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LIBARNA (Liguria)

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LIBARNA LIGURE

Libarna fu città preromana e romana della Liguria, sulla riva sinistra dello Scrivia, sul tratto della via Postumia tra Genua e Dertona, presso l'odierna Serravalle Scrivia. Oggi il vicino centro abitato è una frazione di Serravalle Scrivia.

Libarna era un capoluogo autonomo di un vasto territorio che confinava a est con Velleia, a sud con Genua, a ovest con Aquae Statiellae e a nord con Derthona. I manoscritti presentano diverse variazioni del nome, con Libarium, Libarnum, Lavarie e Levarnis, mentre il termine Libarna sarebbe preromano cioè ligure.

L'insediamento libarnese usufruì di un territorio pianeggiante e stabile, protetto dal rischio di inondazioni, ricco d'acqua e in una zona particolarmente fertile, l'economia agricola era fondata sulla viticoltura, sulle colture arboricole per lo sfruttamento del legno, sull'allevamento del bestiame. 

Tra le altre attività vantava la produzione della ceramica e l'industria laterizia. Grazie alla posizione geografica costituiva inoltre un importante nodo commerciale. Dalle iscrizioni votive ritrovate sappiamo che i cittadini di Libarna erano devoti a Giove, Diana ed Ercole. Attestato anche il culto imperiale. 

La piana di Libarna ebbe i primi insediamenti alla media età del Ferro (VI-V secolo a.c.), fondati dai Liguri Dectunini, forse uno dei quindici oppida che, secondo Livio, si arresero al console Q. Minucio Rufo nel 191 a.c. Secondo altri il territorio di Libarna era occupato dai Ligures Bagienni, una popolazione stanziata nella zona sud-occidentale dell'odierno Piemonte, a ovest delle Langhe.

I Liguri, la più antica popolazione dell'Italia settentrionale, si erano stanziati in un ampio territorio corrispondente alle aree degli odierni Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana settentrionale, Isola d' Elba e Corsica. Le varie stirpi liguri avevano tutte un fondo culturale comune, un comune linguaggio e comuni riti funebri a incinerazione.

Le fonti descrivono i Ligures come uomini di statura medio-bassa, forti e valorosi che combattevano insieme alle loro donne, che Cicerone descrive come coraggiose e spietate come gl uomini, abili nell'uso delle frecce che tiravano da cavallo, ma pure delle fionde che utilizzavano da torri di pietra e in postazioni create per tendere imboscate. Vivevano secondo gli uni in povertà, secondo altri in semplicità, con modeste tecniche agricole, allevamenti e pesca. 

Il villaggio si sviluppò quando un importante emporio etrusco di Genova agli inizi del VI sec. a.c. diede luogo a una via commerciale verso la pianura padana e le aree transalpine. A vedetta del percorso, sorse su una collina un villaggio di Liguri, abitato ancora nel III-II sec. a.c., con area cimiteriale lungo il rio della Pieve. L'area archeologica visibile oggi rappresenta una piccola parte dell'antica città, che occupava una superficie molto maggiore.

Quando le truppe romane combatterono a contro le tribù liguri trovarono più difficoltà ad affermarsi nelle aree più povere, impervie e meno sviluppate, forse proprio perchè non cambattevano in campo aperto ma con attacchi e ritirate repentini, con una velocità che i romani, appesantiti da armi e armature non potevano eguagliare. Inoltre praticando una vita semplice ma totalmente libera faticarono ad apprezzare la vita più ordinata ma pure agiata dei romani.



LIBARNA ROMANA

Libarna è menzionata per la prima volta nel II secolo a.c. quando si cita la costruzione della via Postumia (148 a.c.).

RICOSTRUZIONE DI LIBARNA
Tale via fu inoltre il collegamento più diretto fra il nodo stradale di Tortona e il porto di Genova e fece sì che Libarna fosse attraversata dalle merci di scambio e ne costituisse una fondamentale tappa di smistamento. 

A seguito della concessione, nell'89 a.c., del diritto latino ai popoli della Transpadana e a quelli a sud del Po alleati ai Romani, anche Libarna divenne una colonia latina e al suo interno furono probabilmente riuniti diversi gruppi tribali.  

