Le macchine da guerra usate dai Romani furono in parte tradizionali ma in gran parte con grandi invenzioni e innovazioni che si protarranno nell'uso fino al Medioevo e al Rinascimento. Gli ingegneri militari romani furono capaci come pochi e i legionari furono esecutori ineguagliabili.
Soprattutto le armi da assedio (apparata oppugnandarum urbium) rappresentarono la grande forza di conquista dell'esercito romano. Con le macchine i romani abbatterono o superarono le mura delle città assediate, insieme a congegni di artiglieria, in parte copiate dai Greci della vicina Magna Grecia.
I romani copiarono il meglio di tutto riuscendo anche a migliorarlo, e inventarono di tutto.
« I Romani, allestiti questi mezzi, pensavano di dare l'assalto alle torri, ma Archimede, avendo preparato macchine per lanciare dardi a ogni distanza, mirando agli assalitori con le baliste e con catapulte che colpivano più lontano e sicuro, ferì molti soldati e diffuse grave scompiglio e disordine in tutto l'esercito; quando poi le macchine lanciavano troppo lontano, ricorreva ad altre meno potenti che colpissero alla distanza richiesta. Quando i Romani furono entro il tiro dei dardi, Archimede architettò un'altra macchina contro i soldati imbarcati sulle navi: dalla parte interna del muro fece aprire frequenti feritoie dell'altezza di un uomo, larghe circa un palmo dalla parte esterna: presso di queste fece disporre arcieri e scorpioncini e colpendoli attraverso le feritoie metteva fuori combattimento i soldati imbarcati. Quando essi tentavano di sollevare le sambuche, ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si legavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli: queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l'estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra: ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva infranta ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo.»
(Polibio - Le Storie)
Usarono le scale d'assedio, l'ariete, la falce murale, la rampa d'assedio, la torre mobile, la balista, la catapulta, la carrobalista, la chierobalista, lo scorpio, la manubalista, l'onagro, il corvo.
SCALE D'ASSEDIO
La scala d'assedio fu il primo strumento d'assedio utilizzato fin dalla notte dei tempi. Esse servivano per scalare facilmente le mura nemiche, usate anche da egiziani e assiri, poi dagli elleni e infine dai romani. Naturalmente erano proporzionate all'altezza del muro.
Polibio ne narra l'uso durante la II Guerra Punica:
« Per quanto riguarda la corretta misura delle scale, il metodo di calcolo è il seguente: se da un complice viene fornita l'altezza delle mura, risulta evidente quale dovrà essere la corretta misura delle scale; se infatti l'altezza del muro è ad esempio 10, le scale dovranno avere una lunghezza di 12 abbondante. Per ottenere poi la giusta inclinazione della scala, per coloro che vi salgono, questa dovrà avere la base ad una distanza dalle mura pari alla metà della loro lunghezza, perché una maggiore distanza dal muro ne compromette la resistenza quando la scala è affollata dai soldati che vi si arrampicano, mentre una maggior vicinanza alla perpendicolare, la rende insicura per chi vi sale. Quando non sia possibile misurare un muro o avvicinarsi per farlo, occorre come riferimento considerare da una certa distanza l'altezza di un qualsiasi oggetto che si innalza perpendicolarmente su una superficie piana ed il metodo per calcolarla è facie per coloro che conoscono bene la matematica. Qui è ancora una volta evidente che coloro si occupano dei piani militari e degli assedi alle città, dove mirano al successo, devono aver studiato geometria... per quanto serve ad avere un'idea dei principi della proporzione e della teoria delle figure simili. »
(Polibio, Storie)
Secondo Apollodoro di Damasco, le scale invece dovevano oltrepassare il bordo del muro di tre piedi, cioè di circa un m, e doveva essere di frassino, faggio, olmo o altro, purché leggero, ma resistente. Potevano essere componibili con ogni sezione non più lunga di 12 piedi, si che i montanti della seconda scala andavano inseriti in quelli della prima, quelli della terza tra quelli della seconda e così di seguito. Le estremità inferiori andavano poi fissate ad una trave circolare lunga 15 piedi, fissata al suolo davanti alle mura e si doveva sollevare la scala a gran velocità con corde e funi, arte in cui i legionari erano versatissimi. Nessuno poteva uguagliare le manovre dei legionari sia in precisione che in velocità.
SONO ANCORA VISIBILI I RESTI DELL'ENORME RAMPA D'ASSEDIO CHE COSTRUIRONO I ROMANI NELLA CONQUISTA DI MASADA |
RAMPA D'ASSEDIO
La rampa d'assedio fu utilizzata dai legionari romani durante numerosi assedi di città poste in luoghi particolarmente elevati (come Masada e nella Battaglia di Avarico). Era una struttura costituita da tronchi di legno, pietre e terra messe insieme dai legionari, con la quale si raggiungeva l'altezza delle mura. Su questa rampa potevano essere poi poste torri e macchine d'assedio per la conquista della città nemica.
E' menzionata durante l'assedio di Atene dell'87-86 a.c. quando Lucio Cornelio Silla demolì il grande muro che conduceva da Atene al Pireo, utilizzandone le pietre, il legname e la terra, per la costruzione di una serie di rampe.
«....Quando le rampe cominciarono a crescere, Archelao, generale di Mitridate, eresse delle torri a quelle contrapposte, e pose la maggior quantità possibile di artiglieria su di loro. .... E mentre Silla stava creando la sua rampa d'assedio alla giusta altezza presso il Pireo, cominciò a piazzarvi sopra tutta una serie di macchine d'assedio. Ma Archelao cominciò a demolire la rampa portando via la terra, i Romani per lungo tempo non avevano sospettato nulla. Improvvisamente la rampa crollò. Intuito rapidamente lo stato delle cose, i Romani ritirarono le loro macchine e riempirono di terra la rampa e, seguendo l'esempio del nemico, iniziarono loro stessi a scavare sotto le mura avversarie. Gli uomini, scavando sotto terra, si incontrarono tra gli opposti schieramenti e combatterono con spade e lance, sebbene al buio. E mentre ciò accadeva, Silla cominciò a martellare le mura nemiche anche con quegli arieti che erano stati posti in cima alle rampe, salvo che una di queste cadde a terra. Poi si affrettò a bruciare la torre vicina e riversò un gran numero di dardi di fuoco contro di essa, ordinò poi ai suoi soldati più coraggiosi, di salire sulle scale d'assedio. Entrambe le parti combatterono con coraggio, ma la torre fu bruciata.»
