LE LEGGI AGRARIE
Cassia. -
Spurio Cassio, console o tribuno, nel 486 a.c., presentò una legge per dividere il territorio conquistato agli Ernici, per una metà tra i Latini alleati di Roma, e per l'altra metà ai plebei. Il Senato rifiutò le concessioni ai Latini, ma accordò di dividere fra i plebei una metà del territorio Ernico. Non appena Cassio fu uscito di carica (269 a.c.), i patrizi lo misero a morte, dopo averlo fatto condannare per l'accusa di aver preso l'iniziativa di una legge agraria per diventare re con l'aiuto della plebe.
Sicinia. -
Presentata nel 487 a.c. da T. Sicinio, tribuno della plebe, proponeva che il territorio di Veio servisse a fondare una nuova città, identica a Roma, dove dovessero emigrare metà dei patrizi e metà dei plebei. Fu respinta dai comizi per un voto solo.
Licinia Sextia. -
Redatta nel 377 a.c. dai tribuni della plebe C. Licinio Stolone e L. Sestio Laterano; che per otto anni non riuscirono a presentarla ai comizi per il veto di altri colleghi. Nel 368 a.c. M. Furio Camillo riuscì ad impedire la votazione, ma dovette lasciare la carica. Il nuovo dittatore, M. Manlio Capitolino, tentò di conciliare patrizi e plebei e si dimise; finalmente nel 367 a.c. la legge venne approvata avendo il Senato bisogno dei plebei nell'imminenza di un'invasione dei Galli.
Sempronia I. -
Proposta da Tiberio Sempronio Gracco, eletto tribuno nel 133 a.c. con cui chiedeva la divisione in lotti con distribuzione ai cittadini poveri, di tutti i terreni già a libera disposizione dello stato, e di tutti gli altri terreni dei quali lo stato sarebbe rientrato in possesso per il ritiro stabilito dalla legge;
La legge fu approvata ma Tiberio fu assassinato, con trecento suoi partigiani, in un tumulto provocato dagli oligarchi. Dopo la morte del tribuno, le rivendicazioni vennero sospese.
Sempronia II. -
Caio Gracco, fratello di Tiberio, tribuno nel 123 a.c., presentò una nuova legge Sempronia agraria, molto simile alla legge di Tiberio; Caio fu ucciso in circostanze analoghe a quelle del fratello.
Nel 120 a.c., un'altra legge, della quale ignoriamo il proponente, tolse il divieto di alienare i terreni assegnati.
Thoria -
Tra il 118 e il 111 a.c. una nuova legge abolì le assegnazioni e sancì la rinunzia definitiva alle rivendicazioni volute dalla legge Sempronia.
Thoria -
Tra il 111 e il 108 a.c. un'altra legge sanciva che:
"Sono rimessi in possesso coloro i quali furono espulsi ingiustamente con la forza da terreni che essi occupavano a buon diritto".
Appuleia. -
Nel 100 a.c., L. Appuleio Saturnino propose che venissero distribuite ai soldati della guerra cimbrica, romani e italici, le terre che nella Gallia transpadana erano state annesse al demanio pubblico, e altre pure demaniali, in Sicilia, in Macedonia. La legge fu approvata nonostante l'opposizione vivissima del Senato. Qualche mese dopo, Saturnino fu trucidato col collega Glaucia, e la legge fu abrogata prima che ne fosse stata iniziata l'applicazione.
Titia.
- Proposta nel 99 a.c. da Sesto Tizio, tribuno della plebe, allo scopo di distribuire terre al popolo. Fu presentata ai comizi e approvata.
Livia II. -
Fu presentata nel 91 a.c. dal tribuno della plebe M. Livio Druso. per la fondazione di colonie da crearsi in Italia e in Sicilia:
a) coi terreni pubblici occupati sine iusta causa da cittadini romani e italici;
b) coi terreni pubblici affittati dai censori, fra i quali il famoso ager campanus (territorio di Capua).
La legge fu votata nei comizi, ma annullata dal Senato per difetto di forma. Druso tentò di applicarla lo stesso, fece nominare la commissione decemvirale, ma poco dopo venne ucciso da ignoti.
Corneliae. -
Emanate negli anni 82-81 a.c. da L. Cornelio Silla, che aveva eseguito immense confische di terre nella guerra sociale e nella guerra civile. Parte le fece vendere per un prezzo irrisorio ai suoi partigiani, o le lasciò addirittura occupare da persone a lui gradite senza alcun corrispettivo a vantaggio dello stato. Altri terreni assegnò invece ai suoi veterani, circa 120.000, in parcelle inalienabili.
Servilia. - Proposta nel 64 a.c. dal tribuno P. Servilio Rullo, ispirato da Cesare. La legge riconosceva valide tutte le vendite effettuate dallo stato, quindi anche le Sillane, e lo stato avrebbe provveduto all'acquisto di terre da assegnarsi a cittadini poveri. Rullo, prevedendo la sconfitta, ritirò la sua proposta prima che fosse messa in votazione.
Iulia. - Fu presentata nel 59 a.c. da Caio Giulio Cesare, conferma le vendite e le occupazioni Sillane; delibera assegnazioni inalienabili per venti anni a favore di cittadini poveri con almeno tre figlioli, e da effettuarsi con tutte le terre italiche ancora in possesso del demanio e che erano principalmente costituite dall'ager campanus e dal campus stellatis (tra il Volturno e il Savone). Ove queste non fossero bastate, la commissione esecutrice della legge era autorizzata a fare acquisti di terreni dai privati a un prezzo conforme alla stima dell'ultimo censo, e a spese pubbliche, cioè con le nuove rendite acquistate dallo stato, grazie alle conquiste asiatiche di Pompeo. La legge fu approvata non ostante l'ostilità del Senato. Nel solo ager campanus vennero fatte 20.000 assegnazioni in lotti di 10 iugeri; nel campus stellatis i lotti furono invece di 12 iugeri, per la minor fertilità del terreno.
Su dodici leggi agrarie di cui solo nove a favore del popolo, cinque promotori di quei nove vennero uccisi.
Cesare andò avanti comunque e in questo rischiò la sua vita, ottenne le leggi a favore dei poveri ma cercò pure di riconciliarsi con gli optimates. Egli sapeva che l'aristocrazia si ricostituisce sempre e comunque.
È contro questo compromesso che si mosse la minoranza fanatica dei congiurati. Narra Plutarco che, durante il suo primo consolato (59 a.c), Cesare, di fronte all'ostilità preconcetta del Senato verso le sue leggi agrarie, aveva gridato in faccia al Senato
"che lui controvoglia si faceva trascinare dalla parte del popolo, e ne assecondava le spinte: per colpa della tracotanza e della durezza oppressiva del Senato".
Ciononostante fu giudicato dalla parte degli optimates e con mire di regalità.
LE MIRE DI REGALITA'
Cesare fa scrivere nei Fasti che il console Antonio, per volontà del popolo (populi iussu) gli aveva offerto il regno, ma che egli non aveva voluto servirsene (uti noluisse). Secondo Dione, Antonio offrì il diadema a Cesare, ma questi lo rifiutò e fece iscrivere tale rifiuto nei Fasti.
Cesare compare in pubblico ai Lupercalia per la prima volta dopo che il senato gli ha conferito particolari onori, e cioè: veste purpurea, calzari d' oro e seggio coperto d'oro e d'avorio, ma soprattutto il titolo di Dittatore Perpetuo. E perchè allora i cesaricidi non hanno ucciso i senatori anzichè Cesare?
Secondo Appiano Cesare non sollecita i favori del popolo ma si limita ad accettarli, proibendo invece ai suoi amici di parlare della possibilità di farlo re. La sua esasperata reazione contro i tribuni Cesezio e Marullo, al ritorno dalla celebrazione delle Feriae Latinae sui Monti Albani, che insistono perchè accetti la monarchia, denota la sua irritazione, di cui poi si pente, dovuta al timore di suscitare opposizioni dal popolo, che ha sempre odiato la monarchia.
LA MORTE
"Andiamo là, dove i prodigi del cielo e l'ira dei miei nemici mi chiamano: il dado è tratto" (Cesare)
La morte, anzi l'assassinio di Caio Giulio Cesare fu un evento che scosse il mondo per secoli, e probabilmente cambiò la storia del mondo. Una catastrofe che sbigottì il mondo:
"Cum caput obscura nitidum ferrugine texit
Impiaque aeternam timuerunt saecula noctem".
Cesare soleva dire che "la sua sopravvivenza fisica non era di suo personale interesse, al contrario interessava soprattutto la Repubblica, perchè, se a lui fosse accaduto qualcosa, sarebbe precipitata in guerre civili di molto più gravi delle precedenti".
Certamente, Cesare era ben consapevole dei frequenti attentati nella politica romana e non sbagliò affatto, tenendo conto della guerra civile che dovette sostenere Roma e il nipote ed erede di Cesare: Caio Giulio Cesare Ottaviano.
Eppure Cesare, pur sapendo dei rischi nonostante la sua lungimirante clementia, prese una iniziativa assurda: congedò la scorta degli hispanici che abitualmente lo proteggevano. Un'inconscio desiderio di morte? Dopo pochi giorni fu ucciso, a tradimento, in Senato. Ventitré pugnalate di cui una sola mortale.