Se inizialmente Libarna servì come stazione provvisoria di passaggio e come deposito di rifornimenti per l'esercito romano impegnato nelle battaglie contro le popolazioni liguri, in seguito essa si sviluppò come nucleo abitato e strategico definitivo. Nel massimo splendore ebbe probabilmente dai quattro- ai settemila abitanti.

Nel 49 a.c. la città divenne municipium; nello stesso periodo fu iscritta nella tribù Maecia e venne determinato il sito destinato al centro urbano. 

Con la concessione della cittadinanza latina e poi romana, si sviluppò un impianto urbano romano in linea con l'orientamento della via consolare. 

Fu eretta a colonia soltanto  nel I sec. d.c., quando raggiunse il massimo della prosperità e venne compresa nella Regio IX la Liguria, estesa a sud del Po, dalle Alpi Marittime a quelle Apuane. 

Fu menzionata anche da Plinio, dal geografo Claudio Tolomeodal geografo Guido,  nell'Itinerarium Antonini e nella Tabula Peutingeriana, l'unica carta topografica dell'antichità romana pervenutaci e databile intorno al IV sec.collegata alla grande strada consolare che collegava Genova ad Aquileia.

I resti archeologici dell'area urbana di Libarna risalgono al I sec. a.c., tra la metà e la fine secolo, quindi in età imperiale, fino al IV secolo d.c., testimoniando una città ricca, densamente abitata e frequentata da coloro che percorrevano la via Postumia.

Sembra che l'opulenza si sia affievolita a partire dal III secolo d.c., col declino del traffico della via Postumia.

Caduta in declino ancor più in seguito alle invasioni barbariche, fu definitivamente abbandonata nel 452 del V secolo, quando gli abitanti lasciarono le case  rifugiandosi sulle colline, unendosi ai centri preesistenti o creandone nuovi, come Precipiano, Serravalle e Arquata.

Forse crollò definitivamente in seguito alle distruzioni operate in Liguria dal re longobardo Rotari nel 643, e per lungo tempo se ne perse il toponimo, salvo che per la Pieve locale che mantenne, storpiandolo, il nome romano plebs de Linverno o de Inverno, come dimostrano alcuni documenti medievali tortonesi. 

Data l'ampiezza dell'antica giurisdizione libarnese e il prestigio che essa conobbe in età imperiale, è probabile una sua connessione con Genua e Dertona. Fra Libarna e l'area della val Borbera c'erano infatti rapporti economici e commerciale basati sulla fornitura di manodopera e di legname.



GLI SCAVI

Libarna venne riscoperta nel XIX sec. per la costruzione della Strada Regia dei Giovi (1820-1823) (odierna Strada statale 35 dei Giovi), destinata a collegare Genova, da poco entrata nel Regno di Sardegna, con la capitale Torino, a partire dal 1820. Ma anche a seguito dei lavori della ferrovia Torino-Genova (1846-1854) con resti di edifici monumentali e quartieri abitati con case e taberne.

La città fu centro amministrativo di una regione piuttosto ampia, che si estendeva a est fino alla val Trebbia, toccava a nord l'agro tortonese, a ovest la zona di Acqui e a sud il distretto di Genova. 
Il centro cittadino era collegato poi a un fitto sistema di borghi e villaggi rurali, con agro pubblico del popolo romano affidato alla comunità dietro pagamento di un tributo e, nelle zone più alte a pascolo. 

Gli iniziali interventi di scavo erano permeati di entusiasmo, ma in seguito per evitare lo smantellamento dei monumenti e il saccheggio dei materiali, si procedette a un metodo sperimentale preventivo, per salvaguardare i resti da dispersione e distruzione.

Vennero riportati alla luce due quartieri in prossimità dell'anfiteatro, di 60 x 65 m di lato, l'anfiteatro, il teatro e alcune strade urbane, mentre le terme e il foro dopo gli scavi archeologici sono purtroppo stati rinterrati, per quella terrifica usanza tutta italiana per cui si trovano i soldi per qualsiasi spesa di armi, di mostri di cemento di opere pubbliche totalmente inutili ma non per l'arte o per l'archeologia. I reperti di scavo sono per la maggior parte conservati nel Museo di Antichità di Torino, dove figurano tra le opere di maggior pregio, pavimenti musivi, marmi, bronzi e ambre figurate.

