, pesavano, se ne deduce che quelle da cerimonia fossero molto leggere ed adatte ad essere indossate per molte ore di fila come accadeva appunto nelle grandiose cerimonie e processioni romane che duravano quasi tutto il giorno.
Nella corazza indossata nella fig. Traiano 1 sono evidenti le due nike che onorano e brandiscono gli scudi in una specie di danza sacra per onorare la Dea che sta al loro centro, anche qui una Dea che è una via di mezzo tra Atena e la Dea Roma.
Ha infatti accanto a sè una civetta e un serpente, la prima caratteristica di Atena, il secondo pertinente a tutte le Dee Madri. Ma ciò che la fa connotare come Dea Roma è la testa di lupa che ha sul capo, come indossavano i milites romani, cioè i velites.
I Romani si consideravano infatti figli di Marte e pure della lupa, ambedue simboli di guerra e di aggressività selvaggia. ma ritenuti favorevoli ai romani.
TRAIANO 3 |
Nella figura Traiano 3, dove l'imperatore è più anziano, Traiano appare con l'alloro del trionfo sul capo, passato poi ad essere il simbolo degli imperator, e con l'antica armatura asiatica dei due grifoni affrontati con al centro il braciere sacro, retaggio del tripode sacro alla Dea oracolare.
Sul petto troneggia la Medusa raggiata, in quanto spesso l'ex Dea, anzichè apparire coi serpenti, aveva un'aureola di raggi solari, unendo in sè le caratteristiche della Terra e del Sole.
Da notare che, sulle cinghie in alto che agganciano l'armatura sul davanti, sono scolpite due immagini di fulmini di Giove insolitamente alati. E' un connubio Giove-Nike, il Padre degli Dei che porta la Vittoria (Nike).
Chiudono in basso delle foglie di acanto e dei fregi floreali. Più sotto, sugli pterigi, l'aquila ad ali spiegate, grifoni, teste di leoni. L'aquila era l'alto spirito dell'Impero Romano, colei che guardava dall'alto e tutto dominava, fiera e indomabile. Anche le teste leonine erano simboli romani, in qualità di re degli animali selvaggi, forti e senza pari.
ADRIANO 1 |
ADRIANO
Statua di imperatore con corazza, altezza cm 184, ritrovata nel teatro di Vaison-La-Romaine, Francia. probabilmente attribuibile ad Adriano.
In questa armatura (Adriano 1) l'imperatore ha una corazza piuttosto semplice, con due grifi nella parte superiore dove tuttavia doveva esserci una figura centrale che invece è rimasta cancellata, probabilmente il braciere rituale acceso, con un'aquila più in basso che probabilmente poggia sul fulmine di Giove come di consueto.
Più in basso ancora una testa leonina, trofei e fregi floreali. Di nuovo troviamo la fascia che chiude l'armatura col nodo sul davanti.
ADRIANO 2 |
Questa corazza, di Adriano 2, appartenente a una statua che riproduce l'imperatore Adriano con la sua armatura, fa intuire quanto articolate fossero le corazze degli imperatori, sia perchè in battaglia difficilmente si trovavano a combattere, circondati come erano dalla guardia pretoriana, sia perchè all'epoca gli imperatori difficilmente subivano sconfitte, per il loro addestramento, per la loro bravura e per il senso della patria.
Comunque nonostante la statua sia acefala, vittima della cancellazione romana dei tempi bui dell'impero, la si può comunque riconoscere, come d'altronde la corazza di Adriano 1, scolpita in modo magistrale come forgiata e cesellata in modo magistrale doveva essere la sua armatura nella realtà.
Secondo alcuni la corazza di questa statua raffigurerebbe Atena che indossa l'egida ed è incoronata da due Nike. Accanto a lei sono due dei suoi simboli, la civetta e il serpente. Si erge su una rappresentazione della lupa che allatta Romolo e Remo. Le immagini riecheggiano così l'interesse di Adriano a coniugare la cultura greca con quella romana.
