E' una villa d'otium romana che prende il nome da una cappella dedicata a San Marco, costruita nel XVII sec. nella zona della villa, ormai totalmente coperta. Questa meraviglia si estendeva per circa 11.000 mq, di cui solo 6.000 riportati alla luce, la più grande villa d'otium dell'antica Campania.
La struttura fu esplorata per la prima volta dai Borboni tra il 1749 e il 1782 e, dal benemerito preside e grande studioso Libero D'Orsi, tra il 1950 e il 1962. Era ancora in ottimo stato di conservazione grazie ai cinque m di cenere e lapilli dell'eruzione che la sommersero totalmente.
La Villa venne edificata in età augustea, poi ampliata con l'aggiunta di ambienti panoramici, il grande giardino e la piscina nell'età claudia.
Si pensa che l'edificio potesse appartenere a un certo Narcissus, un liberto evidentemente arricchito, cosa non inusuale presso i romani, sulla base di alcuni bolli ritrovati su delle tegole.
Oppure potrebbe appartenere alla famiglia dei Vettii, i quali avevano dei sepolcri poco distanti dalla costruzione. I Vettii, erano oltre che a Pompei, anche a Grumentum, antico pagus. Nelle antiche carte Viggiano è Viziano: quindi il nome deriverebbe da Vettius o Vectius e la famiglia Vezziana fiorì nella città di Grumento. Nei suoi marmi si legge: Vettia Cn. L. Philelma … Cn. Vettius.
DESCRIZIONE
L'ingresso della villa è posto a circa cinque metri di profondità: passaggio che collegava l'ingresso all'atrio aveva delle panche come sala d'attesa per essere ricevuti dal proprietario. L'atrio era affrescato con una zoccolatura in nero e zona mediana in rosso con raffigurazioni di centauri e pelli di pantere.
La cucina, posta alle spalle dell'atrio, era vasta e rettangolare, con un grosso bancone in muratura su quattro archi, un piano cottura in frammenti laterizi e una grande vasca. La pavimentazione era in cocciopesto e le pareti, rivestite di intonaco grezzo, conservano dei graffiti lasciati dagli schiavi: una nave a remi, dei conti della spesa, due gladiatori e un poema di dodici righe.
Erano collegati alla cucina un magazzino e altri ambienti un tempo diaetae, infatti sontuosamente decorate, che in l'età flavia, per la costruzione del peristilio, furono ridotte e utilizzate come depositi o cubicula.
Questi ambienti presentano un pavimento musivo in tassellato bianco e nero e alle pareti una zoccolo nero con la parte superiore in giallo ocra, in terzo stile pompeiano. Sulla destra dell'atrio c'è tablinio, decorato in IV stile (famoso per l'inserimento di architetture fantastiche e per la grande scenicità), con zoccolo rosso a ghirlande e animali, mentre la pavimentazione è in tassellato bianco delimitato da due fasce in nero.
Dal tablinio parte un breve corridoio, pavimentato in cocciopesto, che porta a un cortile porticato dove si apre l'ingresso dalla strada alla villa, cioè le fauces. La porta d'accesso al cortile era in legno, ovviamente bruciata dall'eruzione, ed è stata sostituita col suo calco in gesso.
Dalla Villa sono emerse una statua in bronzo di Mercurio, un corvo a grandezza naturale che doveva guarnire una fontana,come indica la scia di calcare lasciata dall'acqua sulla statuetta, e un bellissimo candelabro di bronzeo.
Negli scavi del 2008 sono stati rinvenuti alcuni ambienti sconosciuti alle mappe borboniche, cioè una scala, un sentiero pedonale, un giardino con al centro un grosso olmo, due latrine, un ambiente con letto, lavabo e piano di cottura, e un altro con una piccola cassetta contenente una moneta, una spatola e un bottone d'osso.
Dalla Villa sono emerse una statua in bronzo di Mercurio, un corvo a grandezza naturale che doveva guarnire una fontana,come indica la scia di calcare lasciata dall'acqua sulla statuetta, e un bellissimo candelabro di bronzeo.
Negli scavi del 2008 sono stati rinvenuti alcuni ambienti sconosciuti alle mappe borboniche, cioè una scala, un sentiero pedonale, un giardino con al centro un grosso olmo, due latrine, un ambiente con letto, lavabo e piano di cottura, e un altro con una piccola cassetta contenente una moneta, una spatola e un bottone d'osso.
