Nome: Gaius Cilnius Maecenas
Nascita: 15 aprile 68 a.c.m Arezzo
Morte: 8 d.c.
Professione: Generale e protettore degli artisti
Professione: Generale e protettore degli artisti
LE ORIGINI
Gaius Cilnius Maecenas (Arezzo, 15 aprile 68 – 8 ac.), nato dall'antica e principesca famiglia etrusca dei Cilnii, sembra della tribù Pomptina, tanto che Tacito (Annales, VI, 11) lo chiama “Cilnio Mecenate”, ed è possibile che “Cilnio” fosse il nome della madre, visto che in Etruria era consuetudine conservare il nome materno oltre al paterno, e che Mecenate fosse il cognome.
Gaius Cilnius Maecenas (Arezzo, 15 aprile 68 – 8 ac.), nato dall'antica e principesca famiglia etrusca dei Cilnii, sembra della tribù Pomptina, tanto che Tacito (Annales, VI, 11) lo chiama “Cilnio Mecenate”, ed è possibile che “Cilnio” fosse il nome della madre, visto che in Etruria era consuetudine conservare il nome materno oltre al paterno, e che Mecenate fosse il cognome.
Un Gaio Mecenate è menzionato da Cicerone (Pro Cluentio, 56) come membro influente dell'ordine equestre nel 91 ac. che potrebbe essere stato o suo nonno o suo padre. Da quanto ci narra Orazio (Odi, III, 8, 5) e dai testi letterari dello stesso Mecenate si deduce che egli aveva ricevuto i più alti gradi d'istruzione del tempo. Non dimentichiamo che già il livello di istruzione degli etruschi era stato ammirato e invidiato dai romani almeno fino a quando non conobbero meglio la cultura ellenica. Infatti i nobili romani all'inizio chiamarono gli Etruschi a fare da istruttori ai propri figli, come con la conquista della Grecia chiamarono poi i greci per lo stesso compito. Il popolo etrusco era estremamente raffinato nei manufatti, nell'arte e nella cultura, tanto è vero di una persona elegante si diceva che vestiva o si pettinava all'etrusca.
Quando il lungimirante Cesare inviò Ottaviano e Agrippa a studiare ad Apollonia con le legioni macedoni, estese l'invito anche al figlio di un suo amico, Gaio Cilnio Mecenate, affinchè studiasse insieme a loro, e si legasse in amicizia, cosa che poi avvenne, con Ottaviano e Agrippa. Quindi l'amicizia tra Ottaviano e Mecenate risaliva all'adolescenza.
L'EQUITES ROMANO
Militare, nella prima parte della sua vita, e politico, Mecenate fu testimone della trasformazione definitiva di Roma e del passaggio dalla Repubblica all’Impero. Eletto "vicario" da Ottaviano per la grande fiducia che riponeva in lui, seppe accontentarsi del titolo di "eques", cioè dell'ordine equestre, classe sociale definita da Orazio "la più eletta del popolo per squisitezza di gusto" (Sat. 1,10,76).
Come amico e consigliere agì sempre in qualità di delegato di Augusto quando era all'estero. E' da Properzio, ma pure da Orazio, che lo seguì perfino in guerra, che conosciamo il valore militare del generale Mecenate che partecipò con successo alle campagne di Modena, Filippi e Perugia. Ma nei tempi di pace organizzò uno
splendido salotto letterario cui parteciparono scrittori e poeti.
Nel "viaggio verso Brindisi" (Orazio, Satire, I, 5), svoltosi nel 37 a.c., Orazio, che accompagnava Gaio Clinio, narra che Mecenate e Marco Cocceio Nerva, bisnonno del futuro imperatore Nerva, avessero un'importante missione, dalla quale scaturì il Trattato di Taranto, un trattato di riconciliazione tra i due grandi nemici. Durante la guerra con Sesto Pompeo, nel 36, egli tornò a Roma, e gli fu concesso il supremo controllo amministrativo in Italia. Fu poi vice reggente di Ottaviano durante la battaglia di Azio, quando, con grande fermezza, soffocò in gran segreto la congiura di Marco Emilio Lepido il Giovane, e durante le successive assenze di Ottaviano nelle province. Purtuttavia da alcuni passi nelle Odi di Orazio (II, 17, A) si può dedurre che Mecenate non avesse la robustezza fisica tipica della maggior parte dei romani. Secondo Dione Cassio, Mecenate è stato anche l'inventore di un sistema stenografico, ma a noi risulta che prima di Mecenate l'avesse inventato Giulio Cesare.
MECENATE |
splendido salotto letterario cui parteciparono scrittori e poeti.
