Nome: Gaius Valerius Catullus
Nascita: 84 a.c. Verona
Morte: 54 a.c. Roma
Professione: poeta
Nacque nell’84 a.c. a Verona da una famiglia benestante (possedeva una villa a Sirmione e aveva ospitato Cesare in viaggio per la Gallia), anche se spesso lamentò miseria.
Carmen I
A chi dono il mio libretto nuovo elegante
appena levigato dalla dura pietra pomice?
A te, Cornelio: e infatti tu eri solito
pensare che le mie sciocchezze valessero qualcosa
già allora, quando hai avuto il coraggio, unico fra gli Italici,
di esporre tutta la storia in tre libri
eruditi, per Giove, e laboriosi.
Per questa ragione prendi questo libretto, qualunque cosa
e quale il suo valore; perchè nella vergine madre
possa rimanere più di un solo secolo.
Catullo si recò a Roma non ancora ventenne. Nella capitale frequentò gli ambienti più mondani e più in vista nell’ambito politico e culturale, perfezionò la propria istruzione per prepararsi, come tutti i figli della nobiltà locale, ad un avvenire di prestigio. Particolarmente proficua fu la frequentazione del cenacolo dei poetae novi, una cerchia di intellettuali che viveva tra la poesia e i liberi amori, che aveva una mentalità anticonformista e che lavorava allo svecchiamento della poesia romana, ancora legata alle idealità civili dell’epica arcaica.
Carmen II
Passero, passero dell'amor mio:
ti tiene in seno, gioca con te,
porge le dita al tuo assalto,
provoca le tue beccate rabbiose.
Come si diverta l'anima mia
in questo gioco, trovando conforto
al suo dolore, non so; ma come lei,
quando si placa l'affanno d'amore,
anch'io vorrei giocare con te
e strapparmi dal cuore la malinconia.
Egli adertisce alla poesia neoterica, un movimento letterario dell'età di Cesare. I suoi poeti erano chiamati neoteroi (o poetae novi), cosìddetti da Cicerone in modo ironico, disapprovando il distacco dalla tradizione della poesia romana arcaica.
Carmen III
Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.
Flavio, se l'amor tuo non fosse privo
di grazia e di finezza lo vorresti dire
a Catullo, non sapresti tacere.
Ma certo tu ami qualche puttana
malandata: per questo ti vergogni.
Che tu non giaccia in solitudine la notte,
anche se tace, lo rivela la tua camera
fragrante di ghirlande e di profumi assiri,
il cuscino gualcito da ogni parte,
lo scricchiolare agitato del letto
che trema tutto e non trova pace.
Inutile tacere: non ti serve.
Non mostreresti fianchi cos’ smunti
se non facessi un monte di sciocchezze.
E allora quello che hai, bello o brutto,
dimmelo. Voglio con un gioco di parole
portare te e il tuo amore alle stelle.
Catullo, per la morte del fratello avvenuta nel 59, prova un cocente dolore, e dovette interrompere il soggiorno romano per fare ritorno a Verona per le esequie del fratello.
Carmen VII
Mi chiedi con quanti baci, Lesbia,
tu possa giungere a saziarmi:
quanti sono i granelli di sabbia
che a Cirene assediano i filari di silfio
tra l'oracolo arroventato di Giove
e l'urna sacra dell'antico Batto,
o quante, nel silenzio della notte, le stelle
che vegliano i nostri amori furtivi.
Se tu mi baci con così tanti baci
che i curiosi non possano contarli
o le malelingue gettarvi una malia,
allora si placherá il delirio di Catullo.
Lesbia non sopporta l'allontanamento di Catullo, sia pure per una ragione così dolorosa e lo rimpiazza con un nuovo amante. O forse era già stanca di lui e approfitta dell'assenza per lasciarlo. Fattosta che Catullo ne è distrutto.
Carmen VIII
Misero Catullo, smetti di vaneggiare
E stima perduto ciò che è perduto.
Ci furono giorni felici un tempo
Quando correvi dove voleva il tuo amore
amato come nessuna sarà amata;
allora nascevano molti giochi d'amore
che tu volevi e che lei non negava.
Ci furono per te giorni felici un tempo.
Ora lei non vuole più; anche tu, impotente,
non volere, non inseguire lei che fugge,
non vivere miseramente, ma resisti
con tutta la tua volontà, non cedere.
Addio amore - Catullo non cede più,
non ti cerherà, non ti vorrà per forza;
ma tu soffrirai perchè non sarai più desiderata.
Scellerata, guai a te; cosa ti può dare la vita?
Chi ti vorrà? Per chi ti fai bella?
Chi amerai? Di chi sarai detta essere?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, ostinato, non cedere.
Carmen XXIII
Furio mio, tu non hai schiavi, non hai denari,
non hai cimici o ragni, nè di che scaldarti,
ma hai un padre e una matrigna che coi denti
potrebbero macinare anche le pietre,
e con questo tuo genitore e la sua donna,
rinsecchita come un legno, tu vivi bene.
Non fa meraviglia: scoppiate di salute,
digerite d'incanto, non temete nulla,
nè gli incendi nè il crollo della casa
nè la malvagitá, l'insidia del veleno
o il pericolo di qualche altro incidente.