La città sorgeva su un ampio pianoro, ricco di acque e circondato da colli verdeggianti. 
Il pianoro era percorso dalla via Postumia, da Nord-Ovest a Sud-Est e dal decumano  Sud-Ovest a Nord-Est, conduceva all'anfiteatro. 

Le strade erano lastricate, rettilinee, e con fognature riversantisi nel Rio della Pieve. 
Inoltre riceveva acqua da un acquedotto, era ricca di sorgenti, pozzi e fontane. 

Lo sviluppo delle costruzioni, favorita dall'estrazione dell'argilla locale, fu decisiva l'industria laterizia che dava lavoro a muratori, carpentieri, scalpellini, mosaicisti e decoratori. Le abitazioni, di dimensioni contenute, si susseguivano ordinati in base agli assi stradali. Tipica urbs romana, Libarna era costituita da isolati racchiusi tra cardines e decumani, cioè fra due ordini di vie parallele intersecantisi ad angolo retto. 

Altrettanto regolare era la dislocazione degli impianti pubblici, col foro in posizione centrale. 
Le strade principali,  larghe circa sei m, erano lastricate con blocchi di arenaria di Serravalle, nonchè fiancheggiate da marciapiedi; le strade minori invece erano acciottolate con i sassi del torrente, come resterà un po' ovunque fino all'800 e al '900 nella maggior parte dei borghi..

Al centro tra cardo e decumano sorgeva il foro, grande piazza lastricata circondata da edifici porticati,  finora solo parzialmente esplorato. Le terme erano situate nell'estremo settore Nord-Est e verso nord sorgeva il teatro.

Le terme, locate tra il quartiere dell'anfiteatro e il teatro occupavano la superficie di quattro isolati; il foro si trovava invece al di fuori dell'attuale perimetro dell'area archeologica, lungo il decumano massimo in direzione opposta all'anfiteatro.



L'AMMINISTRAZIONE 

Libarna per l'alleanza con Roma doveva la fornitura di contingenti militari su richiesta del governo centrale. 
Però il potere decisionale era nelle mani del senato locale costituito dai decuriones, proprietari terrieri che rappresentavano il ceto nobiliare. 
Si diventava decuriones a 25-30 anni e con un censo di almeno 100.000 sesterzi. 

I principali magistrati erano i quattuorviri, eletti annualmente e distinti in due coppie: i duumviri iure dicundo con poteri giuridici, amministrativi, e decisionali in ambito penale; i duumviri aediles, invece, erano addetti all'approvvigionamento cittadino, al controllo dei commerci, alla manutenzione di strade ed edifici, nonché ai giochi pubblici. Le attività finanziarie erano affidate alla supervisione dei quaestores. Ogni magistrato era solitamente affiancato da funzionari, segretari e scribi.



L'ACQUEDOTTO

Anticamente l'approvvigionamento idrico di Libarna fu garantito da un sistema di pozzi freatici scavati nel sottosuolo anche oltre i sei metri. In seguito all'espansione della città venne creato un sistema di condutture per la raccolta e la distribuzione dell'acqua. L'acquedotto libarnese, modello di alta ingegneria idraulica romana, costituiva uno dei più lunghi tracciati in Piemonte e la sua portata era all'incirca di 400 m³/h.



IL TEATRO

Nel settore nord-orientale di Libarna sorgeva il teatro, edificato fra il I e il II secolo. La struttura a emiciclo rispettava le prescrizioni vitruviane per la propagazione dei suoni, imprescindibile nella scelta del sito.

Esso presenta strutture curvilinee di contenimento della terra riportata sulla quale poggiavano le gradinate, che si affacciavano su scena rettangolare con palcoscenico originariamente a copertura lignea, delimitato da parasceni, o locali laterali, per una lunghezza totale pari al diametro della cavea, 35 m, e con buche per i contrappesi di manovra del sipario.

