LE SCUOLE DELL'ANTICA ROMA FURONO UN MIRACOLO DI CULTURA E DI CIVILTA'
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che i romani avevano una percentuale di alfabetizzazione uguale a quella di oggi in Italia.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che a Roma c'erano scuole sia pubbliche e totalmente gratuite, che private, e a prezzi in genere molto moderati.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che le scuole pubbliche c'erano perfino dentro il palazzo reale, Caligola stesso lo fece restaurare, ed erano ad uso degli schiavi.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che a Roma, oltre alle scuole ordinarie, inferiori, superiori e e di II grado, tipo università, c'erano le scuole di: medicina, chirurgia, odontoiatria, odontotecnica e spagirica.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che i Romani conoscevano e curavano moltissime malattie, e sapevano operare perfino al cervello, e il dentista sapeva fare i ponti d'oro e d'argento e le dentiere.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che una volta caduto l'impero romano siamo caduti nella barbarie, cancellando lo studio dei classici, della medicina, della pittura, della scultura, della storia, della filosofia, delle scienze in genere perchè le scuole erano state chiuse dalla nuova intransigenza cristiana.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che ci volle l'illuminismo per ridare vita allo studio e alla conoscenza, 700 anni più tardi.
- Alcuni le hanno criticate,
dimenticando che nelle arti liberali il Rinascimento si ebbe solo grazie al disseppellimento delle statue, dei decori dell'antica Roma, capolavori che l'ignoranza e la violenza cristiana aveva fatto a pezzi con un lavoro meticoloso e onerosissimo seppellendo sotto terra secoli e secoli di civiltà e di cultura.
ORBILIUS:
« Ci sono quelli che distinguono letterato da istruito, come i Greci il grammatico dal grammatista, e l'uno lo definiscono assolutamente colto, l'altro mediocremente. Orbilio ne conferma l'opinione anche con esempi: e infatti afferma che i nostri avi, quando vendevano all'asta gli schiavi di qualcuno erano senz'altro soliti scrivere sul cartello non già letterato ma istruito, quasi per dire che lo schiavo non era un perfetto conoscitore della letteratura ma soltanto uno che sapeva leggere e scrivere.»
ETA' REPUBBLICANA
L'insegnamento dei padri
La scuola a Roma, ai tempi della repubblica, non aveva scuole, e l'unico insegnamento era quello fornito dai padri ai propri figli, e consisteva nel leggere, scrivere e contare.
Ce lo riferisce Catone il Censore (234 –149 a.c.), sostenitore degli antichi e severi costumi, quando i padri di una volta, come lui stesso aveva fatto, insegnavano ai propri figli a leggere e scrivere, a nuotare e combattere.
I più acculturati gli insegnavano anche le principali leggi dello stato. Ma insieme alle nozioni erano forniti i valori del buon romano: la patria, la famiglia, il rispetto dei più anziani e dei più alti in grado.
IL VECCHIO E IL NUOVO
Ma molti generali e ufficiali romani avevano combattuto in terre straniere venendo a conoscenza di varie lingue e culture. Pertanto acquisirono quella particolare cultura che hanno coloro che avendo viaggiato e conosciuto nuove arti, nuove leggi e nuovi costumi.
Questa nuova apertura mentale fece apprezzare gli uomini più colti e soprattutto gli schiavi che potevano istruire poco pesando sul bilancio familiare.
Essendo gli etruschi di grande cultura i ricchi romani si rivolsero anzitutto a loro per far istruire i loro figli. Avere un pedagogo etrusco era da ricchi. Successivamente i figli vennero affidati agli schiavi greci che vennero preferiti agli etruschi per la grande conoscenza che avevano rispetto alle arti più diverse.
Però non tutti erano d'accordo sul tipo di educazione da fornire ai figli. Mentre uno Scipione, mente intelligente e versatile e grande condottiero, rivolgeva la sua attenzione ai poemi e alla poesia, un Catone inneggiava alla severità degli antichi costumi, alla sobrietà e all'eroismo. La storia però ci ha dimostrato che l'essere colti non ha mai allontanato i romani dalla fedeltà alla patria e al valore di combattenti.
Giulio Cesare era un letterato, amava i poeti e la filosofia, e parlava il greco fluentemente quanto il latino. Mecenate, che tanto posto riservò alla letteratura e alla poesia, fu un grande generale.
IL PEDAGOGO
L'insegnante era detto il pedagogo, e in genere si trattava di uno schiavo istruito che accompagnava il bambino durante tutta la giornata insegnandogli non solo nozioni ma anche cultura generale, comportamenti e virtù.
ORAZIO:
« Comunque non depreco e non voglio distrutti
i poemi di Livio che, ricordo, a me da ragazzo
Orbilio dettava a suon di botte, ma mi meraviglio
che siano creduti puri, leggiadri, praticamente perfetti»
Il popolo che si era insediato millenni prima su un colle alla sinistra del Tevere fondando il villaggio fortificato di Roma, riuscì ad imporre il suo dominio su tutto il bacino del Mediterraneo. Essi parlavano latino, la lingua del Lazio, per cui ogni pedagogo parlava e insegnava in latino. Si impose invece quasi affatto in Grecia, che aveva già una sua cultura molto evoluta. Così più che i Greci a studiare il latino, furono i latini (i romani) a studiare il greco.
Come scrisse Orazio: "Graecia capta ferum victorem cepit" ( la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore.)