E in più, grazie al sole al freddo e alla fame,
avete il corpo più secco di un corno
o di quanto più arido vi sia.
Perchè mai non dovresti essere felice?
Non sudi, non hai una goccia in più di saliva,
nè un poco di catarro o di moccolo al naso.
E a questo candore aggiungine un altro:
poichè non cachi dieci volte all'anno
il tuo culo è più lindo di un cristallo
e ciò che fai è più duro di fave e ghiaia,
tanto che se lo stropicciassi fra le mani
non ti potresti sporcare nemmeno un dito.
Tutte queste comoditá non disprezzarle,
Furio mio, non considerarle una sciocchezza
mendicando di continuo quei centomila
sesterzi: smettila, sei ricco quanto basta.
Carmen XXXII
Ti prego, mia dolce Ipsililla,
amore mio, cocchina mia,
invitami da te nel pomeriggio.
Ma se decidi cos’, per favore,
non farmi trovare la porta giá sprangata
e cerca di non uscire, se puoi,
restatene in casa e preparami
nove scopate senza mai fermarci.
Se ne hai voglia, per˜, fallo subito:
sto qui disteso sazio dopo pranzo
e pancia all'aria sfondo tunica e mantello.
Carmen XXXVI
Annali di Volusio, cartacce di merda,
sciogliete la promessa della donna mia,
che a Venere e a Cupido ha fatto voto,
se da lei fossi tornato accettando
una tregua al mio violento sarcasmo,
di sacrificare alle fiamme di Vulcano
i versi migliori di un pessimo pùta
perchè bruciassero su maledetta legna.
Quella dolce canaglia sapeva benissimo
di fare voti come fossero uno scherzo.
E allora tu, figlia del mare azzurro,
tu che abiti sui monti sacri di Cipro,
nelle baie del Gargano, in Ancona,
nei canneti di Cnido, ad Amatunta e Golgi,
a Durazzo, emporio di tutto l'Adriatico,
se questo voto ha una sua grazia spiritosa,
accettalo e ritienilo pagato.
Ma ora tocca a voi: andatevene al rogo,
con tutta la vostra rozza stupiditá,
Annali di Volusio, cartacce di merda.
Carmen XXXVII
Puttanieri di quell'ignobile taverna
nove colonne oltre il tempio dei Dioscuri,
credete d'avere l'uccello solo voi,
di poter fottere le donne solo voi,
considerandoci tutti cornuti?
O forse perchè sedete cento o duecento
in fila come tanti idioti, non credete
che potrei incularvi tutti e duecento?
Credetelo, credetelo: su ogni muro
qui fuori scriverò che avete il culo rotto.
Fuggitami dalle braccia, la donna mia,
amata come amata non sará nessuna,
anche lei, che mi costrinse a tante battaglie,
siede tra voi. E come se ne foste degni
la chiavate tutti e non siete, maledetti,
che mezze canaglie, puttanieri da strada:
tu più di tutti, tu Egnazio, capellone
modello, nato fra i conigli della Spagna,
che ti fai bello di una barba incolta
e di denti sciacquati con la tua urina.
Carmen XXXVIII
Sta male, Cornificio, il tuo Catullo,
sta male, mio dio, e soffre
ogni giorno, ogni ora di più.
E tu nemmeno una parola,
quella che costa meno, la più facile.
Ti odio. Questo il tuo amore?
Una parola, una parola qualunque
più triste del pianto di Simonide.
Carmen XL
Quale strana pazzia ti getta, Rávido,
come uno sciocco in bocca alla mia collera?
Quale dio invocato malamente
ti spinge a questa stupida contesa?
per correre sulle labbra di tutti?
Che vuoi? esser famoso ad ogni costo?
Lo sarai, ma per la follia d'amare
chi amo, tu lo sarai con infamia.
Carmen IIL
Se i tuoi occhi di miele, Giovenzio,
mi fosse lecito baciare,
migliaia di volte io li bacerei
e non potrei esserne mai sazio,
anche se più fitta di spighe mature
fosse la messe dei miei baci.
Carmen LI
Mi sembra che sia simile ad un Dio
O se è lecito, più di un Dio
Colui che, sedendoti accanto
Ti osserva e ti ascolta ridere
Dolcemente; e ciò a me misero
Strappa ogni sensazione: infatti
Quando ti guardo, Lesbia,
non mi rimane neanche un po'
di voce, ma la lingua si intorpidisce,
un fuoco sottile mi cola nelle ossa
le orecchie mi ronzano
e i due occhi si coprono di notte.
Carmen LIII
Vuoi ridere? poco fa, accusandolo
in tribunale, il mio Calvo inchioda
Vatinio ai suoi delitti: entusiasta
uno del pubblico si sbraccia e grida:
'Gran dio, che oratore quel cazzetto!
Carmen LIV
Il miserabile cazzo di Ottone,
le gambe sporche e rozze d'Erio, il peto
sinistramente lieve di Libone,
a te e a Sufficio, quel vecchio rifatto,
almeno questo dovrebbe spiacere.
E torna pure ad incazzarti Cesare
generalissimo, contro i miei versi
innocenti.
