Nome: Gaius Musonius Rufus
Nascita: 30 d.c. Volsinii (Bolsena Etruria)
Morte: 100 d.c.
Professione: Filosofo
"E chi è degno di fare filosofia deve esercitarsi praticamente tanto più di chi ha di mira la medicina o qualche altra simile arte, quanto più la filosofia è più importante e più difficile da espletare di ogni altro mestiere. Infatti, coloro che hanno di mira le altre arti pervengono all’apprendimento di esse con animi non in precedenza rovinati, né col bagaglio di nozioni contrarie a quelle che stanno per imparare. Invece, coloro che mettono mano alla filosofia perseguono la virtù con alle spalle un lungo periodo di corruzione dell’animo e infarciti di vizi; sicché, per questo motivo, hanno bisogno di molto più esercizio pratico"
(Musonio Rufo - Diatribe)
Gaio Musonio Rufo, il filosofo, nacque a Volsinii (Bolsena, in Etruria) intorno all'anno 30 e morì non si sa dove intorno all'anno 100, quindi all'età di 70 anni.
Per la rettitudine e per il coraggio con cui affrontò la persecuzione di Nerone e l’esilio, venne definito « il Socrate romano» e considerato un « modello di vita perfetta».
Fu un filosofo romano neostoico, di cui purtroppo non abbiamo molte notizie, se non che fu cavaliere e che tra il 55 e il 60 fu a capo a Roma di un circolo filosofico-letterario, ma si dedicò anche alla politica, con idee abbastanza tradizionali e moderate.
Fece parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio Plauto, giovane stoico discendente della famiglia Giulia, che nel 60 fu esiliato da Nerone, probabilmente geloso della simpatia che aveva per lui il popolo e perchè come lui congiunto nello stesso grado con Augusto.
Fu poi lo stesso Musonio a presiedere ai gruppi del neostoicismo, cui aderirono molti aristocratici romani, spesso ostili al potere assoluto dell'imperatore. Musonio, il suo allievo Eritteto e lo stesso Seneca ne facevano parte.
Per il legame che Musonio aveva con Rubellio, seguì l'amico in Asia, e quando due anni dopo giunse la condanna a morte di Rubellio Plauto, Musonio lo incitò a non fuggire ma ad attendere la morte con spirito filosofico, rinunciando alla lotta "pro incerta et trepida vita"
Musonio poi tornò a Roma, ma nel 65, all'epoca della congiura pisoniana, venne mandato nuovamente in esilio a Gyaros, inospitale e rocciosa isola del Mar Egeo. Rientrato dopo la morte dell’imperatore, riuscì a guadagnarsi la stima di Vespasiano che tuttavia nel 71 aveva esiliato numerosi filosofi.
Ci fu però un secondo esilio intorno all’80. Dopo il suo rientro a Roma, voluto da Tito, le fonti tacciono. Sappiamo che vi fu una seconda epurazione dei filosofi, stoici e non, sotto Domiziano nell'85, definiti da Tigellino " turbolenti e ambiziosi ", forse gli unici che osavano criticare il governo in atto. Da un’epistola di Plinio dell'anno 100, si apprende che da poco Mausonio è morto, forse di vecchiaia perchè non si aggiunge alcunchè.
Il suo discepolo più importante fu Epitteto, probabilmente a Roma. Un suo discendente fu il poeta Postumio Rufio Festo Avienio (seconda metà del IV secolo). Alcuni aspetti del pensiero di Musonio Rufo di derivazione socratica e platonica sarebbero poi confluiti nella teologia di alcuni dei primi Padri della Chiesa: l’intellettualismo etico, la concezione non retributiva ma rieducativa della pena, la pari educabilità degli uomini e delle donne alla virtù.
LE OPERE
Il suo insegnamento fu svolto in greco: si ricordi che in quel periodo ogni romano istruito conosceva il latino e il greco e che, comunque, quest'ultima era la lingua della filosofia. Probabilmente volutamente, sull'esempio di Socrate e come farà anche il discepolo Epitteto, non lasciò nulla di scritto.
I principi della sua predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, il quale probabilmente ebbe modo di ascoltarne le lezioni per un tempo abbastanza lungo.
Alcune delle Diatribe di Gaio Musonio Rufo sono conservate nell'Antologia di Giovanni Stobeo (V secolo).
È andata perduta l’opera di un altro discepolo, forse il Valerio Pollione precettore di Marco Aurelio.
Altre informazioni si possono desumere da una serie di frammenti sparsi e testimonianze indirette.
LO STILE
Lo stile delle diatribe è semplice, in genere viene posta una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo. Porta ragioni logiche e ne sviluppa pacatamente le prove. Secondo quanto riporta Lucio, Musonio parlava spesso in modo figurato, usando metafore e similitudini. Infatti nelle diatribe spesso fa esempi figurati.
LA DOTTRINA
- Proprio come io credo avvenga per i corpi in cattivo stato i quali, quando si intende star bene, hanno bisogno di moltissima cura. I giovani che sono invece di buona natura e quelli che hanno avuto un’educazione migliore, più facilmente e più velocemente sarebbero d’accordo con quanto è esposto rettamente, pur se attraverso poche dimostrazioni; e gli si conformerebbero nella pratica.
- Che così stiano le cose lo riconosceremmo facilmente se pensassimo a degli adolescenti o giovanotti, uno dei quali allevato nel lusso più sfrenato, dal corpo effeminato, con l’animo infiacchito da abitudini che conducono alla mollezza, che si mostra, per di più, indolente e che è per natura tardo di comprendonio.