Su di essa infatti è rappresentata una Dea che porta nella mano destra un elmo, mentre poggia i piedi su di una lupa che allatta due gemelli. Ai lati due geni femminili alati, o Nike, le offrono qualcosa, forse i loro scudi a protezione, mentre su due motivi floreali si poggiano da un lato un serpente e dall'altro o un'aquila o una civetta (ma si direbbe una civetta).
Quest'ultimo dettaglio potrebbe distinguere la Dea Roma dalla Dea Minerva. Tenendo conto però che la Dea tiene in mano ed anzi ostenta il suo elmo, gesto assolutamente inedito per Minerva, lascia pensare al "caput mundi" di cui si fregiava Roma e la Dea che la rappresentava. Tanto più che la divinità poggia o piedi sulla lupa che allatta i fatidici gemelli, quindi trae origine da loro, il che la riconferma come Dea Roma.
Nel resto dell'armatura le aquile si riferiscono all'impero romano, e non manca nemmeno Giove ammonio, in Dio dalle corna di ariete, mezzo romano e mezzo egiziano, visto che si mescola al Dio Amon. Il serpente rimanda invece al culto della Dea Terra, o Tellus, l'antica Dea, che appare nella parte bassa dell'armatura ai due lati, con capo coperto, cioè matrona, e scoperto, cioè Core, fanciulla, con riferimento ai miti greci che Adriano amava tanto, come Demetra e Core.
Comunque nonostante la statua sia acefala, vittima della cancellazione romana dei tempi bui dell'impero, la si può comunque riconoscere, come d'altronde la corazza di Adriano 1, scolpita in modo magistrale come forgiata e cesellata in modo magistrale doveva essere la sua armatura nella realtà.
Secondo alcuni la corazza di questa statua raffigurerebbe Atena che indossa l'egida ed è incoronata da due Nike. Accanto a lei sono due dei suoi simboli, la civetta e il serpente. Si erge su una rappresentazione della lupa che allatta Romolo e Remo. Le immagini riecheggiano così l'interesse di Adriano a coniugare la cultura greca con quella romana.
Su di essa infatti è rappresentata una Dea che porta nella mano destra un elmo, mentre poggia i piedi su di una lupa che allatta due gemelli. Ai lati due geni femminili alati, o Nike, le offrono qualcosa, forse i loro scudi a protezione, mentre su due motivi floreali si poggiano da un lato un serpente e dall'altro o un'aquila o una civetta (ma si direbbe una civetta).
Quest'ultimo dettaglio potrebbe distinguere la Dea Roma dalla Dea Minerva. Tenendo conto però che la Dea tiene in mano ed anzi ostenta il suo elmo, gesto assolutamente inedito per Minerva, lascia pensare al "caput mundi" di cui si fregiava Roma e la Dea che la rappresentava. Tanto più che la divinità poggia o piedi sulla lupa che allatta i fatidici gemelli, quindi trae origine da loro, il che la riconferma come Dea Roma.
Nel resto dell'armatura le aquile si riferiscono all'impero romano, e non manca nemmeno Giove ammonio, in Dio dalle corna di ariete, mezzo romano e mezzo egiziano, visto che si mescola al Dio Amon. Il serpente rimanda invece al culto della Dea Terra, o Tellus, l'antica Dea, che appare nella parte bassa dell'armatura ai due lati, con capo coperto, cioè matrona, e scoperto, cioè Core, fanciulla, con riferimento ai miti greci che Adriano amava tanto, come Demetra e Core.
ADRIANO 3 |
Più chiara l'armatura della statua bronzea di Adriano 3, non dimentichiamo che Adriano si fece ritrarre più di Augusto, che amava moltissimo la propaganda e la sua immagine. Si contano statue con ben ottanta pose diverse disseminate nelle loro numerose copie in tutto l'impero (60 pose per Augusto, almeno quelle reperite)
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Qui (Adriano 3) l'armatura sembrerebbe decorata da due grifi che fanno ala alla figura di Ercole col fatidico copricapo a pelle di leone. E' evidente che Adriano molto di identificava con Ercole che ricorre in varie armature con cui si fece ritrarre e che sicuramente indossò.