Carmen LVI
Scherzo così divertente, Catone,
è giusto che tu lo sappia e ne rida.
Ridine per l'amore che mi porti:
credi, è uno scherzo troppo divertente.
Sorpreso un ragazzino che si fotte
una fanciulla, io, Venere mia,
col cazzo ritto, un fulmine, l'inculo.
Carmen LVII
Una bella coppia di canaglie fottute
quel finocchio di Mamurra e tu, Cesare.
Non è strano: macchiati delle stesse infamie,
a Formia o qui a Roma, se le portano
impresse e niente potrá cancellarle:
due gemelli infarciti di letteratura
sui vizi comuni allo stesso letto,
l'uno più avido dell'altro nel corrompere,
rivali e soci delle ragazzine.
Una bella coppia di canaglie fottute.
Carmen LVIII
Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia,
quella sola Lesbia che amavo
più di ogni cosa e di me stesso,
ora all'angolo dei vicoli spreme
questa gioventù dorata di Remo.
Carmen LX
Una leonessa sui monti di Libia o Scilla
che dentro ringhia sordamente, chi,
chi t'ha generato con l'animo così inumano
e duro da disprezzare il grido che t'implora
nella sventura estrema, cuore, cuore selvaggio?
Carmen LXIX
Non ti stupire se nessuna donna, Rufo,
vuol concederti il suo tenero corpo,
nemmeno se la tenti col dono prezioso
di una veste o la malia di un gioiello.
Hai una triste fama: sotto le tue ascelle
pare che viva un orrido caprone.
Questo il timore. Certo: è una mala bestia
e le belle donne con lei non dormono.
Allontana l'incubo di questo fetore
o non stupirti se quelle ti fuggono.
Carmen LXX
La mia donna dice che non vorrebbe unirsi a nessuno
se non a me, nemmeno se Giove in persona lo chiedesse.
Lo dice: ma ciò che la donna dice al bramoso amante
scrivilo nel vento e nell'acqua che scorre.
Carmen LXXIV
Gellio udiva sempre lo zio riprendere
chi parlasse o godesse d'amore.
Per evitarlo gli chiavò la moglie
rendendolo immagine stessa del silenzio.
Era il suo scopo: ora potrebbe anche
ficcarglielo in bocca, lo zio non fiaterebbe.
Carmen LXXX
Come mai, Gellio queste tue labbrucce di rosa
si fan più bianche della neve d'inverno,
quando il mattino esci di casa o quando verso sera
nei giorni d'estate ti scuoti dal tuo dolce riposo?
Non capisco. O forse è vero, come si mormora,
che sei ginocchioni un divoratore di cazzi?
Certo è così: lo gridano le reni rotte di Vittorio,
poveretto, e le tue labbra macchiate dello sperma succhiato.
Carmen LXXXV
Odio e amo. Mi chiedi come possa fare
Non lo so, ma sento che accade e soffro.
Carmen LXXXIII
Col marito Lesbia mi travolge d'ingiurie
e quello sciocco ne trae una gioia profonda.
Stronzo, non capisci? tacesse, m'avrebbe dimenticato,
sarebbe guarita, invece sbraita e m'insulta:
non solo ricorda, ma cosa ben più grave
è furente. Brucia d'amore, per questo parla.
Carme LXXXVII
Mia Lesbia sei stata amata
da me in modo così totale
che in modo uguale amata
non c'è donna e non ci sarà.
Non si vedrà mai più
in amorosi legami
tanto rigore di fedeltà
quanto si vide in me
nell'amore che ti portai.
Carmen LXXXXII
Lesbia sparla sempre di me, senza respiro
di me: morissi se Lesbia non mi ama.
Lo so, son come lei: la copro ogni giorno
d'insulti, ma morissi se io non l'amo.
Carmen LXXXXIII
Non me ne importa niente di piacerti, Cesare,
nè di sapere se sei bianco o nero.
Carmen CVII
Se contro ogni speranza ottieni
ci˜ che desideravi in cuore,
una gioia insolita ti prende.
E questa è la mia gioia,
più preziosa dell'oro:
a me tu ritorni, a me, Lesbia,
a un desiderio ormai senza speranza,
al mio desiderio ritorni,
a me, a me tu ti ridai.
O giorno luminoso!
Chi vivrá più felice?
chi potrá mai pensare vita
più, più desiderabile di questa?
Carmen III
Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.
L’adesione all'ambiente romano è in effetti difficile, Catullo rifiuta ogni impegno personale in ambito politico. Lo stesso viaggio in Bitinia, intrapreso nel 57 a.c., al seguito del governatore Gaio Memmio, fu vissuto con insofferenza: forse il poeta era troppo tormentato dalla sua storia d’amore. L’evento di gran lunga più significativo della vita e della poesia di Catullo fu, infatti, l’incontro con una donna che nel suo canzoniere porta lo pseudonimo di Lesbia.
Carmen V
Viviamo mia Lesbia ed amiamoci
E consideriamo un soldo bucato
I mormorii dei vecchi troppo severi.
I giorni possono morire e ritornare
Ma, quando per noi questa breve luce
Muore dovremo dormire una notte eterna..
