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MANIO VALERIO VOLUSO MASSIMO

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Nome: Manio Valerio Voluso Massimo
Nascita: VI sec. a.c.
Morte: V sec. a.c.
Nipote di: Publio Valerio Publicola
Professione: Politico e militare

Manio Valerio Voluso Massimo (VI - V sec. a.c.), non si conoscono le date nè i luoghi della sua nascita nè della sua morte, anche se Livio riporta la notizia della morte di un augure Manio Valerio nel 463 a.c.. Si sa però che è stato dittatore nel 494 a.c..

Era il figlio di Marco Valerio Voluso Massimo, console nel 505 a.c., che, come narra Tito Livio, aveva partecipato alla Battaglia di Lago Regillo nel 496 a.c., agli ordini del dittatore Aulo Postumio Albo Regillense. Quando i Latini stavano per cedere, uno dei figli di Tarquinio il Superbo avanzò con il corpo degli esiliati romani riequilibrando la lotta. Allora Voluso si lanciò contro Tarquinio, ma cadde colpito dai nemici.

Era inoltre nipote di uno dei padri della repubblica, quel Publio Valerio Publicola che fu quattro volte console dal 509 al 504 a.c. Questi fu augure e dittatore e vinse varie guerre contro i Sabini e i Medulini, riportando anche un trionfo sui Veienti, ma soprattutto fu Publicola, cioè amico del popolo.

Manio proveniva da questi mitici generali romani, nonchè dalla gloriosa gens patrizia Valeria, di origine sabina, molto stimata sia dai patrizi che dai plebei. I Valerii ricoprirono infatti ben 74 volte la carica di Console. Furono rispettati e ben voluti dai plebei perchè spesso si batterono per far valere i loro diritti durante il primo periodo della repubblica.

Questa gens aveva la propria residenza sulla sommità della collina Velia, e godettero a Roma di straordinari privilegi, tra i quali quello di essere gli unici le cui porte si aprivano direttamente sulla strada; nel circo avevano un seggio speciale a loro riservato. Inoltre potevano seppellire i loro defunti all'interno delle mura della città, privilegio riservato a pochissime famiglie, che mantennero anche quando passarono dall'uso dell'inumazione a quello della cremazione.



L'ISCRIZIONE LAPIDEA

In una iscrizione marmorea di età augustea, scoperta ad Arezzo nel 1688, è riportato l’elogium di Manio Valerio:

MONETA DELLA GENS VALERIA CON LA VITTORIA SU UN LATO
E L'AQUILA LEGIONARIA SULL'ALTRO
M/ · Valerius
Volusi · f
Maximus
dictator · augur primus · quam
ullum · magistratum · gereret
dictator · dictus · est · triumphavit
de Sabinis · et · Medullinis · plebem
de sacro · monte · deduxit · gratiam
cum · patribus · reconciliavit · fae
nore · gravi · populum · senatus · hoc
eius · rei · auctore · liberavit · sellae
curulis · locus · ipsi · posterisque
ad Murciae · spectandi · caussa · datus
est · princeps · in senatum · semel
lectus · est.

per altri:

M (Anius) Valerius
Volusi . f (ilius)
Maximus
dittatore ed augure. Primus quam
ullum magistratum gereret
dittatore dictus est Triumphavit
de Sabini et Medullinis.
Plebem
de sacro monte deduxit gratiam
cum patribus reconciliavit.
hlelnore gravi populum senatus hoc
eius rei auctore liberavit. Sellae
curulis locus ipsi posterisque
ad Murciae spectandi caussa datus
est. Princeps in senatum semeil lectus est.


----------------------- Traduzione -----------------------

(Manio Valerio Massimo, figlio di Volusus, dittatore ed augure.
Prima di tenere qualsiasi magistratura, è stato dichiarato dittatore.
Ha celebrato un trionfo sui Sabini e la Medullini.
Ha guidato la plebe giù dal monte sacro
quando ha ristabilito un rapporto di amicizia con i Padri.
Il senato ha rilasciato la gente dal debito pesante
con lui come il promotore di quel movimento.
Un luogo con una sedia curule, con lo scopo di osservare,
è stato fornito per lui e per i suoi discendenti vicino il tempio di Murcia.
E 'stato nominato come Princeps al Senato una volta).