STANZA 29 |
Il viridiarum era un giardino ornamentale collocato in uno spazio del peristilio, composto di aiuole delimitate da canalette o da steccati di canne o assicelle e poteva essere monumentalizzato mediante arredo da giardino: statue, fontane, a volte un bacino centrale, triclini coperti di pergole, etc.
Il viridiarum era uno spazio particolarmente confortevole e centrale della vita domestica, specialmente nella stagione calda. Di solito questo giardinetto non superava i 100 mq; ospitava almeno un paio di alberi e/o cespugli, soprattutto di erbe profumate. Poteva ospitare il sacello dei Lari.
PERISTILIO COLONNATO |
Asportando parte del fondo della piscina (il che fa arguire la competenza negli scavi), è emersa una grande fornace in mattoni alimentata a legna, raggiungibile da un un corridoio sotterraneo, che scaldava una grande caldaia in bronzo, i cui vapori passavano nelle intercapedini delle pareti tramite tubi di terracotta, scaldando tutta la stanza pavimentata in marmo.
CALIDARIUM |
La caldaia, un enorme contenitore di bronzo decorato, venne asportata nel 1798 dallo studioso Lord Hamilton per essere trasportata al museo di Londra, insieme a molti reperti pompeiani comprati dal conte di Pianura Grassi che poco italianamente glieli vendette, durante il viaggio la nave su cui fu caricata, la Colossus, naufragò.
Il grande peristilio è circondato da un lungo porticato con al centro una piscina lunga ben 36 m e larga sette, con un ninfeo all'estremità, in parte ancora da esplorare, decorato con affreschi raffiguranti Nettuno, Venere e diversi atleti, asportati dai Borbone e conservati al Museo archeologico nazionale di Napoli e al Museo Condè di Chantilly, in Francia, per il solito grande amore per i soldi e uno scarso amore del suolo italiano.
Nel giardino del peristilio c'erano dei platani che avevano dai settantacinque ai centocinque anni. Infatti gli archeologi analizzando gli strati vulcanici hanno scoperto impronte di radici e, come avvenuto per i calchi degli umani, vi è stato versato cemento liquido ottenendo il calco delle radici.
Nel giardino del peristilio c'erano dei platani che avevano dai settantacinque ai centocinque anni. Infatti gli archeologi analizzando gli strati vulcanici hanno scoperto impronte di radici e, come avvenuto per i calchi degli umani, vi è stato versato cemento liquido ottenendo il calco delle radici.
Analizzatane la forma si è scoperto la specie e l'età degli alberi al momento dell'eruzione che sommerse la villa.
Sul giardino si aprono diverse diaetae affrescate ognuna in modo diverso.
La prima dieta è decorata in IV stile con le raffigurazioni di:
- 1) Perseo con ali ai piedi che mostra la testa di Medusa,
- 2) un'offerente,(di sesso femminile)
- 3) una musa di spalle con la lira,
- 4) Ifigenia,
- 5) una figura nuda
- 6) una donna che scopre una pisside (scatola cilindrica con coperchio),
- 7) sul soffitto c'è una Nike con in mano la palma della vittoria.
- 8) Nella seconda dieta è raffigurata Europa rapita dal toro,
- 9) Nella terza dieta restano frammenti di un giovane disteso su un triclinio con accanto un'etera.
Altre stanze di rappresentanza, in parte crollate, si aprono sul ciglio della collina, in posizione panoramica, con un rivestimento di marmo nella parte inferiore e un affresco in quella superiore.
Le pareti del peristilio sono affrescate, come era frequente all'epoca, con zoccolatura nera e riquadri in rosso e ocra, mentre la pavimentazione è a mosaico bianco, elegantemente bordato nei pressi delle colonne a disegni geometrici in bianco e nero.