Dammi mille baci e ancora cento
E poi altre mille e ancora cento
Sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia, li mescoleremo
Tutti, per dimenticare
E perchè nessuno ci possa invidiare sapendo
Che esiste un così grande numero di baci.
L'amore di Catullo è Clodia (come ci informa Apuleio), sorella del tribuno Publio Clodio Pulcro, moglie di Quinto Metello Celere, che rimase vedova nel 59 a.c. Una donna che fu libera e di costumi emancipati, pienamente a suo agio nella vita galante della capitale, sempre al centro di nuove relazioni.
Non si sa quando la conobbe Catullo; ne divenne l’amante mentre il marito era ancora in vita, la loro relazione ebbe un seguito turbolento, all’insegna di un precario equilibrio dell’odi et amo del carme 85.
Carmen V
Viviamo mia Lesbia ed amiamoci
E consideriamo un soldo bucato
I mormorii dei vecchi troppo severi.
I giorni possono morire e ritornare
Ma, quando per noi questa breve luce
Muore dovremo dormire una notte eterna..
Dammi mille baci e ancora cento
E poi altre mille e ancora cento
Sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia, li mescoleremo
Tutti, per dimenticare
E perchè nessuno ci possa invidiare sapendo
Che esiste un così grande numero di baci.
L'amore di Catullo è Clodia (come ci informa Apuleio), sorella del tribuno Publio Clodio Pulcro, moglie di Quinto Metello Celere, che rimase vedova nel 59 a.c. Una donna che fu libera e di costumi emancipati, pienamente a suo agio nella vita galante della capitale, sempre al centro di nuove relazioni.
Non si sa quando la conobbe Catullo; ne divenne l’amante mentre il marito era ancora in vita, la loro relazione ebbe un seguito turbolento, all’insegna di un precario equilibrio dell’odi et amo del carme 85.
Carmen VI
Flavio, se l'amor tuo non fosse privo
di grazia e di finezza lo vorresti dire
a Catullo, non sapresti tacere.
Ma certo tu ami qualche puttana
malandata: per questo ti vergogni.
Che tu non giaccia in solitudine la notte,
anche se tace, lo rivela la tua camera
fragrante di ghirlande e di profumi assiri,
il cuscino gualcito da ogni parte,
lo scricchiolare agitato del letto
che trema tutto e non trova pace.
Inutile tacere: non ti serve.
Non mostreresti fianchi cos’ smunti
se non facessi un monte di sciocchezze.
E allora quello che hai, bello o brutto,
dimmelo. Voglio con un gioco di parole
portare te e il tuo amore alle stelle.
Catullo, per la morte del fratello avvenuta nel 59, prova un cocente dolore, e dovette interrompere il soggiorno romano per fare ritorno a Verona per le esequie del fratello.
Carmen VII
Mi chiedi con quanti baci, Lesbia,
tu possa giungere a saziarmi:
quanti sono i granelli di sabbia
che a Cirene assediano i filari di silfio
tra l'oracolo arroventato di Giove
e l'urna sacra dell'antico Batto,
o quante, nel silenzio della notte, le stelle
che vegliano i nostri amori furtivi.
Se tu mi baci con così tanti baci
che i curiosi non possano contarli
o le malelingue gettarvi una malia,
allora si placherá il delirio di Catullo.
Lesbia non sopporta l'allontanamento di Catullo, sia pure per una ragione così dolorosa e lo rimpiazza con un nuovo amante. O forse era già stanca di lui e approfitta dell'assenza per lasciarlo. Fattosta che Catullo ne è distrutto.
Carmen VIII
LESBIA |
E stima perduto ciò che è perduto.
Ci furono giorni felici un tempo
Quando correvi dove voleva il tuo amore
amato come nessuna sarà amata;
allora nascevano molti giochi d'amore
che tu volevi e che lei non negava.
Ci furono per te giorni felici un tempo.
Ora lei non vuole più; anche tu, impotente,
non volere, non inseguire lei che fugge,
non vivere miseramente, ma resisti
con tutta la tua volontà, non cedere.
Addio amore - Catullo non cede più,
non ti cerherà, non ti vorrà per forza;
ma tu soffrirai perchè non sarai più desiderata.
Scellerata, guai a te; cosa ti può dare la vita?
Chi ti vorrà? Per chi ti fai bella?
Chi amerai? Di chi sarai detta essere?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, ostinato, non cedere.
Qui inizia il calvario del poeta, che implora, si chiude, maledice e spera, con l'animo sempre più disperato. Catullo morì nel 58 a.c., probabilmente a causa di una malattia che lo consumava nel corpo e nello spirito.
Carmen XI
Furio, Aurelio, che miei compagni
sino all'estremo dell'India verreste
alle cui rive lontane batte sonoro
il mare d'Oriente,
tra gli Arabi indolenti, gli Ircani,
gli Sciti, i Parti armati di frecce
o sino alle acque che il Nilo trascolora
con le sue sette foci;
e oltre i monti aspri delle Alpi
per visitare i luoghi dove vinse Cesare,
il Reno di Gallia, i Britanni
orribili e sperduti;
voi che con me, qualunque sia il volere
degli dei, sopportereste ogni mia pena,
ripetete all'amore mio queste poche
parole amare.