Secondo lo studioso Theodor Mommsen  questa iscrizione era stata posta da Augusto all’interno del Foro e una copia di essa era stata collocata anche ad Arezzo, unitamente ad altri sei elogia tratti da iscrizioni presenti in quel Foro. Erano i Padri della Patria che Augusto desiderò immortalare come statue e come elogio epigrafico affinchè non venissero dimenticati.



PATRIZI E PLEBEI

I consoli del 494 a.c., Tito Veturio Gemino Cicurino e Aulo Verginio Tricosto Celiomontano secondo quanto riferisce Tito Livio dovettero fronteggiare una situazione molto difficile, tanto fuori che dentro Roma.

MONETA DELLA GENS VALERIA CON LA VITTORIA SU UN LATO
E VALERIO FLACCO SULL'ALTRO.
Infatti alle frontiere i Sabini, gli Equi ed i Volsci, effettuavano scorrerie in territorio romano e latino (i Latini erano ormai alleati), preludio a imminenti battaglie, mentre a Roma i plebei, infuriati  per le promesse non mantenute, decisero di riunirsi sull'Esquilino e sull'Aventino, rifiutandosi di andare in guerra se non fossero state accolte le richieste e le promesse già fatte in precedenza, soprattutto quelle riguardanti la riduzione in schiavitù dei debitori.

Le promesse riguardavano gli editti di Publio Servilio Prisco Strutto stilati a favore dei plebei per cui : « ....più nessun cittadino romano poteva essere messo in catene o imprigionato, in modo da impedirgli di iscrivere il proprio nome nella lista di arruolamento dei consoli, nessuno poteva impossessarsi o vendere i beni di un soldato impegnato in guerra, né trattenere i suoi figli e i suoi nipoti. »

Non sapendo come agire i due consoli chiesero consiglio al Senato che si mostrò piuttosto infastidito dalla questione. I senatori dapprima risposero che i consoli dovevano saper decidere da soli ma in seguito ordinò loro di imporre la leva militare con la forza se fosse stato necessario. Ci fu così una rissa tra i plebei e i senatori presenti che proposero la nomina di un dittatore.

I senatori più giovani, avventandosi minacciosamente verso gli scranni dei consoli, intimarono loro di rassegnare le dimissioni e di rinunciare a quel potere che, per mancanza di temperamento, non riuscivano a far rispettare, proponendo il senatore Appio Claudio Sabino alla carica di Dittatore.

Ma i consoli e i senatori più anziani, preoccupandosi che quella carica, già di per sè vicina all'onnipotenza, non finisse in mano a un carattere violento e esaltato, elessero dittatore Manio Valerio, figlio di Voleso.

La nomina di Manio a dittatore rassicurò da subito la plebe di Roma, per la stima verso la gens di provenienza e la mitezza del suo carattere: « La plebe, pur rendendosi conto che la nomina di un dittatore avveniva a suo discapito, non temeva tristi sorprese o repressioni da quella famiglia visto che era stato proprio un fratello del neoeletto a far varare la legge sul diritto d'appello. In seguito un editto del dittatore confermò queste buone disposizioni perchè riproduceva a grandi linee quello del console Servilio ».
Venne scelto quindi Manio Valerio Massimo, e non Appio Claudio, per la sua personalità non aggressiva e molto più duttile rispetto a quella di Appio, nonché per la sua appartenenza alla gens Valeria, popolare tra la plebe. Alla fine Manlio riuscì a convincere i plebei a fare la leva, più che con la minaccia derivante dalla sua carica, con la conferma delle promesse fatte da Publio Servilio.



LE BATTAGLIE

Il popolo si fidò e rispose con entusiasmo alla chiamata alle armi, tanto che il dittatore poté organizzare 10 legioni, affidandone a ciascuno dei due consoli 3, e mantenendone così 4 sotto il proprio diretto controllo.

Decise poi che Aulo Verginio avrebbe condotto le proprie legioni contro i Volsci, Tito Veturio contro gli Equi, mentre lui si sarebbe opposto ai Sabini, con l'ausilio dalla cavalleria condotta dal magister equitum Quinto Servilio Prisco.

Manio Valerio, nonostante i Sabini in quel momento rappresentassero la minaccia più temibile per i romani, ne ebbe facilmente ragione, ottenendo per questo il trionfo.
 « ...Lanciatosi all'attacco con la cavalleria, aveva fatto il vuoto nel centro dell'esercito nemico, rimasto troppo scoperto per l'eccessiva apertura a ventaglio delle due ali. Nel bel mezzo di questo disordine subentrarono i fanti all'assalto. Con un solo e unico attacco presero l'accampamento e misero fine alla campagna..... »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 31)

Anche gli eserciti guidati da Tito Veturio e Aulo Verginio vinsero i propri nemici, e gli eserciti poterono tornare a Roma, con la speranza che le promesse fatte fossero stavolta mantenute.