ETA' IMPERIALE
L'insegnamento delle madri
Negli ultimi anni della Repubblica e durante l' Impero i bambini ricevevano la prima educazione dalle madri e non più dai padri, la ragione è da ricercarsi in varie cause. La prima era che l'uomo romano se voleva fare una qualsiasi carriera e sopratutto se voleva essere considerato e rispettato doveva andare a prestare servizio nell'esercito. Qui poteva fare carriera se aveva buone attitudini militari e fare soldi dividendo i bottini o ottenendo se non il governo di una provincia, un posto di rilievo nelle zone conquistate.
La seconda stava nel fatto che, essendo già le donne scolarizzate e se di famiglia ricca anche istruite sui classici, erano in grado di insegnare parecchie cose ai propri figli. La terza era che già dalla fine della repubblica i costumi e la considerazione delle donne nel mondo romano erano molto cambiati. Il ruolo della donna era più rispettato e anche se non poteva adire alle cariche pubbliche influiva notevolmente sulla politica dell'epoca.
Tuttavia non tutte le donne erano come la madre dei Gracchi, e passare tutto il tempo a badare ai figli non era più l'ambizione delle donne romane. Se ne scandalizza e se ne duole molto Cicerone che lamenta l'assenteismo delle donne che affidano i propri figli al pedagogo, in genere pagato profumatamente se la famiglia era agiata, oppure, se le finanze erano più limitate, si inviavano i figli alle scuole private.
Plinio il Giovane addirittura considerò funesto per i sani costumi che le madri rinunciassero a educare personalmente i figli proprio quando avevano più bisogno di una guida. In realtà Plinio, e lo confessa apertamente, teme che le donne romane oziando si dessero per noia alla dissolutezza. Insicurezza personale insomma.
Di conseguenza frequentemente a Roma e ovunque nell'impero romano si vedevano botteghe con una cattedra e le sedie dove un insegnante, per lo più greco, impartiva ai fanciulli l'insegnamento delle scuole inferiori o superiori. Tale uso dilagò letteralmente nel II sec., praticamente con Augusto. Gli imperatori successivi, come Adriano, favorirono la diffusione dell'insegnamento elementare fin nelle lontane regioni dell'impero convincendo i maestri ad esercitare il loro insegnamento esentandoli dal pagamento delle tasse.
Insomma un insegnante, pagato privatamente, faceva lezioni come nelle scuole moderne a un gruppo di ragazzi che seguivano, annotavano e studiavano la lezione. Non sembra di stare in un'epoca moderna?
LA SCUOLA PRIVATA
I luoghi e gli strumenti
L'insegnamento privato veniva praticato in piccole stanze (tabernae), praticamente piccoli negozi con porta sulla strada, di certo le aule dovevano essere piccole perchè affittare una taberna a Roma costava tre volte quello che si pagava nel resto del suolo italico. E non è che oggi in Italia, e non solo, possiamo disporre di maggiore spazio per i bambini, se nelle aule odierne ne sono contemplati per legge anche 40 in un'aula. Quando il tempo poi lo consentiva, si insegnava all'aperto.
L' arredamento scolastico consisteva di sgabelli su cui sedevano gli scolari intorno al maestro il quale era seduto su di una sedia con spalliera (cathedra) o senza (sella). Non c'erano tavolini ma gli alunni tenevano sulle ginocchia gli strumenti per scrivere.
Si scriveva su papiro, o su pergamena, ma erano abbastanza costosi, per cui in genere gli scolari usavano delle tavolette incerate su cui passavano uno stilo, cioè un bastoncino appuntito per incidere le lettere, poi la pagina veniva rispianata e si tornava a scriverci sopra.
In quanto al papiro, avendo la superficie rugosa si poteva scrivere da un solo lato ma i romani resero la superficie perfettamente liscia rendendola scrivibile da ambedue le parti.
Il papiro e la pergamena restarono però marginali in quanto costosi, mentre andarono per la maggiore cocci, pelli e tavolette tutti cosparsi di cera. L'inchiostro (atramentum) si otteneva mischiando: fuliggine di resina o di pece, feccia di vino e nero di seppia. L'inchiostro veniva tenuto da contenitori (atramentarium) di bronzo, d'argento o di vetro. Per scrivere si utilizzavano cannucce appuntite (calamus) oppure penne d' uccello (penna).
Le tavolette avevano bordi rialzati per contenere la cera che vi veniva spalmata su entrambe le parti e poi legata con altre tavolette con una cordicella passante nei fori laterali, in modo da avere l' aspetto di un libro; l'insieme di più tavolette veniva chiamato caudex o codex. All'estremità opposta dello stilu c'era una spatolina per cancellare lo scritto.
Litterator
Il pedagogo personale del bambino aristocratico o comunque di famiglia ricca, si diceva Litterator in quanto insegnava a leggere e scrivere. Si passava poi ad una fase di perfezionamento di ciò che si era imparato. Imparare a memoria le lettere e poi imparare le sillabe era uno studio piuttosto faticoso. Qualcuno ha trovato di che criticare questo sistema di studio, dimenticando che è rimasto in uso, in Italia e non solo, fino alla seconda metà del XX sec.
Basta aver presente i vecchi quaderni dove si imparava a fare le aste, per scrivere in modo corretto e diritto dentro i quadretti, e poi le pagine ripetute fino allo sfinimento di sillabe e parole.