- L’altro, invece, è un giovanotto tirato su, in un certo senso, spartanamente, abituato a non vivere nel lusso, ben esercitato alla fortezza d’animo e pronto a prestare ascolto a quanto è detto rettamente. Di poi supponiamo che questi due giovanotti stiano ascoltando un filosofo il quale parla di morte, di dolore fisico, di povertà di denaro e di faccende simili come di cose che non sono mali; e poi ancora di vita, di piacere fisico, di ricchezza di denaro e di faccende similari come di cose che non sono beni.
- Entrambi accoglieranno forse in modo similare i discorsi del filosofo, e ciascuno dei due ubbidirebbe similarmente ai discorsi che sente fare? Non è neppure il caso di dirlo; giacché uno, il più indolente, probabilmente annuirebbe a stento, con lentezza, mosso da miriadi di ragionamenti come da una leva a lui esterna; mentre l’altro accoglierà ciò che sente dire con velocità e prontezza, in quanto ragionamenti che gli sono familiari e convenienti, senza avere bisogno di molte dimostrazioni né d’una trattazione più ampia delle questioni.
- Non era di questo genere anche il famoso ragazzo spartano che domandò al filosofo Cleante se la fatica è un bene? In questo modo egli si mostrò dotato di buona natura e ben cresciuto in vista della virtù, tanto da ritenere la fatica più prossima alla natura del bene che a quella del male. Chi infatti ammette che la fatica non è un male, cerca di sapere se essa sia per caso un bene. Laonde Cleante, preso da ammirazione per il ragazzo, gli disse: ‘sei di buon sangue, ragazzo mio, visto come parli!’"
Gaio Musonio Rufo, il filosofo, nacque a Volsinii (Bolsena, in Etruria) intorno all'anno 30 e morì non si sa dove intorno all'anno 100, quindi all'età di 70 anni.
Per la rettitudine e per il coraggio con cui affrontò la persecuzione di Nerone e l’esilio, venne definito « il Socrate romano» e considerato un « modello di vita perfetta».
Fu un filosofo romano neostoico, di cui purtroppo non abbiamo molte notizie, se non che fu cavaliere e che tra il 55 e il 60 fu a capo a Roma di un circolo filosofico-letterario, ma si dedicò anche alla politica, con idee abbastanza tradizionali e moderate.
Fece parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio Plauto, giovane stoico discendente della famiglia Giulia, che nel 60 fu esiliato da Nerone, probabilmente geloso della simpatia che aveva per lui il popolo e perchè come lui congiunto nello stesso grado con Augusto.
Fu poi lo stesso Musonio a presiedere ai gruppi del neostoicismo, cui aderirono molti aristocratici romani, spesso ostili al potere assoluto dell'imperatore. Musonio, il suo allievo Eritteto e lo stesso Seneca ne facevano parte.
Per il legame che Musonio aveva con Rubellio, seguì l'amico in Asia, e quando due anni dopo giunse la condanna a morte di Rubellio Plauto, Musonio lo incitò a non fuggire ma ad attendere la morte con spirito filosofico, rinunciando alla lotta "pro incerta et trepida vita"
Musonio poi tornò a Roma, ma nel 65, all'epoca della congiura pisoniana, venne mandato nuovamente in esilio a Gyaros, inospitale e rocciosa isola del Mar Egeo. Rientrato dopo la morte dell’imperatore, riuscì a guadagnarsi la stima di Vespasiano che tuttavia nel 71 aveva esiliato numerosi filosofi.
Ci fu però un secondo esilio intorno all’80. Dopo il suo rientro a Roma, voluto da Tito, le fonti tacciono. Sappiamo che vi fu una seconda epurazione dei filosofi, stoici e non, sotto Domiziano nell'85, definiti da Tigellino " turbolenti e ambiziosi ", forse gli unici che osavano criticare il governo in atto. Da un’epistola di Plinio dell'anno 100, si apprende che da poco Mausonio è morto, forse di vecchiaia perchè non si aggiunge alcunchè.
Il suo discepolo più importante fu Epitteto, probabilmente a Roma. Un suo discendente fu il poeta Postumio Rufio Festo Avienio (seconda metà del IV secolo). Alcuni aspetti del pensiero di Musonio Rufo di derivazione socratica e platonica sarebbero poi confluiti nella teologia di alcuni dei primi Padri della Chiesa: l’intellettualismo etico, la concezione non retributiva ma rieducativa della pena, la pari educabilità degli uomini e delle donne alla virtù.
LE OPERE
SENECA |
I principi della sua predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, il quale probabilmente ebbe modo di ascoltarne le lezioni per un tempo abbastanza lungo.
Alcune delle Diatribe di Gaio Musonio Rufo sono conservate nell'Antologia di Giovanni Stobeo (V secolo).
È andata perduta l’opera di un altro discepolo, forse il Valerio Pollione precettore di Marco Aurelio.
Altre informazioni si possono desumere da una serie di frammenti sparsi e testimonianze indirette.
LO STILE
Lo stile delle diatribe è semplice, in genere viene posta una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo. Porta ragioni logiche e ne sviluppa pacatamente le prove. Secondo quanto riporta Lucio, Musonio parlava spesso in modo figurato, usando metafore e similitudini. Infatti nelle diatribe spesso fa esempi figurati.
LA DOTTRINA
DIATRIBA I
PER UNA SINGOLA QUESTIONE FILOSOFICA NON C’È BISOGNO DI MOLTE DIMOSTRAZIONI
"- Una volta il discorso cadde sulle dimostrazioni che è d’uopo i giovani ascoltino dalla bocca dei filosofi per giungere ad un’apprensione certa di ciò che stanno imparando; e Musonio affermava che non conviene andare in cerca, su ogni singola questione, di molte dimostrazioni, bensì di dimostrazioni efficaci ed evidenti. Infatti, diceva, degno di lode non è il medico che somministra ai malati molte medicine, ma quello che giova al malato con le poche medicine che gli somministra in modo ragionato.