Dietro la scena ci sono i resti dei quadriporto, corridoio coperto dove gli spettatori potevano passeggiare e ripararsi. Ma il teatro ha 3 ingressi, due laterali  e uno centrale. Questo corridoio centrale,inconsueta nei teatri romani, divide la cavea in due settori speculari di uguali dimensioni, e per dimensioni risulta l'ingresso principale, con due nicchie semicircolari per statue o fontane.  

L'altra particolarità è, nel lato dell'emicielo Nord, di vani absidati aperti tra i muri radiali, vani che mancano invece nella zona Sud dello stesso emicielo. Si ritiene che il muro della facciata Sud sia quello originario della costruzione e che i vani absidati Nord gli siano stati sostituiti in seguito. Si ritenne dovuta a questo la costruzione di un anello più esterno ad arcate che avrebbe avuto in tal caso duplice funzione di aumentare la capienza della cavea e coprire le diverse strutture dell'ex- facciata.
 La facciata era certamente in due ordini. Le parti ornamentali esterne, pilastri, capitelli e fregi, erano in arenaria, forse con un rivestimento interno dei teatro in marmo. La datazione sarebbe del Il sec., e di ampliamento, nel III.

Il teatro  e poteva ospitare sino 3.800 spettatori. Resti di intonaci dipinti e di marmi impiegati per il rivestimento delle pareti attestano il lavoro di artigiani qualificati preposti al coordinamento delle maestranze e della manodopera servile.

L'ANFITEATRO

ANFITEATRO

Di forma ellittica leggermente schiacciata era invece l'anfiteatro, situato all'estrerno del decumano massimo, mentre alle spalle dell'arena è la depressione ove corre la Scrivia, dalle piene della quale lo proteggevano forse due muri incrociantisi ad angolo retto.

L'asse minore dell'anfiteatro, databile all'età di Claudio (41-54), è l'ideale prolungamento di una piazza a terrazza rettangolare, ottenuta mediante lo scavo dell'arena, dove avvenivano gli spettacoli. al di sotto del livello del terreno e i rialzo delle gradinate sulla terra riportata opportunamente cementata da costruzioni anulari e radiali. 

In linea con l'asse maggiore sono stati localizzati, muniti di celle forse per la vendita delle tesserae, due ingressi principali per i quali si è potuta intuire, per i laterizi a cuneo, una copertura a volta, ma ai posti, ripartiti su uno o due ordini, si accedeva mediante altri 26 passaggi, tutti ben visibili lungo il muro perirnetrale. 

Due di essi sono in linea con l'asse minore determinando, in simmetria con quelli dell'asse maggiore, una divisione dell'elissoide in 4 parti uguali contenenti ugual numero di passaggi: presso quello ordinato con la parte orientale dell'asse minore il ritrovamento di massi squadrati presso una soglia, forse una porta libitinaria, ovvero della porta attraverso la quale i gladiatori caduti erano portati fuori dall'arena. 

Sempre in linea con l'asse minore ma nel sottosuolo è stato invece riportato alla luce un corridoio che, percorrendo l'arena nella lunghezza e con leggera inclinazione, dopo aver toccato un grande pozzo semicircolare, confluisce al centro, in una sala di forma rettangolare con absidi terminali affrontate, posta in comunicazione coi piano dell'arena da una piccola scala. 

L'arena in origine era chiusa da un podio di quadrelli di arenaria poggiante su di uno strato di 1 m. di ciottoli e quadrelli in muratura; sporgente ora di 50 cm. sul piano dell'arena il podio aveva in realtà un'altezza assai maggiore essendo ben più alti i muri radiali della cavea, presumibilmente rivestito di lastre marmoree. 

All'esterno la costruzione non aveva rivestimento decorativo, ma solo lesene a sporgenza leggera. La fine della costruzione fu dovuta, nella la metà del IV sec. ad un incendio che trovò alimento nel legname impiegato per le apparecchiatura e per la copertura lignea: questa distruzione non esclude però la possibilità di un ripristino da parte della popolazione.