(Appiano, Guerre mitridatiche)
Giulio Cesare, durante la conquista della Gallia, nel 52 a.c., giunto presso la città di Avarico, pose il campo base di fronte alla città dove i fiumi e la palude consentivano solo uno stretto passaggio, e cominciò a costruire un ampio terrapieno di fronte alle mura (Murus gallicus) nemiche, insieme alle vineae e due torri d'assedio:
« Al grandissimo valore dei soldati romani venivano opposti espedienti di ogni genere da parte dei Galli Essi, infatti, con delle corde deviavano le falci murali e dopo averle assicurate le tiravano dentro toglievano la terra sotto il terrapieno con gallerie, con grande abilità poiché nel loro paese esistevano grandi miniere di ferro avevano inoltre costruito delle torri in legno a diversi piani lungo tutte le mura e le avevano coperte di pelli e con frequenti sortite di giorno e di notte davano fuoco al terrapieno o assalivano i legionari impegnati a costruire le loro torri le sopraelevavano per eguagliare le torri dei Romani, tanto quanto il terrapieno era innalzato giornalmente con legni induriti dal fuoco, con pece bollente o sassi pesantissimi ritardavano lo scavo delle gallerie e impedivano di avvicinarle alle mura.»
(Cesare, De bello Gallico)
I legionari, nonostante il pungente freddo e le forti piogge, riuscirono a costruire nei primi 25 giorni di assedio, un terrapieno largo quasi 100 m e alto quasi 24 m, di fronte alle due porte della cittadella. Cesare, era riuscito ingegnosamente a raggiungere il livello dei contrafforti, tanto da renderli inutili per la difesa degli assediati.
SAMBUCA
La sambuca fu inventata da Eraclide di Taranto attorno al III secolo a.c., ed era una specie di scala mobile a forma di ponte volante che serviva per scalare le mura. Essa consisteva in una torre d'assedio trasportata tra due navi affiancate. Condotta dalle navi sotto le mura delle città nemiche, i legionari poggiavano la torre alle mura per poi scavalcarle con un ponte levatoio manovrato da corde. Venne chiamata sambuca in quanto una volta innalzata assomigliava allo strumento musicale chiamato appunto sambuca.
I Romani iniziarono ad usarla dopo le guerre pirriche del 280-275 a.c. Sappiamo pure che venne usata dai Romani negli anni 214-212 a.c., dal console Marco Claudio Marcello durante l'assedio di Siracusa difesa dal grande Archimede. Si racconta che i Romani diedero l'assalto alle mura siracusane con tutti i mezzi a loro disposizione, tra cui torri d'assedio, arieti, vineae e pure le sambuche:
« ...quando i Romani tentavano di sollevare le sambuche, Archimede ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si levavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli. Queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l'estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra. Ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva colpita ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo. »
(Polibio, Le Storie) e ancora:
« Dopo aver posto una scala, larga quattro piedi, da risultare alta come le mura, e collocata ad una giusta distanza da queste, ne avevano chiuso i fianchi a sua protezione; l'avevano posta in modo orizzontale sulle fiancate adiacenti tra loro delle navi affiancate, molto sporgenti rispetto ai rostri. Alla sommità degli alberi erano poste delle carrucole con funi, per cui quando era necessario, legavano le funi all'estremità superiore della scala, e poi le tiravano con le carrucole, le tiravano da poppa. Altri uomini, stando a prua, cercavano di assicurare la macchina così innalzata, puntellandola alla sua base. Servendosi quindi delle file dei remi, poste sulle due fiancate esterne, avvicinavano le navi a terra e provavano ad appoggiare la scala al muro. In cima alla scala, era posto un tavolato protetto su tre lati da graticci, dove salivano quattro uomini, i quali davano battaglia con il nemico posto sulle mura, pronto ad impedire che la sambuca venisse appoggiata al muro. Una volta riusciti ad appoggiare la scala, si trovavano spora il livello delle mura, toglievano i graticci laterali e scendevano dal tavolato sui fianchi, su mura e torri. Gli altri seguivano, salendo attraverso la sambuca»
ARIETE
Secondo Vitruvio, l’ariete d’assedio fu inventato dai Cartaginesi, venne però adottato durante l’assedio romano di Cadice, alleata dei cartaginesi, nel 205 a.c.. Il cartaginese Ceras fu il primo a costruire una piattaforma in legno, montata su ruote con sopra una struttura di legno ricoperta di pelli per proteggere gli uomini addetti alla manovra. Dato che questa macchina era molto pesante e lenta nei movimenti fu chiamata testuggine arietaria.
Fu adottata dai Romani per abbattere porte e mura delle città talvolta dotandolo di un grosso sperone, come un rostro. Comunque l'esercito romano lo aveva già usato per certo nel 250 a.c., durante l'assedio di Lilibeo, durante la I Guerra Punica: « ...presso questa città da entrambe le parti e avendo bloccato le zone tra gli accampamenti con un fossato, una palizzata e un muro, cominciarono a spingere le opere per l'assedio contro la torre situata più vicino al mare, verso il mare libico. » (Polibio, Storie)
I romani, grandi osservatori, avevano però già appreso queste tecniche d'assedio durante le guerre pirriche del 280-275 a.c., insieme alle torri d'assedio e le vinea. L'ariete era una grossa trave, ricavata dal fusto di un albero, con una estremità rivestita da una calotta di metallo che in genere aveva la forma una testa di ariete, da cui prese il nome. Con questo macchinario si potevano sfondare le porte di accesso delle fortezze, e pure le mura se poco spesse.
« esso consiste in una trave di enorme grandezza, simile ad un albero di una nave, dove sulla punta era posto un grande rinforzo di ferro a forma di testa d'ariete, da cui prende il nome. Attraverso un sistema di funi, è sospeso nel punto centrale ad un'altra trave, come l'asta di una bilancia, quindi sorretta alle due estremità da tiranti la sostengono. Essa viene tirata indietro da un grande numero di addetti, che poi la spingono avanti tutt'insieme, andando a sbattere contro le mura con la punta di ferro. E non esiste torre o cinta muraria così spessa che, se anche riesce a sopportare i primi colpi, possa resistere sotto i continui colpi. »
(Flavio Giuseppe, La guerra giudaica)
L'ariete veniva appeso ad un castelletto (muscolo o testuggine), e tirando delle funi, agganciate nella parte posteriore, esso veniva tirato indietro al massimo, rilasciando poi le funi di colpo così che colpisse il bersaglio con grande forza. Questa manovra veniva ripetuta continuamente contro fino a distruggere l'obiettivo. Gli arieti più leggeri erano imbracciati a mano dai soldati, o montati su carri a quattro ruote lanciati contro le strutture degli assediati, altre volte ancora erano montati in altre macchine come torri mobili.