Nel "viaggio verso Brindisi" (Orazio, Satire, I, 5), svoltosi nel 37 a.c., Orazio, che accompagnava Gaio Clinio, narra che Mecenate e Marco Cocceio Nerva, bisnonno del futuro imperatore Nerva, avessero un'importante missione, dalla quale scaturì il Trattato di Taranto, un trattato di riconciliazione tra i due grandi nemici. Durante la guerra con Sesto Pompeo, nel 36, egli tornò a Roma, e gli fu concesso il supremo controllo amministrativo in Italia. Fu poi vice reggente di Ottaviano durante la battaglia di Azio, quando, con grande fermezza, soffocò in gran segreto la congiura di Marco Emilio Lepido il Giovane, e durante le successive assenze di Ottaviano nelle province. Purtuttavia da alcuni passi nelle Odi di Orazio (II, 17, A) si può dedurre che Mecenate non avesse la robustezza fisica tipica della maggior parte dei romani. Secondo Dione Cassio, Mecenate è stato anche l'inventore di un sistema stenografico, ma a noi risulta che prima di Mecenate l'avesse inventato Giulio Cesare.
IL MECENATISMO
Di Mecenate si è scritto di tutto, che fosse interessato all'amicizia di Ottaviano perchè ne riceveva benefici e privilegi, che amasse gli artisti per tendenze omosessuali, che perseguisse l'arte per ingigantire la potenza di Roma, o che spingesse gli artisti ad adulare Ottaviano per accrescerne il potere presso il popolo. Nessuno però mise in dubbio le sue capacità amministrative e diplomatiche. Egli condivise con Augusto il sogno di dare un nuovo ordinamento dell'impero, di conciliare le parti, di salvarlo dai pericoli. Soprattutto gli storici ritengono che grazie alla sua influenza che la politica di Ottaviano divenne più umana dopo la sua prima alleanza con Antonio e Lepido. La migliore sintesi del suo personaggio come uomo e come statista, viene da Marco Velleio Patercolo (II. 88), che lo descrive come ‘'insonne nella vigilanza e nelle emergenze, lungimirante nell'agire, ma nei momenti di ritiro dagli affari più lussuoso ed effeminato di una donna."
Mecenate svolse un ruolo molto importante nella propaganda politica di Augusto, comprendendo pure quale impatto avessero l'arte e la poesia sull'opinione pubblica. Dotato di grande intelligenza, grande cultura e straordinari gusti e sensibilità, Mecenate dette un grande impulso alle arti proteggendo, incoraggiando, ospitando e sovvenzionando molti artisti dell'epoca, che grazie a lui trovarono il modo di essere pubblicati, di mostrare le proprie opere e di avere un successo. Non a caso molte opere di Orazio, Virgilio e Properzio sono dedicate a lui. Egli stesso fu collezionista d'arte, anzi fu addirittura un antiquario delle opere greche, con particolare attenzione alle statue del IV sec. ac. che furono effettivamente mai superate nè dai greci dopo nè dai romani.
Tanta fu la sua generosità a l'amore per le arti che il nome di Mecenate è divenuto in tutto il mondo sinonimo di protettore degli artisti. Il circolo intellettuale che Mecenate fondò e finanziò fu il più importante dell'impero e dette ovunque un grande impulso all'arte in ogni sua manifestazione e nel 39 ac., si arricchì di poeti come Orazio, Lucio Vario Rufo e Virgilio. I poeti contraccambiavano celebrando nei loro versi lo stesso Mecenate, Augusto e il suo programma politico. In particolare Virgilio con l'Eneide procurò una genealogia mitica sia Roma che ad Augusto che stava preparando la propria deificazione; inoltre con le Georgiche sostenne un'intelligente idea augustea propagandando la rinascita dell'agricoltura in Italia.
Eppure, il tratto più notevole dei letterati riuniti attorno a Mecenate è che si mantennero gran parte della loro indipendenza e che nessuno di loro fece direttamente l'epopea di Augusto.
Virgilio scrisse le Georgiche in suo onore e fu lui che, impressionato dalla poesia di Orazio, lo presentò a Mecenate. Infatti Orazio iniziò la prima delle sue Odi (Odi, I,1) grazie alla direzione del suo nuovo protettore. Mecenate gli diede pieno appoggio finanziario per toglierlo dall'incubo della povertà. Furono anche suoi protetti sia Properzio sia i poeti minori Cornelio Gallo, Aristio Fusco, Plozio Tucca, Valgio Rufo, Domizio Marso, Quintilio Varo, Caio Melisso ed Emilio Macro. Per la sua munificenza, che rese il suo nome noto a tutti, ebbe la gratitudine degli scrittori, attestata anche dai ringraziamenti di scrittori di età successiva, come Marziale e Giovenale.
Mecenate vide nella genialità dei poeti del tempo non solo un ornamento letterario, ma un modo di promuovere e onorare il nuovo ordine politico, un ordine in cui credeva, così come ci credeva Augusto che effettivamente creò nell'impero la famosa Età dell'Oro favoleggiata dagli antichi greci, e la Pax augusta fu il clima giusto per quel risollevamento di benessere e di arte.
Ritiratosi dalla vita politica, Mecenate visse delle ricchezze familiari che gli provenivano da molti beni, ma soprattutto dalle fabbriche di vasi, la pregiatissima ceramica aretina, lucida e di un bel color arancio-miele, che fiorì in Arezzo dal 30 ac. in poi. Nella vita privata si dedicò solo ai piaceri dello spirito speculando, scrivendo, conversando e banchettando con gli amici alla maniera etrusca, cioè in modo sontuoso e raffinatissimo. Seppe, con oculatezza rara, non solo scoprire grandi talenti, ma pure scegliersi validissimi amici: Virgilio, Properzio, Gallo, Orazio e Marziale. Con intuito e riservatezza tipicamente etruschi, tra questi ne preferì due che furono i più grandi: Virgilio e Orazio.