- Similmente, degno di lode non è il filosofo che insegna ai suoi uditori utilizzando molte dimostrazioni, bensì quello che con poche dimostrazioni li conduce esattamente a ciò che vuole loro insegnare. Per parte sua l’uditore, quanto più comprendonio avrà, tanto meno abbisognerà di dimostrazioni e tanto più in fretta sarà d’accordo sul punto capitale, posto che sia sano, del ragionamento.
- Chiunque, invece, su tutto ha bisogno di una dimostrazione, anche laddove la questione è chiara; oppure vuole dimostrare a se stesso con molte argomentazioni ciò che può invece essere dimostrato con poche, è un uditore del tutto fuori posto e tardo di comprendonio.
- Gli Dei, com’è verosimile, non hanno bisogno di dimostrazione alcuna, poiché per loro nessuna questione è priva di chiarezza o dubbia, dato che sono queste ultime le sole questioni che hanno bisogno di dimostrazioni.
- Gli uomini, invece, devono necessariamente cercare di scoprire ciò che non è chiaro né immediatamente conosciuto, attraverso ciò ch’è appariscente e manifesto: il che è appunto opera della dimostrazione.
- Per esempio: che il piacere fisico non sia un bene non sembra essere immediatamente riconosciuto, dal momento che il piacere ci chiama a testimoni nei fatti che esso è un bene. Se però uno fa suo il conosciuto assunto che ogni bene è da scegliersi, e poi aggiunge ad esso l’altro conosciuto assunto, ossia che alcuni piaceri fisici non sono da scegliersi: ecco che noi dimostriamo - grazie al passaggio da assunti conosciuti a ciò ch’è sconosciuto - che il piacere fisico non è un bene.
- Ed ancora: che il dolore fisico non sia un male non appare immediatamente persuasivo. Al contrario, sembra più persuasivo l’opposto, ossia che il dolore fisico è un male. Ma se si pone l’assunto evidente: che ogni male è da fuggirsi; e poi s’assomma ad esso un altro assunto evidente, ossia che molti dolori fisici non sono da fuggirsi: ecco che se ne conclude che il dolore fisico non è un male.
- Assodato che la dimostrazione è una cosa del genere, poiché alcuni uomini sono più acuti ed altri più ottusi, poiché alcuni sono stati educati a costumi migliori ed altri a costumi peggiori; quelli peggiori per costumi o per natura potrebbero avere bisogno, per accogliere questi giudizi ed esserne modellati, d’un maggior numero di dimostrazioni e d’una trattazione più ampia delle questioni.
PER UNA SINGOLA QUESTIONE FILOSOFICA NON C’È BISOGNO DI MOLTE DIMOSTRAZIONI
"- Una volta il discorso cadde sulle dimostrazioni che è d’uopo i giovani ascoltino dalla bocca dei filosofi per giungere ad un’apprensione certa di ciò che stanno imparando; e Musonio affermava che non conviene andare in cerca, su ogni singola questione, di molte dimostrazioni, bensì di dimostrazioni efficaci ed evidenti. Infatti, diceva, degno di lode non è il medico che somministra ai malati molte medicine, ma quello che giova al malato con le poche medicine che gli somministra in modo ragionato.
- Similmente, degno di lode non è il filosofo che insegna ai suoi uditori utilizzando molte dimostrazioni, bensì quello che con poche dimostrazioni li conduce esattamente a ciò che vuole loro insegnare. Per parte sua l’uditore, quanto più comprendonio avrà, tanto meno abbisognerà di dimostrazioni e tanto più in fretta sarà d’accordo sul punto capitale, posto che sia sano, del ragionamento.
- Chiunque, invece, su tutto ha bisogno di una dimostrazione, anche laddove la questione è chiara; oppure vuole dimostrare a se stesso con molte argomentazioni ciò che può invece essere dimostrato con poche, è un uditore del tutto fuori posto e tardo di comprendonio.
- Gli Dei, com’è verosimile, non hanno bisogno di dimostrazione alcuna, poiché per loro nessuna questione è priva di chiarezza o dubbia, dato che sono queste ultime le sole questioni che hanno bisogno di dimostrazioni.
- Gli uomini, invece, devono necessariamente cercare di scoprire ciò che non è chiaro né immediatamente conosciuto, attraverso ciò ch’è appariscente e manifesto: il che è appunto opera della dimostrazione.
- Per esempio: che il piacere fisico non sia un bene non sembra essere immediatamente riconosciuto, dal momento che il piacere ci chiama a testimoni nei fatti che esso è un bene. Se però uno fa suo il conosciuto assunto che ogni bene è da scegliersi, e poi aggiunge ad esso l’altro conosciuto assunto, ossia che alcuni piaceri fisici non sono da scegliersi: ecco che noi dimostriamo - grazie al passaggio da assunti conosciuti a ciò ch’è sconosciuto - che il piacere fisico non è un bene.
- Ed ancora: che il dolore fisico non sia un male non appare immediatamente persuasivo. Al contrario, sembra più persuasivo l’opposto, ossia che il dolore fisico è un male. Ma se si pone l’assunto evidente: che ogni male è da fuggirsi; e poi s’assomma ad esso un altro assunto evidente, ossia che molti dolori fisici non sono da fuggirsi: ecco che se ne conclude che il dolore fisico non è un male.
