![]() |
RICOSTRUZIONE |
![]() |
IMMAGINE DELLA ZONA NELLA FORMA URBIS |
L'interno era diviso da 294 pilastri che definivano una serie di ambienti disposti su sette file longitudinali che formavano 50 navate, larghe ognuna 8,30 metri, coperte con volte a botte e con pavimenti in terra battuta, per una superficie complessiva di 25.000 m2.
Questi ambienti servivano come magazzini della merce, del grano anzitutto, di beni alimentari in genere ma pure di altri generi di consumo.
Erano pertanto i famosi horrea romani, che prendevano il nome dai loro costruttori, Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo, tribuni edili dell'anno 193 a.c., e quindi dalla gens Aemilia. Tra il 193 e il 174 a.c. vennero così edificati il mercato dell’Emporium e il porticus Aemilia. La facciata del magazzino era formata da una fila di pilastri in opera quadrata di tufo, davanti a cui passava la strada lastricata in basolato. .
Gli architetti romani, tra l'altro non di professione ma solo di esperienza, cioè militari che avevano imparato a costruire dai castra, negli edifici pubblici avevano espresso il meglio del loro genio, sperimentando i diversi materiali da costruzione. i diversi abbinamenti di colori e materiali e le diverse tecniche edificatorie. L'edificio, i cui resti sono conservati nel quartiere romano di Testaccio, viveva in stretta col porto dell'Urbe, distando solo 90 metri dal fiume e qui venivano immagazzinate le merci scaricate dalle imbarcazioni che rifornivano tutta Roma.
L'horrea degradava verso il fiume in quattro "navate" longitudinali, in modo che ognuna prendeva luce da aperture poste nella cortina al di sopra del corpo antistante. Nulla resta dei moli e delle scale verso il fiume di età repubblicana, imputabili, secondo Livio, agli stessi censori impegnati nei restauri del 174 e radicalmente trasformati in età traianea. Una serie di passaggi in Livio menzionano l'Emporium e il porticus, citando i censori Q. Fulvius Flaccus e A. Postumius Albinus per la ricostruzione in pietra dell' ‘emporium’ fuori Porta Trigemina, e il restauro del Porticus Aemilia.
Le camere oggi visibili negli argini del fiume, alte circa 4 m, costituivano l'argine e le costruzioni del corpo più avanzato della città annonaria, l' Emporium vero e proprio. In seguito tutta la pianura del Testaccio, man mano che crescevano i bisogni della città, si andò colmando di edifici, soprattutto di magazzini annonari.
Quando, a partire dai Gracchi, ebbero inizio le distribuzioni gratuite di grano ed altri generi alimentari alla popolazione della città, fu necessario costruire altri magazzini: sorsero così gli Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, Aniciana, dai nomi dei consoli in carica al momento della costruzione o dal nome dei proprietari o del costruttore.
Fu durante i lavori di arginatura del Tevere negli anni 1868-1870 che vennero alla luce i resti dell’antico Emporium, una banchina lunga circa 500 m e profonda 90, con gradinate e rampe che scendevano al fiume. Il fronte della banchina era munito di pietre d’ormeggio in travertino, ancora oggi visibili.
Le chiatte rimorchiate dai bufali, che risalivano il fiume, avevano qui un punto di approdo dove scaricare le merci, prevalentemente marmi, grano, vino e olio, provenienti soprattutto dal porto di Ostia. Interrati dai detriti trasportati dalla corrente, i resti furono riportati alla luce nel 1952 e, di nuovo reinterrati, nuovamente a partire dal 1974. Per essi è previsto ora il restauro e la trasformazione in area archeologica aperta alle visite del pubblico.
Si trattava di un esteso molo costituito da una serie di concamerazioni, il cui estradosso era pavimentato da grandi lastre di travertino ed utilizzato come piazzale di scarico e di smistamento. Un lungo muro inclinato chiudeva verso il fiume questi ambienti ed era munito di pietre d'ormeggio forate per il fissaggio delle gomene. Il tutto addossato ad un più antico muraglione di mattoni che delimitava, verso il fiume, un'altra serie di magazzini coperti a volta aperti verso il quartiere commerciale di Testaccio.
![]() |
TESTA DI LEONE DEL PORTICUS |
Col tempo i numerosi scarti delle anfore, contenitori di vino, olio e grano, perchè spaccati o sbrecciati, furono accatastati in una zona limitrofa dando origine alla collina artificiale di Testaccio, detta per l'appunto Monte dei cocci, alto 49 m e formato dalle testae (cocci), accumulati tra I e III sec. d.c.. Sembra però che molte anfore venissero appositamente spaccate, in quanto fosse più conveniente distruggere le anfore piuttosto che pulirle per riutilizzarle. I Romani andavano di corsa, dovevano sfamare un milioni di abitanti nell'Urbe.
Il declino dell’area portuale, del complesso dell’Emporium e degli horrea, iniziato già dal V secolo d.c.si desume dalle mancate citazioni nelle fonti tardoantiche dove la zona appare come Marmorata o Ripa Marmorata a causa dei marmi depositati per tutta l’età imperiale. Imponenti resti del porticus sono ancora visibili nelle vie G. Branca, Rubattino e Florio.
Visualizzazione ingrandita della mappa