Librarius
Per questa fase subentrava il Librarius che perfezionava il ragazzo nella lettura e nella scrittura. Di questo livello è la lettura di qualche classico molto semplice, insomma il saper leggere fluentemente e scrivere in forma accettabile.
Calculator
Il Calculator insegnava a compitare e a fare le varie operazioni aritmetiche.
Per eseguire calcoli elementari gli alunni facevano i conti con le dita, invece per calcolare le decine, le centinaia e le migliaia imparavano a spostare i sassolini (calculi) degli abachi. Insomma avevano un pallottoliere come si usava nel XX sec.
Notarius
Vi era poi il Notarius che insegnava a stenografare. Infatti nell'antica Roma si usava la stenografia, in parte si nota sulle epigrafi, come i nomi puntati abbreviati ecc.
Ma le abbreviazioni aumentavano quando si doveva scrivere sotto dettatura, come faceva ad esempio Giulio Cesare quando scrisse il de Bello Gallico tra una pausa e l'altra delle operazioni belliche.
Grammaticus
A 12 anni i maschi passavano al secondo livello di istruzione con il grammatico, (grammaticus) un insegnante che arrivava dalla Grecia, dall'Asia minore o dall'Egitto, ed insegnava lingua e letteratura greca e latina, storia, geografia, fisica e astronomia.
Le femmine invece non vi erano ammesse, perchè dovevano dedicarsi ai lavori domestici: filare la lana, tesserla, cucire abiti e coperte, cucinare e spazzare. Se di un ceto grado la matrona si limitava alle stoffe e alla cucina, al resto provvedevano le schiave. Tuttavia nelle famiglie molto agiate si usava mettere un insegnante anche alle femmine, per cui spesso le patrizie romane erano colte e raffinate, con grande rabbia di Giovenale che odiava le donne acculturate.
Rhetor
La materia principale e la più acculturata era la retorica, che serviva per esprimersi con convincimento e con un linguaggio colto, e per questa serviva un professore di eloquenza (rethor) il quale insegnava la difficile arte del parlare allenando gli allievi ad effettuare monologhi ( suasoriae) oppure dibattiti (controversiae) in cui due scolari sostenevano due tesi opposte.
I giovani delle famiglie ricche erano invece seguiti da maestri privati. A 17 anni iniziava il terzo livello di istruzione, destinato a chi doveva intraprendere la carriera politica o giuridica. Quest'altra fase durava 2 anni e le lezioni erano tenute da retori. Gli studenti che volevano continuare gli studi dovevano recarsi ad Atene, Pergamo, Rodi o Alessandria per incontrare maestri di filosofia, geografia, astronomia e fisica.
LA SCUOLA PUBBLICA
Fu iniziata grosso modo nel II sec. a.c.. Bisogna pensare per un attimo a come fosse la organizzatissima città di allora, per alcuni versi organizzata molto meglio di oggi. E dobbiamo soprattutto capire che l'alfabetizzazione nell'età imperiale era simile a quella di oggi in Italia, fatto straordinario, soprattutto se pensiamo che Roma, con circa 1 milione di abitanti, aveva una popolazione costituita solo per il 25% di cittadini romani, il resto erano stranieri, ma tenuti ad integrarsi se volevano sopravvivere.
Roma antica era l'America dell'epoca, era il paese delle opportunità, chi aveva ingegno e operosità in qualche modo trovava di che vivere. C'erano molti schiavi, quindi stranieri ma anche moltissimi liberti, talmente tanti che augusto fece emanare una legge per cui non era lecito liberare uno schiavo prima che fossero passati 5 anni dall'inizio della sua schiavitù. I cosiddetti liberti, ovvero gli schiavi liberati, erano diventati piccoli imprenditori e non di rado riuscivano ad accumulare discrete ricchezze.
Desiderando i padroni demandare il più possibile agli schiavi, era necessario che questi sapessero
almeno parlare bene il latino e saper far di conto. per cui la scuola pubblica fu istituita per le famiglie povere, per gli schiavi ma soprattutto per gli immigrati, perchè la romanizzazione era alla base del programma imperiale, e ciò permise di diffondere la legge e la civiltà nel mondo.
Ludi Magister
A 6, o al massimo a 7 anni i bambini iniziavano la scuola del "Ludi Magister", la scuola pubblica elementare. La scuola iniziava alla fine del mese di marzo e durava 8 mesi. Ogni giorno gli alunni dovevano seguire 6 ore di lezione, con una breve pausa per il pranzo che di solito si portava da casa.
Qui gli alunni imparavano a leggere, a scrivere e a fare i calcoli, utilizzando il trittico, ossia tavolette di legno cosparse di cera che venivano unite tra loro con anelli di vimini, in pratica un vero e proprio libro. Gli alunni indisciplinati venivano puniti con la verga o la frusta di cuoio. Ciò non deve scandalizzare più di tanto perchè in Italia, e non solo, si è usato impunemente fino alla prima metà del '900.
Se per un attimo pensiamo al costo dei libri all'epoca, in cui i testi venivano copiati a mano, possiamo comprendere quanto fosse tenuta in conto l'istruzione, visto che una scuola superiore potesse usufruire di ben due biblioteche.
Rhetor, o maestro di eloquenza, con cattedre di retorica e filosofia.
I primi professori di grammatica e di retorica provennero dall'Egitto e dall'Asia, insegnando sia in greco che in latino. Il più famoso dei maestri fu Quintiliano.