Procopio di Cesarea durante le guerre gotiche degli anni 535-553 ai tempi di Giustiniano narra di un gigantesco ariete azionato alle corde da 50 uomini, Vitruvio di uno uno azionato da 100 uomini. ma non è il massimo, perchè durante la III Guerra Punica, i Romani misero in azione un ariete manovrato da 6000 uomini, al comando di un ufficiale, che agiva con massima precisione come fosse manovrato da un uomo solo.
Ma la cosa più interessante è che gli arieti i romani non se li portavano appresso, per la loro proverbiale celerità nelle guerre, viaggiavano più leggeri possibile, pertanto tutti i macchinari da guerra venivano costruiti sul posto dai legionari stessi, straordinari ideatori ed esecutori di strade, ponti, acquedotti, accampamenti e macchine da guerra, utilizzando i materiali più vicini alla città assediata.
FALCE MURALE
La falce murale (Falx muralis), o Gancio d'Assedio, era una macchina appunto d'assedio, consistente in una lunga pertica o asta, a cui era fissato un grosso uncino di ferro tagliente, talvolta anche due. Il veloce movimento rotatorio, sia longitudinale che trasversale, prodotto manovrando delle corde, permetteva di togliere la calce tra i mattoni o tra i massi delle mura, o di far crollare le travi di legno delle palizzate degli accampamenti.
Si sa che venne usata durante gli assedi di Avarico, nel 52 a.c. tra l'esercito romano di Giulio Cesare e l'esercito gallico dei Biturigi:
« Al grandissimo valore dei soldati romani venivano opposti espedienti di ogni genere da parte dei Galli Essi, infatti, con delle corde deviavano le falci murali e dopo averle assicurate le tiravano dentro, toglievano la terra sotto il terrapieno con gallerie, con grande abilità poiché nel loro paese esistevano grandi miniere di ferro, avevano inoltre costruito delle torri in legno a diversi piani lungo tutte le mura e le avevano coperte di pelli e con frequenti sortite di giorno e di notte davano fuoco al terrapieno o assalivano i legionari impegnati a costruire le loro torri le sopraelevavano per eguagliare le torri dei Romani, tanto quanto il terrapieno era innalzato giornalmente con legni induriti dal fuoco, con pece bollente o sassi pesantissimi ritardavano lo scavo delle gallerie e impedivano di avvicinarle alle mura. »
(Cesare, Commentarii de bello Gallico)
Venne usata pure nell'assedio di Alesia, sempre del 52 a.c,, tra i romani di Giulio Cesare e i galli di Vercingetorige ma pure nel 54 a.c., quando un legato di Cesare, Quinto Tullio Cicerone, dovette difendersi a Namur, dall'assedio di Ambiorige, re della Gallia belgica. L'assedio fu tolto alla notizia dell'arrivo di Cesare; e gli Eburoni, in un assalto al campo romano, furono completamente sconfitti. Anche Polibio, nelle Storie, ne descrive l'uso nell'assedio romano ad Ambracia:
« Gli etoliani assediati dal console Marco Fulvio offrivano una certa resistenza e mentre gli arieti battevano vigorosamente sulle mura, ed i lunghi pali con i loro ganci di ferro strappavano le mura, tentarono di inventare macchine in grado di sconfiggerli, facendo cadere pesanti pietre e pezzi di quercia grazie a leve addosso agli arieti; ed attaccando ganci in ferro sugli arpioni trascinandoli all'interno delle mura, in modo che i pali a cui erano attaccati si rompessero sulle merlature, conquistando quindi questi ganci»
(Polibio, Storie)
MUSCOLO
Il muscolo (musculus) era una struttura realizzata interamente in legno. di forma quadrata o circolare a seconda dei bisogni, con una tettoia a doppio spiovente e a multistrato per prevenirne la distruzione ad opera di pesanti proiettili o del fuoco. Era infatti composta di mattoni e sassi cementati con della malta, coperti di cuoio ripiegato e poi ancora da materassi di lana, in pratica una capanna spostata con un sistema di rulli. Veniva utilizzato dai legionari per avvicinarsi alle mura di un fortino o di una città evitando così armi da tiro o da getto degli assediati. Infatti il muscolo fungeva da riparo mentre i soldati romani intaccavano le fondazioni delle mura o colmavano il fossato per permettere l'uso della rampa d'assedio.
Plinio il Vecchio racconta che il nome del musculus deriverebbe da un animaletto marino uso accompagnarsi alle balene: il "topo marino", quel che oggi chiamiamo il Pesce pilota. Giulio Cesare nel suo De bello civili ne parla con precisione:
« Cominciarono a costruire un muscolo lungo sessanta piedi, fatto di travi dello spessore di due piedi, del quale muscolo questa era la forma. Si posano al suolo due travi della stessa lunghezza e distanti fra loro quattro piedi e vi si inseriscono perpendicolarmente colonnette alte cinque piedi. Si uniscono l'una all'altra tali colonnette per mezzo di cavalletti leggermente inclinati in modo da poter collocare su di essi le travi destinate a formare il tetto del muscolo. Le travi disposte sopra questi cavalletti hanno lo spessore di due piedi e sono tenute in sede mediante lamine e chiodi. Ai bordi del teoo del muscolo e alle estremità delle travi si piantano regoli di forma quadrata larghi quattro dita per impedire lo slittamento dei mattoni che dovranno essere sistemati sopra il muscolo stesso. Munita così di un tetto a doppio spiovente e costruita metodicamente appena le travi sono collocate sui cavalletti, la struttura viene coperta di mattoni e di malta per difenderla dal fuoco lanciato dalle mura. Quindi si stendono pelli di cuoio sui mattoni per impedire che l'acqua eventualmente immessa attraverso condotte disgreghi i mattoni. Coprono poi le pelli di materassi in modo che non siano danneggiate a loro volta dal fuoco e dalle pietre. ricorrendo a quel congegno che si utilizza per le navi, cioè rulli sottoposti al muscolo, lo accostano alla torre dei nemici in modo da farlo combaciare con le mura. »
(Cesare, De bello civili)
Il musculus fu solo una delle tante macchine da assedio realizzate dall'esercito di Cesare durante l'Assedio di Marsiglia del 49 a.c., voluta dallo stesso Cesare che nel campo delle innovazioni era un maestro. In realtà i romani conoscevano delle armi da assedio elleniche fin dal III secolo a.c., quando le Guerre Puniche resero necessari i mezzi ossidiali (di assedio). Fu infatti nel 250 a.c., durante l'assedio di Lilibeo, che i romani fecero ampio uso delle armi da assedio. Purtroppo Polibio, che ne narrò la storia, non si soffermò sui macchinari usati dagli assedianti.