Virgilio, privato dei campi in riva al Mincio dalle riforme di Augusto per dare le terre ai veterani, e con la speranza che gli sarebbero restituiti, giunse a Roma dove Asinio Pollione, governatore delle terre sul Mincio e letterato a sua volta, lo presentò a Mecenate. Virgilio, già autore delle Bucoliche dove si esaltava la vita pastorale, piacque a Mecenate che intercedette presso Augusto. Ma il centurione Arrio, divenuto nel frattempo proprietario del fondo, minacciò di uccidere Virgilio pur di non restituire la terra. Mecenate allora fece donare a Virgilio un podere in Campania, che al poeta piacque più della sua stessa terra, per il clima e per la amata solitudine. E fu qui che nacquero le Georgiche inneggianti alla bellezza dei campi.
I SENTIMENTI TRA MECENATE E ORAZIO
Quando nel 38 ac. Orazio venne presentato a Mecenate da Virgilio e Vario, passarono pochi mesi perchè Mecenate lo ammettesse nel suo circolo letterario. Orazio, libero momentaneamente da preoccupazioni economiche, si dedicò interamente alla letteratura, non si sposò mai e non ebbe figli. Però lo spauracchio della miseria era sempre presente, dipendendo dalla generosità del suo protettore, così Mecenate gli donò nel 33 ac. un bel podere in Sabina che gli garantisse un'esistenza dignitosa. Orazio gradì molto ritirandosi nella quiete nei suoi ozi meditativi spesso raggiunto dallo stesso Mecenate. Tra la pace della campagna, le visite romane a Mecenate e quelle di Mecenate in Sabina, Orazio terminò la composizione delle "Satire" e le "Odi". Morì nel novembre dell'8 ac. solo poche settimane dopo il suo amico Mecenate e, come aveva disposto nel testamento, fu sepolto vicino a lui sul colle Esquilino. E' evidente che tra i due vi fosse molto più di un'amicizia.
Tanta fu la sua generosità a l'amore per le arti che il nome di Mecenate è divenuto in tutto il mondo sinonimo di protettore degli artisti. Il circolo intellettuale che Mecenate fondò e finanziò fu il più importante dell'impero e dette ovunque un grande impulso all'arte in ogni sua manifestazione e nel 39 ac., si arricchì di poeti come Orazio, Lucio Vario Rufo e Virgilio. I poeti contraccambiavano celebrando nei loro versi lo stesso Mecenate, Augusto e il suo programma politico. In particolare Virgilio con l'Eneide procurò una genealogia mitica sia Roma che ad Augusto che stava preparando la propria deificazione; inoltre con le Georgiche sostenne un'intelligente idea augustea propagandando la rinascita dell'agricoltura in Italia.
HYGERIA |
Eppure, il tratto più notevole dei letterati riuniti attorno a Mecenate è che si mantennero gran parte della loro indipendenza e che nessuno di loro fece direttamente l'epopea di Augusto.
Virgilio scrisse le Georgiche in suo onore e fu lui che, impressionato dalla poesia di Orazio, lo presentò a Mecenate. Infatti Orazio iniziò la prima delle sue Odi (Odi, I,1) grazie alla direzione del suo nuovo protettore. Mecenate gli diede pieno appoggio finanziario per toglierlo dall'incubo della povertà. Furono anche suoi protetti sia Properzio sia i poeti minori Cornelio Gallo, Aristio Fusco, Plozio Tucca, Valgio Rufo, Domizio Marso, Quintilio Varo, Caio Melisso ed Emilio Macro. Per la sua munificenza, che rese il suo nome noto a tutti, ebbe la gratitudine degli scrittori, attestata anche dai ringraziamenti di scrittori di età successiva, come Marziale e Giovenale.
Mecenate vide nella genialità dei poeti del tempo non solo un ornamento letterario, ma un modo di promuovere e onorare il nuovo ordine politico, un ordine in cui credeva, così come ci credeva Augusto che effettivamente creò nell'impero la famosa Età dell'Oro favoleggiata dagli antichi greci, e la Pax augusta fu il clima giusto per quel risollevamento di benessere e di arte.
Ritiratosi dalla vita politica, Mecenate visse delle ricchezze familiari che gli provenivano da molti beni, ma soprattutto dalle fabbriche di vasi, la pregiatissima ceramica aretina, lucida e di un bel color arancio-miele, che fiorì in Arezzo dal 30 ac. in poi. Nella vita privata si dedicò solo ai piaceri dello spirito speculando, scrivendo, conversando e banchettando con gli amici alla maniera etrusca, cioè in modo sontuoso e raffinatissimo. Seppe, con oculatezza rara, non solo scoprire grandi talenti, ma pure scegliersi validissimi amici: Virgilio, Properzio, Gallo, Orazio e Marziale. Con intuito e riservatezza tipicamente etruschi, tra questi ne preferì due che furono i più grandi: Virgilio e Orazio.