Le classi erano composte da ragazzi e ragazze, chiunque poteva iscriversi, senza distinzione di età e di sesso e le lezioni iniziavano all'alba e senza interruzioni continuavano sino a mezzogiorno.
Le scuole chiudevano solo nei giorni di mercato, durante le feste per Minerva e per le vacanze estive. La disciplina era molto dura come nelle scuole private.
QUINTILIANO « Il dolore e la paura fanno fare ai fanciulli cose che non si possono onestamente riferire e che ben presto li coprono di vergogna. Accade di peggio se si è trascurato di indagare sui costumi dei sorveglianti e dei maestri. Non oso dire le infamie cui uomini abominevoli si lasciano andare in base al loro diritto di punizione corporale... »
Nell'insegnamento si dava grande importanza all'esposizione per cui i grammatici imponevano gli esercizi ad alta voce e le recitazioni a memoria. Per un romano saper parlare era basilare, sia che facesse l'avvocato, o facesse l'ambasciatore, o avesse una carica militare in cui doveva arringare i soldati. Perfino in una cena tra amici il triclinio diventava molto più lieto se si invitava qualcuno che sapesse recitare gli autori, o meglio ancora se fossero gli autori a citare se stessi. I romani erano un popolo molto colto.
Sui testi classici si eseguivano:
- l'emendatio ovvero la critica orale su cui gli studenti potessero riflettere.
- l'enarratio o commentario, che serviva a far elaborare le menti affinchè diventassero più acute e abituate ad avere idee proprie.
- l'explanatio ovvero la spiegazione frase per frase o verso per verso, definendo tutte le figure retoriche e ricavando il significato di ogni parola.
Il retore insegnava a parlare eloquentemente, chi sapesse parlare aveva un pubblico ai suoi piedi. Giulio Cesare colpì anzitutto per la sua grande eloquenza quando fece l'elogio funebre di sua zia Giulia e di Corneli, sorella e moglie di suo zio Mario. Altrettanto piacque ai romani l'eloquenza di Ottaviano quando a soli dodici anni dovette fare l'elogio funebre per la morte di sua nonna. Saper parlare era un magnifico biglietto da visita in ogni campo.
Quando si giudicava che l'allievo fosse al massimo delle sue potenzialità dimostrava le sue qualità oratorie nelle causae dove esaminava particolari casi di coscienza (suasoriae) o nelle arringhe (controversiae).
LIMITI ROMANI ALLA FILOSOFIA
Tuttavia Roma fu sempre sospettosa nei confronti della filosofia, e il senato cacciò dall'Urbe l'accademico Carneade, lo stoico Diogene e il peripatetico Critolao. La concretezza e l'organizzazione dello stato romano non consentiva voli pindarici filosofici. La filosofia era fatta per pensare e non per prendere decisioni. I romani deprecavano ogni eccesso, non amavano la religione isiaca perchè i suoi seguaci erano troppo fanatici, e per la stessa ragione proibirono ai romani di diventare sacerdoti di Cibele che si flagellavano fino ad evirarsi perchè non era dignitoso per un romano.
La cultura era molto stimata e incentivata. Roma era piena di scuole pubbliche, di biblioteche e di teatri, perfino nel palazzo dell'imperatore c'era la scuola per gli schiavi, ma la filosofia troppo spinta portava a perdere il filo del ragionamento e della intraprendenza.
LA FINE DEL LATINO
La diffusione delle opere letterarie elleniche creò il problema del conoscere la lingua, in quanto gli studenti dovevano iniziare con testi in lingua latina; ciò dette l' impulso a iniziare le prime traduzioni di opere letterarie dal greco al latino, con varie traduzioni in lingua latina. Giunsero così opere importanti come l' Odissea tradotta da Andronico.
Anche se ovviamente c'era una differenza tra il latino letterario e quello parlato dal popolo, la differenza non era così forte da impedire di capirsi l'un l'altro. Queste differenze però divennero un baratro con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.c.), non tanto per le frammentazioni degli stati, ma perchè la Chiesa ordinò la chiusura di tutte le scuole pubbliche. Restarono aperte solo quelle della Chiesa che però venne riservata ai preti.
Fu Dante Alighieri, che scrisse opere sia in volgare sia in latino a seconda del pubblico a cui intendeva rivolgersi, a decretare, senza forse volerlo, la fine del latino. Per ingraziarsi il Papa che l'aveva fatto esiliare scrisse un poema sulle punizioni dei malvagi e i premi dei buoni secondo il giudizio di Dio. Le punizioni erano talmente sadiche, brutali e malvagie che riempirono di paura le anime dei semplici, cioè del popolo per cui il potere della Chiesa se ne avvantaggiò. Non tolse l'esilio a Dante ma caldeggiò fortemente l'uso del dialetto toscano affinchè tutti potessero leggere il poema dantesco e terrorizzarsi.
COSI' FINI' LA LINGUA UNIVERSALE DI TUTTO IL MONDO CIVILE ANTICO, LA PIU' RICCA, SINTETICA, EFFICACE, MELODIOSA E BELLA LINGUA DEL MONDO.
Ce lo riferisce Catone il Censore (234 –149 a.c.), sostenitore degli antichi e severi costumi, quando i padri di una volta, come lui stesso aveva fatto, insegnavano ai propri figli a leggere e scrivere, a nuotare e combattere.