LA SECESSIONE


LA SECESSIONE

Infatti Manio Valerio, che non aveva dimenticato nè la plebe nè i problemi dei debitori, ripresentò l'editto al senato, chiedendo un pronunciamento definitivo sulla insolvenza per debiti. Visto che la richiesta non fu approvata, Manio Valerio si dimise da Dittatore e Tito Veturio ed Aulo Verginio rientrarono nella pienezza dei loro poteri consolari fino alla fine dell'anno.

 « ...Infatti Valerio, dopo il rientro del console Vetusio, diede precedenza assoluta alla causa del popolo vincitore, portandola all'attenzione del senato e chiedendo un pronunciamento definitivo sugli insolventi per debiti. Visto che la richiesta non fu approvata, disse:

« Non placeo concordiae auctor. Optabitis, mediusfidius, propediem, ut mei similes Romana plebis patronos habeat. Quod ad me attinet, neque frustrabor ultra ciues meos neque ipse frustra dictator ero. Discordiae intestinae, bellum externum fecere ut hoc magistratu egeret res publica: pax foris parta est, domi impeditur; priuatus potius quam dictator seditioni interero»

« Io non vi piaccio perché cerco di portare concordia. Tra pochi giorni, ve lo garantisco, desidererete che la plebe abbia dei difensori come me. Per quel che mi riguarda, non ho intenzione di frustrare i miei concittadini né di continuare a farmi frustrare in qualità di dittatore. Questa magistratura era l'unica soluzione per uno Stato diviso tra urti interni e una guerra esterna: fuori è tornata la pace, mentre in città si fa di tutto per ostacolarla. Interverrò nei disordini da privato cittadino piuttosto che da dittatore. » 

Uscì quindi dalla curia e rassegnò le dimissioni.... »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)

Così Manio Valerio, constatato di non essere riuscito ad imporsi quale “concordiae auctor”, in quanto il senato non aveva accettato le sue proposte per la liberazione dei plebei dai debiti, abdicò dalla dittatura, «facendo al senato profezie» (Dionys., 6,43,2) sulla secessione della plebe.
Udito ciò i plebei si consultarono e per protesta si ritirano sul Monte Sacro, tre miglia fuori Roma sulla destra dell'Aniene dove si accamparono in un fortino, facendo mancare così ogni lavoro di artigianato necessario alla città.



IL RUOLO DI MANIO

La secessione rientrò poi per l'intervento di Menenio Agrippa che rivolse ai plebei il famoso apologo delle membra e dello stomaco, ma pure per la mediazione di Manio Valerio che riuscì prima a farli scendere dal Mons Sacrum, il Monte Sacro, e fu riconosciuto sia da Cicerone prima che da Valerio Massimo poi, come valentissimo oratore.

Manio Valerio, nonostante le dimissioni, o forse proprio per quello, perchè dimostrò la sua onestà alla plebe, ebbe un importante ruolo per tutta la durata della secessione. Infatti sia Livio che Dionigi colgono il nesso tra l’abdicazione di Manio Valerio dalla dittatura e l’inizio della secessione plebea. 
Ne ricevette infatti un elogium epigrafico in alcuni testi di Cicerone, di Dionigi di Alicarnasso, di Valerio Massimo e di Plutarco. 

Da queste sappiamo che Manio per primo ricoprì contemporaneamente la dittatura e l’augurato, come solo Quinto Fabio Massimo, Lucio Cornelio Silla e Caio Giulio Cesare dopo di lui faranno; e per primo egli ricevette l’onore della speciale denominazione di Maximus (Cic., Brut.; Plut., Pompeius), della quale solo molto tempo dopo sarà insignito anche Quinto Fabio.

Comunque, la liberazione dai debiti sarà formalmente deliberata dal senato nel 493 a.c., e grazie soprattutto a Manio Valerio, venne istituita infine una carica magistrale a difesa della plebe: il Tribuno della plebe. Questa carica era interdetta ai patrizi e venne sancito con una legge (la Lex Sacrata) che garantì in modo assoluto il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità (sacrosancti) della carica. Vennero quindi eletti i primi due tribuni della plebe, che furono Gaio Licinio e Lucio Albino.


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