Se ne viva felice con i suoi amanti
e in un solo abbraccio, svuotandoli
d'ogni vigore, ne possieda quanti vuole
senza amarne nessuno,
ma non mi chieda l'amore di un tempo:
per colpa sua è caduto come il fiore
al margine di un prato se lo tocca
il vomere passando.
Carmen XV
A te come me stesso affido il mio amore,
Aurelio. Un piccolo favore che ti chiedo:
se mai qualcuno amasti in cuore tuo
che tu desiderassi casto e puro,
conservami pulito questo mio ragazzo.
Non dico dalla gente, che non ho pensiero
di chi corre su e giù per la via
tutto occupato nelle sue faccende;
ma di te ho timore e del tuo cazzo
nemico d'ogni ragazzo, buono o cattivo
che sia. Quando comanda ficcalo dove
e come vuoi, se è ritto e sguainato.
Ti proibisco lui solo, non credo molto.
Ma se la tua pazzia, una passione insana
ti spingesse, scellerato, tanto nel crimine
da insidiare la stessa mia persona,
povero te, la sorte che ti viene:
divaricate le gambe, per quella porta
radici e pesci ti ficcherò dentro.
Carmen XVI
In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checche bocchinare
che per due pùsiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il pùta è giusto,
ma perchè lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall'artrite.
E voi, perchè leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò.
Carmen XXI
Padre di tutti gli affamati che conosci
e di quelli che furono, sono e saranno
negli anni da venire, tu Aurelio,
desideri inculare l'amor mio
e non ne fai mistero: appiccicato a lui,
giochi, ti strofini, le provi tutte.
Non servirá: mentre mi tendi queste insidie
io prima te lo ficcher˜ in bocca.
E pace se tu lo facessi a pancia piena,
ma non posso tollerare, accidenti a me,
che il mio ragazzo impari a patir fame e sete.
Piantala dunque, giusto finchÈ sei in tempo,
che tu non debba farlo a cazzo in bocca.
Furio, Aurelio, che miei compagni
sino all'estremo dell'India verreste
alle cui rive lontane batte sonoro
il mare d'Oriente,
tra gli Arabi indolenti, gli Ircani,
gli Sciti, i Parti armati di frecce
o sino alle acque che il Nilo trascolora
con le sue sette foci;
e oltre i monti aspri delle Alpi
per visitare i luoghi dove vinse Cesare,
il Reno di Gallia, i Britanni
orribili e sperduti;
voi che con me, qualunque sia il volere
degli dei, sopportereste ogni mia pena,
ripetete all'amore mio queste poche
parole amare.
Se ne viva felice con i suoi amanti
e in un solo abbraccio, svuotandoli
d'ogni vigore, ne possieda quanti vuole
senza amarne nessuno,
ma non mi chieda l'amore di un tempo:
per colpa sua è caduto come il fiore
al margine di un prato se lo tocca
il vomere passando.
Carmen XV
A te come me stesso affido il mio amore,
Aurelio. Un piccolo favore che ti chiedo:
se mai qualcuno amasti in cuore tuo
che tu desiderassi casto e puro,
conservami pulito questo mio ragazzo.
Non dico dalla gente, che non ho pensiero
di chi corre su e giù per la via
tutto occupato nelle sue faccende;
ma di te ho timore e del tuo cazzo
nemico d'ogni ragazzo, buono o cattivo
che sia. Quando comanda ficcalo dove
e come vuoi, se è ritto e sguainato.
Ti proibisco lui solo, non credo molto.
Ma se la tua pazzia, una passione insana
ti spingesse, scellerato, tanto nel crimine
da insidiare la stessa mia persona,
povero te, la sorte che ti viene:
divaricate le gambe, per quella porta
radici e pesci ti ficcherò dentro.
Carmen XVI
In bocca e in culo ve lo ficcherò,
Furio ed Aurelio, checche bocchinare
che per due pùsiole libertine
quasi un degenerato mi considerate.
Che debba esser pudico il pùta è giusto,
ma perchè lo dovrebbero i suoi versi?
Hanno una loro grazia ed eleganza
solo se son lascivi, spudorati
e riescono a svegliare un poco di prurito,
non dico nei fanciulli, ma in qualche caprone
con le reni inchiodate dall'artrite.
E voi, perchè leggete nei miei versi baci
su baci, mi ritenete un effeminato?
In bocca e in culo ve lo ficcherò.
Carmen XXI
Padre di tutti gli affamati che conosci
e di quelli che furono, sono e saranno
negli anni da venire, tu Aurelio,
desideri inculare l'amor mio
e non ne fai mistero: appiccicato a lui,
giochi, ti strofini, le provi tutte.
Non servirá: mentre mi tendi queste insidie
io prima te lo ficcher˜ in bocca.
E pace se tu lo facessi a pancia piena,
ma non posso tollerare, accidenti a me,
che il mio ragazzo impari a patir fame e sete.
Piantala dunque, giusto finchÈ sei in tempo,
che tu non debba farlo a cazzo in bocca.