I più acculturati gli insegnavano anche le principali leggi dello stato. Ma insieme alle nozioni erano forniti i valori del buon romano: la patria, la famiglia, il rispetto dei più anziani e dei più alti in grado.
IL VECCHIO E IL NUOVO
Ma molti generali e ufficiali romani avevano combattuto in terre straniere venendo a conoscenza di varie lingue e culture. Pertanto acquisirono quella particolare cultura che hanno coloro che avendo viaggiato e conosciuto nuove arti, nuove leggi e nuovi costumi.
Questa nuova apertura mentale fece apprezzare gli uomini più colti e soprattutto gli schiavi che potevano istruire poco pesando sul bilancio familiare.
Essendo gli etruschi di grande cultura i ricchi romani si rivolsero anzitutto a loro per far istruire i loro figli. Avere un pedagogo etrusco era da ricchi. Successivamente i figli vennero affidati agli schiavi greci che vennero preferiti agli etruschi per la grande conoscenza che avevano rispetto alle arti più diverse.
Però non tutti erano d'accordo sul tipo di educazione da fornire ai figli. Mentre uno Scipione, mente intelligente e versatile e grande condottiero, rivolgeva la sua attenzione ai poemi e alla poesia, un Catone inneggiava alla severità degli antichi costumi, alla sobrietà e all'eroismo. La storia però ci ha dimostrato che l'essere colti non ha mai allontanato i romani dalla fedeltà alla patria e al valore di combattenti.
Giulio Cesare era un letterato, amava i poeti e la filosofia, e parlava il greco fluentemente quanto il latino. Mecenate, che tanto posto riservò alla letteratura e alla poesia, fu un grande generale.
IL PEDAGOGO
L'insegnante era detto il pedagogo, e in genere si trattava di uno schiavo istruito che accompagnava il bambino durante tutta la giornata insegnandogli non solo nozioni ma anche cultura generale, comportamenti e virtù.
ORAZIO:
« Comunque non depreco e non voglio distrutti
i poemi di Livio che, ricordo, a me da ragazzo
Orbilio dettava a suon di botte, ma mi meraviglio
che siano creduti puri, leggiadri, praticamente perfetti»
Il popolo che si era insediato millenni prima su un colle alla sinistra del Tevere fondando il villaggio fortificato di Roma, riuscì ad imporre il suo dominio su tutto il bacino del Mediterraneo. Essi parlavano latino, la lingua del Lazio, per cui ogni pedagogo parlava e insegnava in latino. Si impose invece quasi affatto in Grecia, che aveva già una sua cultura molto evoluta. Così più che i Greci a studiare il latino, furono i latini (i romani) a studiare il greco.
Come scrisse Orazio: "Graecia capta ferum victorem cepit" ( la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore.)
ETA' IMPERIALE
L'insegnamento delle madri
Negli ultimi anni della Repubblica e durante l' Impero i bambini ricevevano la prima educazione dalle madri e non più dai padri, la ragione è da ricercarsi in varie cause. La prima era che l'uomo romano se voleva fare una qualsiasi carriera e sopratutto se voleva essere considerato e rispettato doveva andare a prestare servizio nell'esercito. Qui poteva fare carriera se aveva buone attitudini militari e fare soldi dividendo i bottini o ottenendo se non il governo di una provincia, un posto di rilievo nelle zone conquistate.
La seconda stava nel fatto che, essendo già le donne scolarizzate e se di famiglia ricca anche istruite sui classici, erano in grado di insegnare parecchie cose ai propri figli. La terza era che già dalla fine della repubblica i costumi e la considerazione delle donne nel mondo romano erano molto cambiati. Il ruolo della donna era più rispettato e anche se non poteva adire alle cariche pubbliche influiva notevolmente sulla politica dell'epoca.
Tuttavia non tutte le donne erano come la madre dei Gracchi, e passare tutto il tempo a badare ai figli non era più l'ambizione delle donne romane. Se ne scandalizza e se ne duole molto Cicerone che lamenta l'assenteismo delle donne che affidano i propri figli al pedagogo, in genere pagato profumatamente se la famiglia era agiata, oppure, se le finanze erano più limitate, si inviavano i figli alle scuole private.
Plinio il Giovane addirittura considerò funesto per i sani costumi che le madri rinunciassero a educare personalmente i figli proprio quando avevano più bisogno di una guida. In realtà Plinio, e lo confessa apertamente, teme che le donne romane oziando si dessero per noia alla dissolutezza. Insicurezza personale insomma.
Di conseguenza frequentemente a Roma e ovunque nell'impero romano si vedevano botteghe con una cattedra e le sedie dove un insegnante, per lo più greco, impartiva ai fanciulli l'insegnamento delle scuole inferiori o superiori. Tale uso dilagò letteralmente nel II sec., praticamente con Augusto. Gli imperatori successivi, come Adriano, favorirono la diffusione dell'insegnamento elementare fin nelle lontane regioni dell'impero convincendo i maestri ad esercitare il loro insegnamento esentandoli dal pagamento delle tasse.
Insomma un insegnante, pagato privatamente, faceva lezioni come nelle scuole moderne a un gruppo di ragazzi che seguivano, annotavano e studiavano la lezione. Non sembra di stare in un'epoca moderna?