Da un punto di vista funzionale, il musculus era simile alla vinea ma più elaborato e resistente, che veniva spostato verso la struttura fortificata nemica grazie ad un sistema di rulli, come fosse una nave. Poteva essere anche utilizzato prima di una torre d'assedio, quando doveva essere colmato un fossato o costruita una rampa d'assedio. Doveva pertanto poter resistere sotto i colpi degli assediati, come grossi macigni o liquidi bollenti come la pece incendiata. Sappiamo da Cesare che durante l'assedio di Marsiglia ne furono impiegati alcuni, le cui dimensioni erano di circa 60 piedi di lunghezza (18 m).
PLUTEO
l pluteo era un piccolo riparo mobile, dotato di tre ruote, che poteva avere forma ad angolo retto o ricurva. Era normalmente in legno, ricoperto da pelli per limitare il rischio di incendiarsi. Le tre ruote davano agli assedianti una grande manovrabilità sotto le mura avversarie. Ce ne scrive Cesare nell'assedio di Marsiglia del 49 a.c. durante la guerra civile.
Il pluteo aiutava ad avvicinare macchine d'assedio più grandi per abbattere o assalire le mura nemiche, oppure veniva usato come riparo fisso come accadde durante la conquista della Gallia del 51 a.c., quando Cesare puntò verso la regione che era appartenuta ad Ambiorige, per razziarla, o ancora a protezione del porto di Brindisi nel tentativo di bloccarvi Gneo Pompeo Magno:
« Cesare, temendo che Pompeo non giudicasse opportuno lasciare l'Italia, decise di bloccare il porto di Brindisi. dove l'imboccatura del porto era più stretta fece gettare su entrambe le rive un terrapieno piazzava poi sul prolungamento della diga coppie di zattere di trenta piedi per lato sul davanti ed ai due lati le proteggeva con graticci e plutei, mentre con quattro zattere faceva innalzare due torri a due piani, per difendersi meglio dall'assalto delle navi e degli incendi. »
(Cesare, De bello civili)
e poi:
« Al grandissimo valore dei soldati romani venivano opposti espedienti di ogni genere da parte dei Galli Essi, infatti, con delle corde deviavano le falci murali e dopo averle assicurate le tiravano dentro toglievano la terra sotto il terrapieno con gallerie, con grande abilità poiché nel loro paese esistevano grandi miniere di ferro avevano inoltre costruito delle torri in legno a diversi piani lungo tutte le mura e le avevano coperte di pelli e con frequenti sortite di giorno e di notte davano fuoco al terrapieno o assalivano i legionari impegnati a costruire le loro torri le sopraelevavano per eguagliare le torri dei Romani, tanto quanto il terrapieno era innalzato giornalmente con legni induriti dal fuoco, con pece bollente o sassi pesantissimi ritardavano lo scavo delle gallerie e impedivano di avvicinarle alle mura.»
(Cesare, De bello Gallico)
Un altro esempio di rampa d'assedio è quella descritta a Masada dove Flavio Giuseppe narra che per raggiungere la fortezza, ne fu costruita una gigantesca, alta 200 cubiti tra terra e pietre, oltre a 50 cubiti di una piattaforma in legno (per un totale di oltre 110 m), e larga 50, a sua volta sormontata da un'imponente torre d'assedio.
TORRE MOBILE
Un’alta struttura di legno a più piani, montata su ruote, con scale interne che portavano ai vari livelli. Potevano essere rivestite in ferro o in materiale ignifugo. Affinchè fossero stabili al massimo, avevano base quadrata e si restringevano in altezza, in modo che l'area della piattaforma superiore era pari ad 1/5 della base. La torre veniva accostata alle mura della città assediata per innalzare i soldati a livello delle mura, pertanto doveva essere superiore all'altezza delle mura della città assediata.
Ne consegue per i costruttori delle torri, conoscere l'altezza delle fortificazioni avversarie. In cima vi era invece un "ponte levatoio" che permetteva l'accesso sulle mura Esse erano trainate da buoi e con alcune pareti rivestite con pelli per proteggersi dai dardi nemici, ed erano anche una copertura per le truppe che la spingevano e per quelle che la seguivano dietro. Dalla sua sommità si lanciavano frecce, dardi incendiari e pietre sui difensori per cercare di allontanarli dalle mura. Calando, quindi, un ponte sui parapetti antistanti, gli assedianti tentavano di entrare nella città fortificata.
Le torri più grandi avevano nella parte inferiore un ariete per aprire un varco nelle mura, impegnando così i soldati nemici sia nella parte inferiore che nella parte superiore delle mura. Si hanno diverse notizie del loro uso:
- Venne usata a Selinunte dai Cartaginesi per l'assedio della città 409 a.c..
- Esse potevano raggiungere altezze considerevoli, il greco Diade, architetto di Alessandro Magno, nel 330 a.c., ne realizzò di diverse misure fino ad un'altezza massima di 120 cubiti (53 metri).
- I romani le usarono nell'assedio di Numanzia nel 133 a.c.
- Ancora i romani le usarono nell'assedio di Avarico del 52 a.c.
- e nell'assedio di Gerusalemme nel 70.
- Ancora i romani le usarono a Masada nel 74 costruendone una di 60 cubiti (26 m) munita anche di catapulte, baliste ed un grande ariete.