Sul lato meridionale Villa San Marco possiede un secondo peristilio di straordinaria grandezza, di circa ben 145 m, con portici sorretti da colonne tortili, crollate in seguito al terremoto dell'Irpinia del 1980 (vedi sotto).- 10) Melpomene,
- 11) l'Apoteosi di Atena,
- 12) Ermes psicopompo,
- 13) la Quadriga del sole con Fetonte
- 14) il Planisfero delle stagioni, rinvenuto nel 1952 e raffigurante un globo con all'interno due sfere intersecanti
- 15) due figure femminili che rappresentano la Primavera e l'Autunno con intorno degli amorini; molto probabilmente poi l'opera era completata dalle figure dell'Inverno e dell'Estate ma la mancanza dei frammenti rende l'interpretazione difficoltosa.
Nel triclinio c'era:
- 16) l'affresco del ninfeo
- 17) l'affresco di Ippolito
- 18) Nel peristilio era collocata anche una meridiana, ritrovata però in un magazzino, in quanto la villa, al momento dell'eruzione, era in ristrutturazione, ed è stata successivamente riposta nella sua posizione originaria.
(1) Perseo che mostra Medusa
PERSEO CHE MOSTRA MEDUSA |
Di squisita fattura e quasi un po' sorniona. Infatti Perseo ha una strana espressione pacifica e piuttosto benevola, mentre Medusa sembra la testa di una bambina un po' preoccupata della sua sorte.
Niente di cui stupirsi, perchè gli artisti migliori in epoca romana si arrogavano il diritto di dare ai miti interpretazioni molto personali. Soprattutto si divertivano a creare espressioni eloquenti sull'animo deiprotagonisti o sull'animo dello spettatore. Ma anche i proprietari potevano preferire espressioni serene in personaggi un po' tormentati.
(2) Affresco di Offerente
L'immagine dell'affresco mostra una donna con i capelli raccolti, con una veste lunga violacea e un mantello azzurro. La veste le lascia un seno scoperto, indossa una cintura dorata e reca nella mano sinistra una patera con offerte alla divinità, probabilmente frutta, e con la destra reca una brocca che probabilmente contiene del vino.
Deve trattarsi della copia di un dipinto molto più antico. Lo testimoniano diverse cose: il fatto che non abbia il capo coperto, il fatto che abbia il seno scoperto assolutamente scandaloso per i romani, e il fatto che rechi sul braccio sinistro alzato il carico più pesante.
Niente di cui stupirsi, perchè gli artisti migliori in epoca romana si arrogavano il diritto di dare ai miti interpretazioni molto personali. Soprattutto si divertivano a creare espressioni eloquenti sull'animo deiprotagonisti o sull'animo dello spettatore. Ma anche i proprietari potevano preferire espressioni serene in personaggi un po' tormentati.
(2) Affresco di Offerente
L'immagine dell'affresco mostra una donna con i capelli raccolti, con una veste lunga violacea e un mantello azzurro. La veste le lascia un seno scoperto, indossa una cintura dorata e reca nella mano sinistra una patera con offerte alla divinità, probabilmente frutta, e con la destra reca una brocca che probabilmente contiene del vino.
Deve trattarsi della copia di un dipinto molto più antico. Lo testimoniano diverse cose: il fatto che non abbia il capo coperto, il fatto che abbia il seno scoperto assolutamente scandaloso per i romani, e il fatto che rechi sul braccio sinistro alzato il carico più pesante.
Nessuno oggi caricherebbe sul braccio sinistro un peso, per quanto leggero, retto però dal braccio piegato, mentre caricherebbe un maggior peso sul braccio destro. La brocca seppure piena, a braccio disteso, risulterebbe più leggera di un peso a braccio piegato.
In epoche più arcaiche gli umani avevano braccio, mano e gamba sinistra dominanti, conseguenza dell'incrocio col cervello in cui l'emisfero destro era ancora prevalente.
ERMES PSICOPOMPO (12) |
(12) Ermes Psicopompo
L'affresco ha una composizione piramidale, priva di scenografia ambientale, imperniata sulla figura principale, quella di Ermes (Mercurio), posta al centro della scena e seduto su di una seggiola, e rappresentato con le caratteristiche di psicopompo, con petaso (cappello da viaggio a falde lunghe) e caduceo ( bastone alato con due serpenti attorcigliati), mentre nella mano destra regge un oinochoe (praticamente una brocca), che poggia sul ginocchio.