- Assodato che la dimostrazione è una cosa del genere, poiché alcuni uomini sono più acuti ed altri più ottusi, poiché alcuni sono stati educati a costumi migliori ed altri a costumi peggiori; quelli peggiori per costumi o per natura potrebbero avere bisogno, per accogliere questi giudizi ed esserne modellati, d’un maggior numero di dimostrazioni e d’una trattazione più ampia delle questioni.
- Proprio come io credo avvenga per i corpi in cattivo stato i quali, quando si intende star bene, hanno bisogno di moltissima cura. I giovani che sono invece di buona natura e quelli che hanno avuto un’educazione migliore, più facilmente e più velocemente sarebbero d’accordo con quanto è esposto rettamente, pur se attraverso poche dimostrazioni; e gli si conformerebbero nella pratica.
- Che così stiano le cose lo riconosceremmo facilmente se pensassimo a degli adolescenti o giovanotti, uno dei quali allevato nel lusso più sfrenato, dal corpo effeminato, con l’animo infiacchito da abitudini che conducono alla mollezza, che si mostra, per di più, indolente e che è per natura tardo di comprendonio.
- L’altro, invece, è un giovanotto tirato su, in un certo senso, spartanamente, abituato a non vivere nel lusso, ben esercitato alla fortezza d’animo e pronto a prestare ascolto a quanto è detto rettamente. Di poi supponiamo che questi due giovanotti stiano ascoltando un filosofo il quale parla di morte, di dolore fisico, di povertà di denaro e di faccende simili come di cose che non sono mali; e poi ancora di vita, di piacere fisico, di ricchezza di denaro e di faccende similari come di cose che non sono beni.
- Entrambi accoglieranno forse in modo similare i discorsi del filosofo, e ciascuno dei due ubbidirebbe similarmente ai discorsi che sente fare? Non è neppure il caso di dirlo; giacché uno, il più indolente, probabilmente annuirebbe a stento, con lentezza, mosso da miriadi di ragionamenti come da una leva a lui esterna; mentre l’altro accoglierà ciò che sente dire con velocità e prontezza, in quanto ragionamenti che gli sono familiari e convenienti, senza avere bisogno di molte dimostrazioni né d’una trattazione più ampia delle questioni.
- Non era di questo genere anche il famoso ragazzo spartano che domandò al filosofo Cleante se la fatica è un bene? In questo modo egli si mostrò dotato di buona natura e ben cresciuto in vista della virtù, tanto da ritenere la fatica più prossima alla natura del bene che a quella del male. Chi infatti ammette che la fatica non è un male, cerca di sapere se essa sia per caso un bene. Laonde Cleante, preso da ammirazione per il ragazzo, gli disse: ‘sei di buon sangue, ragazzo mio, visto come parli!’"
IL NEOSTOICISMO
Musonio rappresenta, assieme a Epitteto, Marco Aurelio e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del neostoicismo romano. Da alcuni viene definito il "Socrate romano", con cui condivise effettivamente l’assenza di scritti, la filosofia come pratica di vita, la ricerca di chiarezza nelle dimostrazioni, il coraggio di affrontare le conseguenze delle proprie idee. In Musonio però si bada più al fine sociale dell’indottrinamento e una maggiore austerità dei costumi.
MUSONIO |
La filosofia rappresentava il mezzo per la comprensione e la messa in atto della virtù, considerando come acquisita l'idea del bene proprio in rapporto al bene comune. L’uomo, in generale, inteso come animale sociale, contribuiva al buon funzionamento della cosa pubblica, il filosofo, in particolare, contribuiva a ciò in massimo grado, con le parole, e con uno stile di vita che corrispondesse a quello che predicava.
Dovendo assimilare Musonio a precedenti sistemi filosofici e correnti di pensiero, oltre allo stoicismo, si può notare anche una certo cinismo. Si rifece spesso a modelli come Socrate e i cinici, e sicuramente piacque a posteriori a molti cristiani, ma non si sa quanto egli ebbe modo di conoscere questa nascente religione.
DIATRIBA II
- Tutti noi, e non uno sì e un altro no, siamo nati per vivere al riparo dalle aberrazioni e bene. Gran prova di ciò è il fatto che i legislatori ingiungono in identico modo a tutti gli uomini quel che è d’uopo fare e vietano quel che è d’uopo non fare, non eccettuando alcuno di coloro che disubbidiscono o che aberrano, così che costui resti impunito: si tratti di un giovane o di un anziano, di un individuo robusto o di uno debole, insomma chiunque sia.
- Eppure, se qualche elemento della virtù ci fosse estrinseco e noi nulla avessimo per natura a che vedere con esso; come nessuno pretende, nelle opere che hanno a che fare con le altre arti, d’essere al riparo dall’errore se prima non ha imparato quell’arte; così pure nelle opere della vita nessuno dovrebbe pretendere d’essere al riparo dalle aberrazioni se prima non avesse imparato la virtù, dal momento che soltanto la virtù fa sì che non si aberri nella vita.
- Ora, nella cura dei malati nessuno sollecita che sia al riparo dall’errore altra persona che il medico; nell’uso della lira altra persona che il musicista, e nell’uso dei timoni nessun altro che il pilota. Nel caso della vita, invece, gli uomini sollecitano che ad essere al riparo dalle aberrazioni sia non soltanto il filosofo - il quale pare sia il solo ad avere sollecitudine per la virtù - ma che lo siano similmente tutti gli esseri umani, anche quelli che per la virtù mai hanno avuto sollecitudine alcuna. È dunque manifesto che null’altro è causa di ciò se non il fatto che l’uomo è nato per la virtù.