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Qui (Adriano 3) l'armatura sembrerebbe decorata da due grifi che fanno ala alla figura di Ercole col fatidico copricapo a pelle di leone. E' evidente che Adriano molto di identificava con Ercole che ricorre in varie armature con cui si fece ritrarre e che sicuramente indossò.
IMPERATORE META' II SECOLO |
A CHI APPARTENGONO
Nella figura qui sopra compare nella parte superiore della corazza, Elios che guida la quadriga del Sole, mentre trasvola il mare rappresentato con le onde all'uso cretese (e pure etrusco).
Più in basso due Vittorie alate, ovvero due Nike innalzano gli scudi a respingere o proteggere (visto che uno scudo è imbracciato da una Nike, mentre l'altro è mostrato dall'altra Nike) una strana figura col capo totalmente velato, che si rivela però un manichino, perchè il busto è issato su una base lignea o marmorea. Quest'ultimo dà perciò l'idea di un trofeo di guerra,
IMPERATORE META' II SECOLO |
Nella figura qui sopra, di cui si ignora l'appartenenza, compare, nella parte superiore della corazza, Elios che guida la quadriga del Sole, mentre trasvola il mare rappresentato con le onde all'uso cretese (e pure etrusco).
Più in basso due Vittorie alate, ovvero due Nike innalzano gli scudi a respingere o proteggere (visto che uno scudo è imbracciato da una Nike, mentre l'altro è mostrato dall'altra Nike) una strana figura col capo totalmente velato, che si rivela però un manichino, perchè il busto è issato su una base lignea o marmorea. Quest'ultimo dà perciò l'idea di un trofeo di guerra,
Infatti due barbari, pertanto barbuti, fanno offerte votive ai grifoni mentre sono legati schiena a schiena in posizione inginocchiata. Sono i nemici sottomessi da Roma.
Intorno fregi floreali e una palmetta. Più n basso, sugli pterigi, le strisce dell'armatura che proteggono le cosce, osserviamo le cosiddette teste di medusa, teste di lupo, palmette e fregi floreali.
Ambedue le statue sembrerebbero riferirsi a Traiano, solo che Traiano appartiene al I sec, e pochissimo al II sec. (98 - 117). Invece appartengono alla metà del II sec. ben tre imperatori:
Antonino Pio (138-161), Marco Aurelio (161-180) (dal 177 col figlio Commodo), Lucio Vero
(161-169). Effettivamente abbiamo una statua di Antonino Pio con due grifoni che si fronteggiano
Di Lucio Vero abbiamo questo busto in armatura che però non dice granchè, a parte che l'armatura sembra fatta a scaglie, ma non sappiamo se fossero scaglie vere, cioè di acciaio, e in questo caso sarebbe la lorica squamata, in genere in ottone o in ferro, o applicazioni leggere su su cuoio.
Più in basso due Vittorie alate, ovvero due Nike innalzano gli scudi a respingere o proteggere (visto che uno scudo è imbracciato da una Nike, mentre l'altro è mostrato dall'altra Nike) una strana figura col capo totalmente velato, che si rivela però un manichino, perchè il busto è issato su una base lignea o marmorea. Quest'ultimo dà perciò l'idea di un trofeo di guerra,
Infatti due barbari, pertanto barbuti, fanno offerte votive ai grifoni mentre sono legati schiena a schiena in posizione inginocchiata. Sono i nemici sottomessi da Roma.
Intorno fregi floreali e una palmetta. Più n basso, sugli pterigi, le strisce dell'armatura che proteggono le cosce, osserviamo le cosiddette teste di medusa, teste di lupo, palmette e fregi floreali.
LUCIO VERO |
Antonino Pio (138-161), Marco Aurelio (161-180) (dal 177 col figlio Commodo), Lucio Vero
(161-169). Effettivamente abbiamo una statua di Antonino Pio con due grifoni che si fronteggiano
Di Lucio Vero abbiamo questo busto in armatura che però non dice granchè, a parte che l'armatura sembra fatta a scaglie, ma non sappiamo se fossero scaglie vere, cioè di acciaio, e in questo caso sarebbe la lorica squamata, in genere in ottone o in ferro, o applicazioni leggere su su cuoio.