Virgilio, privato dei campi in riva al Mincio dalle riforme di Augusto per dare le terre ai veterani, e con la speranza che gli sarebbero restituiti, giunse a Roma dove Asinio Pollione, governatore delle terre sul Mincio e letterato a sua volta, lo presentò a Mecenate. Virgilio, già autore delle Bucoliche dove si esaltava la vita pastorale, piacque a Mecenate che intercedette presso Augusto. Ma il centurione Arrio, divenuto nel frattempo proprietario del fondo, minacciò di uccidere Virgilio pur di non restituire la terra. Mecenate allora fece donare a Virgilio un podere in Campania, che al poeta piacque più della sua stessa terra, per il clima e per la amata solitudine. E fu qui che nacquero le Georgiche inneggianti alla bellezza dei campi.
I SENTIMENTI TRA MECENATE E ORAZIO
VILLA DI MECENATE A TIVOLI |
A MECENATE (Orazio)
ODE XII (appreso dall'amico della sua prossimità alla morte)
Perchè speme fedel co' tuoi lamenti
Il sen mi strazj con crudel ferita?
Dispiace a me, spiace agli Dei possenti,
Che tu debba primiero uscir di vita.
Che se ti rapirà più presto il Fato
Che far mai debbo, o amico? inoperoso,
Debole resterò, disanimato,
Nè giorno alcuno avrò lieto, e giojoso.
Delusa non sarà mia fedeltate,
Insieme varcherem la Stigia nera,
Nè mi spaventeran le Furie odiate,
Nè il centimano Gìa, nè la Chimera.
Così volle il Destino, e il sommo Giove:
O la Libra mi guardi, o lo Scorpione,
Che nel dì del natale i mali piove,
O il freddo Capricorno, o l'Orione.
Ad ambedue convien l'amica stella:
Te liberò dal raggio empio, e feroce
Del Dio la protezion fulgida, e bella,
E il fato ritardò presto, e veloce.
Quando in teatro alzò la folta gente
Un lieto evviva: e me opprimea cadendo
Un arbore, ma fu Fauno presente,
Ed amico rattenne il colpo orrendo.
Ora in tempio novello ornato d'oro,
Su d'ara sacra, e con devota mano
Vittima rendi ai Numi un giovin toro;
Io svenerò un agnel mite, ed umano.
A MECENATE (Orazio)
ODE XV (subito dopo la morte di Mecenate, prevedendo la propria, dove si trasformerà in cigno staccandosi per sempre dalla terra))
Con le penne inusitate
Sopra il suol m'innalzerò,
E biforme ardito vate
Le cittadi io lascierò.
E per sempre il rio livore
Da me vinto ora sarà,
E il funesto aspro dolore
Da me ognor lontano andrà.
Non io figlio di mendico
Genitor potrò perir,
Nè di te diletto amico
All'Averno dovrò gir.
Già di scabra mi rivesto,
Aspra pelle, e in bianco augel
Son cangiato, agile, e presto
Già m'innalzo inverso il ciel.
Più di Dedalo veloce
Verso il Bosforo n'andrò,
E sciogliendo la mia voce
L'aspre Sirti io mirerò.
Mi vedranno il Daco altero,
E l'Asiatica nazion,
Sarò noto al dotto Ibero,
Ed al Gallo, ed al Gelon.
Cessa omai da' tuoi lamenti,
Dolce amico, e dal dolor,
Che de' funebri concenti
Più non curo il mesto onor.
ODE XII (appreso dall'amico della sua prossimità alla morte)
Perchè speme fedel co' tuoi lamenti
Il sen mi strazj con crudel ferita?
Dispiace a me, spiace agli Dei possenti,
Che tu debba primiero uscir di vita.
Che se ti rapirà più presto il Fato
Che far mai debbo, o amico? inoperoso,
Debole resterò, disanimato,
Nè giorno alcuno avrò lieto, e giojoso.
Delusa non sarà mia fedeltate,
Insieme varcherem la Stigia nera,
Nè mi spaventeran le Furie odiate,
Nè il centimano Gìa, nè la Chimera.
Così volle il Destino, e il sommo Giove:
O la Libra mi guardi, o lo Scorpione,
Che nel dì del natale i mali piove,
O il freddo Capricorno, o l'Orione.
Ad ambedue convien l'amica stella:
Te liberò dal raggio empio, e feroce
Del Dio la protezion fulgida, e bella,
E il fato ritardò presto, e veloce.
Quando in teatro alzò la folta gente
Un lieto evviva: e me opprimea cadendo
Un arbore, ma fu Fauno presente,
Ed amico rattenne il colpo orrendo.
Ora in tempio novello ornato d'oro,
Su d'ara sacra, e con devota mano
Vittima rendi ai Numi un giovin toro;
Io svenerò un agnel mite, ed umano.
EROS |
ODE XV (subito dopo la morte di Mecenate, prevedendo la propria, dove si trasformerà in cigno staccandosi per sempre dalla terra))
Con le penne inusitate
Sopra il suol m'innalzerò,
E biforme ardito vate
Le cittadi io lascierò.
E per sempre il rio livore
Da me vinto ora sarà,
E il funesto aspro dolore
Da me ognor lontano andrà.