- E invero gran prova che noi siamo nati per perseguire la virtù è anche quello: ossia il fatto che tutti gli uomini disquisiscono di se stessi come di individui che hanno la virtù e che sono buoni. Nessuno dei più, infatti, quando gli sia domandato se per caso è stolto o saggio, ammetterà di essere stolto.
- Né quando gli sia domandato, a sua volta, se per caso è ingiusto o giusto, dirà che è ingiusto. Similmente, qualora uno gli domandi se è temperante oppure impudente, ognuno risponde alla domanda affermando di essere temperante. Insomma, se uno gli domandasse se è buono oppure cattivo, egli direbbe di essere buono; e lo affermerebbe pur se non sapesse dire chi è stato il suo maestro di bontà, né gli capita d’aver fatto apprendimento alcuno della virtù o esercizio pratico di essa.
- Ciò di null’altro è prova se non del fatto che nell’animo dell’uomo esiste una base fondamentale e naturale che lo indirizza all’eccellenza morale, e che in ciascuno di noi è insito un seme di virtù. E poiché a noi conviene in ogni caso stare al mondo come uomini dabbene, alcuni di noi s’ingannano credendo di esserlo davvero, mentre altri si vergognano di ammettere di non esserlo.
- Peraltro perché, per gli Dei, se uno non ha imparato le lettere o la musica o gli esercizi che si praticano in palestra, neppure afferma di conoscerli né si arroga il vanto di possedere queste arti, non avendo modo di dire qual è il maestro che frequentava; e invece ognuno garantisce d’avere la virtù? Perché nessuna di quelle arti ha per natura a che vedere con l’uomo, né alcuno viene in vita avendone già le basi fondamentali...
COME INSEGNARE LA FILOSOFIA
Da un punto di vista metodologico Musonio invita alla chiarezza e semplicità nell’impartire insegnamenti; i principi su cui si basa la vera filosofia devono essere pochi, certi e acquisibili in modo spontaneo: è inutile e controproducente rendere complicato ciò che non lo è:
SENECA |
La retorica non deve essere un bello stile, ma un mezzo atto a comprendere e trasmettere la verità. Attraverso la dimostrazione (adattata al tipo di uditorio) si spiega quale sia il vero bene in rapporto al male e cosa sia conveniente fare per ottenerlo. Musonio come molti altri filosofi scelse di non affidare allo scritto le sue dottrine, spinto dalla visione dell’insegnamento come una trasmissione orale senza dogmi.
DI COSA NUTRIRSI
“Bisogna preferire i cibi affini all’uomo e alla sua natura, e non quelli che non lo sono – scrive Musonio nei suoi saggi, trascritti dal suo scolaro Lucio – e affini a noi sono i prodotti della terra, i cereali che danno all’uomo il nutrimento adatto, e anche quel che ci possono offrire gli animali, non uccidendoli però”.
“Di questi cibi, i più convenienti sono quelli che si possono usare così come sono, senza il fuoco, come i frutti di stagione, alcune erbe, il latte, il formaggio, il miele. La carne è più da belve feroci e più adatta agli animali selvaggi. E’ pesante e d’ostacolo al pensare, perché l’esalazione che ne proviene è torbida e annebbia l’anima. Perciò chi se ne ciba appare lento nel ragionamento”.
“L’uomo deve nutrirsi nel modo più simile agli dèi. A loro bastano i soffi che emanano dalla Terra e
dall’acqua, e a noi converrebbe il cibo più simile a questo, più leggero, più puro. Così la nostra anima sarebbe più pura”.
DIATRIBA III
CHE ANCHE LE DONNE DEVONO PRATICARE LA FILOSOFIA
"- Poiché qualcuno cercò di sapere da lui se anche le donne devono filosofare,
- La femmina e il maschio hanno similmente le stesse sensazioni: vedere, udire, odorare e le altre. Sia l’uno che l’altra hanno similmente le stesse parti del corpo, e nessuno dei due ne ha più dell’altro. Inoltre, il desiderio della virtù e la naturale disposizione ad appropriarsi di essa non nasce soltanto negli uomini ma anche nelle donne; giacché le donne non meno degli uomini sono nate per dare il loro beneplacito alle opere belle e giuste e per vilipendere quelle opposte.
- Stando così le cose, perché mai agli uomini si converrebbe il ricercare e il considerare il modo di vivere bene, il che è appunto il filosofare, e invece ciò non si converrebbe alle donne? È forse che agli uomini si conviene d’essere virtuosi ed alle donne no? Consideriamo pure, una per una, ciascuna delle opere che si confanno alla donna che intende essere virtuosa, ed apparirà evidente che ciascuna di queste opere promana alla donna proprio dalla filosofia.
- Innanzitutto la donna deve essere una buona amministratrice della casa, un’abile calcolatrice di ciò che è utile ad essa, ed essere atta a comandare i domestici. Ebbene, io affermo che soprattutto queste sono le doti della donna che pratica la filosofia. E se ciascuna di queste doti fa parte della vita, la filosofia altro non è che la scienza del vivere; ed il filosofo, come soleva dire Socrate, considera continuamente: ‘cosa di cattivo e di buono è capitato in casa’
- La donna, poi, deve anche essere temperante: quale colei che si conserva pura dai rapporti sessuali contrari alla legge e pura dalla non padronanza di sé nel caso degli altri piaceri fisici, quale colei che non è serva delle smanie, non è litigiosa, non è spendacciona, non è civettuola. Queste sono le opere della donna temperante.
- Oltre a queste, altre sue opere sono: saper dominare l’ira, non lasciarsi dominare dall’afflizione ed essere superiore ad ogni passione. Questi sono gli esercizi che la ragione filosofica dà l’ordine di fare, ed a me sembra che chi impara a farli diventerebbe una persona ordinata e disciplinatissima, uomo o donna che sia.