Naturalmente per l'imperatore non sarebbe stata in ottone, più pesante e facile da trapassare con le frecce, ma di ferro trasformato in acciaio dalla lavorazione, per cui sarebbe stato più resistente e sottile. Unica figura visibile la testa di una Medusa non di grande fattura, come usava per tradizione.
ANTONINO PIO (86 - 161)Quasi identica all'armatura di traiano è questa armatura di Antonino Pio, sempre coi grifi che si guardano. più un basso, sulle frange so notano teste umane, teste di aquila, fregi floreali ed elmi.
ANTONINO PIO 2 |
Ai lati due figure a specchio, che sembrerebbero due Ercole bambino che strozza il serpente Pitone. Più in basso ancora una testa di Medusa, oltre a teste con e senza elmo e palmette decorative.
Questa corazza è pertanto la glorificazione di Antonino il vincitore dei nemici, il salvatore della patria, colui a cui gli Dei consegnano la vittoria.
ANTONINO PIO 3 |
E' molto diverso dal bel fisico e il nobile aspetto dell'imperatore da giovane.
Si sa che gli artisti romani erano impietosi e ritraevano le persone senza filtri ammorbidenti, sia nell'aspetto che nell'espressione.
L'imperatore sembra un po' mostruoso, gonfio. con lo sguardo malevolo e le labbra all'ingiù.
Ma sulla sua armatura si scorge una gorgoneion anche se rovinata.
L'altorilievo è dell'antica città di Eritrea.
MARCO AURELIO (121 - 180)
MARCO AURELIO 1 |
Rendiamoci però conto che i romani ribattevano il ferro un po' come facevano i giapponesi per le katane, anche se non fino a quel punto, riuscendo tuttavia a ottenere un acciaio resistente e leggero rispetto alle altre armature.
Nella lorica di Marco Aurelio 1 due Nike danzanti attorniano la Dea che si erge su di un tripode.
Sul petto della corazza troneggia il gorgoneion, cioè la testa di Medusa che l'imperatore indossa come novello Perseo.
Tuttavia l'eroe greco uccise la Gorgone ma non se pose il capo sul petto, azione che fece Atena, ponendo il capo della Medusa sul vergineo seno.
MARCO AURELIO 2 |
Tuttavia l'eroe greco uccise la Gorgone ma non se pose il capo sul petto, azione che fece Atena, ponendo il capo della Medusa sul vergineo seno.
Sulla corazza Marco Aurelio 2 riporta i soliti grifoni affrontati con al centro il sacro braciere.
Sugli pteruges non è stata eseguita alcuna applicazione nè alcun rilievo. La corazza è piuttosto semplice, riflettendo però che l'imperatore Marco Aurelio era uomo semplice e sobtio.
Un vero filosofo dall'animo semplice.
Sugli pteruges non è stata eseguita alcuna applicazione nè alcun rilievo. La corazza è piuttosto semplice, riflettendo però che l'imperatore Marco Aurelio era uomo semplice e sobtio.
Un vero filosofo dall'animo semplice.
Magnifica l'armatura di Marco Aurelio 3 (ancora giovane) anche perchè molto ben conservata la statua. Non mancano i due grifoni raffrontati che sorreggono o meglio esaltano un grande cero.
Quest'ultimo non avrebbe senso se non fosse retaggio di un simbolo più antico, quello della Potnia Theron, la Signora delle Fiere, o Signora delle Belve, che in tempi molto arcaici era rappresentata come un albero stilizzato, o una colonna. Per ovvie ragioni in epoca patriarcale il simbolo venne modificato ma in qualche modo restò.
Sopra i grifoni due larghe strisce di cuoio che servivano a fissare le due parti, dorsale e pettorale dell'armatura, ma che ora sono solo ornamentali, riportano il simbolo del fulmine di Giove. Tra i sue inserti c'è la consueta Gorgoneion, la testa di Medusa che spaventa i nemici, in questo caso di Roma.