La struttura, prevedeva i giochi pubblici sia dei ludi gladiatori che delle venationes, spettacoli di caccia particolarmente cruenti. Le manifestazioni presentate nell'arena dovevano attirare una grande quantità di pubblico dai territori vicini a Libarna, dal momento che le gradinate dell'anfiteatro, oggi scomparse, avevano una capacità di circa 8.000 spettatori.



CASE DI ABITAZIONE

Riguardano il quartiere dell'Anfiteatro, ovvero gli isolati ad esso prospicienti, fiancheggianti il decumano massimo, di cui sono state riportate alla luce con  le fondamenta. I nuclei, accessibili da vestiboli o corridoi affiancati alle taberna su strada, dei tipo a cortile con porticato, hanno elementi architettonici tipici delle case ostiensi del Il sec. dell'Impero.

Sul lato destro del decumano massimo fondamenta di poco spessore suggeriscono costruzioni di scarsa elevazione, forse botteghe a solo pian terreno, scuderie o magazzini. Nell'isolato Nord un grande cortile centrale con area perimetrale porticata, intorno a cui si affacciano più nuclei. Purtroppo occultati alla vista del visitatore da rinnovato interramento o da distruzione sono pregevoli mosaici che rivelavano, insieme a bronzi figurati, sedili e fontane marmoree, pure mancanti in sede, l'accuratezza delle costruzioni sottolineata dall'efficienza della rete di approvvigionamento idrico, che serviva le abitazioni, fornite di pozzi e fontane, appoggiato da un'ottima rete di scarico che faceva confluire le acque in collettori sottostanti la rete stradale e di qui le convogliava nello Scrivia.



LE TERME


Fra il teatro e l'anfiteatro sono stati rinvenuti i resti di una costruzione identificata con le terme. Nello stesso quartiere vi era una fullonica dove si tinteggiavano le stoffe.

Di certo a Libarna esistevano templi, altari e sacella dedicati a varie divinità, maggiori o minori, il cui culto si affiancava a quello imperiale. L'intenso scambio commerciale fa supporre la presenza in città di strutture ricettive come alberghi e locande provvisti di adeguati stallaggi. Non saranno mancate nemmeno officine per bardature e finimenti in metallo e altre di sellai e di carradori.




EPIGRAFIA

La maggior parte delle iscrizioni inerenti Libarna si colloca fra il I e il II secolo. In diverse epigrafi, oltre a essere ricordate alcune gentes locali, vengono menzionati altri nomina di libarnesi, di cui però non si possono ricavare informazioni precise.

Oltre a distinguersi nel contesto urbano, alcuni membri dell'aristocrazia locale ottennero anche qualche carica di prestigio al di fuori del municipium di appartenenza. Raramente tali illustri personaggi vennero ricordati nel luogo d'origine; in Liguria ve ne furono alcuni che, avendo assunto obblighi municipali o sacerdotali nelle terre natali, meritarono la riconoscenza dei concittadini per il loro impegno, consistente per lo più in elargizioni economiche ovvero interventi evergetici (donazioni private alla collettività).


Caius Atilius Bradua

Il ruolo considerevole assunto dall'iniziativa privata nello sviluppo urbanistico di Libarna in età imperiale è attestato da un'iscrizione (CIL V 7427) nella quale è ricordato tale Caius Atilius Bradua, appartenente alla famiglia degli Atilii, una delle più influenti a Libarna che a proprie spese, "pecunia sua", finanziò la lastricatura del foro e fece costruire un  edificio identificato col foro stesso o col teatro.


Cnaeus Atilius Serranus

Alla medesima famiglia apparteneva anche Cnaeus Atilius Serranus, che fu flàmine augustale e forse anche patrono della colonia "[p]atr(onus) co[loniae]", segno che verso la fine del I sec. Libarna avesse chiesto e ottenuto di mutare il proprio statuto da municipale a coloniario, ritenuto di maggior prestigio.

Considerato il suo cognome greco, era probabilmente un liberto della stessa gens il Marcus Atilius Eros ricordato in CIL V 6425, che rivestì la carica sacerdotale di sèviro augustale a Dertona e a Libarna. Per essere ammessi nel collegio dei seviri occorreva versare una tassa, il che prevedeva che Marco Atilio Eros avesse ottime capacità economiche.