Lo pscicopompo è una sorta di demone che fa da intermediario e traghettatore tra il mondo sensibile ed il mondo sovrasensibile, soprattutto accompagna nell'Ade le anime dei morti. Il Dio è avvolto da un mantello, che sembrerebbe rosso, gonfiato dal vento. Ai suoi lati, ma più in basso, sono presenti due figure femminili, poggiate al sedile, con capelli raccolti, mantelli mossi dal vento e sguardo, come quello del Dio, rivolto verso destra: la donna alla sinistra reca in mano una lira, forse una Musa.
- Terremoto dell'Irpinia -
" La ricostruzione dell'Irpinia fu uno dei peggiori esempi di speculazione politica. Dalle inchieste della magistratura emersero dirottamenti politici di fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 339 paesi che diventarono 687.
Alle aree colpite, vennero destinati ben 5.640 miliardi, ma la ricostruzione fu per decenni incompleta. A Torre Annunziata attualmente esistono due quartieri distrutti dal terremoto del 1980, che malgrado le ingenti somme di denaro, 11,5 milioni di euro, non sono a oggi mai stati completati.
La ricostruzione venne incentrata sul rilancio industriale su un paese totalmente agricolo, con imprese che fallirono subito dopo aver intascato i contributi.
In sette anni, ventisei banche aprirono gli sportelli nella zona terremotata. Secondo la Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a « 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie ».
La prima stima dei danni del terremoto, fatta nel 1981 dall'ufficio dello Stato, era di 8.000 miliardi di lire (circa 4000 euro), ma arrivò a 60.000 miliardi di lire nel 2000, e 32 miliardi di euro nel 2008. Attualizzandola al 2010, la stima, dai 4000 euro iniziali, supererebbe i 66 miliardi di euro. "
Ora si spiega perchè ci si mette tanto a ripristinare le zone archeologiche terremotate.
Alle aree colpite, vennero destinati ben 5.640 miliardi, ma la ricostruzione fu per decenni incompleta. A Torre Annunziata attualmente esistono due quartieri distrutti dal terremoto del 1980, che malgrado le ingenti somme di denaro, 11,5 milioni di euro, non sono a oggi mai stati completati.
La ricostruzione venne incentrata sul rilancio industriale su un paese totalmente agricolo, con imprese che fallirono subito dopo aver intascato i contributi.
In sette anni, ventisei banche aprirono gli sportelli nella zona terremotata. Secondo la Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a « 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie ».
La prima stima dei danni del terremoto, fatta nel 1981 dall'ufficio dello Stato, era di 8.000 miliardi di lire (circa 4000 euro), ma arrivò a 60.000 miliardi di lire nel 2000, e 32 miliardi di euro nel 2008. Attualizzandola al 2010, la stima, dai 4000 euro iniziali, supererebbe i 66 miliardi di euro. "
Ora si spiega perchè ci si mette tanto a ripristinare le zone archeologiche terremotate.
(11) Apoteosi di Atena
L'affresco, di m 114x100, fu dipinto all'inizio dell'epoca flavia, (69 - 96 d.c.), sul soffitto del secondo peristilio della Villa, rinvenuto in frammenti a seguito dello scavo del 1952 da parte di Libero D'Orsi, quindi ricomposto e restaurato ed infine conservato all'interno dell'Antiquarium stabiano
L'affresco presenta un fondo verde con al centro una figura femminile con il capo cinto da una corona d'alloro che reca nella mano destra un ramo con aculei, mentre nella sinistra regge con un'asta uno scudo.
Dietro di lei si erge Minerva, che con la mano destra si calza l'elmo con penne sulla testa, mentre tiene la mano sinistra sul petto.
I capelli che escono dall'elmo sono di colore giallo-oro, mentre il volto è girato verso destra, abbassato, con espressione malinconica.
Sul lato sinistro c'è la parte di un'altra figura non identificata.
A nostro avviso l'affresco allude all'anno dei quattro imperatori, cioè al 69, anno in cui regnarono quattro imperatori: Galba, successo a Nerone suicida, in carica dal giugno 68, Otone, Vitellio e Vespasiano, che regnò per dieci anni.
Probabilmente l'affresco riproduce la tristezza dell'epoca data dal susseguirsi delle guerre civili, cioè romani contro romani.
La figura cinta d'alloro è la Nike che in genere porta l'alloro al vincitore ma è ella stessa laureata.