CORVO |
Macchina bellica d’assedio in uso presso Greci e Romani. Era costituita da una struttura in legno su ruote per essere trasportata. ne emergeva una trave, che poteva muoversi in senso verticale o ruotare in orizzontale.
Ad una estremità della trave era collocato un grosso uncino, come il becco di un corvo, con cui si potevano abbattere mura, palizzate o afferrare e tirare a sé carri o macchine nemiche.
CORVO FALCIATORE
Un tipo particolare di corvo era quello detto falciatore, che agendo con un movimento orizzontale, falciava i nemici, che si trovavano a difendere una muraglia.
CORVO D'ABBORDAGGIO
Si chiamava ancora corvo (corvus), un congegno di abbordaggio navale utilizzato dai Romani nelle battaglie navali della I Guerra Punica contro Cartagine.
Nelle Storie, Polibio lo descrive come una passerella mobile larga 1,2 m e lunga 10,9 m, con un piccolo parapetto sui due lati.
Il ponte era dotato di uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere come sulla terraferma.
La nuova arma fu ideata per compensare la mancanza di esperienza in battaglie fra navi e consentì una tecnica di combattimento che permetteva di sfruttare la conoscenza delle tattiche di combattimento terrestri in cui Roma era maestra.
L'arma fu provata per la prima volta nella battaglia di Milazzo, la prima vittoria navale romana; e continuò ad essere provata negli anni successivi, specialmente nella dura battaglia di Capo Ecnomo, combattuta nel 256 a.c. fra Roma e Cartagine.
"Le due squadre dei consoli, infine si lanciarono al soccorso di quelli che erano in pericolo e che riuscivano a resistere solo per il timore che i punici avevano dei "corvi""
In seguito, con la crescita dell'esperienza romana nella guerra navale, il corvo fu abbandonato a causa del suo impatto sulla navigabilità dei vascelli da guerra.
OSSERVATORIO
Quasi sempre usati durante i numerosi assedi sostenuti dagli eserciti romani nei secoli, e si trattava in sostanza di un posto di osservazione molto elevato, costruito con il medesimo principio delle scale moderne, ovvero in più tronconi tra loro congiungibili, in modo da allungarsi a piacimento. Tale strumento permetteva di valutare i movimenti della città assediata, lo spessore delle mura, l'entità delle truppe assediate, ecc. I particolari costruttivi sono elencati da Apollodoro di Damasco nella sua opera sulle macchine da guerra.
TESTUGGINE
La testuggine ( testudo) era una macchina che permetteva agli assedianti di avvicinarsi alle mura nemiche per demolirle, protetti da questa struttura mobile.
Era di solito montata su ruote, oltre ad essere costruita con robuste travi in legno inclinate e protette da un tavolato con uno strato di argilla, per evitare che massi, tronchi, pece infuocata o olio bollente, lanciati dagli assediati, potessero danneggiare la struttura e i soldati. L'estremità inferiore della struttura, opposta alle mura, era dotata di punte cje la ancoravano al terreno.
EMBOLON
Era un tipo di testudo a rostro, a forma di prua di nave, che serviva in caso di assedi di città o fortezze che si trovavano su pendii particolarmente ripidi a garantire una migliore protezione agli assedianti. Erano strutture più resistenti in caso di lancio sopra le stesse di massi, pietre e così via. Di questo tipo di arma se ne fece largo uso durante la conquista della Dacia, come ben testimoniato sulla Colonna Traiana durante i vari assedi alle cittadelle daciche ed alla loro capitale Sarmizegetusa Regia.
TESTUDO ARIETATA
L'evoluzione della testuggine fu la testudo arietata, unendo appunto testuggine e ariete. L'ariete in questi caso era mosso su rulli o ruote, e la percussione contro le mura nemiche era azionata tirando avanti e indietro, le funi ancorate alla parte posteriore.
I soldati che l'azionavano erano protetti da una tettoia coperta di pelli resistenti al fuoco. In questo modo la parte anteriore a forma di ariete veniva sospinto contro le mura, per creare una breccia, mentre coloro che l'azionavano, erano al riparo da dardi e pietre nemiche.
TOLLENO
Il tolleno, in italiano tollenone, era formato da due travi di cui una posta verticale e l'altra orizzontale appoggiata alla prima attraverso un montante girevole, al cui capo era ancorato un grosso cesto dove erano posti alcuni armati.
Questi venivano sollevati, facendo forza a mezzo di funi attraverso altri armati lasciati a terra, in modo da tirare verso il basso la parte posteriore della macchina d'assedio in questione, oltre a fare in modo di ruotare in direzione ed altezza la cesta posta al capo opposto. Sembra fu citato per la prima volta da Enea Tattico nella sua Poliorketika nel IV sec. a.c.
VINEA
L'uso di questo macchinario d'assedio da parte dei romani risale al 502 a.c., agli inizi della Repubblica, in occasione dell'assedio di Suessa Pometia, un'antica città del Lazio. Vegezio, la descrive come una tettoia mobile alta circa 7 piedi, larga 8 piedi e lunga 16 (2,1 × 2,4 × 4,8 m), riparata sui lati da vimini intrecciati.
Unendone diverse tra loro, si poteva formare un corridoio coperto sia ai lati che sopra per proteggere i soldati assedianti sotto le mura nemiche. Poichè però gli assedianti vi gettavano torce o addirittura pece greca, sovente venivano coperte con pelli o lana o frasche verdi o coperte bagnate. Alla base poi avevano dei pali appuntiti per poterli fissare al terreno quando i soldati che li trasportavano avevano bisogno di riposarsi.
Tito Livio narra che durante l'assedio di Sagunto del 219 a.c., Annibale le utilizzò per proteggere i suoi soldati dai lanci degli assediati ed avvicinare un ariete alle mura. Giulio Cesare le descrive diffusamente durante l'assedio di Avarico, del 52 a.c., quando dopo 27 giorni, profittò di una fitta pioggia, che avrebbe pertanto vanificato ogni tentativo di incendio, per avvicinare una delle torri d'assedio alle mura della città, nascondendo i soldati all'interno delle vineae, per irrompere poi sugli spalti della città gallica degli Biturigi.
Ma anche Sallustio racconta dell'uso delle "vigne" nelle guerre giugurtine, durante i vari assedi operati dai romani.