Carmen XXIII
Furio mio, tu non hai schiavi, non hai denari,
non hai cimici o ragni, nè di che scaldarti,
ma hai un padre e una matrigna che coi denti
potrebbero macinare anche le pietre,
e con questo tuo genitore e la sua donna,
rinsecchita come un legno, tu vivi bene.
Non fa meraviglia: scoppiate di salute,
digerite d'incanto, non temete nulla,
nè gli incendi nè il crollo della casa
nè la malvagitá, l'insidia del veleno
o il pericolo di qualche altro incidente.
E in più, grazie al sole al freddo e alla fame,
avete il corpo più secco di un corno
o di quanto più arido vi sia.
Perchè mai non dovresti essere felice?
Non sudi, non hai una goccia in più di saliva,
nè un poco di catarro o di moccolo al naso.
E a questo candore aggiungine un altro:
poichè non cachi dieci volte all'anno
il tuo culo è più lindo di un cristallo
e ciò che fai è più duro di fave e ghiaia,
tanto che se lo stropicciassi fra le mani
non ti potresti sporcare nemmeno un dito.
Tutte queste comoditá non disprezzarle,
Furio mio, non considerarle una sciocchezza
mendicando di continuo quei centomila
sesterzi: smettila, sei ricco quanto basta.
Carmen XXXII
Ti prego, mia dolce Ipsililla,
amore mio, cocchina mia,
invitami da te nel pomeriggio.
Ma se decidi cos’, per favore,
non farmi trovare la porta giá sprangata
e cerca di non uscire, se puoi,
restatene in casa e preparami
nove scopate senza mai fermarci.
Se ne hai voglia, per˜, fallo subito:
sto qui disteso sazio dopo pranzo
e pancia all'aria sfondo tunica e mantello.
Carmen XXXVI
Annali di Volusio, cartacce di merda,
sciogliete la promessa della donna mia,
che a Venere e a Cupido ha fatto voto,
se da lei fossi tornato accettando
una tregua al mio violento sarcasmo,
di sacrificare alle fiamme di Vulcano
i versi migliori di un pessimo pùta
perchè bruciassero su maledetta legna.
Quella dolce canaglia sapeva benissimo
di fare voti come fossero uno scherzo.
E allora tu, figlia del mare azzurro,
tu che abiti sui monti sacri di Cipro,
nelle baie del Gargano, in Ancona,
nei canneti di Cnido, ad Amatunta e Golgi,
a Durazzo, emporio di tutto l'Adriatico,
se questo voto ha una sua grazia spiritosa,
accettalo e ritienilo pagato.
Ma ora tocca a voi: andatevene al rogo,
con tutta la vostra rozza stupiditá,
Annali di Volusio, cartacce di merda.
Carmen XXXVII
Puttanieri di quell'ignobile taverna
nove colonne oltre il tempio dei Dioscuri,
credete d'avere l'uccello solo voi,
di poter fottere le donne solo voi,
considerandoci tutti cornuti?
O forse perchè sedete cento o duecento
in fila come tanti idioti, non credete
che potrei incularvi tutti e duecento?
Credetelo, credetelo: su ogni muro
qui fuori scriverò che avete il culo rotto.
Fuggitami dalle braccia, la donna mia,
amata come amata non sará nessuna,
anche lei, che mi costrinse a tante battaglie,
siede tra voi. E come se ne foste degni
la chiavate tutti e non siete, maledetti,
che mezze canaglie, puttanieri da strada:
tu più di tutti, tu Egnazio, capellone
modello, nato fra i conigli della Spagna,
che ti fai bello di una barba incolta
e di denti sciacquati con la tua urina.
Carmen XXXVIII
Sta male, Cornificio, il tuo Catullo,
sta male, mio dio, e soffre
ogni giorno, ogni ora di più.
E tu nemmeno una parola,
quella che costa meno, la più facile.
Ti odio. Questo il tuo amore?
Una parola, una parola qualunque
più triste del pianto di Simonide.
Carmen XL
Quale strana pazzia ti getta, Rávido,
come uno sciocco in bocca alla mia collera?
Quale dio invocato malamente
ti spinge a questa stupida contesa?
per correre sulle labbra di tutti?
Che vuoi? esser famoso ad ogni costo?
Lo sarai, ma per la follia d'amare
chi amo, tu lo sarai con infamia.
Carmen IIL
Se i tuoi occhi di miele, Giovenzio,
mi fosse lecito baciare,
migliaia di volte io li bacerei
e non potrei esserne mai sazio,
anche se più fitta di spighe mature
fosse la messe dei miei baci.
CATULLO |
Mi sembra che sia simile ad un Dio
O se è lecito, più di un Dio
Colui che, sedendoti accanto
Ti osserva e ti ascolta ridere
Dolcemente; e ciò a me misero
Strappa ogni sensazione: infatti
Quando ti guardo, Lesbia,
non mi rimane neanche un po'
di voce, ma la lingua si intorpidisce,
un fuoco sottile mi cola nelle ossa
le orecchie mi ronzano
e i due occhi si coprono di notte.
Carmen LIII
Vuoi ridere? poco fa, accusandolo
in tribunale, il mio Calvo inchioda
Vatinio ai suoi delitti: entusiasta
uno del pubblico si sbraccia e grida:
'Gran dio, che oratore quel cazzetto!