Cesare non volle creare nuove strutture del potere, era troppo intelligente per volerlo. Ideò invece un compromesso. Riutilizzò, dilatandone la durata nel tempo fino a farla illimitata, la dittatura: una magistratura «a tempo» prevista dall'ordinamento costituzionale romano. Lo aveva già fatto Silla, ma con quanto sangue e quanta crudeltà. Eppure Silla non venne ucciso.
Cesare assunse le legioni a lui fedelissime, per la sua grande capacità di generale e per la sua magnaminità verso i soldati, soprattutto nella guerra civile, nella quale la legalità la calpestarono tutti, cesariani, catoniani e pompeiani. Una volta ottenuta la vittoria nello scontro armato delle fazioni, cercò l'accordo con la maggior parte possibile della vecchia aristocrazia, ma allargò anche enormemente il Senato, portandolo a 900 membri. Doveva far mangiare le belve perchè non gli si rivoltassero contro.
I presagi
Si racconta che la morte di Cesare fosse preceduta da molti presagi: fuochi celesti, uccelli nel foro, e grida notturne. Pochi giorni prima, Cesare, mentre compiva un sacrificio, non riuscì a trovare il cuore della vittima, un presagio di malaugurio.
Sulla tomba del fondatore di Capua, Capi, fu trovata la scritta:"Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l'Italia."
Il giorno prima, Calpurnia, la moglie di Cesare, sognò che la casa le crollava addosso, e teneva tra le braccia il marito morto. Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a Giove.
Il giorno delle Idi di marzo, il 15, Calpurnia pregò il marito di restare in casa, ma Cesare, che la sera prima aveva detto, a casa di Lepido, che avrebbe preferito una morte improvvisa alla lenta vecchiaia, sebbene stesse poco bene, fu convinto da Bruto a recarsi in senato, riferendo che tutti i senatori si erano riuniti per nominarlo re.
Cesare uscendo incontrò un indovino, Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo, ma Cesare non riuscì a leggerlo per la folla che lo attorniava.
Forse l'indovino aveva captato voci sulla congiura, dato che spesso i Romani si rivolgevano agli indovini per affrontare un'impresa. Spesso fattucchiere e indovini e maghetti sanno delle persone più di tanti altri.
Lungo la strada verso il Senato, racconta Plutarco, un insegnante di greco di nome Artemidoro, amico di amici di Marco Giunio Bruto, gli mise tra mano un libello in cui gli denunciava la congiura, di cui qualcosa era trapelato. Ma Cesare non potè leggerlo. Intanto i congiurati erano già in Senato. Un tale si avvicinò a Casca e gli sibilò: "Tu ci nascondi il segreto, Casca, ma Bruto mi ha rivelato tutto", lasciandolo di sasso.
Giunto alla Curia di Pompeo, fu avvicinato dall'aruspice Spurinna, che lo aveva avvisato di guardarsi dalle Idi di marzo. Cesare gli disse che le Idi erano arrivate e nulla era successo ma Spurinna rispose che non erano ancora finite. E torna in mente lo scetticismo di Cesare di fronte agli indovini, che stavolta però non lo aiutò.
Popilio Lenate si avvicinò a Bruto e a Cassio e disse a bruciapelo: "Prego perché possiate compiere l'impresa che avete in mente. Vi esorto a far presto. La cosa ormai è risaputa".
In senato prese posto sullo scranno, attorniato dai congiurati che finsero di chiedere favori.
Mentre Bruto intratteneva Antonio fuori dalla Curia, al segnale Longo sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale.
Allora entrambi, narra Plutarco, cominciarono a urlare, Cesare in latino: "Scellerato Casca, che fai?". E lui, in greco, volgendosi al fratello: "Fratello, aiutami!".
Cesare si difese come una belva ferita, finché Bruto, che forse era figlio suo e di Servilia, sua amante, lo colpì all'inguine. e qui Cesare pronunciò le sue ultime parole: - Anche tu Bruto, figlio mio! -
Allora si coprì per morire composto, ben sapendo, come lo sapeva anche Socrate morente, che la morte è brutta da vedersi. Sembra ricevette 23 pugnalate. Strano tanto odio per un uomo che fu amato dal mondo intero, da allora ad oggi.
Era il 15 marzo del 44 a.c. Quasi nessuno degli assassini, nota Svetonio, gli sopravvisse più di tre anni e nessuno morì nel suo letto. La Curia in cui Cesare era stato ucciso venne murata e le idi di marzo proclamate «giorno del parricidio». Né fu più lecito convocare il Senato in quel giorno.
Anni dopo Augusto preferiva andare in Senato con la corazza sotto la toga, visto che nell'oligarchia romana poteva sempre allignare il tipo umano del «liberatore». E non solo, perchè nel suo stesso palazzo alloggiò ben 800 pretoriani, i soldati a guardia del princeps, tante volte scoppiasse una rivolta popolare per la stanchezza di avere come capo un uomo giusto e illuminato. Non dimentichiamo che il crudele Silla non subì mai attentati.
Uccidendolo, i congiurati eliminarono il più lucido e lungimirante esponente del loro ceto. A Roma essi persero il potere in pochi giorni, rifugiandosi perciò a organizzare la guerra civile in provincia facendo leva sulle loro clientele provinciali, con le lusinghe o con la violenza. E così risospinsero la repubblica per anni nella guerra civile. Si proclamarono «liberatori» e tali sono rimasti nell'immaginario di molti, grazie essenzialmente alla complice ignoranza dei posteri.
Cesare cadde, per ironia della sorte, sotto la statua di Pompeo, l'uomo che più di ogni altro gli era stato nemico, ma anche uno degli uomini che aveva stimato di più.
DISCORSO DI MARCO ANTONIO
dal GIULIO CESARE di SHAKESPEARE
- Ascoltatemi amici, romani, concittadini…
- Io vengo a seppellire Cesare non a lodarlo. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui.
- Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare.
- Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso. Grave colpa se ciò fosse vero e Cesare con grave pena l’avrebbe scontata.
- Ora io con il consenso di Bruto e degli altri poichè Bruto è uomo d’onore e anche gli altri. Tutti, tutti uomini d’onore…
- Io vengo a parlarvi di Cesare morto.
- Era mio amico. Fedele giusto con me… anche se Bruto afferma che era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
- Si è’ vero. Sul pianto dei miseri Cesare lacrimava.
- Un ambizioso dovrebbe avere scorza piu’ dura di questa.
- E tuttavia sostiene Bruto che egli era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
- Si è anche vero che tutti voi mi avete visto alle feste dei Lupercali tre volte offrire a Cesare la corona di Re e Cesare tre volte rifiutarla. Era ambizione la sua?
- E tuttavia è Bruto ad affermare che egli era ambizioso e Bruto, voi lo sapete, è uomo d’onore.
- Io non vengo qui a smentire Bruto ma soltanto a riferivi quello che io so.
- Tutti voi amaste Cesare un tempo, non senza causa. Quale causa vi vieta oggi di piangerlo. Perché o senno fuggi dagli uomini per rifugiarti tra le belve brute.
- Perdonatemi amici il mio cuore giace con Cesare in questa bara. Devo aspettare che esso torni a me.
- Soltanto fino a ieri la parola di Cesare scuoteva il mondo e ora giace qui in questa bara e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il rispetto signori.
- Signori se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Bruto, torto a Cassio, uomini d’onore, come sapete.
- No, no. Non farò loro un tal torto. Ohh… preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini d’onore quali essi sono.
- E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una pergamena con il sigillo di Cesare, il suo testamento.
- E bene se il popolo conoscesse questo testamento che io non posso farvi leggere perdonatemi, il popolo si getterebbe sulle ferite di Cesare per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro sangue, no…
- No amici no, voi non siete pietra nè legno ma uomini.
- Meglio per voi ignorare, ignorare… che Cesare vi aveva fatto suoi eredi.
- Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste. Dovrei… dovrei dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare?
- E allora qui tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a versarle.
- Tutti voi conoscete questo mantello. Io ricordo la prima sera che Cesare lo indossò. Era una sera d’estate, nella sua tenda, dopo la vittoria sui Nervii.
- Ebbene qui, ecco..Qui si è aperta la strada il pugnale di Cassio.
- Qui la rabbia di Casca. Qui pugnalò Bruto, il beneamato.
- E quando Bruto estrasse il suo coltello maledetto il sangue di Cesare lo inseguì vedete, si affacciò fin sull’uscio come per sincerarsi che proprio lui, Bruto avesse così brutalmente bussato alla sua porta.
Bruto, l’angelo di Cesare. Fu allora che il potente cuore si spezzò e con il volto coperto dal mantello, il grande Cesare cadde. Quale caduta concittadini, tutti… io, voi, tutti cademmo in quel momento mentre sangue e tradimento fiorivano su di noi.
- Che …ah… Adesso piangete? Senza aver visto le ferite del suo mantello?
- Guardate qui, Cesare stesso lacerato dai traditori…
- No… no, amici no, dolci amici… Buoni amici… Nooo… non fate che sia io a sollevarvi in questa tempesta di ribellione.
- Uomini d’onore sono coloro che hanno lacerato Cesare e io non sono l’oratore che è Bruto ma un uomo che amava il suo amico, e che vi parla semplice e schietto di ciò che voi stessi vedete e che di per sè stesso parla.