LE MACCHINE DA ARTIGLIERIA
Sappiamo che le macchine di artiglieria (tormenta) servivano al lancio di proiettili anche incendiari (dardi, frecce, giavellotti, pietre e massi), atti a perforare le difese nemiche, agevolandone l'assalto, o nel caso degli assediati, la difesa. Esse vennero usate:- da Marco Furio Camillo, in vista della guerra da condurre contro i Volsci di Anzio;
- nella I Guerra Punica, contro le città cartaginesi in lunghi assedi di loro potenti città, difese da imponenti mura e dotate di artiglieria - da Cesare durante la conquista della Gallia tra il 58 ed il 52 a.c.;
- da Germanico nella campagna del 16 d.c. contro i Germani;
- e a Corbulone in quella del 62 contro i Parti,
Queste macchine erano di tipo nevrobalistico o a torsione, poiché utilizzavano come propulsore il rapido svolgimento di una matassa, di solito una corda di fibre, nervi, tendini o criniere di cavalli.
Addetti alle macchine da lancio erano poi i ballistarii, i quali, grazie ad un'elevata specializzazione, appartenevano a quel gruppo di legionari privilegiati, chiamati immunes. Erano alle dipendenze di un Magister ballistarius (almeno dal II sec. d.c.), coadiuvato da un optio ballistariorum (attendente al servizio del comandante) e ad un certo numero di doctores ballistariorum (sotto-ufficiali di complemento). Ogni legione, infine, poteva disporre fino a circa 60 tra catapulte e baliste.
BALISTA O BALLISTA
Dal latino ballista, dal greco ballistēs, da ballo "lanciare", macchina d'assedio inventata dai Greci e perfezionata dai Romani. Fu impiegata, soprattutto negli assedi, per lanciare giavellotti, pietre, frecce o dardi infuocati, palle di piombo, usufruendo dello scatto di un arco di grandi dimensioni.
Le prime baliste furono di legno, tenuto da lastre e chiodi di ferro, con un cursore in alto, in cui venivano caricati i bulloni o le pietre. La struttura della balista era mobile, entro certi limiti, sia nel piano orizzontale che in quello verticale, in modo tale che il lancio del proiettile poteva essere orientato. L’arco della balista era costituito da due aste di legno, fissate a un telaio posto su un cavalletto.
Le due aste tenevano due fasci di fibre intrecciate, fatte di tendini di animale, che fungevano da propulsore, essendo tese al massimo. I perni di bronzo o ferro, che assicuravano la torsione delle corde, erano regolati da perni e fori periferici, che potevano essere regolati a seconda delle condizioni meteorologiche. Una robusta corda, agganciata alle due aste, veniva tesa e fissata all’ estremità di un carrello mobile, trattenuta da un grilletto. Il giavellotto, o altro, era collocato in una scanalatura del carrello, cosi che, sganciando di colpo dal perno la corda tesa dalle due aste, veniva spinto violentemente in avanti.
La sua portata massima era di oltre 460 m, ma il raggio di precisione molto meno: un giavellotto o dardo fino a m. 350; una pietra di 800 g. fino a m. 180. La leggerezza dei colpi della Ballista non ha avuto il successo delle pietre gettate dagli onagri più tardi, trabucchi, o mangani, pesanti fino a 200-300 libre (90-135 kg).
Fu utilizzata da Giulio Cesare durante la conquista della Gallia e per sottomettere la Gran Bretagna: Durante l'assedio di Alesia in Gallia, nel 52 a.c., Cesare l'aveva quasi completamente circondato la città assediata da 14 miglia (21 km) di trincea riempita di acqua deviata dal fiume locale, poi un'altra trincea, poi una palizzata di legno e torri, poi l'esercito romano accampato, poi un'altra serie di palizzate e trincee per proteggerle da eventuali forze galliche in soccorso. All'esterno aveva fatto collocare tante piccole baliste manovrate da cecchini sulle torri, oltre ad altre truppe armate con archi o fionde. Dopo Giulio Cesare, la balista diventò permanente nell'esercito romano, costantemente migliorata dagli ingegneri militari.
Si sostituirono le parti in legno col metallo, creando una macchina più piccola e leggera, capace di una potenza maggiore, dal momento che il metallo non si deforma come il legno, e richiede meno manutenzione, anche se vulnerabile alla pioggia. Ammiano Marcellino (IV sec.) ricorda che si trattava di macchine da lancio atte al lancio dei giavellotti. I dardi potevano risultare di piccole dimensioni (20–22 cm) fino a raggiungere quasi i due metri, come degli autentici giavellotti. La loro gittata era stimata in 350 m circa.
La balista, pur avendo principi analoghi anche in termini di costruzione a quelli delle catapulte, fu progettata per il lancio di pietre o massi pesanti (fino a oltre 45 kg), non invece per tiri di precisione. Flavio Giuseppe narra dell'assedio di Gerusalemme in cui un proiettile in pietra del peso di un talento (33 kg) fu lanciato ad oltre due stadi di distanza (377 m).
Sempre Flavio Giuseppe, nel raccontare durante Nell'assedio di Iotapata ricorda episodi terribili:
« tra gli uomini che si trovavano sulle mura attorno a Giuseppe un colpo staccò la testa facendola cadere lontano tre stadi. All'alba di quel giorno una donna incinta, appena uscita di casa, fu colpita al ventre e il suo piccolo venne scaraventato a distanza di mezzo stadio, tanto era la potenza della balista. Tutto il settore delle mura, dinanzi al quale si combatteva, era intrinso di sangue, e lo si poteva scavalcare attraverso una scalata sui cadaveri.»
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica)
CATAPULTA
Il nome è la forma latinizzata del greco antico katapeltes, da kata ( contro) e Pelta (scudo): il pelta è il piccolo scudo di legno e cuoio dei peltasti, della fanteria greca.. Sembra sia stata inventata nel 399 a.c. a Siracusa sotto il tiranno Dionisio I. Ma in realtà i Romani chiamarono con questo nome la macchina atta in genere a lanciare soprattutto rocce e pietre. Fu un'arma complessa, in legno, con qualche parte costruita o rivestita in metallo, con corde o tendini di animali come tensori. Infatti all'inizio funzionarono a tensione, in seguito a torsione, che davano una spinta molto maggiore.