Non io figlio di mendico
Genitor potrò perir,
Nè di te diletto amico
All'Averno dovrò gir.
Già di scabra mi rivesto,
Aspra pelle, e in bianco augel
Son cangiato, agile, e presto
Già m'innalzo inverso il ciel.
Più di Dedalo veloce
Verso il Bosforo n'andrò,
E sciogliendo la mia voce
L'aspre Sirti io mirerò.
Mi vedranno il Daco altero,
E l'Asiatica nazion,
Sarò noto al dotto Ibero,
Ed al Gallo, ed al Gelon.
Cessa omai da' tuoi lamenti,
Dolce amico, e dal dolor,
Che de' funebri concenti
Più non curo il mesto onor.
IL CARATTERE
Per contro gli si riconosce una sensibilità rara nei maschi ma non per questo da giudicarsi meno mascolina, e pure un disinteresse per i privilegi e la ricchezza, primo perchè era già ricco, secondo perchè non accettò da Augusto alcun titolo se non quello di equites, ed essendo il suo migliore amico in assoluto non gli sarebbe stato difficile ottenerne di più e di più elevati.
Fu in effetti un influente consigliere, alleato ed amico dell'imperatore Augusto, il quale, forse non dotato dell'acutissima intelligenza e lungimiranza di Cesare, era bravissimo tuttavia nella scelta degli uomini, e pure delle donne. Ebbe infatti valentissimi generali, nonchè validissimi consiglieri ed amici fidati, e perfino una moglie che sempre amò e rispettò, e da lei amato rispettato e forse adorato, una moglie che non solo fu sua consigliera e amministratrice (per volontà di Augusto ovviamente) ma fu pure dignitosissima e provvida per il popolo, cui dette sempre un ottimo esempio, esente da ogni ostentazione di vesti o gioielli, sempre modesta ma dignitosa, sempre compresa nel suo ruolo di Augusta di cui sentiva l'onre oltre che l'onore.
Questa storiella di Dione Cassio, per altro da altri autori contemporanei ritenuta attendibile, per quanto ingenua mostra quanto la gente attribuisse a Mecenate una benefica influenza su Augusto:
"Maecenas eques Romanus fuit Augusti amicus cuius animum ardentem ac mobilem saepe ad bonum opportune et callide flexit. Interdum principem etiam a malis consiliis devocavit. Olim Augustus cum in tribunali ut iudex sederet multos homines capitis damnavit. Maecenas re cognita ad tribunal accurrit et ad imperatorem appropinquare temptavit sed frustra cum permagnus populi concursus esset. Itaque imperavit ut tabella sibi ferretur ubi haec verba calamo exaravit:"Surge tandem carnifex!" tabellam obsignavit et effecit ut Augusto traderetur. Augustus cum tabellam legit statim ius dicere cessavit ac neminem capitis amplius damnavit."
"Mecenate, cavaliere romano, fu amico di Augusto, il cui animo ardente e nobile spesso volse opportunamente e astutamente verso il bene. Talvolta richiamò l'imperatore anche dai cattivi consigli. Una volta Augusto mentre sedeva in tribunale come giudice, condannò a morte molti uomini. Mecenate, saputolo, corse verso il tribunale e tentò di avvicinarsi all'imperatore ma inutilmente, poichè fu attaccato dal popolo. Infatti ordinò che gli si prendesse una lettera dove scrisse con lo stilo queste parole: " Vieni fuori, carnefice!", sigillò la lettera e fece si che fosse consegnata ad Augusto. Augusto, quando lesse la lettera, subito cessò di amministrare la giustizia e non condannò a morte più nessuno."
Grazie alla viva personalità di Mecenate i suoi amici poeti subirono la sua influenza tanto che non era importante che adulassero Augusto, ma doveva trasparire dai loro versi l'atmosfera sicura e tranquilla, nel contempo esaltante e briosa per la restaurazione augustea della vita e dei sentimenti sani con cui i poeti cantavano l'amore, la vita semplice della campagna e gli antichi costumi, la voglia di pace, il rispetto agli Dei e la bellezza degli antichi miti. E tutto ciò avvenne, sia che amassero sia che non amassero Augusto.
Questa storiella di Dione Cassio, per altro da altri autori contemporanei ritenuta attendibile, per quanto ingenua mostra quanto la gente attribuisse a Mecenate una benefica influenza su Augusto:
"Maecenas eques Romanus fuit Augusti amicus cuius animum ardentem ac mobilem saepe ad bonum opportune et callide flexit. Interdum principem etiam a malis consiliis devocavit. Olim Augustus cum in tribunali ut iudex sederet multos homines capitis damnavit. Maecenas re cognita ad tribunal accurrit et ad imperatorem appropinquare temptavit sed frustra cum permagnus populi concursus esset. Itaque imperavit ut tabella sibi ferretur ubi haec verba calamo exaravit:"Surge tandem carnifex!" tabellam obsignavit et effecit ut Augusto traderetur. Augustus cum tabellam legit statim ius dicere cessavit ac neminem capitis amplius damnavit."