- Le ferite, le ferite… Del dolce Cesare… Povere bocche mute…
- Perché se io fossi Bruto e Bruto Antonio, qui ora ci sarebbe un Antonio che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferita di Cesare donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi.
Come erede principale a cui spettavano i tre quarti delle sue ricchezze, Cesare lasciò il giovane pronipote diciottenne Ottavio, che informato dell'uccisione del prozio, tornò a Roma per reclamare l'erdità. Coeredi minori furono Lucio Pinario e Quinto Pedio, ma solo Ottavio, si fregiò, in quanto figlio adottivo, del nome del prozio, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Cesare lasciò inoltre agli abitanti di Roma trecento sesterzi ciascuno e i suoi giardini sulle rive del Tevere.
« Allorchè fu aperto il testamento di Cesare e si scoprì che aveva lasciato a ciascun cittadino romano un dono considerevole in danaro, e la folla vide il suo corpo, che fu portato attraverso il Foro romano, tutto rovinato dai colpi di spada, non seppe più mantenere l'ordine e le disciplina. Il popolo raccolse dalla piazza alcuni banchi, transenne e tavoli, li accatastarono attorno alla salma, poi vi appiccarono il fuoco e la bruciarono con grande rapidità. Presero quindi dal rogo alcuni tizzoni ardenti e corsero verso le case degli assassini di Cesare con lo scopo di bruciarle. »
(Plutarco, Vite parallele, Cesare, 68.)
"Tuas aras tuaque sancta templa, dive Iuli, alacri corde, colo; propitio et faventi numine cives protege."
Il 20 marzo il corpo di Cesare fu cremato nel foro: i suoi assassini avevano pensato di gettarlo nel Tevere, ma non trovarono complici tra i Senatori che spaventati dall'accaduto erano scappati via.
Marco Antonio, il nuovo capo cesariano. fece costruire la pira nel campo Marzio, vicino alla tomba delle figlia di Cesare, Giulia, e fece collocare nel foro, vicino ai Rostri, un'edicola dove fece esporre la toga insanguinata di Cesare.
Una folla sfilò a Campo Marzio per portare doni e celebrare ludi in memoria del defunto. Antonio, lesse poi, come laudatio funebris, il decreto con cui il senato aveva conferito a Cesare tutti gli onori umani e divini, tradendolo poi nella congiura.
Fece trasportare il corpo del defunto per il foro, portato a braccio dai magistrati su un lenzuolo, in modo che fossero visibili le pugnalate.
Alcuni iniziarono a chiedere che il corpo fosse cremato nella curia di Pompeo o nella cella di Giove Capitolino, altri diedero fuoco in segno di onore al cataletto, e le fiamme furono subito alimentate dalla folla, che iniziò a gettarvi fascine, oggetti di legno e una pioggia di doni anche preziosi.
Il globo in bronzo dorato dell’obelisco vaticano, oggi nei Musei capitolini, per molto tempo si è creduto, per tradizione ma anche grazie a fonti del XII-XIII secolo, che al suo interno fossero custodite le ceneri del divo Giulio. Il globo era posto sulla sommità dell’obelisco portato da Caligola a Roma nel 37 e posto in cima alla spina del circo di Nerone. Secondo la tradizione dopo la morte di Cesare nel 44 le sue ceneri vennero collocate in un globo di bronzo sopra l'obelisco, con un'iscrizione alla base appunto su Cesare che fu rimossa e perduta.
Nei Mirabilia Urbis Romae, equivalente delle nostre moderne guide di viaggio per i pellegrini del XII sec., è citata la sepoltura delle ceneri di Cesare nella sfera dorata, che all'epoca richiamava non pochi visitatori, nonostante la diffida della chiesa nei confronti di questa ammirazione e curiosità pagana.
Finchè, urtato da tanta devozione per un pagano, nel 1586 Sisto V incaricò Domenico Fontana di spostare l'obelisco a piazza S. Pietro (presso cui stava del resto il circo di Nerone), e la sfera, smontata per l'occasione, si dichiarò contenere soltanto ruggine e ferro. Però il bronzo non produce ruggine nè tantomeno ferro, che fossero ceneri? Il fatto che il Papa la facesse togliere e sostituire con una croce ed uno stemma bronzeo della famiglia Chigi, entro cui avrebbe posto una reliquia della croce, suggerisce che la sfera bronzea contenesse ben altra reliquia di cui si dovevano togliere le tracce, quella di Cesare.
(Plutarco, Cesare, 69,4) «Tra i prodigi mandati dagli Dei si annovera una grande cometa che apparve per sette notti consecutive dopo l’eccidio di Cesare, ben visibile in cielo, e che quindi scomparve. I raggi stessi del sole si oscurarono: per tutto quell’anno il suo disco si alzò pallido e smorto al mattino, ed emanò un calore fioco e tenue. L’aria, essendo debole il tepore che di solito la rarefà, si mantenne caliginosa e pesante; i frutti maturarono a mezzo e rimasero imperfetti, avvizzendo tristemente per il freddo dell’atmosfera»
Nel 42, quando gli eserciti di Marco Antonio e Ottaviano stavano per attaccare quelli di Bruto e Cassio a Filippi, la figura di un uomo enorme e spaventoso apparve nella tenda di Bruto. Riconosciuta la figura di Cesare, chiese all'ombra chi fosse.
Essa rispose: "Il tuo cattivo demone, Bruto. Mi rivedrai a Filippi", e Bruto coraggiosamente rispose: "Ti vedrò".
Pochi giorni dopo, a Filippi, a sconfitta certa, Cassio si suicidò con il pugnale con cui aveva trafitto Cesare, e poco dopo lo seguì Bruto. Così, a due anni dall'assassinio di Cesare, tutti i congiurati persero la vita. Cesare era stato vendicato.
I PROGETTI MAI REALIZZATI CAUSA LA MORTE
« [...] [a Cesare] fecero concepire progetti di imprese ancora maggiori, suscitando in lui un desiderio di gloria, come se quella di cui godeva si fosse già esaurita [...] Preparava [...] una spedizione militare contro i Parti, e sottomessi costoro pensava di attraversare l'Ircania costeggiando il mar Caspio ed il Caucaso, di aggirare il Ponto, invadere la Scizia, percorrere le regioni vicine alla Germania e la Germania stessa, e sarebbe rientrato in Italia passando per la Gallia, chiudendo così in un cerchio i suoi domini, di cui l'Oceano avrebbe costituito tutto intorno il suo confine»
(Plutarco, Vite parallele - Cesare, 58)
« Cesare concepì l'idea di una lunga campagna contro i Geti [si intendono i Daci di Burebista] ed i Parti. I Geti sono una nazione che ama la guerra ed una nazione vicina, che doveva essere attaccata per prima, I Parti dovevano essere puniti per la perfidia usata contro Crasso.»
(Appiano di Alessandria, Guerra civile, 2.110.)
Ad Apollonia andavano concentrandosi ben 16 legioni e 10.000 cavalieri e la campagna militare doveva iniziare in primavera del 44 a.c., tre giorni dopo le famose idi di marzo. Ma Cesare fu ucciso e questo progetto gigantesco poté essere ripreso pochi anni più tardi, senza successo, da Marco Antonio, e in parte completato da Traiano, a cui si dovrà la conquista della Dacia e le campagne contro i Parti in Mesopotamia.
Gli scritti:
" Egli lasciò, relativamente alle sue gesta, i commentari della guerra contro i Galli e della guerra civile contro Pompeo. Infatti non è certo che sia l'autore anche di quelli alessandrini, dell'Africa e della Spagna. Alcuni, infatti, credono che sia Oppio, altri Irzio che inoltre aggiunse un ultimissimo libro non finito al (commentario) della guerra gallica.
Il nome "Cesare" rimane in molte lingue ancora oggi come sinonimo di comandante, o capo. Il tedesco Kaiser, il russo Zar ed il persiano Scià hanno la stessa radice del nome di Cesare, poichè la pronuncia latina del nome era Cáesar.
Cesare rimarrà il più grande imperatore e condottiero romano, una delle figure più geniali dell'antichità, e pure di grande fascino. Fece molte e grandi riforme in un solo anno di regno, non possiamo immaginare come avrebbe trasformato Roma e le sue leggi se non fosse stato stroncato dall'invidia degli uomini.
Ancor oggi, sulla sua ara nel Foro di Cesare, dopo duemila anni di storia, si depongono continuamente mazzi di fiori.
Si dice
Si dice che Cesare fu tanto ricordato perchè la sua storia tragico-romantica colpì l'animo degli storici e degli scrittori tanto da influenzare potentemente l'anima dei popoli che in ogni angolo della terra lo ricordano e ammirano. Perchè, forse Ottaviano Augusto che non fu mai assassinato fu forse dimenticato? E Lui per quanto imperatore illuminato non fu mai un generale così coraggioso e bravo stratega come Cesare, ne ebbe la sua poliedrica e vastissima intelligenza. Pure Ottaviano fu un imperatore mirabile e anche il suo nome fu perpetuato.