LA SCUOLA PRIVATA
I luoghi e gli strumenti
L'insegnamento privato veniva praticato in piccole stanze (tabernae), praticamente piccoli negozi con porta sulla strada, di certo le aule dovevano essere piccole perchè affittare una taberna a Roma costava tre volte quello che si pagava nel resto del suolo italico. E non è che oggi in Italia, e non solo, possiamo disporre di maggiore spazio per i bambini, se nelle aule odierne ne sono contemplati per legge anche 40 in un'aula. Quando il tempo poi lo consentiva, si insegnava all'aperto.
L' arredamento scolastico consisteva di sgabelli su cui sedevano gli scolari intorno al maestro il quale era seduto su di una sedia con spalliera (cathedra) o senza (sella). Non c'erano tavolini ma gli alunni tenevano sulle ginocchia gli strumenti per scrivere.
Si scriveva su papiro, o su pergamena, ma erano abbastanza costosi, per cui in genere gli scolari usavano delle tavolette incerate su cui passavano uno stilo, cioè un bastoncino appuntito per incidere le lettere, poi la pagina veniva rispianata e si tornava a scriverci sopra.
In quanto al papiro, avendo la superficie rugosa si poteva scrivere da un solo lato ma i romani resero la superficie perfettamente liscia rendendola scrivibile da ambedue le parti.
Per scritte che dovessero durare nel tempo si usavano tavole imbiancate col gesso (tabulae dealbatae), oppure pietra o marmo scolpiti.
I libri erano costituiti in pagine incollate di seguito formando una striscia che veniva avvolta in un rotolo (scapus), arrotolato a due bastoncini (umbilicus) sia in cima che alla fine per evitare che la parte finale si sporcasse strascicando sul terreno; sull'orlo superiore del rotolo veniva applicato un cartellino con scritto il titolo del libro.
Giulio Cesare, nella sua compilazione del De bello gallico, onde non aggiungere peso ai carri, tolse i bastoncini inventando invece i fogli di pergamena piegati a quaterne (quaterniones). Aveva inventato il libro con la copertina ( codice membranei).
ROLLO ROMANO IN PAPIRO |
Giulio Cesare, nella sua compilazione del De bello gallico, onde non aggiungere peso ai carri, tolse i bastoncini inventando invece i fogli di pergamena piegati a quaterne (quaterniones). Aveva inventato il libro con la copertina ( codice membranei).
Il papiro e la pergamena restarono però marginali in quanto costosi, mentre andarono per la maggiore cocci, pelli e tavolette tutti cosparsi di cera. L'inchiostro (atramentum) si otteneva mischiando: fuliggine di resina o di pece, feccia di vino e nero di seppia. L'inchiostro veniva tenuto da contenitori (atramentarium) di bronzo, d'argento o di vetro. Per scrivere si utilizzavano cannucce appuntite (calamus) oppure penne d' uccello (penna).
Le tavolette avevano bordi rialzati per contenere la cera che vi veniva spalmata su entrambe le parti e poi legata con altre tavolette con una cordicella passante nei fori laterali, in modo da avere l' aspetto di un libro; l'insieme di più tavolette veniva chiamato caudex o codex. All'estremità opposta dello stilu c'era una spatolina per cancellare lo scritto.
Litterator
COPIA ODIERNA DI UNA TAVOLETTA CERATA |
Basta aver presente i vecchi quaderni dove si imparava a fare le aste, per scrivere in modo corretto e diritto dentro i quadretti, e poi le pagine ripetute fino allo sfinimento di sillabe e parole.
Librarius
Per questa fase subentrava il Librarius che perfezionava il ragazzo nella lettura e nella scrittura. Di questo livello è la lettura di qualche classico molto semplice, insomma il saper leggere fluentemente e scrivere in forma accettabile.
Calculator
Il Calculator insegnava a compitare e a fare le varie operazioni aritmetiche.
Per eseguire calcoli elementari gli alunni facevano i conti con le dita, invece per calcolare le decine, le centinaia e le migliaia imparavano a spostare i sassolini (calculi) degli abachi. Insomma avevano un pallottoliere come si usava nel XX sec.
Notarius
Vi era poi il Notarius che insegnava a stenografare. Infatti nell'antica Roma si usava la stenografia, in parte si nota sulle epigrafi, come i nomi puntati abbreviati ecc.
Ma le abbreviazioni aumentavano quando si doveva scrivere sotto dettatura, come faceva ad esempio Giulio Cesare quando scrisse il de Bello Gallico tra una pausa e l'altra delle operazioni belliche.
Grammaticus
AUTENTICA TAVOLETTA CERATA ROMANA |
Le femmine invece non vi erano ammesse, perchè dovevano dedicarsi ai lavori domestici: filare la lana, tesserla, cucire abiti e coperte, cucinare e spazzare. Se di un ceto grado la matrona si limitava alle stoffe e alla cucina, al resto provvedevano le schiave. Tuttavia nelle famiglie molto agiate si usava mettere un insegnante anche alle femmine, per cui spesso le patrizie romane erano colte e raffinate, con grande rabbia di Giovenale che odiava le donne acculturate.
Rhetor
La materia principale e la più acculturata era la retorica, che serviva per esprimersi con convincimento e con un linguaggio colto, e per questa serviva un professore di eloquenza (rethor) il quale insegnava la difficile arte del parlare allenando gli allievi ad effettuare monologhi ( suasoriae) oppure dibattiti (controversiae) in cui due scolari sostenevano due tesi opposte.