MARZIA |
Grazie alla viva personalità di Mecenate i suoi amici poeti subirono la sua influenza tanto che non era importante che adulassero Augusto, ma doveva trasparire dai loro versi l'atmosfera sicura e tranquilla, nel contempo esaltante e briosa per la restaurazione augustea della vita e dei sentimenti sani con cui i poeti cantavano l'amore, la vita semplice della campagna e gli antichi costumi, la voglia di pace, il rispetto agli Dei e la bellezza degli antichi miti. E tutto ciò avvenne, sia che amassero sia che non amassero Augusto.
Mecenate scrisse anche opere letterarie, sia in prosa che in versi, di cui ci sono rimasti venti frammenti, interessanti ma non bellissimi. I soggetti sono vari (Prometeo, dialoghi stile Simposio - un ricevimento al quale erano presenti Virgilio, Orazio e Messalla Corvino), De culto suo (una specie di biografia) ed il poema In Octaviam ("Contro Ottavia") del quale non è chiaro il contenuto, ma che era stato ridicolizzato da Augusto, Quintiliano e Seneca per lo stile, l'uso di parole rare e per le goffe trasposizioni. Comunque Seneca lo aveva in antipatia, a suo dire come poeta sarebbe stato un grande ingegno se solo si fosse posto sulla retta via, mentre viveva nei vitia corrotto com'era dalla luxuria. Ma dice di più, perchè lo accusa di essere un "edonista marcio"
La preferenza di Mecenate per il proprio sesso era notoria al suo tempo e nella sua cerchia, ma oggi passa sotto silenzio. Il suo amore più documentato è quello per un giovane pantomimo, il liberto Batillo.
Ne parla Lucio Cornuto (Commentario alle Satirae di Persio V, 123), Tacito (Annali, I 54) e Dione Cassio (Storia romana, LV 17), mentre Orazio (Epodon liber, XIV, 10-15) paragona il suo amore eterosessuale per Frine e quello di Anacreonte per un altro Batillo, quale omaggio letterario all'amore di Mecenate. In epoca rinascimentale circolava una leggenda secondo cui egli avrebbe regalato a Virgilio uno schiavo, Alessi, di cui il poeta era disperatamente innamorato.
L'amore per Alessi sarebbe stato poi cantato da Virgilio nella celeberrima II Egloga, quella più esplicitamente omosessuale (in realtà le fonti riportano che chi donò lo schiavo fu Asinio Pollione, e non Mecenate). Ma gli amori omosessuali per gli efebi non scandalizzavano affatto i romani, piuttosto scandalizzavano gli amori gay tra adulti. E questa deve essere la ragione che scandalizzò Seneca ed altri, come del resto scandalizzò Catullo, che amava gli efebi oltre a Lesbia, la bisessualità di Cesare perchè non andava con ragazzini ma con adulti.
LA MORTE
Sul raffreddamento dei rapporti con Augusto gli autori non sono concordi, taluni pensano all'ira di Augudto per uno pseudo tradimento di Mecenate che avrebbe avvertito Murena, fratello di sua moglie Terenzia e cospiratore contro Augusto, dell'imminente pericolo di essere scoperto dall'imperatore. Per altri sarebbe stato Mecenate ad allontanarsi da Augusto per l'improvviso invaghimento dell'imperatore verso sua moglie Terenzia. Tutte queste congetture non hanno alcun fondamento storico mentre è molto più sostenibile l'allontanamento a causa della malattia di Mecenate che lo fece pian piano ritirare dal mondo.
MECENATE |
A Bagnoro in provincia di Arezzo, c'è un’azienda agricola sistemata sui resti di un casale trecentesco che a sua volta fu costruito sulla dimora dei Cilnii, blasonata famiglia Etrusca che diede i natali a Gaio figlio di Mecenate. "Il fascino che esercitò sui letterati del suo circolo era cordiale e sincero, vi erano ammessi uomini di valore che trattò sempre da eguali".
AUDITORIUM DI MECENATE
« Nel mese di marzo dell'anno corrente (1874), fu scoperta, entro la villa già Caetani (...), la sommità di un muro di forma curvilinea con residui d'intonaco vagamente dipinto»
(Rodolfo Lanciani, Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 2, p. 137)
L'edificio faceva parte degli Horti Maecenatis, la splendida villa che Mecenate possedeva sul Colle Esquilino e Oppio e venne scoperto (con poco garbo) nel 1874, in seguito all'edificazione del nuovo quartiere voluto da re Vittorio Emanuele per la nascita del regno d'Italia. Ne conosciamo l'identità attraverso Orazio, suo buon amico e compagno di vita cui Mecenate donò una villa non per evergetismo
come si è insinuato ma perchè tra i due c'era semplicemente un amore.
INTERNO DELL'AUDITORIUM |
Sembra si tratti invece di una Cenatio estiva, un ninfeo-triclinio parzialmente interrato, quindi più fresco, usato per banchetti allietati da musiche e giochi d’acqua. Il rivolo scorreva infatti sui gradini dell’abside e in un basso canale centrale, come appare anche in una pittura della sala, risalente agli inizi del I sec. d.c. Le pareti sono decorate da motivi di candelabri e pavoni ai lati, su fondo rosso; mentre le nicchie della sala e dell’abside hanno giardini con piante, fiori, uccelli, come finestre aperte su spazi verdi. Sopra le nicchie della sala rettangolare corre inoltre un fregio dipinto in nero con soggetti dionisiaci. L’edificio doveva avere la copertura a volta. Le soglie delle nicchie e la gradinata dell'esedra erano ricoperte da lastre di marmo. Sulla parete esterna dell’emiciclo era dipinto inoltre un epigramma di Callimaco allusivo agli effetti del vino durante il simposio.