Mentre la Ballista serviva a lanciare frecce e giavellotti, lunghi da 4 a 6 m., la catapulta, macchina d’ assedio, era usata per scagliare grossi sassi (anche di un quintale), proiettili o sostanze infiammabili, con molta violenza. Era costituita da un braccio di legno che terminava con un secchio contenente il proiettile. L’altra estremità era inserita in corde ritorte che fornivano al braccio la propulsione. Le catapulte venivano solitamente assemblate o costruite totalmente sul luogo dell’ assedio, impiegando il legno della zona. Il che fa comprendere la capacità ingegneristica ed esecutiva dei soldati romani.
Originariamente infatti la catapulta scagliava dardi capaci di trapassare le corazze meno robuste. I Romani utilizzarono la catapulta (il lithobolos greco), la macchina per lanciare pietre, anche in modelli più piccoli, come l'Onagro. Il Palintonon era una macchina di 3 tonnellate, caricato a sassi di 13 kg, (usato pure nell'assedio di Gerusalemme), ma poteva essere caricata solamente a dardi o sassi, mentre il cucchiaio dell'Onagro permetteva l'utilizzo di munizioni incendiare deflagranti, oltre ad essere di più facile costruzione. Inoltre l'onagro consentiva un tiro a parabola particolarmente efficace per scavalcare le mura delle città.
Catapulta tensionale
Le prime catapulte furono tensionali, derivanti dal gastraphetes (una balestra rudimentale): una parte sotto tensione propelle il braccio che scaglia il proiettile, simile ad una balestra gigante.
Catapulta torsionale
La balista fu la prima catapulta torsionale, che sfruttava l'elasticità di torsione prodotta da fasci di fibre elastiche. A questo fine erano usati tendini, crini e anche capelli. Anche gli onagri, costruiti dai Romani, sfruttavano lo stesso principio. Queste armi avevano un braccio che terminava con una fionda contenente il proiettile. L'altra estremità del braccio era inserita in corde o fibre che venivano torte (nevrobalistica), fornendo al braccio la forza propulsiva. Il sistema torsionale è assai più efficace del sistema tensionale, ma più complesso.
CHIEROBALISTA
Verso il 100 d.c. venne progettata la Cheirobalista, uno scorpione di dimensioni minori ma quasi interamente in metallo, matasse incluse, rivestite da due cilindri di bronzo. Il metallo permetteva di ridurre le dimensioni senza penalizzare le prestazioni dell'arma. Di quest'arma vennero costruite anche versioni trasportabili a mano delle dimensioni di una balestra: le manuballiste.
Una ricostruzione sperimentale effettuata in un documentario della BBC, la TV inglese , dimostrò che i Romani potevano sparare anche undici proiettili al minuto, quasi quattro volte la velocità di una Ballista ordinaria. Una carica con espulsione a ripetizione che reinserisce a usa volta la carica. Il tipo di materiale permetteva infatti di ridurre le dimensioni senza penalizzare le prestazioni dell'arma, dotata di una precisione micidiale. Di quest'arma vennero costruite anche versioni trasportabili a mano delle dimensioni di una balestra (solo il meccanismo era differente) battezzate manuballiste.
MANUBALLISTA
La Manuballista (per alcuni autori la stessa chierobalista, per latri diversa), ma detta pure arcoballista, era una versione portatile della tradizionale Ballista.
Si narra che attorno all'anno 100, il famoso architetto delle campagne daciche di Traiano (e poi di Adriano), Apollodoro di Damasco, progettò un nuovo tipo di scorpione, riducendo alcune parti in legno, pesanti ed ingombranti, con strutture in ferro con potenza di lancio superiore.
Realizzata quasi interamente in legno e molto più piccola, aveva poco metallo, anche col vantaggio di essere meno costoso. Non era la Gastraphetes antica, ma l'arma romana, con le stesse limitazioni però della Gastraphetes. Secondo altri invece fu progettata da Erone di Alessandria intorno al 100 sempre con dardi più piccoli e di metallo.
CARROBALISTA
La carrobalista era una macchina da lancio posta su un apposito carro a due ruote, trainato da cavalli, impiegata sia negli assedi che nelle battaglie campali in quanto facilmente spostabile durante la battaglia.
L'uso della macchina era basato sull'elasticità dei materiali e la tensione delle corde, esattamente come l'arco, la balista, lo scorpione, la catapulta e l'onagro. Si sa che venne introdotta nel I sec. a.c., ed appare come un'evoluzione della balista, che poteva essere montata su un traino e spostata tramite muli.
La carrobalista sfruttava la potenza di ampie molle di bronzo per sparare lunghe frecce oppure "ghiande" di piombo (proiettili cosiddetti per la forma a ghianda). Era manovrata complessivamente da 11 uomini ed era costituita da quattro parti principali: il calcio dove si trovava il congegno di scatto, il telaio dove erano le corde e i bracci di metallo, un sostegno e il carro. Una vite di puntamento consentiva di alzare o abbassare la traiettoria dei dardi.
Venne largamente utilizzata dall'imperatore Traiano, prima contro i Daci di Decebalo, come si vede nella Colonna Traiana, e poi in Mesopotamia contro i Parti. Le carribaliste furono usate dalle centurie, con 1 carrobalista con undici serventi, ed alla legione con 10 onagri e 55 carribaliste.
SCORPIONE
Lo Scorpione (scorpio) fu più di un arma da cecchino che una macchina d'assedio, essendo gestito da due soli uomini, anche se fu usato pure negli assedi. Arma di notevole precisione e potenza, era particolarmente temuta dai nemici dell'Impero Romano.
Fu l'antesignana della balestra, probabilmente ispirata dal Gastraphetes greco, una piccola ballista portatile alimentata a dardi. Fu inventata nel 50 a.c. con dardi lunghi 70 cm. con un lancio di precisione a 100 metri, ma poteva arrivare, con tiro meno preciso, fino a 400. Oppure si usavano dardi di 130 cm. con una gettata fino a 650 metri, ma con tiro meno preciso.
Quest'arma, descritta in dettaglio da Vitruvio (20 a.c.), grande ingegnere militare romano, come arma destinata al lancio di dardi e giavellotti, venne usata parecchio nelle campagne in Gallia e Germania e durante l'età repubblicana e imperiale, ogni centuria aveva scorpioni e baliste. Vegezio li definisce "balestre a mano". Gli scorpioni venivano collocati in batterie su alture dominanti distruggendo parecchi nemici.