Gaio Giulio Cesare, considerato il primo Imperatore dell’Urbe, non lo fu mai in realtà. In un suo epigramma a Terenzio, Cesare scrisse infatti di sè: "Non sovrano ma Cesare." Sappiamo però che aveva molta considerazione di sè, e poca dei senatori e dei potenti, per cui quel Cesare contava per lui più di qualsiasi titolo onorifico. Spregiava inoltre la superstizione e gli indovini, come chiunque sia abituato a contare solo sulle sue forze, come accadrà nelle famose Idi di Marzo.
L'ISCRIZIONE A CALPURNIA, MOGLIE DI CESARE
LANCIANI
1300. BASILICA SALVATORIS IN LATERANO
Tanto era vivo il culto di Cesare nei secoli che si credettero le sue ceneri conservate nell'obelisco egizio oggi in piazza San Pietro, proveniente dal vicino circo di Nerone-Caligola in Vaticano.
Trasportato dall'Egitto come elemento decorativo della spina per il circo, l'obelisco era stato realizzato per Nencoreo, faraone della XII dinastia (1991-1786 a.c.) e collocato ad Heliopolis, città dalla quale Giulio Cesare lo fece trasferire ad Alessandria, capitale ellenistica dell'Egitto dei Tolomei, per adornare la città di Cleopatra.
L'obelisco fu lasciato al suo posto, col suo globo bronzeo dorato e l'iscrizione, poi perduta, che rimandava a Cesare. Viene da pensare che se c'era l'iscrizione c'erano davvero le ceneri di Cesare.
Nel corso del Medioevo il monumento venne chiamato l'aguglia e si tramandò che il grande globo posto sulla sommità dell'obelisco fosse l'urna cineraria di Gaio Giulio Cesare, del resto venne indicato come tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis Romae, ancora visitata dalla popolazione romana e straniera fino alla fine del XVI secolo.
Ma tutto ciò irritò molto papa Sisto V Peretti, che, infastidito dalla considerazione quasi religiosa per il globo dorato, decise di togliere l'antica sfera facendo riferire che era stata aperta e trovata vuota. Al suo posto sull'obelisco fu issata una croce bronzea contenente una reliquia della “vera Croce”, che invece era una reliquia vera: un pezzo di legno conservatosi per 1500 anni.
Alla faccia che i pali delle crocefissioni venissero ogni volta bruciate sul posto, essendo molto meno costoso e molto più pratico tagliate due pali che trasportare e poi mantenere un magazzino pieno di pali di legno che per giunta poteva facilmente andare a fuoco.
COME SAREBBE CAMBIATO IL MONDO SE CESARE NON FOSSE STATO ASSASSINATO?
Di certo Cesare avrebbe conquistato l'impero dei Parti, L'Impero partico (247 a.c. – 224 d.c.), era una delle maggiori potenze politiche e culturali iraniche nell'antica Persia, retto dalla dinastia arsacide, fondata dal primo re dei Parti, Arsace I, il quale, alla testa di una tribù nomade scitico-iranica dei Parni, fondò l'Impero nel III secolo a.c.. Al suo apogeo, nel I sec. a.c., l'Impero dei Parti si estendeva dalle rive dell'Eufrate (Turchia sudorientale) a ovest all'Iran orientale ad est. L'Impero, attraversato dal percorso commerciale della Via della seta che separava l'Impero romano nel bacino del Mediterraneo e l'Impero Han della Cina, divenne sede di traffici commerciali.
Probabilmente il mondo islamico non sarebbe diventato così fondamentalista, così arretrato e così ostile alle donne e alla cultura. Sarebbe insomma diventato civile. Probabilmente i romani avrebbero potuto spingersi fino alla Cina che a sua volta, come i paesi musulmani, avrebbe potuto giovarsi delle leggi romane, acquisendo un diritto e le scuole che avrebbero aperto gli occhi al popolo.
"sottomessi costoro (i Parti) pensava di attraversare l'Ircania costeggiando il mar Caspio ed il Caucaso, di aggirare il Ponto, invadere la Scizia, percorrere le regioni vicine alla Germania e la Germania stessa"
E come sarebbe oggi la Germania se Cesare all'epoca l'avesse conquistata? Di certo non sarebbe rimasta appartata per i secoli, chiusa nel suo mondo feroce e tribale, dove contavano solo i guerrieri mentre donne e bambini potevano essere uccisi impunemente. Avrebbero imparato il latino, avrebbero acquisite le leggi romane e i costumi romani, ma soprattutto le scuole romane.
Non avremmo avuto un Medioevo così oscuro e barbaro, perchè i barbari sarebbero diventati latini, e forse non avrebbero avuto un Hitler con relativo genocidio ebraico. In più non ci sarebbe stata una Germania ancor oggi bramosa di supremazia e potere che avrebbe tentato, riuscendoci, di sottomettere economicamente l'intera Europa, per giunta riuscendoci, Insomma non avremmo avuto una Merkel germano imperialista e chissà che oggi la lingua più diffusa nel mondo non sarebbe stato il latino.
E ciononostante:
« E' opera di Cesare se, dalla passata grandezza dell'Ellade e dell'Italia un ponte conduce all'edificio più magnifico della moderna storia del mondo, se l'Europa occidentale è romanza, se l'Europa germanica è classica... l'edificio di Cesare è durato oltre le migliaia d'anni che hanno cambiato religione e Stato al genere umano e che hanno mutato perfino il centro di gravità della Civiltà e continua ad esistere per quella che noi chiamiamo eternità.»
(Theodor Mommsen, La storia di Roma, V, 7.)
IL FATTO STORICO - OTTOBRE 31, 2012
L’archeologo spagnolo Antonio Monterroso sostiene di aver trovato il punto esatto dove venne accoltellato Giulio Cesare il 14 marzo del 44 a.c. Nell’ingresso della Curia di Pompeo, che le fonti indicano come il luogo dell’assassinio (oggi sito in Largo Argentina), c’è un muro di cemento in cui sarebbe stato collocato lo scranno di Cesare.
Tuttavia, per l’archeologo Andrea Carandini, i segreti della Curia di Pompeo sono nascosti oltre quel muro cementizio: «Conosco bene quella tamponatura sovrastata da un pino, ma non riguarda l’ingresso della Curia bensì il retro. La Curia si apriva infatti dalla parte opposta».
«Se dalla strada dove è la stazione del tram ci si affaccia sui ruderi, si osserva, subito al di sotto e dietro al tempio rotondo, un muro che ingloba una nicchia, dalla quale spunta un pino. È la nicchia del salone (440 mq) in cui era alloggiata la statua di Pompeo, ai piedi della quale cadde Cesare. Muro e nicchia sono il retro della Curia di Pompeo, che per il resto si estende sotto la strada».
Lo studioso, che ha ricostruito nel dettaglio la posizione della Curia di Pompeo (il risultato è visibile nel nuovo Atlante di Roma Antica da lui curato per Electa) propone di scavare «tutta l’area della curia di Pompeo. L’area sacra ha bisogno di valorizzazione, e al momento non accade».
E ci sarebbe anche una grande opportunità per farlo: «Lo spostamento del capolinea del tram numero 8 sarebbe l’ occasione– prosegue Carandini – per mettere in luce la Curia (resterebbero da scavare 1.740 metri quadrati). Così si potrebbe accedere, dietro ai templi, al salone dello straordinario evento. Un Paese civile si precipiterebbe…».
«Nella “Vita di Cesare” di Plutarco leggiamo: “Cesare si accasciò contro il piedistallo su cui era la statua di Pompeo. Fu inondato di sangue, sicché parve che Pompeo stesso guidasse la punizione del rivale disteso ai suoi piedi”. Secondo lo storico, Cesare cadde sul pulpito al di sotto la statua, che aveva ai lati – sopra bassi gradini? – i seggi dei senatori…».
BEN DETTO CARANDINI, UN PAESE CIVILE SI PRECIPITEREBBE....
"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore"
(Theodor Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V .. XI)
Cassia. -
Spurio Cassio, console o tribuno, nel 486 a.c., presentò una legge per dividere il territorio conquistato agli Ernici, per una metà tra i Latini alleati di Roma, e per l'altra metà ai plebei. Il Senato rifiutò le concessioni ai Latini, ma accordò di dividere fra i plebei una metà del territorio Ernico. Non appena Cassio fu uscito di carica (269 a.c.), i patrizi lo misero a morte, dopo averlo fatto condannare per l'accusa di aver preso l'iniziativa di una legge agraria per diventare re con l'aiuto della plebe.
Sicinia. -
Presentata nel 487 a.c. da T. Sicinio, tribuno della plebe, proponeva che il territorio di Veio servisse a fondare una nuova città, identica a Roma, dove dovessero emigrare metà dei patrizi e metà dei plebei. Fu respinta dai comizi per un voto solo.
Licinia Sextia. -
Redatta nel 377 a.c. dai tribuni della plebe C. Licinio Stolone e L. Sestio Laterano; che per otto anni non riuscirono a presentarla ai comizi per il veto di altri colleghi. Nel 368 a.c. M. Furio Camillo riuscì ad impedire la votazione, ma dovette lasciare la carica. Il nuovo dittatore, M. Manlio Capitolino, tentò di conciliare patrizi e plebei e si dimise; finalmente nel 367 a.c. la legge venne approvata avendo il Senato bisogno dei plebei nell'imminenza di un'invasione dei Galli.