Sappiamo che la villa, con il suo ninfeo, fu costruita sopra una necropoli, livellandone l'antico percorso dalle mura serviane (oggi visibile in via Leopardi) cui l'edificio si poggiò distruggendone anche un breve tratto. Nell'interro della zona Mecenate lasciò, per quell'amore del bello e dell'antico, alcune pregevoli stele funerarie attiche. Si tramanda che Mecenate sia stato il primo a costruire a Roma una piscina termale fornita di acqua calda, evidentemente da localizzare negli Horti.
Questi confinavano con gli Horti Lamiani, per cui è difficile darne una collocazione precisa, ma poichè molti puticuli (fosse comuni) sono stati rinvenuti presso l'angolo nord-occidentale di piazza Vittorio Emanuele II, quindi fuori della Porta Esquilina e dell’agger, e a nord della via Tiburtina vetus, gli Horti dovevano trovarsi a nord della porta e della strada, su entrambi i versanti delle mura serviane.
La sala ha sei nicchie per lato, più altre cinque sull'abside, al di sopra dell'alta gradinata di sette gradini circolari, già coperti di marmo cipollino, come una piccola cavea teatrale a cui si accedeva e si accede con una gradinata in discesa. Dal più alto gradino della cavea uscivano i rivoli d'acqua portati da tubi poi chiusi, che riversavano acqua nella sala, come appunto in un ninfeo, forse inondando la base di piccole statue e di vasi marmorei.
L'ambiente era collegato a stanze e corridoi, sui quali il ninfeo emergeva in parte. L'opus reticolatum piuttosto minuto conferma il periodo tra fine Repubblica e inizio dell'Impero, come il mosaico pavimentale a tessere bianche finissime dipinte a fasce rosse con encausto. Sopra di esso venne successivamente steso un pavimento di marmo, e sembra ancora successivo il muro di mattoni appoggiato alla parte bassa della cavea.
ESTERNO |
Le nicchie si configurarono quindi come elementi indipendenti rispetto all'architettura della stanza, quali "bow window", cioè finestre ad arco e arcuate in avanti, ornate da vetri istoriati o almeno colorati che si affacciavano sul giardino dove si disponevano in corrispondenza, piante con statue o altri elementi decorativi.
Dopo la morte di Mecenate la villa fu annessa alle proprietà imperiali e poi concessa da Augusto a Tiberio dopo il rientro dal suo esilio di Rodi. A lui si devono le pitture di III stile del giardino nel ninfeo, che richiamano molto gli affreschi del ninfeo di Livia di fine I secolo a.c..Nerone poi li annesse al Palatino attraverso la Domus Transitoria e si dice che dall’alto di una torre interna osservò l’incendio di Roma del 64.
Nel II sec. gli Horti Maecenatis passarono a Marco Cornelio Frontone, maestro di retorica e precettore di Marco Aurelio e Lucio Vero. Una fistula aquaria con il nome di Frontone fu trovata presso l'Auditorium di Mecenate, dove la via Merulana moderna taglia il percorso delle Mura serviane.
È improbabile che la cosiddetta Casa Tonda, sepolcro tardo repubblicano sull'antica via Labicana (oggi via Principe Eugenio) e ritenuta tradizionalmente la tomba di Mecenate, potesse rientrare nei confini di questi horti. Il monumento, di cui rimangono solo le fondamenta (non visibili) sull'angolo orientale di piazza Vittorio Emanuele II, fu barbaramente abbattuto nel 1886, fra molte polemiche, in occasione dei lavori di sistemazione della piazza.
Le numerose opere d'arte ritrovate principalmente nelle aree delle scomparse villa Caserta e villa Palombara sul finire del XIX sec. nella edificazione del nuovo quartiere Esquilino, rivelarono il gusto collezionistico di Mecenate ed il lusso raffinato negli arredi. Molte di esse erano ridotte in frammenti riutilizzati all'interno di muri tardo-antichi, secondo una consuetudine ben attestata a Roma soprattutto sull'Esquilino.
Fra queste opere la fontana a corno potorio (rhytón) firmata dall’artista greco Pontios, un raffinato rilievo con soggetto dionisiaco derivato da modelli ellenistici del II secolo ac., la cosiddetta statua di Seneca morente, un rilievo con Menadi danzanti ispirato a modelli greci della fine del V sec. a.c., la testa di Amazzone copia di un originale datato V sec. ac., la statua di Marsia in marmo pavonazzetto e una statua di cane in marmo verde (serpentino moschinato), un gruppo di Muse, il gruppo dell’Auriga dell'Esquilino della prima età imperiale secondo lo stile del V sec. a.c., le stele funerarie di provenienza attica e da pregevoli copie di opere greche, quali la statua di Demetra o quella dell’Ercole combattente, da un originale della fine del IV secolo ac.
