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VALERIO MASSIMO

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oltraggio di lucrezia

Nome: Valerius Maximus
Nascita: I secolo a.c.
Morte: I secolo d.c.
Professione: Storico



Valerio Massimo (Roma, I secolo d.c. – Roma, post 31), secondo alcuni 20 a.c - 50 dc., è stato uno storico  romano.


LE ORIGINI

non si sa molto di lui, comunque proveniva da una famiglia povera, anche se viveva a Roma da alcune generazioni, ed era cliente del console del 14 d.c., Sesto Pompeo, e che il 27 avrebbe accompagnato il proconsole  in Asia e questi, per ringraziarlo, lo avrebbe aiutato ad entrare nel circolo letterario, in cui stava lo stesso Ovidio.
Al tempo dell'imperatore Tiberio (14-37) raggiunse l'apice della notorietà e fu anche il massimo periodo di produzione letteraria, specie dopo la caduta del prefetto  Seiano, esecrato tra gli esempi di ingratitudine.



FACTORUM ET DICTORUM MEMORABILIUM

Detto anche De factis dictisque memorabilibus o Facta et dicta memorabilia. Dopo aver accompagnato nel suo proconsolato in Asia nel 27 Sesto Pompeo, Valerio Massimo scrisse un manuale di Factorum et dictorum memorabilium, (anno 30 o 31 dc.) esempi storici e retorico-morali in libri IX, di cui uno mutilo. Gli antichi però ne conobbero anche un’edizione in 10 libri.

EDUCAZIONE SPARTANA
"Nec mihi cuncta conplectendi cupido incessit: quis enim omnis aeui gesta modico uoluminum numero conprehenderit, aut quis compos mentis domesticae peregrinaeque historiae seriem felici superiorum stilo conditam uel adtentiore cura uel praestantiore facundia traditurum se sperauerit?"

Secondo quello che l'autore espone qui sopra nella prefazione, si tratta di un manuale diretto a chi vuole citare gesta o sentenze riguardanti un determinato argomento.

Pertanto è un manuale ad uso dei retori e degli insegnanti delle scuole, costruito però con uno stile ampolloso e pretenzioso.

L’opera, dedicata a Tiberio, fu certamente pubblicata verso il 31, anno in cui fu condannato a morte Elio Seiano, il potente ministro del principe. A Seiano si allude, infatti, nella parte conclusiva dell’ultimo libro, fra gli esempi di facta scelerata, in un capitolo che sembra essere stato aggiunto a lavoro già finito. Il poema abbonda di passi in cui Tiberio è esaltato come “supremo difensore della nostra incolumità”.

GAIO GRACCO
Ognuno dei nove libri ha sette capitoli, ogni capitolo ha un tema particolare su cui si articolano le storie, che sono in tutto 91, riguardanti vari risvolti della vita romana, intorno a difetti e virtù, usi morali e immorali, pratiche religiose, superstizioni e antiche tradizioni.

Opera erudita di carattere divulgativo, raccoglieva fatti e aneddoti da fonti diverse, suddivisi in 9 libri con 95 categorie di vizi e virtù, al loro interno suddivisi in esempi sia romani che stranieri. Venne scritta durante il regno di Tiberio (42 ac. – 37 d.c.) La maggior parte delle brevi storie riguardano personaggi romani, solo una piccola parte riguarda personaggi stranieri, e di questi si tratta soprattutto di greci, in particolare filosofi e re.

 L'opera è una raccolta di exempla storici, circa un migliaio, diretta all'insegnamento nelle scuole, divisa per argomenti, in cui gli esempi, soprattutto romani,  sono attinti non tanto ai grandi storici greci, quanto a Cicerone, Sallustio e Livio. I temi sono disparati, ma tutti di carattere moraleggiante.


La modesta finalità dell'autore è infatti quella di portare al lettore exempla (esempi) attraverso i comportamenti virtuosi, oppure attraverso quelli più esecrabili, degli uomini famosi del passato, di modo che i retori, a cui questa opera sembra essere indirizzata, possano farne uso nei loro discorsi per ampliare storicamente le loro argomentazioni.

Nella redazione del poema Valerio si rivolse alle precedenti raccolte di argomenti analoghi, come quelle di Pomponio Rufo, Igino, forse Cornelio Nepote, ma ricorse spesso anche a diversi autori latini come Cicerone, Varrone, Tito Livio, Sallustio, Pompeo Trogo, e greci come Senofonte, Erodoto, Teopompo e Diodoro Siculo.

L'opera di questo autore si propone anche di essere un'edificante e piacevole lettura per il lettore occasionale, non necessariamente colto nell'arte della retorica (il persuadere tramite i discorsi):

"Pagina hac domestica certior fies, candide lector, de rebus classicis quas in aranea nostra mirabili totum orbem terrarum complectente invenias".

Valerio Massimo fu più volte usato e citato dagli autori latini successivi. Nel IV sec. dalla sua opera furono tratti due compendi; uno, che ci è giunto integralmente, di Giulio Paride, l'altro, che si arresta al III libro, di Nepoziano.

Lo stile particolare e il linguaggio piuttosto complesso di questo autore ha fatto sì che, a molti secoli dalla sua morte, egli sia uno degli autori più tradotti da chi si appresta a studiare il Latino assieme a Cesare, Cicerone, Fedro, Cornelio Nepote e Eutropio.

SCIPIONE L'AFRICANO
Tuttavia Valerio nasconde questa vacuità retorica sotto il pretesto etico dell'esaltazione della virtù, che ovviamente si rivela in Tiberio e ha il suo contrario in Seiano, insigne esempio di ingratitudine punita. Ragion per cui Valerio non può essere definito uno storico, quanto un retore che testimonia il progressivo sbriciolamento della storiografia in aneddotica e pettegolezzo, da taluni seguita, senza più la necessaria comprensione delle causalità degli eventi.

Per il suo carattere moraleggiante, l'opera ebbe molta fortuna nel Medioevo, circolando anche in due riassunti, quello di Giulio Paride e uno (mutilo) di Nepoziano, ambedue del IV-V secolo d.c.

Ne sono giunte due epitomi antiche e una medievale, un importante volgarizzamento nella prima metà del '300, attribuito ad Andrea Lancia.

Dante Alighieri non lo citò mai direttamente, ma già i primi commentatori della Commedia lo proposero come fonte di alcuni spunti o episodi dell'Inferno e del Purgatorio. La questione fu però controversa per gli studiosi.


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