Sempronia I. -
Proposta da Tiberio Sempronio Gracco, eletto tribuno nel 133 a.c. con cui chiedeva la divisione in lotti con distribuzione ai cittadini poveri, di tutti i terreni già a libera disposizione dello stato, e di tutti gli altri terreni dei quali lo stato sarebbe rientrato in possesso per il ritiro stabilito dalla legge;
La legge fu approvata ma Tiberio fu assassinato, con trecento suoi partigiani, in un tumulto provocato dagli oligarchi. Dopo la morte del tribuno, le rivendicazioni vennero sospese.
Sempronia II. -
Caio Gracco, fratello di Tiberio, tribuno nel 123 a.c., presentò una nuova legge Sempronia agraria, molto simile alla legge di Tiberio; Caio fu ucciso in circostanze analoghe a quelle del fratello.
Nel 120 a.c., un'altra legge, della quale ignoriamo il proponente, tolse il divieto di alienare i terreni assegnati.
Thoria -
Tra il 118 e il 111 a.c. una nuova legge abolì le assegnazioni e sancì la rinunzia definitiva alle rivendicazioni volute dalla legge Sempronia.
Thoria -
Tra il 111 e il 108 a.c. un'altra legge sanciva che:
"Sono rimessi in possesso coloro i quali furono espulsi ingiustamente con la forza da terreni che essi occupavano a buon diritto".
Appuleia. -
Nel 100 a.c., L. Appuleio Saturnino propose che venissero distribuite ai soldati della guerra cimbrica, romani e italici, le terre che nella Gallia transpadana erano state annesse al demanio pubblico, e altre pure demaniali, in Sicilia, in Macedonia. La legge fu approvata nonostante l'opposizione vivissima del Senato. Qualche mese dopo, Saturnino fu trucidato col collega Glaucia, e la legge fu abrogata prima che ne fosse stata iniziata l'applicazione.
Titia.
- Proposta nel 99 a.c. da Sesto Tizio, tribuno della plebe, allo scopo di distribuire terre al popolo. Fu presentata ai comizi e approvata.
Livia II. -
Fu presentata nel 91 a.c. dal tribuno della plebe M. Livio Druso. per la fondazione di colonie da crearsi in Italia e in Sicilia:
a) coi terreni pubblici occupati sine iusta causa da cittadini romani e italici;
b) coi terreni pubblici affittati dai censori, fra i quali il famoso ager campanus (territorio di Capua).
La legge fu votata nei comizi, ma annullata dal Senato per difetto di forma. Druso tentò di applicarla lo stesso, fece nominare la commissione decemvirale, ma poco dopo venne ucciso da ignoti.
Corneliae. -
Emanate negli anni 82-81 a.c. da L. Cornelio Silla, che aveva eseguito immense confische di terre nella guerra sociale e nella guerra civile. Parte le fece vendere per un prezzo irrisorio ai suoi partigiani, o le lasciò addirittura occupare da persone a lui gradite senza alcun corrispettivo a vantaggio dello stato. Altri terreni assegnò invece ai suoi veterani, circa 120.000, in parcelle inalienabili.
Servilia. - Proposta nel 64 a.c. dal tribuno P. Servilio Rullo, ispirato da Cesare. La legge riconosceva valide tutte le vendite effettuate dallo stato, quindi anche le Sillane, e lo stato avrebbe provveduto all'acquisto di terre da assegnarsi a cittadini poveri. Rullo, prevedendo la sconfitta, ritirò la sua proposta prima che fosse messa in votazione.
Iulia. - Fu presentata nel 59 a.c. da Caio Giulio Cesare, conferma le vendite e le occupazioni Sillane; delibera assegnazioni inalienabili per venti anni a favore di cittadini poveri con almeno tre figlioli, e da effettuarsi con tutte le terre italiche ancora in possesso del demanio e che erano principalmente costituite dall'ager campanus e dal campus stellatis (tra il Volturno e il Savone). Ove queste non fossero bastate, la commissione esecutrice della legge era autorizzata a fare acquisti di terreni dai privati a un prezzo conforme alla stima dell'ultimo censo, e a spese pubbliche, cioè con le nuove rendite acquistate dallo stato, grazie alle conquiste asiatiche di Pompeo. La legge fu approvata non ostante l'ostilità del Senato. Nel solo ager campanus vennero fatte 20.000 assegnazioni in lotti di 10 iugeri; nel campus stellatis i lotti furono invece di 12 iugeri, per la minor fertilità del terreno.
Su dodici leggi agrarie di cui solo nove a favore del popolo, cinque promotori di quei nove vennero uccisi.
Cesare andò avanti comunque e in questo rischiò la sua vita, ottenne le leggi a favore dei poveri ma cercò pure di riconciliarsi con gli optimates. Egli sapeva che l'aristocrazia si ricostituisce sempre e comunque.
È contro questo compromesso che si mosse la minoranza fanatica dei congiurati. Narra Plutarco che, durante il suo primo consolato (59 a.c), Cesare, di fronte all'ostilità preconcetta del Senato verso le sue leggi agrarie, aveva gridato in faccia al Senato
"che lui controvoglia si faceva trascinare dalla parte del popolo, e ne assecondava le spinte: per colpa della tracotanza e della durezza oppressiva del Senato".
Ciononostante fu giudicato dalla parte degli optimates e con mire di regalità.
LE MIRE DI REGALITA'
Cesare fa scrivere nei Fasti che il console Antonio, per volontà del popolo (populi iussu) gli aveva offerto il regno, ma che egli non aveva voluto servirsene (uti noluisse). Secondo Dione, Antonio offrì il diadema a Cesare, ma questi lo rifiutò e fece iscrivere tale rifiuto nei Fasti.
Cesare compare in pubblico ai Lupercalia per la prima volta dopo che il senato gli ha conferito particolari onori, e cioè: veste purpurea, calzari d' oro e seggio coperto d'oro e d'avorio, ma soprattutto il titolo di Dittatore Perpetuo. E perchè allora i cesaricidi non hanno ucciso i senatori anzichè Cesare?
Secondo Appiano Cesare non sollecita i favori del popolo ma si limita ad accettarli, proibendo invece ai suoi amici di parlare della possibilità di farlo re. La sua esasperata reazione contro i tribuni Cesezio e Marullo, al ritorno dalla celebrazione delle Feriae Latinae sui Monti Albani, che insistono perchè accetti la monarchia, denota la sua irritazione, di cui poi si pente, dovuta al timore di suscitare opposizioni dal popolo, che ha sempre odiato la monarchia.
LA MORTE
"Andiamo là, dove i prodigi del cielo e l'ira dei miei nemici mi chiamano: il dado è tratto" (Cesare)
La morte, anzi l'assassinio di Caio Giulio Cesare fu un evento che scosse il mondo per secoli, e probabilmente cambiò la storia del mondo. Una catastrofe che sbigottì il mondo:
"Cum caput obscura nitidum ferrugine texit
Impiaque aeternam timuerunt saecula noctem".
Cesare soleva dire che "la sua sopravvivenza fisica non era di suo personale interesse, al contrario interessava soprattutto la Repubblica, perchè, se a lui fosse accaduto qualcosa, sarebbe precipitata in guerre civili di molto più gravi delle precedenti".
Certamente, Cesare era ben consapevole dei frequenti attentati nella politica romana e non sbagliò affatto, tenendo conto della guerra civile che dovette sostenere Roma e il nipote ed erede di Cesare: Caio Giulio Cesare Ottaviano.
Eppure Cesare, pur sapendo dei rischi nonostante la sua lungimirante clementia, prese una iniziativa assurda: congedò la scorta degli hispanici che abitualmente lo proteggevano. Un'inconscio desiderio di morte? Dopo pochi giorni fu ucciso, a tradimento, in Senato. Ventitré pugnalate di cui una sola mortale.
Cesare non volle creare nuove strutture del potere, era troppo intelligente per volerlo. Ideò invece un compromesso. Riutilizzò, dilatandone la durata nel tempo fino a farla illimitata, la dittatura: una magistratura «a tempo» prevista dall'ordinamento costituzionale romano. Lo aveva già fatto Silla, ma con quanto sangue e quanta crudeltà. Eppure Silla non venne ucciso.
Cesare assunse le legioni a lui fedelissime, per la sua grande capacità di generale e per la sua magnaminità verso i soldati, soprattutto nella guerra civile, nella quale la legalità la calpestarono tutti, cesariani, catoniani e pompeiani. Una volta ottenuta la vittoria nello scontro armato delle fazioni, cercò l'accordo con la maggior parte possibile della vecchia aristocrazia, ma allargò anche enormemente il Senato, portandolo a 900 membri. Doveva far mangiare le belve perchè non gli si rivoltassero contro.
I presagi
Si racconta che la morte di Cesare fosse preceduta da molti presagi: fuochi celesti, uccelli nel foro, e grida notturne. Pochi giorni prima, Cesare, mentre compiva un sacrificio, non riuscì a trovare il cuore della vittima, un presagio di malaugurio.
CALPURNIA AVVERTE CESARE DEL PRESAGIO |
Il giorno prima, Calpurnia, la moglie di Cesare, sognò che la casa le crollava addosso, e teneva tra le braccia il marito morto. Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a Giove.
