EUROPA SUL TORO |
Infatti secondo il mito greco Zeus si innamorò di Europa, figlia del re di Tiro, antica città fenicia, vedendola insieme ad altre fanciulle raccogliere dei fiori presso la spiaggia.
Zeus prese allora le sembianze di un toro bianco, le si avvicinò e si stese ai suoi piedi. Europa vi salì e questi la portò attraverso il mare fino all'isola di Creta. Zeus rivelò qui la sua vera identità e tentò di usarle violenza, ma Europa resistette.
Zeus si trasformò allora in aquila e riuscì a sopraffare Europa in un boschetto di salici o, secondo altri, sotto un platano sempre verde. Europa divenne la prima regina di Creta. Ebbe da Zeus tre figli: Minosse, Radamanto, Sarpedonte, che vennero adottati da suo marito Asterione re di Creta.
Dopo la morte di Asterione, Minosse diventa re di Creta. In onore del padre e della madre di quest'ultimo, i Greci diedero il nome "Europa" al continente che si trova a nord di Creta.
Vitula, nel linguaggio latino, designa una giovenca, infatti il nome Europa sembrerebbe significare "che ha occhi grandi", qualifica che ben si addice a una giovenca.
La Dea Vacca era, non solo in Europa ma un po' in tutto il mondo civile, l'appellativo della Dea Natura, ovvero la Tellus, il pianeta che nutriva tutti gli animali e tutte le piante.
Era la creatura divina donatrice di latte che, come la mucca allatta il vitello, fa crescere le creature senzienti.
Pertanto Vitula, la Vacca sacra, era anticamente una Grande Madre, e dai lei derivarono i termini di Vitulari, che erano i riti religiosi a lei dedicati, e pure la Vitulatio, cioè la festa a lei dedicata.
Macrobio riferisce, da quel che gli narrarono gli anziani, che Vitula è una divinità che presiede alla gioia, e che ispira i poeti come farebbe una Musa.
Così Nevio, Ennio e Plauto, vennero definiti vitulari, con una certa connotazione sacra.
In Umbria, dove questa Dea era venerata, c'era l'usanza di festeggiare la Vitulatio rincorrendo all'inizio della festa una mandria di vitelli che simboleggiavano un esercito ostile, poi ne sacrificavano uno sia come auspicio di vittorie future che come festa di vittorie passate.
Ora sembra un'incongruenza scambiare i figli della Dea giovenca per dei nemici, ma la spiegazione sta nell'evolvere dei miti nelle varie epoche coi movimenti migratori delle diverse popolazioni. All'inizio infatti il vitello era il figlio annuale della Dea, cioè la vegetazione annuale che nasceva in primavera e moriva in autunno.
Così un vitello veniva sacrificato alla Madre Giovenca che lo riprendeva dentro di sè, infatti la carcassa del vitello sacrificato, della cui carne si cibava ritualmente la popolazione, veniva sepolta nella fossa del tempio. Il che si è visto fare per altri animali che simboleggiavano i figli della Madre Terra, come i cani o i maialini (vedi la Basilica Neopitagorica e altro) .
Con le battaglie fra le tribù nomadi che dovevano ogni volta spostarsi e contendere il suolo ad altre tribù, i combattimenti divennero così importanti che la Dea assunse un valore maggiore come colei che difende i suoi figli tribali dalle tribù nemiche.
VICTORIA |
Così la Dea cavalcò il toro, che rappresentò la parte potente e guerriera di tutte le popolazioni più antiche. La Grande Madre ebbe ovunque come connotazione regale il toro. La testa dell'animale con le sue lunghe corna si riscontra in tutte le civiltà più antiche e finì per diventare l'attributo dei re che si ritennero figli della Dea Giovenca.
Il toro regna in tutte le prime civiltà, da quella delle Porte di Ferro, il sito archeologico di 7000 a.c. situato nella Serbia orientale, a quella della civiltà di Creta nel Mediterraneo, ma pure in tutta l'Asia e il nord Africa.
Essendo la Dea della difesa tribale, quando molte civiltà divennero stanziali ella si trasformò in Dea della Guerra, sia per la difesa che per l'offesa, ossia per la conquista di ulteriori territori.
Così Vitula divenne in epoca romana una divinità della Vittoria, identificandosi in parte con la Dea Victoria, che altri non era che l'antica Nike greca.
Sembra che la parola sia stata poi corrotta in Vitellia o Vitelia, derivando, si dice, dal nome della gens Vitellia.
Svetonio racconta che un certo Quinto Elogio dedicò al senatore Quinto Vitellio (Questore) uno scritto in cui si narravano le origini della sua famiglia, che secondo lui risalivano a Fauno, (secondo l'Eneide, padre di Latino), e a una certa Vitellia, che però non era una Dea.
La famiglia Vitellia, secondo la storia, sarebbe giunta a Roma dalla Sabinia, e, a causa della sua nobiltà, fu inclusa tra i patrizi. Infatti esisteva una via Vitellia, una strada che dal Gianicolo portava al mare e una colonia Vitellia nel territorio degli Equi.
Fauno e Vitellia erano però divinità Sabine trapiantate a Roma, e visto che non si parla di Vitellii consoli, la strada doveva realmente essere dedicara a una Dea, come del resto il Gianicolo era dedicato a Giano.
La più antica celebrazione della Vitulatio è da ricercare nella festa della Poplifugia o Caprotine Nones, come a tramutare una sconfitta in una vittoria, visto che in seguito i romani ebbero ragione dei Fidenati, dei Ficulei e pure dei Galli. Insomma Roma era l'eterna vincitrice, Aeterna Victris, o Aeterna Vitula.