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L'OROLOGIO ROMANO

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«Maledicano gli dei colui che per
primo inventò le ore
e collocò qui la prima meridiana.
Costui ha mandato in frantumi il
mio giorno di povero diavolo.
Quando ero giovane, infatti, l'unico
orologio era lo stomaco
assai più preciso e migliore di
questo aggeggio moderno

(Plauto - in Aulo Gellio -Notti attiche)

I Romani ereditarono dagli Etruschi  l'agrimensura, la scienza della misurazione geometrica dei confini, pratica utilissima per stabilire i limiti delle proprietà e dei confini delle terre conquistate. Dall'agrimensura viene infatti il termine groma, lo strumento misuratore, e gnomone, altro strumento. dal greco gnwmwn. Lo gnomone servì a stabilire i quattro punti cardinali nonchè il Decumanus e il Cadus, reperendo così i diametri del cerchio, presupposti per un orologio.

All'inizio i Romani scandivano il tempo del giorno sui fenomeni ben visibili di alba e tramonto,m e chiamavano "dies" il giorno e "nox" la notte. Il giorno dopo (domani) era detto "postridie" e il giorno successivo (dopodomani) "post diem tertium eius diei" (il terzo giorno dopo quel giorno). Il giorno prima, (ieri) o vigilia era detto "pridie" e il giorno precedente (avantiieri) "ante diem tertium".
Questo avvenne fino a circa 460 anni dalla fondazione dell'Urbe. 



LE ORE

Mentre i babilonesi fissavano l'inizio delle ventiquattro ore dal sorgere del sole e i greci dal suo tramonto, per i romani, come ancora oggi, l'inizio del giorno è dalla metà della notte, cioè la mezzanotte.

Metone di Atene inventò nel 432 a.c. il ciclo metonico, un ciclo di diciannove corrispondente a 235 mesi lunari, su cui si basavano i vari calendari lunisolari aritmetici, come quello ebraico, che mantengono il sincronismo sia col corso del sole sia con quello della luna.

Il quadrante solare creato da Metone consisteva in una calotta di pietra con al centro uno stilo o gnomone che segnava l'ombra del sole nella pietra concava. Si ottennero così le horae, e il primo l'horologium dei romani.

E' il sistema delle ore cosiddette "tempo-rarie" o "ineguali", di durata variabile a seconda delle stagioni. Al tempo in cui Gerusalemme fu espugnata da Pompeo, cioè 63 anni a.c., era in uso il sistema del "Quadripartito" per cui sia il giorno che la notte erano suddivisi in quattro parti uguali della durata di tre ore ciascuna, ma facendo in modo che in ogni periodo dell'anno, sia la notte che il giorno venisse diviso sempre in dodici ore.

Il punto di riferimento principale dell'intera giornata, cioè il mezzogiorno ( meridies ),venne ufficializzato solo nel 338 a.c. Intorno al 274 a.c. i Romani adottarono finalmente la suddivisione del giorno e della notte in 24 parti uguali con suddivisione duodenaria del giorno-chiaro.


La descrizione di Macrobio

"Il primo tempo del giorno è chiamato inclinazione della mezzanotte; poi viene Gallicinio e quindi Conticinio, quando i galli tacciono e anche gli uomini allora riposano. Poi viene diluculo, cioè quando si comincia a distinguere il giorno; poi mattino quando il giorno è chiaro. Dal mattino si arriva al mezzogiorno dal quale nasce il "tempus occiduum" cioè il tempo che va fino al tramonto;quindi arriva il supremo momento, "suprema tempestas", cioè l'ultimo tempo del giorno che viene così espresso nelle dodici Tavole:
"Il tramonto del sole sarà il momento supremo"; quindi vi sono i Vespri, il cui nome è tratto dai Greci che furono ispirati dalla stella Hespero, da cui l'Italia è chiamata Hesperia poichè era vicina al tramonto.
Da questo momento si dice "prima fax" , cioè prima parte della notte in quanto si accendono le prime fiaccole. Poi viene notte "Concubia", cioè nottefonda e quindi "Intempesta", poichè non è favorev-ole allo svolgersi delle azioni".Nella tavola 1 è rappresentata la suddivisione delgiorno e della notte dei Romani, secondo l'interpretazione di Giovanni Poleno" .