Ne fece grande uso Giulio Cesare in Gallia e durante l'assedio di Avarico, descrivendone la terrificante precisione. La loro maneggevolezza permise di impiegarle anche sui carri, prendendo così il nome di carrobalista. Sulla Colonna Traiana se ne contano diverse. Sembra cominciarono ad essere impiegati nell'esercito romano nella prima metà del I sec. a.c., ovvero dal tardo periodo repubblicano. Infatti durante la Repubblica e l'Impero dei primi secoli, ogni legione aveva 60 Scorpio, che potevano sparare fino a 240 frecce al minuto, o uno scorpio per centuria.
Lo Scorpione ha principalmente due funzioni in una legione: nel tiro teso, in cui poteva abbattere un uomo a 100 m, perforandone anche lo scudo, o nel tiro parabolico, con distanze fino a 400 m. Le gomene erano generalmente costituite da crini di cavallo o da capelli, specialmente di donne. In seguito gli ingegneri militari romani proposero di adoperare delle molle di bronzo composte da molte lamine.
ONAGRO
Deriva il suo nome dall'azione ripetuta e veloce della macchina, come i calci di un onagro, l'asino selvatico. Una macchina bellica da assedio, impiegata per lanciare grossi sassi o proiettili di piombo a distanza.
Era simile alla catapulta, ma con traiettoria di lancio molto più curva, che poteva superare ostacoli alti e colpire i nemici dietro recinti o mura. Era inoltre impiegata per l’ indebolimento delle fortificazioni o contro truppe d’attacco o artiglieria nemica. Era un telaio orizzontale con due travi di quercia, alla cui estremità anteriore veniva fissato un telaio verticale di legno massiccio, e al centro un palo terminante in un secchiello appeso a funi in cui si poneva il proietto.
A volte il telaio era fornito di ruote, nella cui parte centrale era disposto orizzontalmente l'organo di propulsione formato da un unico e grosso fascio di materiale elastico (corda di canapa o lunghi capelli umani intrecciati o tendini animali formanti una grossa corda). Il palo, orizzontale prima del lancio, liberato dal gancio che lo tratteneva e tirato da corde, scattava in verticale urtando una barra si che il proietto si scagliava per contraccolpo, saliva per 40 m. e cadeva a parabola ad una distanza di 30 m.
Il peso del proiettile, secondo Vitruvio, poteva arrivare fino a 60-80 Kg. Secondo Vegezio ogni legione recava con sé 10 onagri trainati da cavalli o buoi e sostiene che non era possibile trovare arma più potente di questa. Era, inoltre, in grado di abbattere oltre a cavalli e armati, anche le macchine avversarie. Ma le macchine più grandi spesso venivano costruite sul posto oppure portate in pezzi e montate poi sul campo di battaglia L'onagro poteva essere di piccole dimensioni - per navi e spalti di fortificazioni - oppure molto grande, purché le proporzioni della macchina venissero riprodotte esattamente. Il fascio di corde poteva avere un diametro dai 10 cm. ai 30 circa e pertanto poteva lanciare, a seconda di questo fattore e quindi della grandezza dell'onagro, pietre sferiche del peso fra i 4 e gli oltre 50 kg a distanze variabili fra i 600 e i 200 m.
IL CANNONE A VAPORE
Fonte e immagine: Roman History Made Easy Durante l’assedio di Massilia (19 aprile – 6 settembre 49 a.c.) Giulio Cesare menziona un’arma che poteva provenire dall’arsenale di Archimede. Nel 49 a.c., Massilia – l’odierna Marsiglia – era la più grande città Greca indipendente.
Circa 400 mila Greci e Galli vivevano all’interno delle mura della più grande città a ovest di Roma, e nonostante quasi cento anni di conquiste sia in Gallia sia in Grecia, vari generali romani – tra cui Giulio Cesare – avevano lasciato questo posto tranquillo.
Massilia non era una città militare, ma un centro economico attraverso il quale passarono per 400 anni gran parte di esportazioni e importazioni della Gallia. Questo traffico di merci arricchì la città, che poteva quindi permettersi i migliori sistemi di difesa acquisendoli dai Greci stessi; queste armi non vennero testate contro gli eserciti romani fino a quando Giulio Cesare attraversò il Rubicone. Mentre la guerra civile si espandeva, Massilia si schierò con i pompeiani, diventando una spina nel fianco delle linee di rifornimento di Cesare tra il Nord Italia e la Spagna.
Per scavalcare le massicce mura di Massilia, Cesare riferisce che il suo legato Gaio Trebonio dovette costruire strutture alte 80 piedi (circa 25 m), e fu durante questa costruzione che le legioni vennero attaccate dalle ballistae, che scagliavano pali di legno lunghi 12 piedi (3-4 m) muniti di punte; questi enormi proiettili erano in grado di penetrare quattro strati delle protezioni che i Romani usavano per lavorare. Una normale ballista avrebbe potuto teoricamente sparare un dardo di quel tipo, anche se secondo la tradizione questo non successe mai; il cannone a vapore di Archimede poteva sparare non solo palle di cannone, ma anche lunghi pezzi di legno.
Il funzionamento di un cannone a vapore è abbastanza semplice: si tratta di un barile di bronzo o rame – molto simile a qualsiasi cannone a polvere da sparo – con l’estremità chiusa posta su un fuoco. Una pietra sferica o un proiettile di metallo viene quindi fatto entrare dalla bocca del cannone, ed è tenuto fermo da un pezzo di legno che a sua volta è tenuto in posizione da un altro listello di legno trasversale (cfr figura). Ora il cannone è caricato. Per sparare, viene aperta una valvola che sparge acqua su una barra incandescente posta sul fuoco; l’acqua si trasforma in vapore e, raggiunta una certa pressione, il listello trasversale si spezza, rilasciando il palo di legno e il proiettile. Essendo più leggero, il primo potrebbe finire più lontano del secondo, e quindi poteva essere a sua volta trasformato in un’arma con una punta di ferro.
Non si può stabilire se fosse questo che le truppe di Trebonio si trovarono a fronteggiare; d’altra parte un’eventualità del genere non può nemmeno essere esclusa del tutto: il cannone a vapore, che non aveva parti mobili, dotato di una grandissima forza, e limitato solamente dalle scorte di acqua e proiettili a disposizione dell’esercito, potrebbe essere stata la ragione per cui Massilia riuscì a rimanere indipendente per molto tempo.