Carmen LIV
Il miserabile cazzo di Ottone,
le gambe sporche e rozze d'Erio, il peto
sinistramente lieve di Libone,
a te e a Sufficio, quel vecchio rifatto,
almeno questo dovrebbe spiacere.
E torna pure ad incazzarti Cesare
generalissimo, contro i miei versi
innocenti.
Carmen LVI
Scherzo così divertente, Catone,
è giusto che tu lo sappia e ne rida.
Ridine per l'amore che mi porti:
credi, è uno scherzo troppo divertente.
Sorpreso un ragazzino che si fotte
una fanciulla, io, Venere mia,
col cazzo ritto, un fulmine, l'inculo.
Carmen LVII
Una bella coppia di canaglie fottute
quel finocchio di Mamurra e tu, Cesare.
Non è strano: macchiati delle stesse infamie,
a Formia o qui a Roma, se le portano
impresse e niente potrá cancellarle:
due gemelli infarciti di letteratura
sui vizi comuni allo stesso letto,
l'uno più avido dell'altro nel corrompere,
rivali e soci delle ragazzine.
Una bella coppia di canaglie fottute.
Carmen LVIII
Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia,
quella sola Lesbia che amavo
più di ogni cosa e di me stesso,
ora all'angolo dei vicoli spreme
questa gioventù dorata di Remo.
Carmen LX
Una leonessa sui monti di Libia o Scilla
che dentro ringhia sordamente, chi,
chi t'ha generato con l'animo così inumano
e duro da disprezzare il grido che t'implora
nella sventura estrema, cuore, cuore selvaggio?
Carmen LXV
L'angoscia sfibrante di un dolore senza tregua
mi distoglie, Ortalo, da ogni volontá di vivere
e nell'incertezza di questa sofferenza non penso più
di trovare nelle parole il conforto della poesia:
l'onda che nasce dal gorgo di Lete ora, ora
bagna il piede pallido ora di mio fratello:
strappato ai miei occhi, la terra di Troia
ora lo dissolve sotto il peso della sua collina.
Ti parlerò e non ti sentirò parlare,
mai, mai più ti rivedrò, fratello mio:
amato più della mia vita, sempre ti amerò,
sempre mi terrò in cuore il pianto per la tua morte,
come l'usignolo tra le ombre più folte dei rami
piange nel suo canto la sorte straziante di Iti.
Ma anche in così grande tristezza, Ortalo,
eccoti questi versi tradotti da Callimaco,
perchè tu non creda che, disperse nel vento,
le tue parole mi siano sfuggite dalla mente,
come scivola dal grembo di una ragazzina
il pomo che in segreto le donò l'innamorato,
quando, scordatasi d'averlo fra le pieghe della veste,
sussulta trasognata all'arrivo della madre
e le sguscia via: cade in terra il pomo rotolando
e il suo viso afflitto avvampa di vergogna.
L'angoscia sfibrante di un dolore senza tregua
mi distoglie, Ortalo, da ogni volontá di vivere
e nell'incertezza di questa sofferenza non penso più
di trovare nelle parole il conforto della poesia:
l'onda che nasce dal gorgo di Lete ora, ora
bagna il piede pallido ora di mio fratello:
strappato ai miei occhi, la terra di Troia
ora lo dissolve sotto il peso della sua collina.
Ti parlerò e non ti sentirò parlare,
mai, mai più ti rivedrò, fratello mio:
amato più della mia vita, sempre ti amerò,
sempre mi terrò in cuore il pianto per la tua morte,
come l'usignolo tra le ombre più folte dei rami
piange nel suo canto la sorte straziante di Iti.
Ma anche in così grande tristezza, Ortalo,
eccoti questi versi tradotti da Callimaco,
perchè tu non creda che, disperse nel vento,
le tue parole mi siano sfuggite dalla mente,
come scivola dal grembo di una ragazzina
il pomo che in segreto le donò l'innamorato,
quando, scordatasi d'averlo fra le pieghe della veste,
sussulta trasognata all'arrivo della madre
e le sguscia via: cade in terra il pomo rotolando
e il suo viso afflitto avvampa di vergogna.
Carmen LXIX
Non ti stupire se nessuna donna, Rufo,
vuol concederti il suo tenero corpo,
nemmeno se la tenti col dono prezioso
di una veste o la malia di un gioiello.
Hai una triste fama: sotto le tue ascelle
pare che viva un orrido caprone.
Questo il timore. Certo: è una mala bestia
e le belle donne con lei non dormono.
Allontana l'incubo di questo fetore
o non stupirti se quelle ti fuggono.
Carmen LXX
La mia donna dice che non vorrebbe unirsi a nessuno
se non a me, nemmeno se Giove in persona lo chiedesse.
Lo dice: ma ciò che la donna dice al bramoso amante
scrivilo nel vento e nell'acqua che scorre.
Carmen LXXIV
Gellio udiva sempre lo zio riprendere
chi parlasse o godesse d'amore.
Per evitarlo gli chiavò la moglie
rendendolo immagine stessa del silenzio.