Altre strutture attribuibili al settore residenziale della villa furono rinvenute nell'isolato XXIX del nuovo quartiere Esquilino, adiacente all'Auditorium, all'interno del quale le scoperte di ambienti e di opere si susseguirono dal 1876 al 1880.
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Oltre a queste opere Lanciani segnalò "diversi torsi di fauni e Veneri, un vaso da fiori lavorato nella forma di un puteale e ornato da tralci di edera e fiori; un altare rotto (...), la parte inferiore di un gruppo di un eroe e di una donna panneggiata; sette erme di Bacco indiano, di filosofi, di atleti...". Insieme alle sculture c'erano anche numerosi mosaici, tra cui quelli in opus vermiculatum montati su tegole, da utilizzare come emblemata centrali di preziosi pavimenti.
Un altro nucleo con strutture in reticolato sia muri in laterizio, fu rinvenuto nel 1914 all'incrocio tra via Merulana e via Mecenate, per la ricostruzione del Teatro Politeama Brancaccio. Le notizie sono estremamente scarse, ma rimane una pianta dei ritrovamenti che illustra una situazione archeologica coerente e probabilmente attribuibile, almeno in parte, all'impianto originale di un settore degli horti.
Il ricco apparato decorativo degli horti si rinvenne ridotto in numerosi pezzi riutilizzati come materiale da costruzione all'interno di muri tardo antichi, secondo una consuetudine attestata soprattutto sull'Esquilino. Questo è uno dei motivi per cui ancora oggi non si è in grado di ricostruire per intero il programma scultoreo degli horti e l'originaria collocazione delle statue e degli elementi ornamentali che ne facevano parte. Appare altresì evidente lo straordinario valore artistico e culturale delle opere, che denuncia gli interessi del padrone di casa. Nel repertorio spiccano alcune bellissime creazioni d'ispirazione greca: una fontana a forma di corno potorio (rhytón) firmata dall’artista greco Pontios, rinvenuta il 15 maggio 1875 in corrispondenza dell'angolo sud-occidentale di piazza Vittorio Emanuele II, un raffinatissimo rilievo con soggetto dionisiaco e ancora un gruppo di Muse di forte ispirazione greca.
La parte orientale del colle Esquilino, oggi caratterizzata dai palazzi del grande quartiere costruito appunto dopo il 1870, è stata per secoli il giardino di Roma: fin dalla fine del XVI secolo, infatti, gli aristocratici vi avevano costruito residenze favolose immerse nel verde. Il Giardino Caetani sorgeva proprio sugli antichi Horti Maecenatis.
Di tutta la villa resta solo il cosiddetto auditorium, in seguito alla orribile speculazione edilizia di fine 800 che abbattè molti ma molti tesori romani sepolti fino allora sotto il quartiere esquilino.
GLI ORTI DI MECENATE
Famiano Nardini - regio V esquilina
- Una perchè gli Orti di Mecenate da Orazio nell' ottava satira del primo libro si accennano fatti nel Campo Esquilino, il qual'è creduto presso 1'argine di Servio dietro a quelle Terme. Ma 1' error si prende da un argine all'altro. Presso quel di Tarquinio, non presso quel di Servio era il Campo Esquilino. L'altra fu, che Acrone dice nella Satira medesima;
"Antea sejnilchra erant in loco, in quo sunt horti Mcecenatis, ubi sunt modo Therme"; ma è forse incredibile, che sul vasto sito dell'Esquilie fossero Terme, sicché per salvar un dello fors' anch' erroneo d'un Grammatico, abbia a trasportarsi il Campo Esquilino al Quirinale, o al Viminale? Anzi dove quegli Orti principiavano, cioè a S. Martino de' Monti, erano pur le Terme Trajane, delle quali avere inteso Acrone. Più ragionevolmente il Donali crede:
"Fuetunt in Esquiliis, latissimoque ambi tu a l'emplo circiter Sancii Martini in Montibus Orienteni versus ultra S. Antonii cedem processare." Nò altrove meglio , che presso Torre San Martino potè la torre vagheggiare le più frequentate parti di Roma, ed io anche alquanto più ristretti li stimerei; poiché la via Tiburtina anticamente praticatissima, che dentro Roma dalla moderna Suburra, e da Santa Lucia in Selce per 1' arco di Santo Vito alla porla di S, Lorenzo si scorge che tendeva, non potè esser chiusa al tempo d' Augusto, né pur di Nerone: Onde tra quella via, e i già detti trofei ( fossero pur di Mario, o d'altri sì dilatavano quegli Orti, che poterono poi da S. Martino de' Monti dilungarsi fino alle mura di Roma, se però vi giunsero, come io non credo.
Dione scrive nel libro 55. Mecenate essere stato l'inventore de' Natatorj d'acquecalde, ì quali dal Donati, si credono fatti in questi Orti . Domus p. Vi abitò appresso Virgilio, come nella vita del Virgilium, medesimo narra Elio Donato; "Habuit donium lioince in Esquiliis, Juxta hortos Mcecenatis" -