Quintus Attius Priscus

Fra i benemeriti delle iscrizioni libarnesi vi è l'eques Quintus Attius Priscus (CIL V 7425), aristocratico che ricoprì magistrature e cariche religiose, della tribù Maecia: fu edile, duumviro quinquennale, flàmine augustale, pontefice e prefetto dei fabbri, ossia comandante del genio, prefetto di coorti ausiliarie di leva locale: la I Hispanoum, la I Montanorum e la I Lusitanorum. In seguito al Bellum Suebicum ("guerra contro gli Svevi") del 97 voluto da Nerva, cui prese parte in qualità di tribunus militum della Legio I Adiutrix, l'imperatore gli conferì prestigiosi dona militaria: corona aurea, hasta pura e vexillum. 

La sua carriera equestre culminò nel comando, in veste di prefetto, dell'Ala I Augusta Thracum, un reggimento di cavalleria ausiliaria. La dedica della plebe non sarà stata posta solo a titolo onorifico, ma come riconoscimento della città per qualche beneficio ricevuto al tempo delle sue magistrature in patria.

Materiale epigrafico di Libarna è stato rinvenuto anche in val Borbera: in una lapide tombale ritrovata nel 1850 a Borghetto (CIL V 7432) è attestata la presenza della gens Iulia e della gens Livia. Un'ara rinvenuta a Roccaforte Ligure nel 1822 (CIL V 7423) testimonia invece il culto delle Matrone, divinità di origine gallica venerate ancora in età romana, alle quali l'altare fu dedicato "libens merito": oggi si direbbe "per grazia ricevuta".

Risalgono al periodo cristiano alcune epigrafi funerarie e una serie di iscrizioni greche (ICI 120-134) riportate su oggetti votivi databili al VI secolo, provenienti dalla Terra Santa e ritrovati nel 1910 nella cripta della basilica di San Colombano a Bobbio.



NUMISMATICA


Vari reperti numismatici documentano una continuità della città in epoca imperiale. Alcune monete emesse col nome di personaggi diversi dall'imperatore, in base alla consuetudine del princeps, iniziata con Augusto, di celebrare i propri familiari. Oltre a molti nominali di Augusto (23 a.c. - 17 d.c.), molte monete dell'età giulio-claudia (14-54) attesterebbe intensi scambi commerciali per il centro urbano, mentre i pochi esemplari di epoca repubblicana, rinvenuti a maggiore profondità, testimonierebbero una frequentazione sporadica dell'area libarnese a quell'epoca.



SCULTURA

Sono pervenuti frammentari esempi di statuaria libarnese di piccole dimensioni destinati alla decorazione, identificati come manifestazioni scultoree di carattere privato, così come alcuni bronzetti ritraenti figure sacre. Carichi di significati religiosi e apotropaici dovevano essere molti degli oggetti ornamentali scolpiti in materiali preziosi come l'ambra, l'agata e il diaspro, apprezzati presso i Romani per i poteri magici, protettivi e medicamentosi che venivano loro attribuiti.
Fra gli oggetti di uso quotidiano sono stati ritrovati:
  •  parecchie lucerne, 
  • chiavi in ferro, 
  • vari tintinnabula (campanelli metallici legati a credenze magico-apotropaiche), 
  • ami e arpioni per la pesca, 
  • orcioli, 
  • piatti, 
  • pentole da cucina, 
  • parti di anfore d'importazione ispanica per il trasporto e la conservazione del vino,
  • turibula, bracieri o incensieri da cerimonia, 
  • sonde, 
  • spatole atte a mescolare unguenti, 
  • aghi per la sutura, 
  • pinze chirurgiche, 
  • una trottola di legno con inserti in bronzo, 
  • pedine e dadi, 
  • fusi in legno e in osso per la filatura e frammenti di telaio, 
  • decorazioni in pasta vitrea e in perle,
  • spilloni in argento, osso o bronzo usati per trattenere i capelli,
  • piccoli contenitori in vetro e alcuni specchi,
  • fibulae in bronzo, fibbie per lo più del tipo a cerniera diffuso in epoca augustea e tiberiana.



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