Era il suo scopo: ora potrebbe anche
ficcarglielo in bocca, lo zio non fiaterebbe.
Carmen LXXX
Come mai, Gellio queste tue labbrucce di rosa
si fan più bianche della neve d'inverno,
quando il mattino esci di casa o quando verso sera
nei giorni d'estate ti scuoti dal tuo dolce riposo?
Non capisco. O forse è vero, come si mormora,
che sei ginocchioni un divoratore di cazzi?
Certo è così: lo gridano le reni rotte di Vittorio,
poveretto, e le tue labbra macchiate dello sperma succhiato.
Carmen LXXXV
Odio e amo. Mi chiedi come possa fare
Non lo so, ma sento che accade e soffro.
Carmen LXXXIII
Col marito Lesbia mi travolge d'ingiurie
e quello sciocco ne trae una gioia profonda.
Stronzo, non capisci? tacesse, m'avrebbe dimenticato,
sarebbe guarita, invece sbraita e m'insulta:
non solo ricorda, ma cosa ben più grave
è furente. Brucia d'amore, per questo parla.
RICOSTRUZIONE DELLE GROTTE DI CATULLO |
Mia Lesbia sei stata amata
da me in modo così totale
che in modo uguale amata
non c'è donna e non ci sarà.
Non si vedrà mai più
in amorosi legami
tanto rigore di fedeltà
quanto si vide in me
nell'amore che ti portai.
Carmen LXXXXII
Lesbia sparla sempre di me, senza respiro
di me: morissi se Lesbia non mi ama.
Lo so, son come lei: la copro ogni giorno
d'insulti, ma morissi se io non l'amo.
Carmen LXXXXIII
Non me ne importa niente di piacerti, Cesare,
nè di sapere se sei bianco o nero.
Carmen VC
Dopo nove inverni e nove estati di lavoro
finalmente la Zmyrna del mio Cinna è pubblicata,
mentre Ortensio mezzo milione di versi scrive all'anno...
La Zmyrna arriverá sino alle acque profonde
del Sátraco e ancora in secoli lontani sará letta.
Gli Annali di Volusio invece moriranno a Padova
o forniranno cartaccia per avvolgere gli sgombri.
Mi rimanga dunque in cuore il suo piccolo gioiello
e i profani si godano pure l'enfasi di Ant’maco.
Carmen IC
Mentre tu giocavi, dolcissimo Giovenzio,
io t'ho rubato un bacio più dolce del miele.
Ma l'ho pagato caro: crocifisso
per più di un'ora sono rimasto, ricordo,
a scusarmi con te senza che le mie lacrime
potessero spegnere la tua collera.
Subito ti sei asciugato le labbra umide
d'ogni goccia con tutte e due le mani,
perchÈ non restasse traccia della mia bocca
quasi fosse la sborrata d'una puttana.
E m'hai fatto subire tutte le torture
d'amore, ogni supplizio possibile:
cos’ quel bacio che m'era sembrato tanto
dolce, si è rivelato più amaro del fiele.
Se questa è la pena a cui condanni un amore
infelice, mai più ti ruber˜ un bacio.
Carmen CV
Fa di tutto quello stronzo per montare sul Pimpleo,
ma a colpi di forca giù lo precipitano le Muse.
Dopo nove inverni e nove estati di lavoro
finalmente la Zmyrna del mio Cinna è pubblicata,
mentre Ortensio mezzo milione di versi scrive all'anno...
La Zmyrna arriverá sino alle acque profonde
del Sátraco e ancora in secoli lontani sará letta.
Gli Annali di Volusio invece moriranno a Padova
o forniranno cartaccia per avvolgere gli sgombri.
Mi rimanga dunque in cuore il suo piccolo gioiello
e i profani si godano pure l'enfasi di Ant’maco.
Carmen IC
Mentre tu giocavi, dolcissimo Giovenzio,
io t'ho rubato un bacio più dolce del miele.
Ma l'ho pagato caro: crocifisso
per più di un'ora sono rimasto, ricordo,
a scusarmi con te senza che le mie lacrime
potessero spegnere la tua collera.
Subito ti sei asciugato le labbra umide
d'ogni goccia con tutte e due le mani,
perchÈ non restasse traccia della mia bocca
quasi fosse la sborrata d'una puttana.
E m'hai fatto subire tutte le torture
d'amore, ogni supplizio possibile:
cos’ quel bacio che m'era sembrato tanto
dolce, si è rivelato più amaro del fiele.
Se questa è la pena a cui condanni un amore
infelice, mai più ti ruber˜ un bacio.
Carmen CV
Fa di tutto quello stronzo per montare sul Pimpleo,
ma a colpi di forca giù lo precipitano le Muse.
Carmen CVII
Se contro ogni speranza ottieni
ci˜ che desideravi in cuore,
una gioia insolita ti prende.
E questa è la mia gioia,
più preziosa dell'oro:
a me tu ritorni, a me, Lesbia,
a un desiderio ormai senza speranza,
al mio desiderio ritorni,
a me, a me tu ti ridai.
O giorno luminoso!
Chi vivrá più felice?
chi potrá mai pensare vita
più, più desiderabile di questa?