Sin dall'antica Grecia Nike è strettamente associata ad Atena, la Dea della guerra, a volte sulla mano stessa della Dea, pronta a spiccare il volo per laureare il generale dell'esercito vincitore, chiunque esso sia.
Stavolta però non consegna al vincitore la corona d'alloro ma un ramo irto di aculei, perchè il vincitore sarà a sua volta vinto e subirà gravi pene, come accadde ai tre imperatori fino all'arrivo di Vespasiano, valente generale ed uomo saggio ed equilibrato.
Il fatto che tenga lo scudo con un'asta significa che non desidera imbracciarlo a difesa di alcuno, come aspettasse tempi migliori per schierarsi con un imperatore che finalmente rappresenti degnamente Roma.
L'affresco, di m 114x100, fu dipinto all'inizio dell'epoca flavia, (69 - 96 d.c.), sul soffitto del secondo peristilio della Villa, rinvenuto in frammenti a seguito dello scavo del 1952 da parte di Libero D'Orsi, quindi ricomposto e restaurato ed infine conservato all'interno dell'Antiquarium stabiano
L'APOTEOSI DI ATENA (11) |
Dietro di lei si erge Minerva, che con la mano destra si calza l'elmo con penne sulla testa, mentre tiene la mano sinistra sul petto.
I capelli che escono dall'elmo sono di colore giallo-oro, mentre il volto è girato verso destra, abbassato, con espressione malinconica.
Sul lato sinistro c'è la parte di un'altra figura non identificata.
A nostro avviso l'affresco allude all'anno dei quattro imperatori, cioè al 69, anno in cui regnarono quattro imperatori: Galba, successo a Nerone suicida, in carica dal giugno 68, Otone, Vitellio e Vespasiano, che regnò per dieci anni.
Probabilmente l'affresco riproduce la tristezza dell'epoca data dal susseguirsi delle guerre civili, cioè romani contro romani.
La figura cinta d'alloro è la Nike che in genere porta l'alloro al vincitore ma è ella stessa laureata.
Sin dall'antica Grecia Nike è strettamente associata ad Atena, la Dea della guerra, a volte sulla mano stessa della Dea, pronta a spiccare il volo per laureare il generale dell'esercito vincitore, chiunque esso sia.
Stavolta però non consegna al vincitore la corona d'alloro ma un ramo irto di aculei, perchè il vincitore sarà a sua volta vinto e subirà gravi pene, come accadde ai tre imperatori fino all'arrivo di Vespasiano, valente generale ed uomo saggio ed equilibrato.
Il fatto che tenga lo scudo con un'asta significa che non desidera imbracciarlo a difesa di alcuno, come aspettasse tempi migliori per schierarsi con un imperatore che finalmente rappresenti degnamente Roma.
(17) Affresco di Ippolito
L'affresco risale alle seconda metà del I secolo a.c., in piena età neroniana ed era posto su una parete del triclinio, la stessa stanza dove si trova l'affresco che dà il nome alla villa. Fu rinvenuto durante gli scavi archeologici effettuati a partire dal 1950 da Libero D'Orsi, sotto forma di frammenti e quindi pazientemente e magistralmente ricomposto e conservato nell'Antiquarium stabiano.
AFFRESCO DI IPPOLITO (17) |
Fedra si vendica di Ippolito suicidandosi e, nella sua lettera di addio, rivela a Teseo, suo marito e padre di Ippolito, che suo figlio l'aveva violentata. Ippolito, vincolato da un giuramento a non menzionare l'amore di Fedra per lui, tace, e Teseo lo maledice.
Poseidone è costretto a esaudire la maledizione, per cui Ippolito venne abbattuto da un toro mandato dal mare che mandò nel panico i cavalli della sua biga e distrusse il veicolo.
Ippolito perdona il padre prima di morire e Artemide rivela la verità a Teseo prima di giurare di uccidere uno degli amanti di Afrodite (Adone) per vendetta.
In una versione più tarda, Ippolito, su richiesta di Artemide, viene riportato in vita da Asclepio, Dio della medicina, che si era innamorato di lui.
Dopo la resurrezione, Ippolito viene trasportato da Diana sui monti Albani e gli dà il nome di Virbio ("nato due volte").