Quest'ultimo non avrebbe senso se non fosse retaggio di un simbolo più antico, quello della Potnia Theron, la Signora delle Fiere, o Signora delle Belve, che in tempi molto arcaici era rappresentata come un albero stilizzato, o una colonna. Per ovvie ragioni in epoca patriarcale il simbolo venne modificato ma in qualche modo restò.
MARCO AURELIO 3 |
L'armatura di Nervaè simile alle precedenti di Adriano, Traiano, Tito, Domiziano e Vespasiano, con i fulmini di Giove sulle corregge dell'armatura, una specie di testa di Medusa piuttosto asiatica che greca, i soliti grifoni con dietro il braciere che però stavolta è spento, e sugli pterigi teste di caproni, di arieti, di leoni, di elefanti e mascheroni.
Ma c'è qualcosa che colpisce in quest'armatura, o vero nella sua decorazione. Non solo il fuoco è spento ma i due grifoni non si fronteggiano più, il loro sguardo è rivolto all'esterno.
Il grifone è un mitico animale di origine mesopotamica che presto si diffuse in area mediterranea occidentale, aveva un corpo in parte di aquila e in parte di leone, talvolta con coda di serpente.
Erano un simbolo della Dea Natura, rappresentata come Signora delle Belve che governa la terra e le sue fiere, fiere simboleggiate dai due grifoni, energie della terra e dell'uomo, pertanto istinto animale governato.
Questo istinto era all'inizio governato dalla Dea, che costituiva il fuoco sacro. Dunque negli uomini le energie erano rivolte all'interno e non all'esterno. Nelle iconografie più antiche i grifoni erano sempre centrati all'interno, e sovente su un fuoco sacro. successivamente le immagini asiatiche della Grande Madre ebbero una colonna o un braciere spento al centro e i due grifoni guardavano all'esterno.
Ciò indica che le energie dell'uomo, prima molto rivolte al proprio sentire interno, si rivolsero all'esterno, cioè rivolsero la loro attenzione al mondo esterno cioè al mondo del fare, che non al dentro, cioè al mondo del sentire. Indica un rafforzativo della mente fatto però a discapito dell'istinto personale. Chissà se Nerva conosceva questa simbologia e se ciò magari corrispondeva al suo carattere, molto più razionale che sensibile. Oppure fu un caso. Di certo Nerva, che pure fu un ottimo imperatore, non aveva un volto molto soddisfatto nè molto vivace. Spesso ci vestiamo con ciò che ci rappresenta.
Ma c'è qualcosa che colpisce in quest'armatura, o vero nella sua decorazione. Non solo il fuoco è spento ma i due grifoni non si fronteggiano più, il loro sguardo è rivolto all'esterno.
Il grifone è un mitico animale di origine mesopotamica che presto si diffuse in area mediterranea occidentale, aveva un corpo in parte di aquila e in parte di leone, talvolta con coda di serpente.
Erano un simbolo della Dea Natura, rappresentata come Signora delle Belve che governa la terra e le sue fiere, fiere simboleggiate dai due grifoni, energie della terra e dell'uomo, pertanto istinto animale governato.
Questo istinto era all'inizio governato dalla Dea, che costituiva il fuoco sacro. Dunque negli uomini le energie erano rivolte all'interno e non all'esterno. Nelle iconografie più antiche i grifoni erano sempre centrati all'interno, e sovente su un fuoco sacro. successivamente le immagini asiatiche della Grande Madre ebbero una colonna o un braciere spento al centro e i due grifoni guardavano all'esterno.
Ciò indica che le energie dell'uomo, prima molto rivolte al proprio sentire interno, si rivolsero all'esterno, cioè rivolsero la loro attenzione al mondo esterno cioè al mondo del fare, che non al dentro, cioè al mondo del sentire. Indica un rafforzativo della mente fatto però a discapito dell'istinto personale. Chissà se Nerva conosceva questa simbologia e se ciò magari corrispondeva al suo carattere, molto più razionale che sensibile. Oppure fu un caso. Di certo Nerva, che pure fu un ottimo imperatore, non aveva un volto molto soddisfatto nè molto vivace. Spesso ci vestiamo con ciò che ci rappresenta.