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CICERONE: PRO CLUENTIO (Opere)

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LE DECLAMAZIONI DI CICERONE

"Pro Cluentio"è un discorso dell'oratore romano Cicerone pronunciato in difesa di un uomo di nome Aulus Cluentius Habitus Minor, un cavaliere romano di grandi ricchezze, abitante di Larinum nel Samnium, ubicato sulle colline dell'entroterra molisano, a circa 400 m di altitudine, non molto distante (circa 26 km) dalla costa del mare Adriatico.

Cicerone difese Aulus Cluentius che fu accusato nel 69 a.c. dalla madre Sassia di aver avvelenato il suo patrigno Oppianico, che Cluentius aveva già perseguito con successo nel 74 a.c. Una madre che accusa il proprio figlio di aver avvelenato il suo patrigno, ovvero il coniuge di sua madre sposato in seconde nozze di certo non raccoglieva le simpatie del pubblico. Sembra che la donna tenesse molto più al nuovo amore che non al figlio, che tuttavia a sua volta non era molto stimato.

Entrambe le parti erano infatti state accusate di aver corrotto i giurati per assicurarsi la condanna reciproca, ma è stata rivelata solo la tangente di Oppianico, che morì in disgrazia tre anni dopo. I delitti di Oppianico furono così enormi, che Cluentius non ebbe bisogno di corrompere i giudici. 

A questa dettagliata prefazione la seconda parte che segue il discorso del famoso oratore è molto breve, poiché Cicerone considera l'accusa semplicemente ridicola.

Stazio Albio Oppianico si sposò cinque volte ed era sospettato di aver avvelenato la prima moglie Cluentia tramite suo figlio Oppianico il Giovane. Oppianico anziano complottò per ottenere la fortuna di sua suocera Dinaea. Oppianico il Giovane era l'erede presunto del patrimonio di Dinaea, ma si scoprì che il suo terzo figlio presunto morto, Marcus Aurius, era in realtà vivo. 

Oppianico organizzò l'assassinio di Dinaea e di Marcus Aurius. Alterò quindi il testamento di Dinaea, facendo di Oppianico il Giovane l'unico erede. Quando la notizia della morte di Marcus Aurius giunse a Larinum, Oppianico fuggì dalla città e si rifugiò in uno degli accampamenti di Silla. Attraverso il favore di cui godeva con Silla, Oppianico uccise i suoi nemici.

Nell'80 a.c. Oppianico si innamorò di Sassia, vedova di Aulo Cluentius Habitus il Vecchio, vittima delle proscrizioni sillane e la vedova Sassia si innamorò del genero Melino e costrinse la figlia a divorziare da lui per sposarlo. 

Oppianico organizzò l'omicidio di Melino in modo che Sassia potesse essere libera di sposarlo; non era incline, tuttavia, a essere una matrigna, quindi Oppianico uccise i suoi due figli più piccoli prima che lei accettasse il matrimonio. Ne conseguì che Cicerone ebbe un tale successo che il giovane Cluentius fu assolto dalle accuse. Nel processo la reputazione della Sassia fu completamente distrutta.


L'ORAZIONE

- 1 - Mi sono accorto, o giudici, che tutto il discordo dell’accusatore è diviso in due parti,
delle quali la prima mi sembrava insistere e basarsi soprattutto sul pregiudizio ormai
radicato nel giudizio di Giunio, la seconda soltanto per consuetudine sfiorare
timidamente e diffidentemente la sostanza dei crimini di veneficio, per la qual cosa
per legge è stato istituito questo tribunale. Dunque ho deciso di mantenere questa
medesima distribuzione tra pregiudizio e crimini nel discordo di difesa così che tutti
comprendano che non abbia voluto schivare nulla col silenzio né occultare qualcosa
con la parola.

- 2 - Μa quando considero in che modo da parte mia ci si debba applicare da entrambe le
parti, una parte, ed è quella propria del vostro giudizio e della questione legale del
veneficio, mi sembra che per me sarà breve e non di grande sforzo dialettico, l’altra
invece, che è molto estranea al giudizio, che è più adatta alle assemblee sediziose e
concitate che ai tribunali tranquilli e moderati, prevedo che sarà tanto difficile quanto
laborioso nella trattazione.