Il giorno delle Idi di marzo, il 15, Calpurnia pregò il marito di restare in casa, ma Cesare, che la sera prima aveva detto, a casa di Lepido, che avrebbe preferito una morte improvvisa alla lenta vecchiaia, sebbene stesse poco bene, fu convinto da Bruto a recarsi in senato, riferendo che tutti i senatori si erano riuniti per nominarlo re.
Cesare uscendo incontrò un indovino, Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo, ma Cesare non riuscì a leggerlo per la folla che lo attorniava.
Forse l'indovino aveva captato voci sulla congiura, dato che spesso i Romani si rivolgevano agli indovini per affrontare un'impresa. Spesso fattucchiere e indovini e maghetti sanno delle persone più di tanti altri.
Lungo la strada verso il Senato, racconta Plutarco, un insegnante di greco di nome Artemidoro, amico di amici di Marco Giunio Bruto, gli mise tra mano un libello in cui gli denunciava la congiura, di cui qualcosa era trapelato. Ma Cesare non potè leggerlo. Intanto i congiurati erano già in Senato. Un tale si avvicinò a Casca e gli sibilò: "Tu ci nascondi il segreto, Casca, ma Bruto mi ha rivelato tutto", lasciandolo di sasso.
Giunto alla Curia di Pompeo, fu avvicinato dall'aruspice Spurinna, che lo aveva avvisato di guardarsi dalle Idi di marzo. Cesare gli disse che le Idi erano arrivate e nulla era successo ma Spurinna rispose che non erano ancora finite. E torna in mente lo scetticismo di Cesare di fronte agli indovini, che stavolta però non lo aiutò.
Popilio Lenate si avvicinò a Bruto e a Cassio e disse a bruciapelo: "Prego perché possiate compiere l'impresa che avete in mente. Vi esorto a far presto. La cosa ormai è risaputa".
In senato prese posto sullo scranno, attorniato dai congiurati che finsero di chiedere favori.
Mentre Bruto intratteneva Antonio fuori dalla Curia, al segnale Longo sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale.
Allora entrambi, narra Plutarco, cominciarono a urlare, Cesare in latino: "Scellerato Casca, che fai?". E lui, in greco, volgendosi al fratello: "Fratello, aiutami!".
Cesare si difese come una belva ferita, finché Bruto, che forse era figlio suo e di Servilia, sua amante, lo colpì all'inguine. e qui Cesare pronunciò le sue ultime parole: - Anche tu Bruto, figlio mio! -
Allora si coprì per morire composto, ben sapendo, come lo sapeva anche Socrate morente, che la morte è brutta da vedersi. Sembra ricevette 23 pugnalate. Strano tanto odio per un uomo che fu amato dal mondo intero, da allora ad oggi.
Era il 15 marzo del 44 a.c. Quasi nessuno degli assassini, nota Svetonio, gli sopravvisse più di tre anni e nessuno morì nel suo letto. La Curia in cui Cesare era stato ucciso venne murata e le idi di marzo proclamate «giorno del parricidio». Né fu più lecito convocare il Senato in quel giorno.
Anni dopo Augusto preferiva andare in Senato con la corazza sotto la toga, visto che nell'oligarchia romana poteva sempre allignare il tipo umano del «liberatore». E non solo, perchè nel suo stesso palazzo alloggiò ben 800 pretoriani, i soldati a guardia del princeps, tante volte scoppiasse una rivolta popolare per la stanchezza di avere come capo un uomo giusto e illuminato. Non dimentichiamo che il crudele Silla non subì mai attentati.
Uccidendolo, i congiurati eliminarono il più lucido e lungimirante esponente del loro ceto. A Roma essi persero il potere in pochi giorni, rifugiandosi perciò a organizzare la guerra civile in provincia facendo leva sulle loro clientele provinciali, con le lusinghe o con la violenza. E così risospinsero la repubblica per anni nella guerra civile. Si proclamarono «liberatori» e tali sono rimasti nell'immaginario di molti, grazie essenzialmente alla complice ignoranza dei posteri.
Cesare cadde, per ironia della sorte, sotto la statua di Pompeo, l'uomo che più di ogni altro gli era stato nemico, ma anche uno degli uomini che aveva stimato di più.
DISCORSO DI MARCO ANTONIO |
DISCORSO DI MARCO ANTONIO
dal GIULIO CESARE di SHAKESPEARE
- Ascoltatemi amici, romani, concittadini…
- Io vengo a seppellire Cesare non a lodarlo. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui.
- Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare.
- Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso. Grave colpa se ciò fosse vero e Cesare con grave pena l’avrebbe scontata.
- Ora io con il consenso di Bruto e degli altri poichè Bruto è uomo d’onore e anche gli altri. Tutti, tutti uomini d’onore…
- Io vengo a parlarvi di Cesare morto.
- Era mio amico. Fedele giusto con me… anche se Bruto afferma che era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
- Si è’ vero. Sul pianto dei miseri Cesare lacrimava.
- Un ambizioso dovrebbe avere scorza piu’ dura di questa.
- E tuttavia sostiene Bruto che egli era ambizioso e Bruto è uomo d’onore.
- Si è anche vero che tutti voi mi avete visto alle feste dei Lupercali tre volte offrire a Cesare la corona di Re e Cesare tre volte rifiutarla. Era ambizione la sua?
- E tuttavia è Bruto ad affermare che egli era ambizioso e Bruto, voi lo sapete, è uomo d’onore.
- Io non vengo qui a smentire Bruto ma soltanto a riferivi quello che io so.
- Tutti voi amaste Cesare un tempo, non senza causa. Quale causa vi vieta oggi di piangerlo. Perché o senno fuggi dagli uomini per rifugiarti tra le belve brute.
- Perdonatemi amici il mio cuore giace con Cesare in questa bara. Devo aspettare che esso torni a me.
- Soltanto fino a ieri la parola di Cesare scuoteva il mondo e ora giace qui in questa bara e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il rispetto signori.
- Signori se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Bruto, torto a Cassio, uomini d’onore, come sapete.
- No, no. Non farò loro un tal torto. Ohh… preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini d’onore quali essi sono.
- E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una pergamena con il sigillo di Cesare, il suo testamento.
- E bene se il popolo conoscesse questo testamento che io non posso farvi leggere perdonatemi, il popolo si getterebbe sulle ferite di Cesare per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro sangue, no…
- No amici no, voi non siete pietra nè legno ma uomini.
- Meglio per voi ignorare, ignorare… che Cesare vi aveva fatto suoi eredi.
- Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste. Dovrei… dovrei dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare?
- E allora qui tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a versarle.
- Tutti voi conoscete questo mantello. Io ricordo la prima sera che Cesare lo indossò. Era una sera d’estate, nella sua tenda, dopo la vittoria sui Nervii.
- Ebbene qui, ecco..Qui si è aperta la strada il pugnale di Cassio.
- Qui la rabbia di Casca. Qui pugnalò Bruto, il beneamato.
- E quando Bruto estrasse il suo coltello maledetto il sangue di Cesare lo inseguì vedete, si affacciò fin sull’uscio come per sincerarsi che proprio lui, Bruto avesse così brutalmente bussato alla sua porta.
Bruto, l’angelo di Cesare. Fu allora che il potente cuore si spezzò e con il volto coperto dal mantello, il grande Cesare cadde. Quale caduta concittadini, tutti… io, voi, tutti cademmo in quel momento mentre sangue e tradimento fiorivano su di noi.
- Che …ah… Adesso piangete? Senza aver visto le ferite del suo mantello?
- Guardate qui, Cesare stesso lacerato dai traditori…
- No… no, amici no, dolci amici… Buoni amici… Nooo… non fate che sia io a sollevarvi in questa tempesta di ribellione.
- Uomini d’onore sono coloro che hanno lacerato Cesare e io non sono l’oratore che è Bruto ma un uomo che amava il suo amico, e che vi parla semplice e schietto di ciò che voi stessi vedete e che di per sè stesso parla.
- Le ferite, le ferite… Del dolce Cesare… Povere bocche mute…
- Perché se io fossi Bruto e Bruto Antonio, qui ora ci sarebbe un Antonio che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferita di Cesare donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi.
IL TESTAMENTO
Come erede principale a cui spettavano i tre quarti delle sue ricchezze, Cesare lasciò il giovane pronipote diciottenne Ottavio, che informato dell'uccisione del prozio, tornò a Roma per reclamare l'erdità. Coeredi minori furono Lucio Pinario e Quinto Pedio, ma solo Ottavio, si fregiò, in quanto figlio adottivo, del nome del prozio, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Cesare lasciò inoltre agli abitanti di Roma trecento sesterzi ciascuno e i suoi giardini sulle rive del Tevere.
« Allorchè fu aperto il testamento di Cesare e si scoprì che aveva lasciato a ciascun cittadino romano un dono considerevole in danaro, e la folla vide il suo corpo, che fu portato attraverso il Foro romano, tutto rovinato dai colpi di spada, non seppe più mantenere l'ordine e le disciplina. Il popolo raccolse dalla piazza alcuni banchi, transenne e tavoli, li accatastarono attorno alla salma, poi vi appiccarono il fuoco e la bruciarono con grande rapidità. Presero quindi dal rogo alcuni tizzoni ardenti e corsero verso le case degli assassini di Cesare con lo scopo di bruciarle. »
(Plutarco, Vite parallele, Cesare, 68.)