Il giovane istituisce nel Lazio il culto della Dea, sposa la giovane ateniese Aricia e fonda una città cui dà il nome di lei diventandone re.
Genera poi con Aricia un figlio, anch'esso chiamato Virbio, che gli succede nel regno.
Il protagonista dell'affresco fu in un primo momento identificato come Teseo, l'uccisore del Minotauro, e solo in seguito riconosciuto come Ippolito.
L'Affresco
Il protagonista dell'affresco fu in un primo momento identificato come Teseo, l'uccisore del Minotauro, e solo in seguito riconosciuto come Ippolito.
Il personaggio è raffigurato in procinto di partire per una battuta di caccia, vestito con una clamide di color porpora, lo sguardo rivolto verso destra e con il viso, quasi stupito, i cui tratti somatici risultano essere molto marcati: bocca carnosa, naso grande e folta capigliatura, che si discosta dal classico III stile.
Tutta la scena che contorna Ippolito è andata perduta, anche se nel lato destro si intravede l'uscita di un palazzo e in quello sinistro la nutrice con Fedra, la matrigna che accusò ingiustamente il figliastro di averle fatto violenza.
(14) Il Planisfero delle stagioni
L'affresco, realizzato durante l'età flavia, quindi nel I sec. d.c., era dipinto sotto al soffitto del portico che circondava il secondo peristilio di Villa San Marco. Esso fu rinvenuto sotto forma di frammenti nel 1952, a seguito degli scavi archeologici promossi dallo studioso Libero D'Orsi e quindi restaurato e conservato nell'Antiquarium stabiano.
L'affresco raffigura un globo su di un fondo scuro ed al suo interno sono effigiate due sfere che si intersecano negli assi. Le sfere sono mosse da due figure femminili, la Primavera e l'Autunno, aiutate da alcuni eroti.
La mancanza di buona metà della raffigurazione ne ha reso difficile l'interpretazione: tuttavia quella maggiormente sostenuta è che si tratti della sfera armillare, un modello della sfera celeste inventato dallo studioso greco Eratostene nel 255 a.c..
Tutta la scena che contorna Ippolito è andata perduta, anche se nel lato destro si intravede l'uscita di un palazzo e in quello sinistro la nutrice con Fedra, la matrigna che accusò ingiustamente il figliastro di averle fatto violenza.
IL PLANISFERO DELLE STAGIONI (14) |
(14) Il Planisfero delle stagioni
L'affresco, realizzato durante l'età flavia, quindi nel I sec. d.c., era dipinto sotto al soffitto del portico che circondava il secondo peristilio di Villa San Marco. Esso fu rinvenuto sotto forma di frammenti nel 1952, a seguito degli scavi archeologici promossi dallo studioso Libero D'Orsi e quindi restaurato e conservato nell'Antiquarium stabiano.
L'affresco raffigura un globo su di un fondo scuro ed al suo interno sono effigiate due sfere che si intersecano negli assi. Le sfere sono mosse da due figure femminili, la Primavera e l'Autunno, aiutate da alcuni eroti.
La mancanza di buona metà della raffigurazione ne ha reso difficile l'interpretazione: tuttavia quella maggiormente sostenuta è che si tratti della sfera armillare, un modello della sfera celeste inventato dallo studioso greco Eratostene nel 255 a.c..
È formata da anelli detti armille, generalmente di metallo, ciascuna delle quali rappresenta uno dei circoli della sfera celeste.
Le armille fisse rappresentano il meridiano e l'orizzonte, mentre quelle mobili, che seguono la rotazione diurna, indicano:
- l'equatore,
- l'eclittica
- il coluro solstiziale, che è il meridiano della volta celeste passante per i poli celesti e i punti solstiziali, cioè il primo punto del Cancro (punto del solstizio d'estate) e il primo punto del Capricorno (punto del solstizio d'inverno).
Nell'affresco le sfere rappresentano l'equatore ed un meridiano, spostati dalla personificazione delle stagioni; tutta l'opera è circondata da una cornice rossa con decorazione gialle.
Nell'affresco le sfere rappresentano l'equatore ed un meridiano, spostati dalla personificazione delle stagioni; tutta l'opera è circondata da una cornice rossa con decorazione gialle.