- 3 - Ma in questa difficoltà, tuttavia, quella cosa mi consola, o giudici, e cioè che voi siete
così abituati ad ascoltare dei crimini che pretendete dall’oratore la loro completa
assoluzione, tanto che non ritenete di dover voi elargire la salvezza all’imputato più
di quanto non abbia potuto conseguire il difensore confutando i crimini e provando
con la parola; riguardo l’invidia invece dovete scegliere fra di noi così da non
considerare ciò che è detto da noi ma ciò che sarà detto. Infatti si trova nei crimini di
Aulo Cluenzio il suo primo pericolo, nell’invidia la causa comune. Per questo noi
tratteremo una parte della causa così da informarvi, un’altra così da pregarvi; nell’una
dovremo catturare la vostra attenzione, nell’altra implorare il vostro aiuto. Infatti on
c’è nessuno che senza il vostro aiuto, e di tali uomini, possa resistere all’ostilità.

- 4 - Per quanto mi attiene, non so da che parte mi volgerò. Dovrei negare che ci sia stata
l’infamia nei tribunali corrotti? Dovrei negare che quella faccenda sia stata trattata
nelle assemblee, sollevata nei tribunali, ricordata in senato? Dovrei sradicare
dall’animo degli uomini un’opinione cos’ grande, così insita nel profondo, così
antica? Non è nelle mie capacità; è proprio del vostro aiuto, o giudici, venire in
soccorso dell’innocenza di costui a quella fama disastrosa così come se fossimo in
una fiamma pericolosissima e in un incendio comune.

- 5 - Infatti come in altri luoghi la verità ha poco fondamento e poca forza, così in quel
luogo il falso pregiudizio deve essere senza sostegno. Domini nelle assemblee,
giaccia nei tribunali; valga nelle opinioni e nei discorsi degli incompetenti, ma sia
allontanato dalle menti dei saggi, abbia impeti veementi e repentini, perda autorità col
passare del tempo e appurati i fatti, insomma sia manutenuta quella definizione diequità giudiziaria che ci è stata tramandata dagli avi, affinché nei tribunali sia punita
la colpa senza il pregiudizio e sia deposto il pregiudizio in assenza di colpa.

- 6 - Per questa cosa, o giudici, prima che io inizi a parlare, vi dico questo: prima, è
giustissimo questo, che non rechiate qui alcun pregiudizio - infatti non perderemo
solo l’autorità ma anche il nome dei giudici, se non giudicheremo questo dai motivi
in quanto tali e se non li porteremo da casa già pronti agli eventi in causa -; poi se
avete già un’ opinione nelle vostre menti, se la ragione la demolirà, se l’orazione la
farà vacillare, se poi la verità l’estirperà, non combattetela né allontanatela dal vostro
animo con gioia o con serena obiettività; invece quando io le passerò in rassegna e le
demolirò, vi chiedo di non essere contrari tacitamente nella vostra riflessione ma di
attendere la fine concedendomi di conservare l’ordine della mia esposizione; quando
avrà terminato, allora domandatevi nell’animo se qualcosa sia stato tralasciato.

- 7 - Io, o giudici, comprendo facilmente che tratto una causa che viene ascoltata ormai da
otto anni di seguito dalla parte contraria e per la stessa tacita opinione degli uomini è
quasi vinta e condannata; ma se un dio mi avrà conciliato la vostra benevolenza
affinché mi ascoltiate, farò in modo che comprendiate che un uomo non debba temere
nulla quanto l’invidia, niente per un innocente suscitato il pregiudizio è tanto
desiderato quanto un giudizio equo, poiché solo in questo infine si trova la fine della
falsa infamia e il suo termine. Per questo una grande speranza mi sostiene, se potrò
spiegare gli argomenti della causa e passarli tutti in rassegna con la parola, questo
luogo e il vostro consenso, che quelli pensarono che sarebbe stato orribile e
pericoloso per Cluenzio, infine saranno porto e rifugio della sua sorte misera e
travagliata.

- 8 - Sebbene mi sembra che ci siano molte cosa da dire, prima che io tratti la causa,
riguardo ai pericoli comuni dell’invidia, tuttavia, affinché la vostra attesa non sia
tenuta a lungo sospesa dalla mia orazione, tratterò la causa con quella preghiera, o
giudici, della quale comprendo mi dovrò servire spesso, così che mi ascoltiate come
se questa causa sia stata trattata in questo momento per la prima volta, del resto è
così, non come se ormai fosse stata difesa spesso e mai provata. Infatti in questo
giorno per la prima volta è stata data la possibilità di sciogliere questa vecchia
accusa; prima di oggi in questa causa hanno dominato errore e pregiudizio. Perciò
mentre rispondo brevemente e in modo chiaro all’accusa di molti anni, vi prego, o
giudici, di ascoltarmi come avete cominciato a fare, benignamente e attentamente.