"O divo Giulio, io venero con cuore lieto le tue are e i tuoi santi templi; con una propizia e favorevole potenza divina proteggi i cittadini."
Il 20 marzo il corpo di Cesare fu cremato nel foro: i suoi assassini avevano pensato di gettarlo nel Tevere, ma non trovarono complici tra i Senatori che spaventati dall'accaduto erano scappati via.
Marco Antonio, il nuovo capo cesariano. fece costruire la pira nel campo Marzio, vicino alla tomba delle figlia di Cesare, Giulia, e fece collocare nel foro, vicino ai Rostri, un'edicola dove fece esporre la toga insanguinata di Cesare.
Una folla sfilò a Campo Marzio per portare doni e celebrare ludi in memoria del defunto. Antonio, lesse poi, come laudatio funebris, il decreto con cui il senato aveva conferito a Cesare tutti gli onori umani e divini, tradendolo poi nella congiura.
Fece trasportare il corpo del defunto per il foro, portato a braccio dai magistrati su un lenzuolo, in modo che fossero visibili le pugnalate.
Alcuni iniziarono a chiedere che il corpo fosse cremato nella curia di Pompeo o nella cella di Giove Capitolino, altri diedero fuoco in segno di onore al cataletto, e le fiamme furono subito alimentate dalla folla, che iniziò a gettarvi fascine, oggetti di legno e una pioggia di doni anche preziosi.
LE CENERI DI CESARE
Il globo in bronzo dorato dell’obelisco vaticano, oggi nei Musei capitolini, per molto tempo si è creduto, per tradizione ma anche grazie a fonti del XII-XIII secolo, che al suo interno fossero custodite le ceneri del divo Giulio. Il globo era posto sulla sommità dell’obelisco portato da Caligola a Roma nel 37 e posto in cima alla spina del circo di Nerone. Secondo la tradizione dopo la morte di Cesare nel 44 le sue ceneri vennero collocate in un globo di bronzo sopra l'obelisco, con un'iscrizione alla base appunto su Cesare che fu rimossa e perduta.
Nei Mirabilia Urbis Romae, equivalente delle nostre moderne guide di viaggio per i pellegrini del XII sec., è citata la sepoltura delle ceneri di Cesare nella sfera dorata, che all'epoca richiamava non pochi visitatori, nonostante la diffida della chiesa nei confronti di questa ammirazione e curiosità pagana.
Finchè, urtato da tanta devozione per un pagano, nel 1586 Sisto V incaricò Domenico Fontana di spostare l'obelisco a piazza S. Pietro (presso cui stava del resto il circo di Nerone), e la sfera, smontata per l'occasione, si dichiarò contenere soltanto ruggine e ferro. Però il bronzo non produce ruggine nè tantomeno ferro, che fossero ceneri? Il fatto che il Papa la facesse togliere e sostituire con una croce ed uno stemma bronzeo della famiglia Chigi, entro cui avrebbe posto una reliquia della croce, suggerisce che la sfera bronzea contenesse ben altra reliquia di cui si dovevano togliere le tracce, quella di Cesare.
(Plutarco, Cesare, 69,4) «Tra i prodigi mandati dagli Dei si annovera una grande cometa che apparve per sette notti consecutive dopo l’eccidio di Cesare, ben visibile in cielo, e che quindi scomparve. I raggi stessi del sole si oscurarono: per tutto quell’anno il suo disco si alzò pallido e smorto al mattino, ed emanò un calore fioco e tenue. L’aria, essendo debole il tepore che di solito la rarefà, si mantenne caliginosa e pesante; i frutti maturarono a mezzo e rimasero imperfetti, avvizzendo tristemente per il freddo dell’atmosfera»
L'EPILOGO
Nel 42, quando gli eserciti di Marco Antonio e Ottaviano stavano per attaccare quelli di Bruto e Cassio a Filippi, la figura di un uomo enorme e spaventoso apparve nella tenda di Bruto. Riconosciuta la figura di Cesare, chiese all'ombra chi fosse.
Essa rispose: "Il tuo cattivo demone, Bruto. Mi rivedrai a Filippi", e Bruto coraggiosamente rispose: "Ti vedrò".
Pochi giorni dopo, a Filippi, a sconfitta certa, Cassio si suicidò con il pugnale con cui aveva trafitto Cesare, e poco dopo lo seguì Bruto. Così, a due anni dall'assassinio di Cesare, tutti i congiurati persero la vita. Cesare era stato vendicato.
I PROGETTI MAI REALIZZATI CAUSA LA MORTE
« [...] [a Cesare] fecero concepire progetti di imprese ancora maggiori, suscitando in lui un desiderio di gloria, come se quella di cui godeva si fosse già esaurita [...] Preparava [...] una spedizione militare contro i Parti, e sottomessi costoro pensava di attraversare l'Ircania costeggiando il mar Caspio ed il Caucaso, di aggirare il Ponto, invadere la Scizia, percorrere le regioni vicine alla Germania e la Germania stessa, e sarebbe rientrato in Italia passando per la Gallia, chiudendo così in un cerchio i suoi domini, di cui l'Oceano avrebbe costituito tutto intorno il suo confine»
(Plutarco, Vite parallele - Cesare, 58)
« Cesare concepì l'idea di una lunga campagna contro i Geti [si intendono i Daci di Burebista] ed i Parti. I Geti sono una nazione che ama la guerra ed una nazione vicina, che doveva essere attaccata per prima, I Parti dovevano essere puniti per la perfidia usata contro Crasso.»
(Appiano di Alessandria, Guerra civile, 2.110.)
Ad Apollonia andavano concentrandosi ben 16 legioni e 10.000 cavalieri e la campagna militare doveva iniziare in primavera del 44 a.c., tre giorni dopo le famose idi di marzo. Ma Cesare fu ucciso e questo progetto gigantesco poté essere ripreso pochi anni più tardi, senza successo, da Marco Antonio, e in parte completato da Traiano, a cui si dovrà la conquista della Dacia e le campagne contro i Parti in Mesopotamia.
Gli scritti:
" Egli lasciò, relativamente alle sue gesta, i commentari della guerra contro i Galli e della guerra civile contro Pompeo. Infatti non è certo che sia l'autore anche di quelli alessandrini, dell'Africa e della Spagna. Alcuni, infatti, credono che sia Oppio, altri Irzio che inoltre aggiunse un ultimissimo libro non finito al (commentario) della guerra gallica.
Cicerone nel "Bruto", relativamente ai commentari di Cesare dice così: " Scrisse i commentari che sono nudi, dritti e onorevoli, senza alcun abbellimento oratorio"
Dei commentari di Irzio, invece dice: "Piacciono a giudizio di tutti, tuttavia la mia ammirazione è maggiore di quella degli altri: io infatti vidi Cesare quando scriveva quelli velocemente e senza difficoltà."
Lasciò due libri del "De analogia" ed altrettanti dell "Anticatone" ed inoltre un poema intitolato "Iter". I primi di questi quattro libri li scrisse durante la traversata delle Alpi, quando tornò dalle sue truppe provenendo dalla Gallia citeriore, gli altri li compose al tempo della battaglia di Munda, il più recente mentre viaggiava per 24 giorni da Roma alla Spagna. Di lui rimangono anche le epistole ai parenti, lettere che convertì per primo in forma di memoriale. Rimangono quelle a Cicerone, e ai familiari nelle quali scrisse cose arci note."
Il nome
Dei commentari di Irzio, invece dice: "Piacciono a giudizio di tutti, tuttavia la mia ammirazione è maggiore di quella degli altri: io infatti vidi Cesare quando scriveva quelli velocemente e senza difficoltà."
Lasciò due libri del "De analogia" ed altrettanti dell "Anticatone" ed inoltre un poema intitolato "Iter". I primi di questi quattro libri li scrisse durante la traversata delle Alpi, quando tornò dalle sue truppe provenendo dalla Gallia citeriore, gli altri li compose al tempo della battaglia di Munda, il più recente mentre viaggiava per 24 giorni da Roma alla Spagna. Di lui rimangono anche le epistole ai parenti, lettere che convertì per primo in forma di memoriale. Rimangono quelle a Cicerone, e ai familiari nelle quali scrisse cose arci note."
Il nome
Il nome "Cesare" rimane in molte lingue ancora oggi come sinonimo di comandante, o capo. Il tedesco Kaiser, il russo Zar ed il persiano Scià hanno la stessa radice del nome di Cesare, poichè la pronuncia latina del nome era Cáesar.
Cesare rimarrà il più grande imperatore e condottiero romano, una delle figure più geniali dell'antichità, e pure di grande fascino. Fece molte e grandi riforme in un solo anno di regno, non possiamo immaginare come avrebbe trasformato Roma e le sue leggi se non fosse stato stroncato dall'invidia degli uomini.
Ancor oggi, sulla sua ara nel Foro di Cesare, dopo duemila anni di storia, si depongono continuamente mazzi di fiori.
Si dice
Si dice che Cesare fu tanto ricordato perchè la sua storia tragico-romantica colpì l'animo degli storici e degli scrittori tanto da influenzare potentemente l'anima dei popoli che in ogni angolo della terra lo ricordano e ammirano. Perchè, forse Ottaviano Augusto che non fu mai assassinato fu forse dimenticato? E Lui per quanto imperatore illuminato non fu mai un generale così coraggioso e bravo stratega come Cesare, ne ebbe la sua poliedrica e vastissima intelligenza. Pure Ottaviano fu un imperatore mirabile e anche il suo nome fu perpetuato.