- E dunque? Le cose stanno così: la donna che pratica la filosofia non sarebbe forse una persona giusta, un’irreprensibile socia di vita, una buona cooperatrice di concordia, una sollecita tutrice del marito e dei figli, una creatura per ogni verso monda dalla sete di guadagno e dallo spirito di soperchieria?
- Quale creatura, più di colei che pratica la filosofia, potrebbe diventare una donna del genere? Giacché, per l’appunto, è assolutamente necessario che ella -se davvero fosse filosofa- ritenga il commettere un’ingiustizia cosa peggiore, in quanto più vergognosa, del subirla; che concepisca il comportarsi con moderazione una cosa migliore del fare una soperchieria e, inoltre, l’aver cari i figli più del vivere."
L’insegnamento filosofico deve essere impartito fin dalla giovinezza, per far crescere gli uomini nel giusto modo. Il bene, ben distinto dal male, è la ricerca della virtù, ma molti mali in realtà non lo sono poiché non impediscono questa realizzazione: l’esilio e la malattia per esempio (un esempio autobiografico) non devono distogliere l’uomo dal suo obbiettivo di virtù, perchè sono solo eventi da sopportare stoicamente.
Secondo Musonio: "È senz'altro vero che la teoria collabora con la pratica, insegnando come si debba agire e cronologicamente essa precede l'abitudine, poiché non è possibile acquisire un'abitudine positiva se non secondo la teoria; ma per importanza la pratica vien prima della teoria, dal momento che essa è capace, più della teoria, di guidare l'uomo all'azione".
SOMIGLIANZE COL CRISTIANESIMO
Occorre notare quanto l'etica musoniana somigli ai principi del cristianesimo, in genere con maggiore equilibrio, evitando cioè di mortificare il corpo o demonizzare la donna. Però talvolta ha degli atteggiamenti degni di un cattolicesimo intransigente, invitando a evitare ciò che non è strettamente necessario alla virtù, come ad esempio il piacere delle le arti, concetto che la Chiesa fece suo nel primo Medio Evo.
Musonio infatti esorta alla pratica spirituale, intesa conseguire il bene e a sopportare il male, ma pure la sopportazione delle fatiche e delle difficoltà del mondo esterno. La crescita spirituale accrescerebbe di gran lunga l'adattamento alle difficoltà della vita, ma l’esercizio fisico aiuta a sua volta alle conquiste spirituali:
« Dato che l'uomo non si trova a consistere di sola anima e di solo corpo, ma di una certa qual sintesi di questi due elementi, è necessario che chi fa esercizio si prenda cura di entrambi, e maggiormente di quello migliore, come è giusto, e cioè dell'anima; anche dell'altro, però, deve prendersi cura, ammesso che nessuna parte costitutiva dell'uomo debba risultare manchevole. In effetti, anche il corpo del filosofo dev'essere ben preparato a svolgere i lavori del corpo, poiché spesso le virtù si servono del corpo, quale strumento necessario alle attività della vita».
Ogni uomo per natura tende al bene, ma spesso ne ha un errato concetto, per questo deve basarsi sull’insegnamento filosofico. Il filosofo, in qualità di esempio vivente delle virtù, può insegnarla agli altri, esortando all’esercizio di tale pratica.
DIATRIBA IV
SE BISOGNA EDUCARE IN MODO SIMILARE LE FIGLIE E I FIGLI
L’insegnamento filosofico deve essere impartito fin dalla giovinezza, per far crescere gli uomini nel giusto modo. Il bene, ben distinto dal male, è la ricerca della virtù, ma molti mali in realtà non lo sono poiché non impediscono questa realizzazione: l’esilio e la malattia per esempio (un esempio autobiografico) non devono distogliere l’uomo dal suo obbiettivo di virtù, perchè sono solo eventi da sopportare stoicamente.
Secondo Musonio: "È senz'altro vero che la teoria collabora con la pratica, insegnando come si debba agire e cronologicamente essa precede l'abitudine, poiché non è possibile acquisire un'abitudine positiva se non secondo la teoria; ma per importanza la pratica vien prima della teoria, dal momento che essa è capace, più della teoria, di guidare l'uomo all'azione".
Occorre notare quanto l'etica musoniana somigli ai principi del cristianesimo, in genere con maggiore equilibrio, evitando cioè di mortificare il corpo o demonizzare la donna. Però talvolta ha degli atteggiamenti degni di un cattolicesimo intransigente, invitando a evitare ciò che non è strettamente necessario alla virtù, come ad esempio il piacere delle le arti, concetto che la Chiesa fece suo nel primo Medio Evo.
Musonio infatti esorta alla pratica spirituale, intesa conseguire il bene e a sopportare il male, ma pure la sopportazione delle fatiche e delle difficoltà del mondo esterno. La crescita spirituale accrescerebbe di gran lunga l'adattamento alle difficoltà della vita, ma l’esercizio fisico aiuta a sua volta alle conquiste spirituali:
« Dato che l'uomo non si trova a consistere di sola anima e di solo corpo, ma di una certa qual sintesi di questi due elementi, è necessario che chi fa esercizio si prenda cura di entrambi, e maggiormente di quello migliore, come è giusto, e cioè dell'anima; anche dell'altro, però, deve prendersi cura, ammesso che nessuna parte costitutiva dell'uomo debba risultare manchevole. In effetti, anche il corpo del filosofo dev'essere ben preparato a svolgere i lavori del corpo, poiché spesso le virtù si servono del corpo, quale strumento necessario alle attività della vita».