I giovani delle famiglie ricche erano invece seguiti da maestri privati. A 17 anni iniziava il terzo livello di istruzione, destinato a chi doveva intraprendere la carriera politica o giuridica. Quest'altra fase durava 2 anni e le lezioni erano tenute da retori. Gli studenti che volevano continuare gli studi dovevano recarsi ad Atene, Pergamo, Rodi o Alessandria per incontrare maestri di filosofia, geografia, astronomia e fisica.
LA SCUOLA PUBBLICA
Fu iniziata grosso modo nel II sec. a.c.. Bisogna pensare per un attimo a come fosse la organizzatissima città di allora, per alcuni versi organizzata molto meglio di oggi. E dobbiamo soprattutto capire che l'alfabetizzazione nell'età imperiale era simile a quella di oggi in Italia, fatto straordinario, soprattutto se pensiamo che Roma, con circa 1 milione di abitanti, aveva una popolazione costituita solo per il 25% di cittadini romani, il resto erano stranieri, ma tenuti ad integrarsi se volevano sopravvivere.
AUTENTICO ABACUS ROMANO |
Desiderando i padroni demandare il più possibile agli schiavi, era necessario che questi sapessero
almeno parlare bene il latino e saper far di conto. per cui la scuola pubblica fu istituita per le famiglie povere, per gli schiavi ma soprattutto per gli immigrati, perchè la romanizzazione era alla base del programma imperiale, e ciò permise di diffondere la legge e la civiltà nel mondo.
Ludi Magister
A 6, o al massimo a 7 anni i bambini iniziavano la scuola del "Ludi Magister", la scuola pubblica elementare. La scuola iniziava alla fine del mese di marzo e durava 8 mesi. Ogni giorno gli alunni dovevano seguire 6 ore di lezione, con una breve pausa per il pranzo che di solito si portava da casa.
Qui gli alunni imparavano a leggere, a scrivere e a fare i calcoli, utilizzando il trittico, ossia tavolette di legno cosparse di cera che venivano unite tra loro con anelli di vimini, in pratica un vero e proprio libro. Gli alunni indisciplinati venivano puniti con la verga o la frusta di cuoio. Ciò non deve scandalizzare più di tanto perchè in Italia, e non solo, si è usato impunemente fino alla prima metà del '900.
Nei Ludi Magister c'erano:
Magister, in pratica il maestro elementare.
Grammaticus, il commentatore di testi greco-latini ma non solo. Nelle arti liberali rientravano come insegnamento la mitologia, la poesia, la musica, i cori, la geografia e l'astronomia, e a tutto ciò provvedeva il grammatico.
Mentre il Ludus Letterarius del magister delle elementari disponeva di un unico libero, una specie di abecedario, il Grammaticus disponeva di una doppia biblioteca e impartiva lezioni sia in greco che in latino. Questo fatto sottolinea la straordinaria cura e l'avanzatissima civiltà romana, che molto seppe imparare da chiunque e in fatto di letteratura molto seppe imparare dai greci. Anzi i grammatici romani insegnarono la letteratura latina basandosi sempre sulla letteratura greca.
Magister, in pratica il maestro elementare.
Grammaticus, il commentatore di testi greco-latini ma non solo. Nelle arti liberali rientravano come insegnamento la mitologia, la poesia, la musica, i cori, la geografia e l'astronomia, e a tutto ciò provvedeva il grammatico.
Mentre il Ludus Letterarius del magister delle elementari disponeva di un unico libero, una specie di abecedario, il Grammaticus disponeva di una doppia biblioteca e impartiva lezioni sia in greco che in latino. Questo fatto sottolinea la straordinaria cura e l'avanzatissima civiltà romana, che molto seppe imparare da chiunque e in fatto di letteratura molto seppe imparare dai greci. Anzi i grammatici romani insegnarono la letteratura latina basandosi sempre sulla letteratura greca.
Se per un attimo pensiamo al costo dei libri all'epoca, in cui i testi venivano copiati a mano, possiamo comprendere quanto fosse tenuta in conto l'istruzione, visto che una scuola superiore potesse usufruire di ben due biblioteche.
Rhetor, o maestro di eloquenza, con cattedre di retorica e filosofia.
I primi professori di grammatica e di retorica provennero dall'Egitto e dall'Asia, insegnando sia in greco che in latino. Il più famoso dei maestri fu Quintiliano.
Le classi erano composte da ragazzi e ragazze, chiunque poteva iscriversi, senza distinzione di età e di sesso e le lezioni iniziavano all'alba e senza interruzioni continuavano sino a mezzogiorno.
Le scuole chiudevano solo nei giorni di mercato, durante le feste per Minerva e per le vacanze estive. La disciplina era molto dura come nelle scuole private.
QUINTILIANO « Il dolore e la paura fanno fare ai fanciulli cose che non si possono onestamente riferire e che ben presto li coprono di vergogna. Accade di peggio se si è trascurato di indagare sui costumi dei sorveglianti e dei maestri. Non oso dire le infamie cui uomini abominevoli si lasciano andare in base al loro diritto di punizione corporale... »
Tutto ciò inorridisce certi detrattori dell'impero romano, quasi sempre italiani, perchè vedono nell'impero lo strapotere dei potenti. In realtà nel mondo antico Roma è stata il faro della civiltà. Nelle altre parti c'erano le tribù o i re che avevano a capriccio potere di vita e di morte sui sudditi, e dei padri che avevano potere di vita e di morte su mogli e figli.