Gaio Giulio Cesare, considerato il primo Imperatore dell’Urbe, non lo fu mai in realtà. In un suo epigramma a Terenzio, Cesare scrisse infatti di sè: "Non sovrano ma Cesare." Sappiamo però che aveva molta considerazione di sè, e poca dei senatori e dei potenti, per cui quel Cesare contava per lui più di qualsiasi titolo onorifico. Spregiava inoltre la superstizione e gli indovini, come chiunque sia abituato a contare solo sulle sue forze, come accadrà nelle famose Idi di Marzo.
L'ISCRIZIONE A CALPURNIA, MOGLIE DI CESARE
LANCIANI
1300. BASILICA SALVATORIS IN LATERANO
Fra i materiali antichi messi in opera nel pavimento del pulpito della Benedizione da Bonifacio VIII donde « excommunicavit Columnenses velut hostes ecclesiae... » iscrizione di Calpurnia Anthis, liberta di Calpurnia, moglie di Cesare ditattore, CIL. 14211,
Del medesimo papa scrive Cola di Rienzo nella lettera all'arciv. di Praga del 15 agosto 1350 (ap. Papencordt Cola di Rienzo, Amburgo 1841, p. LVI) « tabula(m) magna(m) erea(m) — la lei regia CIL. 930 — Bonifacius papa VIII in odium imperii occultavit, et de ea quoddam altare construxit a tergo litteris occultatis »
"in odium imperii occultavit", la chiesa ha sempre odiato l'impero romano reo di aver sostenuto il culto agli Dei romani, sempre temendo che i culti pagani potessero essere ripristinati soppiantando il nuovo culto cristiano, questo per tutti i secoli a venire, si che il popolo finì per ignorare l'esistenza dell'impero romano, di cui si hanno notizie solo nel Rinascimento.
E in particolare la chiesa ebbe in odio proprio Giulio Cesare, che la gente onorava come fosse un eroe o un semidio, e le cui ossa vennero conservate nella Chiesa dei SS. Apostoli, o almeno così si credette.
Trasportato dall'Egitto come elemento decorativo della spina per il circo, l'obelisco era stato realizzato per Nencoreo, faraone della XII dinastia (1991-1786 a.c.) e collocato ad Heliopolis, città dalla quale Giulio Cesare lo fece trasferire ad Alessandria, capitale ellenistica dell'Egitto dei Tolomei, per adornare la città di Cleopatra.
L'obelisco fu lasciato al suo posto, col suo globo bronzeo dorato e l'iscrizione, poi perduta, che rimandava a Cesare. Viene da pensare che se c'era l'iscrizione c'erano davvero le ceneri di Cesare.
Nel corso del Medioevo il monumento venne chiamato l'aguglia e si tramandò che il grande globo posto sulla sommità dell'obelisco fosse l'urna cineraria di Gaio Giulio Cesare, del resto venne indicato come tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis Romae, ancora visitata dalla popolazione romana e straniera fino alla fine del XVI secolo.
Ma tutto ciò irritò molto papa Sisto V Peretti, che, infastidito dalla considerazione quasi religiosa per il globo dorato, decise di togliere l'antica sfera facendo riferire che era stata aperta e trovata vuota. Al suo posto sull'obelisco fu issata una croce bronzea contenente una reliquia della “vera Croce”, che invece era una reliquia vera: un pezzo di legno conservatosi per 1500 anni.
Alla faccia che i pali delle crocefissioni venissero ogni volta bruciate sul posto, essendo molto meno costoso e molto più pratico tagliate due pali che trasportare e poi mantenere un magazzino pieno di pali di legno che per giunta poteva facilmente andare a fuoco.
COME SAREBBE CAMBIATO IL MONDO SE CESARE NON FOSSE STATO ASSASSINATO?
Di certo Cesare avrebbe conquistato l'impero dei Parti, L'Impero partico (247 a.c. – 224 d.c.), era una delle maggiori potenze politiche e culturali iraniche nell'antica Persia, retto dalla dinastia arsacide, fondata dal primo re dei Parti, Arsace I, il quale, alla testa di una tribù nomade scitico-iranica dei Parni, fondò l'Impero nel III secolo a.c.. Al suo apogeo, nel I sec. a.c., l'Impero dei Parti si estendeva dalle rive dell'Eufrate (Turchia sudorientale) a ovest all'Iran orientale ad est. L'Impero, attraversato dal percorso commerciale della Via della seta che separava l'Impero romano nel bacino del Mediterraneo e l'Impero Han della Cina, divenne sede di traffici commerciali.
Probabilmente il mondo islamico non sarebbe diventato così fondamentalista, così arretrato e così ostile alle donne e alla cultura. Sarebbe insomma diventato civile. Probabilmente i romani avrebbero potuto spingersi fino alla Cina che a sua volta, come i paesi musulmani, avrebbe potuto giovarsi delle leggi romane, acquisendo un diritto e le scuole che avrebbero aperto gli occhi al popolo.
"sottomessi costoro (i Parti) pensava di attraversare l'Ircania costeggiando il mar Caspio ed il Caucaso, di aggirare il Ponto, invadere la Scizia, percorrere le regioni vicine alla Germania e la Germania stessa"
E come sarebbe oggi la Germania se Cesare all'epoca l'avesse conquistata? Di certo non sarebbe rimasta appartata per i secoli, chiusa nel suo mondo feroce e tribale, dove contavano solo i guerrieri mentre donne e bambini potevano essere uccisi impunemente. Avrebbero imparato il latino, avrebbero acquisite le leggi romane e i costumi romani, ma soprattutto le scuole romane.
Non avremmo avuto un Medioevo così oscuro e barbaro, perchè i barbari sarebbero diventati latini, e forse non avrebbero avuto un Hitler con relativo genocidio ebraico. In più non ci sarebbe stata una Germania ancor oggi bramosa di supremazia e potere che avrebbe tentato, riuscendoci, di sottomettere economicamente l'intera Europa, per giunta riuscendoci, Insomma non avremmo avuto una Merkel germano imperialista e chissà che oggi la lingua più diffusa nel mondo non sarebbe stato il latino.
E ciononostante:
« E' opera di Cesare se, dalla passata grandezza dell'Ellade e dell'Italia un ponte conduce all'edificio più magnifico della moderna storia del mondo, se l'Europa occidentale è romanza, se l'Europa germanica è classica... l'edificio di Cesare è durato oltre le migliaia d'anni che hanno cambiato religione e Stato al genere umano e che hanno mutato perfino il centro di gravità della Civiltà e continua ad esistere per quella che noi chiamiamo eternità.»
(Theodor Mommsen, La storia di Roma, V, 7.)
IL FATTO STORICO - OTTOBRE 31, 2012
L’archeologo spagnolo Antonio Monterroso sostiene di aver trovato il punto esatto dove venne accoltellato Giulio Cesare il 14 marzo del 44 a.c. Nell’ingresso della Curia di Pompeo, che le fonti indicano come il luogo dell’assassinio (oggi sito in Largo Argentina), c’è un muro di cemento in cui sarebbe stato collocato lo scranno di Cesare.
Tuttavia, per l’archeologo Andrea Carandini, i segreti della Curia di Pompeo sono nascosti oltre quel muro cementizio: «Conosco bene quella tamponatura sovrastata da un pino, ma non riguarda l’ingresso della Curia bensì il retro. La Curia si apriva infatti dalla parte opposta».
«Se dalla strada dove è la stazione del tram ci si affaccia sui ruderi, si osserva, subito al di sotto e dietro al tempio rotondo, un muro che ingloba una nicchia, dalla quale spunta un pino. È la nicchia del salone (440 mq) in cui era alloggiata la statua di Pompeo, ai piedi della quale cadde Cesare. Muro e nicchia sono il retro della Curia di Pompeo, che per il resto si estende sotto la strada».
Lo studioso, che ha ricostruito nel dettaglio la posizione della Curia di Pompeo (il risultato è visibile nel nuovo Atlante di Roma Antica da lui curato per Electa) propone di scavare «tutta l’area della curia di Pompeo. L’area sacra ha bisogno di valorizzazione, e al momento non accade».
E ci sarebbe anche una grande opportunità per farlo: «Lo spostamento del capolinea del tram numero 8 sarebbe l’ occasione– prosegue Carandini – per mettere in luce la Curia (resterebbero da scavare 1.740 metri quadrati). Così si potrebbe accedere, dietro ai templi, al salone dello straordinario evento. Un Paese civile si precipiterebbe…».
«Nella “Vita di Cesare” di Plutarco leggiamo: “Cesare si accasciò contro il piedistallo su cui era la statua di Pompeo. Fu inondato di sangue, sicché parve che Pompeo stesso guidasse la punizione del rivale disteso ai suoi piedi”. Secondo lo storico, Cesare cadde sul pulpito al di sotto la statua, che aveva ai lati – sopra bassi gradini? – i seggi dei senatori…».
BEN DETTO CARANDINI, UN PAESE CIVILE SI PRECIPITEREBBE....
"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore"
(Theodor Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V .. XI)