Ogni uomo per natura tende al bene, ma spesso ne ha un errato concetto, per questo deve basarsi sull’insegnamento filosofico. Il filosofo, in qualità di esempio vivente delle virtù, può insegnarla agli altri, esortando all’esercizio di tale pratica.
SE BISOGNA EDUCARE IN MODO SIMILARE LE FIGLIE E I FIGLI
- I cavalieri e i cacciatori educano assieme i cavalli e assieme i cani, senza fare alcuna differenza tra maschi e femmine. Così le cagne imparano a cacciare in un modo del tutto similare a quello dei cani; ed è dato vedere che qualora si voglia che compiano bene le opere equestri, le cavalle ricevono un insegnamento non diverso da quello dei cavalli.
- Quanto agli uomini, può tuttavia darsi che ci debba essere nell’educazione e nell’allevamento dei maschi qualcosa di particolare rispetto alle femmine; come se ad entrambi, uomo e donna, dovessero spettare non le medesime virtù similarmente; oppure come se fosse loro possibile pervenire al raggiungimento delle stesse virtù non attraverso la medesima educazione bensì attraverso educazioni diverse.
MUSONIO |
- Quindi è bene che la moglie sia temperante, com’è bene che lo sia il marito; e le leggi puniscono appunto parimenti l’adultero e l’adultera. I casi di ghiottoneria, di ubriachezza e di altri vizi similari, essendo impudenze che svergognano grandemente coloro che vi rimangono impigliati, mostrano poi chiaramente che la temperanza è assolutamente necessaria ad ogni essere umano, sia femmina che maschio; giacché è soltanto attraverso di essa che noi sfuggiamo l’intemperanza, e in nessun altro modo. A questo punto qualcuno potrebbe forse dire che però la virilità [IV,15,5] conviene soltanto ai maschi.
- Ma le cose non stanno affatto così, giacché bisogna che anche la donna - la migliore, ben s’intende - sia virile e monda d’ogni viltà, così da non essere piegata né dal dolore fisico né dalla paura. Se no, come potrà ancora essere temperante qualora uno possa costringerla con la violenza, o facendole paura o infliggendole dei dolori fisici, a sopportare cose vergognose?
- Dunque bisogna che anche le donne siano pronte a difendersi se non intendono mostrarsi, per Zeus, peggiori delle galline e delle femmine di altri uccelli, le quali combattono accanitamente in difesa dei pulcini con animali molto più grandi di loro. Come dunque potrebbero le donne non avere bisogno di virilità?
- Che poi le donne abbiano a che fare anche con azioni di lotta armata lo rese manifesto la stirpe delle Amazzoni, le quali sterminarono con le armi molti popoli; sicché se qualcosa a questo fine manca alle altre donne è piuttosto la mancanza di esercizio che l’esserne per natura incapaci. Se le virtù dell’uomo e della donna sono le stesse, è allora del tutto necessario che convengano ad entrambi identico allevamento ed identica educazione.
- Infatti la sollecitudine che si prodiga rettamente per qualunque animale o vegetale, di necessità infonde in esso la virtù che gli s’addice. Se un uomo e una donna avessero similmente bisogno di saper suonare il flauto e se ciò fosse necessario sia all’uno che all’altra per riuscire a vivere, noi insegneremmo ad entrambi parimenti l’arte auletica; e la stessa cosa faremmo se dovessero sia l’uno che l’altra suonare la cetra.
- Ora, quanto alla virtù che s’addice all’essere umano, se bisogna che entrambi diventino virtuosi e che siano similmente capaci d’essere assennati, d’essere temperanti, di partecipare della virilità e della giustizia uno non meno dell’altra: non educheremo noi in modo simile l’uno e l’altra, e non insegneremo parimenti ad entrambi l’arte grazie alla quale l’essere umano può diventare virtuoso? Certo che bisogna fare così e non altrimenti.
- ‘E dunque?’ -dice forse qualcuno- ‘tu solleciti che gli uomini imparino l’arte di filare la lana similarmente alle donne, e che le donne prendano parte agli esercizi ginnici similmente agli uomini?’ Io non solleciterò affatto questo. Poiché nel genere umano esiste una natura fisicamente più robusta, che è quella dei maschi; ed una fisicamente più debole, che è quella delle femmine; io affermo invece che bisogna assegnare all’una e all’altra le opere che maggiormente le si adattano, affidando le più pesanti agli individui più robusti e le più leggere agli individui più deboli.
- Per questo motivo l’arte di filare la lana, come pure la cura della casa, si confarebbe più alle donne che agli uomini; mentre viceversa la ginnastica, come pure la vita fuori casa, si confarebbe più agli uomini che alle donne. Talora, tuttavia, anche degli uomini possono porre verosimilmente mano ad opere più leggere e ritenute da donna; e delle donne, a loro volta, fare lavori più duri e che si ritengono convenire maggiormente agli uomini, qualora così impongano le necessità del corpo o del bisogno o del momento. In un certo senso, infatti, tutte le opere umane sono da farsi in comune e sono comuni dell’uomo e della donna; e nulla è necessariamente appannaggio esclusivo dell’uno o dell’altra.
- Talune di esse, tuttavia, sono più idonee ad una natura ed altre all’altra: ragion per cui alcune si chiamano opere maschili ed altre opere femminili. Quante hanno però riferimento alla virtù si può rettamente affermare che s’addicano parimenti sia ad una natura che all’altra, se appunto noi affermiamo che le virtù s’addicono non meno agli uni che alle altre.