Ma soprattutto:
A scuola si picchiavano bambini e ragazzi tanto quanto a casa venivano picchiati. E questo accadeva in ogni parte del mondo. A Roma anzi i bambini indossavano la toga praetexta e la bulla, segni di inviolabilità, sia perchè fin da allora si conoscevano certe tendenze pedofile, sia perchè ciò poneva un limite a quanto si poteva spingere un insegnante o un genitore nel picchiare un bambino, perchè se gli provocava lesioni poteva finire in tribunale.
Il grammatico usava spiegare in greco gli autori latini però, verso la fine del I sec. a.c. un liberto attico, Quinto Cecilio Epirota, decise di parlare latino e ammettere all'onore delle sue lezioni non solo gli autori latini antichi, ma pure autori latini viventi o scomparsi da poco.
Ma soprattutto:
A scuola si picchiavano bambini e ragazzi tanto quanto a casa venivano picchiati. E questo accadeva in ogni parte del mondo. A Roma anzi i bambini indossavano la toga praetexta e la bulla, segni di inviolabilità, sia perchè fin da allora si conoscevano certe tendenze pedofile, sia perchè ciò poneva un limite a quanto si poteva spingere un insegnante o un genitore nel picchiare un bambino, perchè se gli provocava lesioni poteva finire in tribunale.
Il grammatico usava spiegare in greco gli autori latini però, verso la fine del I sec. a.c. un liberto attico, Quinto Cecilio Epirota, decise di parlare latino e ammettere all'onore delle sue lezioni non solo gli autori latini antichi, ma pure autori latini viventi o scomparsi da poco.
Sui testi classici si eseguivano:
- l'emendatio ovvero la critica orale su cui gli studenti potessero riflettere.
- l'enarratio o commentario, che serviva a far elaborare le menti affinchè diventassero più acute e abituate ad avere idee proprie.
- l'explanatio ovvero la spiegazione frase per frase o verso per verso, definendo tutte le figure retoriche e ricavando il significato di ogni parola.
Il retore insegnava a parlare eloquentemente, chi sapesse parlare aveva un pubblico ai suoi piedi. Giulio Cesare colpì anzitutto per la sua grande eloquenza quando fece l'elogio funebre di sua zia Giulia e di Corneli, sorella e moglie di suo zio Mario. Altrettanto piacque ai romani l'eloquenza di Ottaviano quando a soli dodici anni dovette fare l'elogio funebre per la morte di sua nonna. Saper parlare era un magnifico biglietto da visita in ogni campo.
Quando si giudicava che l'allievo fosse al massimo delle sue potenzialità dimostrava le sue qualità oratorie nelle causae dove esaminava particolari casi di coscienza (suasoriae) o nelle arringhe (controversiae).
LIMITI ROMANI ALLA FILOSOFIA
Tuttavia Roma fu sempre sospettosa nei confronti della filosofia, e il senato cacciò dall'Urbe l'accademico Carneade, lo stoico Diogene e il peripatetico Critolao. La concretezza e l'organizzazione dello stato romano non consentiva voli pindarici filosofici. La filosofia era fatta per pensare e non per prendere decisioni. I romani deprecavano ogni eccesso, non amavano la religione isiaca perchè i suoi seguaci erano troppo fanatici, e per la stessa ragione proibirono ai romani di diventare sacerdoti di Cibele che si flagellavano fino ad evirarsi perchè non era dignitoso per un romano.
La cultura era molto stimata e incentivata. Roma era piena di scuole pubbliche, di biblioteche e di teatri, perfino nel palazzo dell'imperatore c'era la scuola per gli schiavi, ma la filosofia troppo spinta portava a perdere il filo del ragionamento e della intraprendenza.
LA FINE DEL LATINO
La diffusione delle opere letterarie elleniche creò il problema del conoscere la lingua, in quanto gli studenti dovevano iniziare con testi in lingua latina; ciò dette l' impulso a iniziare le prime traduzioni di opere letterarie dal greco al latino, con varie traduzioni in lingua latina. Giunsero così opere importanti come l' Odissea tradotta da Andronico.
Anche se ovviamente c'era una differenza tra il latino letterario e quello parlato dal popolo, la differenza non era così forte da impedire di capirsi l'un l'altro. Queste differenze però divennero un baratro con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.c.), non tanto per le frammentazioni degli stati, ma perchè la Chiesa ordinò la chiusura di tutte le scuole pubbliche. Restarono aperte solo quelle della Chiesa che però venne riservata ai preti.
Fu Dante Alighieri, che scrisse opere sia in volgare sia in latino a seconda del pubblico a cui intendeva rivolgersi, a decretare, senza forse volerlo, la fine del latino. Per ingraziarsi il Papa che l'aveva fatto esiliare scrisse un poema sulle punizioni dei malvagi e i premi dei buoni secondo il giudizio di Dio. Le punizioni erano talmente sadiche, brutali e malvagie che riempirono di paura le anime dei semplici, cioè del popolo per cui il potere della Chiesa se ne avvantaggiò. Non tolse l'esilio a Dante ma caldeggiò fortemente l'uso del dialetto toscano affinchè tutti potessero leggere il poema dantesco e terrorizzarsi.
COSI' FINI' LA LINGUA UNIVERSALE DI TUTTO IL MONDO CIVILE ANTICO, LA PIU' RICCA, SINTETICA, EFFICACE, MELODIOSA E BELLA LINGUA DEL MONDO.