- 9 - Si dice che Aulo Cluenzio abbia corrotto il tribunale con il denaro, in modo da
condannare un nemico innocente, Stazio Abbio (Oppianico). Mostrerò per prima
cosa, o giudici, poiché l’origine di quell’atrocità e del pregiudizio fu la
circonvenzione di un innocente per mezzo del denaro, che mia nessuno sia stato
convocato in tribunali con maggiori accuse e più gravi testimonianze; poi che quei
pregiudizi siano stati emessi proprio da quei giudici dai quali è stato condannato, così

- 12 - Essendo queste nozze ricche di prestigio e di concordia, all’improvviso sorse l’empia passione di una donna sfacciata, passione unita non solo al disonore, ma anche alla colpa. Infatti Sassia, la madre del qui presente Abito – madre sarà infatti chiamata da me per tutta la causa, anche se verso costui nutre l’odio e la crudeltà di un nemico, madre, dico, né mai ella sentirà parlare del suo crimine e della sua scelleratezza senza vedersi attribuire il nome che le è proprio per natura; infatti, quanto più affettuoso e amorevole è il nome stesso di madre, tanto più degno di odio riterrete il crimine straordinario di quella madre che già da molti anni e ora più che mai desidera la morte del figlio.
La madre di Abito, dunque, presa da amore per suo genero, il giovane Melino, contro quel che era lecito, all’inizio (ma non per molto) cercava, per quanto poteva, di contenersi in quella passione; poi prese ad ardere di tale follia che né il pudore, né il ritegno, né il sentimento materno, né la vergogna per la famiglia, né l’opinione della gente, né il dolore del figlio, né l’angoscia della figlia riuscivano a distoglierla dalla passione.

- 18 - In vita sua A. Cluenzio non ha conosciuto alcuna sciagura, non ha affrontato alcun pericolo mortale, non ha dovuto temere alcun male, che non fosse stato ispirato e portato a compimento dalla madre. E tutti questi fatti, in questa circostanza, egli li passerebbe sotto silenzio e sopporterebbe, anche se non potessero essere coperti dall’oblio, che restassero tuttavia celati dalla discrezione. Ma è condotto al punto di non poter proprio tacere in nessun modo.
Questo stesso processo, infatti, questo rischio di condanna, quell’accusa, tutta la massa dei testimoni che sta per presentarsi, sono stati predisposti fin dall’inizio dalla madre, dalla madre sono allestiti e procurati da tutte le sue risorse e dai suoi mezzi. Lei stessa si è precipitata poco tempo fa da Larino a Roma per distruggere quest’uomo. 
È qui presente una donna temeraria, piena di soldi, crudele; prepara gli accusatori, istruisce i testimoni, gioisce dello squallore e delle misere condizioni di costui, ne auspica la fine, desidera versare tutto il proprio sangue, pur di vedere prima versato il sangue di lui. 
Se non riuscirete a vedere tutte queste cose durante la causa, pensate pure che quella è chiamata in causa da noi con leggerezza; se invece esse saranno evidenti nella loro nefandezza, dovrete perdonare a Cluenzio il fatto che tolleri che queste cose vengano dette da me; a me, invece, non dovreste perdonare se non le dicessi.

- 26 - Prima di tutto considerate la sfrontatezza del personaggio. Fu preso dal desiderio di sposare Sassia, di cui aveva fatto uccidere il marito, A. Aurio. Se sia più impudente lui, a chiederne la mano, o più crudele lei a sposarlo, è difficile a dirsi; ma giudicate voi, di entrambi, l’umanità e la costanza.

- 27 - Oppianico chiede che Sassia lo sposi e persegue questo scopo con grande impegno. Quella d’altra parte non si stupisce della sfrontatezza, non si sdegna per l’impudenza, infine non teme la casa di Oppianico grondante del sangue di suo marito, ma risponde di essere contraria a quelle nozze per questo: perché quello aveva tre figli. Oppianico, che aveva messo gli occhi sul denaro di Sassia, pensò di dover cercare a casa propria il rimedio per il ritardo che veniva arrecato alle nozze. 
Infatti, avendo da Novia un figlio ancora bambino, mentre un altro figlio suo, natogli da Papia, veniva cresciuto dalla madre a Teano, che dista diciotto miglia da Larino, fece venire subito, senza un morivo, il ragazzo da Teano, cosa che in precedenza non era solito fare se non per i giochi pubblici o nei giorni di festa. La madre, poveretta, che non sospetta niente di male, glielo manda. 
Mentre quello aveva finto di partire per Taranto, proprio in quel giorno il ragazzo morì, prima di notte – benchè più o meno all’ora undicesima ora fosse stato visto in perfetta salute – e il giorno successivo, prima che sorgesse il sole, fu cremato.