- Laonde io credo che bisogna verosimilmente educare in modo similare sia la femmina che il maschio in tutte quante le opere che conducono alla virtù. A cominciare dall’infanzia bisogna dunque subito insegnar loro che questo è bene e che questo è male, che una stessa cosa è male per entrambi, che questo è giovevole, che questo è dannoso, che questo qui si deve fare e che questo qui non si deve fare. Da questi insegnamenti promana saggezza alle fanciulle e similmente ai fanciulli che li apprendono, senza differenza alcuna fra gli uni e le altre.
- Di poi bisogna infondere in essi un’intensa ripulsa per ogni faccenda vergognosa, e una volta ingeneratisi questi moti, necessariamente l’uomo e la donna sono individui temperanti. Invero chi è educato rettamente -chiunque sia, maschio o femmina - deve abituarsi a sopportare il dolore fisico, abituarsi a non avere paura della morte, abituarsi a non avvilirsi davanti a nessuna sventura: tutte abitudini grazie alle quali si può acquisire la virtù della virilità.
- E della virilità è stato poc’anzi mostrato che anche le donne hanno parte. Inoltre il rifuggire l’avidità di guadagno; l’avere in onore l’imparzialità; essendo un uomo, il voler fare del bene e non del male agli altri uomini: ecco, questa è la lezione più bella e quella che realizza la giustizia in coloro che la imparano. Perché bisogna che sia soltanto l’uomo ad imparare queste cose?
- Infatti, per Zeus, se è confacente che le donne siano persone giuste, allora bisogna che entrambi abbiano imparato le medesime cose, che sono quelle in assoluto più importanti e più grandi. Giacché se uno conoscerà qualche minuzia attinente un certo virtuoso e l’altra no; oppure, al contrario, se una la conoscerà e l’altro no: ciò non dimostra che l’educazione dell’uno è stata diversa da quella dell’altra.
LA PRIVAZIONE DEL SUPERFLUO
Anche la privazione del superfluo innalza l'uomo e lo avvicina al divino:
« è tipico della divinità non avere bisogno di nulla, e di chi è simile ad essa l’aver bisogno di poco ».
L' ingiustizia, Musonio recupera il concetto socratico (come nel Gorgia di Platone) secondo cui sarebbe meglio subirla che farla, sempre però pronti al perdono. Si deve pertanto aiutare chi ha bisogno e colui che sbaglia: capire gli altri aiuta a comprendere noi stessi.
La sua concezione della donna, in cui si riflette il retroterra culturale etrusco, presenta una indubbia novità rispetto alla tradizione romana e soprattutto greca, mentre le sue considerazioni sulla sessualità e sul matrimonio hanno avuto grande influenza sui principali autori cristiani dei primi secoli.
Musonio l'etrusco era abituato all'uguaglianza, o quasi, tra i sessi nella sua terra natia, l'Etruria, che pochi filosofi sentirono, anzi essendo per la maggior parte misogini. Egli illustrò invece una visione assolutamente ugualitaria dell’uomo e della donna, la cui vera virtù è l’equità, il coraggio, la giustizia e l’onestà, cui entrambi debbono e possono tendere senza distinzione di sesso.
« Tutti quanti per natura, siamo fatti per vivere irreprensibilmente e rettamente: non l'uno di noi sì, e l'altro no. Una prova importante di questo è che i legislatori prescrivono a tutti indistintamente ciò che si deve fare e proibiscono ciò che non si deve, senza fare eccezione per nessuno che disobbedisca o sbagli, sottraendolo così alla pena: nessuno, né giovane, né vecchio, né forte, né debole, né qualsivoglia si sia ».
C'è anche in Musonio l’idea del cosmopolitismo, in cui ogni uomo fa parte della monade mondo, ma fa anche parte di un’unica realtà spirituale, superiore, che corrisponde alla Città di Zeus. In questo contesto si può accettare anche l'esilio, perchè tutta la terra è patria per l'uomo:
« La patria comune di tutti gli uomini non è forse il mondo, come riteneva Socrate? Cosicché, non si deve pensare di essere esiliati veramente dalla patria, se ci si allontana dal luogo in cui si è nati e cresciuti, ma soltanto di ritrovarsi privi di una certa città, specialmente se ci si reputa una persona ragionevole. Chi, infatti, è tale non onora né disprezza una terra come fosse causa di felicità o di infelicità, ma pone tutto quanto in se stesso e si considera un cittadino della città di Zeus, che consiste, insieme, di uomini e di dei ».
La materia e lo spirito si compenetrano, sono parte della stessa creatura, cosa che verrà ribadita più tardi dall'alchimia, che raccomanda:
"Corporifica lo spirito e spiritualizza il corpo."
Così l’immanenza e la trascendenza si uniscono, e la Città di Zeus diventa il modello ideale, dove la divinità rappresenta il modo migliore per vivere, la realizzazione della virtù, e quanto più l’uomo riesce ad avvicinarsi a quel modello tanto più potrà essere considerato simile al divino.
Ciò che conta è dentro di noi e non fuori, perchè solo lì è il vero bene che non può essere intaccato. Il principio sarebbe il "Nosce te ipsum", ma inteso un po' più come ciò che si desume dal comportamento, e non da una discesa nell'Ade come raccomandavano le antiche vie misteriche.
L'EDUCAZIONE DEL RE
L’educazione filosofica però riguarda soprattutto coloro che detengono il potere. Il sovrano deve conoscere il bene del suo popolo. Perciò deve studiare la filosofia: solo chi sa governare se stesso può governare gli altri:
" il sovrano deve fare filosofia, perché altrimenti, se non filosofasse, non conoscerebbe evidentemente la giustizia ed il giusto ".
Il sovrano e la legge finiscono così per identificarsi ribadendo quel forte connubio tra spirito e materia, equilibrio tra le parti, armonia del tutto che si dipana attraverso il pensare filosofico.