- 169 - Mi resta ancora una sola imputazione di questo genere, da cui possiate vedere bene quello che è stato detto da me all’inizio del mio discorso: cioè che tutto quanto il male che Cluenzio ha visto in questi anni, tutta l’angoscia e il travaglio che sopporta in questa circostanza, sono stati ispirati da sua madre. Voi dite che Oppianico è stato ucciso dal veleno che gli è stato somministrato in un pane tramite un certo M. Asellio, un suo amico, e che ciò è accaduto per istigazione di Abito. 
A questo proposito vi chiedo prima di tutto quale motivo ha avuto Abito per voler uccidere Oppianico. Ammetto che tra i due ci fossero dei contrasti; ma le persone vogliono eliminare i loro nemici o perché li temono, o perché li odiano.

- 170 - Dunque, spinto da quale timore Abito tentò di commettere un delitto tanto grave? Qual era il motivo per cui qualcuno avrebbe dovuto temere un Oppianico ormai condannato per le sue malefatte ed esiliato dalla città? E allora? Abito temeva forse di essere attaccato da uno sconfitto, o di essere accusato da un condannato, o di essere danneggiato dalla testimonianza di un esule? 
Se invece non ha voluto che quello godesse della vita perché lo odiava, sarebbe stato così sciocco da pensare che fosse una vita quella che Oppianico viveva allora: la vita di un condannato, di un esule, di uno abbandonato da tutti, che, per la sua malvagità, nessuno avrebbe voluto accogliere sotto il suo tetto né andare a trovare, a cui nessuno avrebbe voluto rivolgere una parola né uno sguardo?

- 171 - Dunque Abito aveva in odio la vita di costui? Ma se nutriva per lui un odio aspro e profondo, non doveva desiderare che vivesse il più a lungo possibile? Un nemico doveva affrettargli la morte: cosa che, tra i suoi mali, costituiva per lui l’unica via di scampo alla sventura? E se avesse avuto un po’ di coraggio e di valore, si sarebbe dato la morte da solo, come spesso hanno fatto molti grandi uomini in una disgrazia di tal genere. 
Per quale ragione un nemico avrebbe voluto offrirgli ciò che lui stesso avrebbe dovuto augurarsi? Ora, in verità, che male ha portato la morte a costui, in definitiva? 
A meno che non ci lasciamo indurre da sciocche storielle a credere che quello debba sopportare negli inferi i supplizi degli empi, che lì abbia offeso più nemici di quanti non ne abbia lasciati qui e che sia stato gettato a precipizio, dalle Furie vendicatrici della suocera, delle mogli, del fratello e dei figli, nel luogo che è sede degli scellerati. Ma se tutte queste cose sono false, cosa che tutti sanno bene, cos’altro gli ha strappato la morte, in fin dei conti, a parte la percezione del dolore?

- 200 - Perciò, giudici, se odiate il delitto, impedite alla madre di macchiarsi del sangue del figlio, infliggete a un genitore questo incredibile dolore prodotto dalla salvezza, dalla vittoria dei suoi figli, lasciate che la madre se ne vada piuttosto sconfitta dalla vostra equità, perché, privata del figlio, non gioisca. 
Se d’altra parte, come la vostra natura esige, amate il pudore, la bontà, la virtù, sollevate finalmente quest’uomo supplice davanti a voi, che per tanti anni si è dibattuto tra i pericoli e l’ostilità ingiustificata, che ora per la prima volta, dopo l’incendio suscitato dall’azione e dal desiderio di altri, confidando nella vostra equità, ha incominciato a sollevare l’animo e a riprendersi un poco dalla paura; un uomo le cui aspettative sono tutte riposte in voi, uno che molti desiderano sia salvo, ma che solo voi potete salvare.

BIBLIO

- Pierre Grimal - Cicerone - Edizioni Scientifiche Italiane - Napoli - 1986 - altre ediz. - Garzanti - Milano - 1987 -
- E. Narducci - Introduzione a Cicerone - Bari - Laterza - 2005 -
- S. C. Utcenko - Cicerone e il suo tempo - Editori Riuniti - 1975 -
- Emanuele Narducci - Cicerone e l'eloquenza romana: retorica e progetto culturale - Roma-Bari - Laterza - 1997 -
- G. Boissier - Cicerone e i suoi amici (Cicéron et ses amis) - traduz. di Carlo Saggio - BUR - 1959 -
- A. Everitt - Cicero - A turbulent life - Londra - John Murray Publishers - 2001 -

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