LE PARTI DEL GIORNO

Alla fine del IV sec. a.c. i romani dividevano ancora la giornata in due parti: prima e dopo mezzogiorno. Un messo dei consoli annunciava al popolo il passaggio del sole al meridiano «tra i rostri e la graecostasis»

AMORINO CON SFERA CELESTE (Pompei)
Poichè nel 304 il curule edile Gneo Flavio eresse un santuario dedicato alla Dea Concordia che Plinio il Vecchio asserisce trovarsi accanto alla Graecostasis, significa che l'edificio era già esistente ed ecco dimostrata la data approssimativa.

Ai tempi della guerra di Pirro (280 - 279 a.c.) si cominciò a dividere le due parti del giorno in altre sezioni: 
- la mattina - mane 
- l'antimeriggio - ante meridium
- il pomeriggio - de meridie 
- sera - suprema.

290 a.c. - Ma i tempi cambiano e i Romani, mentre prima dividevano la giornata in quarti, annunziati dal littore nel Foro, o, per conoscere il mezzodì, osservavano l'apparire del sole tra i Rostri e la Grecostasi, nel 290 a.c. videro piazzato presso il tempio di Quirino da L. Papirio Cursore un orologio solare preso ai Sanniti.

Ognuna delle quattro parti della giornata fu chiamata"Vigilia". Una notte era formata da quattro vigilie di tre ore ciascuna che cominciavano al tramonto e terminavano col sorgere del Sole.
La prima era chiamata "Vespera", la seconda"Media-nox", la fine della terza era detta"Galicinium", dal canto del gallo, e l'ultima"Conticinium", contata dal tempo del silenzio, ossia dal tacere del gallo.

M. M. Valerio Messalla, nel 263 a.c., situò nel Foro un orologio solare (solarium) trasportato da Catania, il quale non poteva segnare esattamente, perché la latitudine di quella città differisce di 5° da quella di Roma. 

Un orologio tarato sulla latitudine di Roma lo troviamo solo nel 56 a.c., quando il patrigno di Augusto, Q. Marcio Filippo, fece costruire il primo orologio solare fatto apposta per Roma. 



IL PRIMO HOROLOGIUM A ROMA

All'inizio della I guerra punica nel 263 a.c. il console Manio Valerio Massimo Messalla aveva riportato come bottino di guerra il quadrante solare di Catania e lo aveva fatto collocare sul comitium.

Plinio il Vecchio sostiene che da allora i romani seguirono per circa un secolo l'orario dei catanesi ma forse continuarono a calcolare l'ora basandosi sulla posizione del sole nel cielo.

Successivamente nel 164 a.c. come narra Plinio il Vecchio, il censore Q. Marcio Filippo fece installare un horologium predisposto appositamente per Roma e quindi molto più preciso che fu molto apprezzato dai romani.

Dopodichè i censori Publio Cornelio Scipione Nasica e Marco Popilio Lenate aggiunsero vicino al dono di Q.Marcio Filippo, l'installazione nel 159 a.c. di un orologio ad acqua che supplisse il quadrante solare quando il cielo era nuvolo o era notte.



VARI TIPI DI OROLOGI

Gli orologi più diffusi erano quelli solari, le meridiane, che si trovavano ovunque, sia nei luoghi pubblici che nelle case private, spesso sopra il peristilio dove batteva il sole. Vitruvio ne descrive diversi, a quadrante concavo o piatto. Diverse ne sono emersi a Pompei, molto accurati, indicanti le ore stagionali, i solstizi e gli equinozi.
Ecco l'elenco di Vitruvio dei diversi orologi e dei loro inventori:

Hemicyclium 
Scaphen o Hemisphaerium 
Discum in Planitia
Arachnen
Plinthium 
Pros ta istoroumena 
Pros pan clima
Pelecinon
Conum 
Pharetram
Gonarchen
Engonaton
Antiboraeum
Viatoria Pensilia                                                                 
Beroso Caldeo
Aristarco di Samo
Aristarco di Samo
Eudosso di Cnido
Scopa Siracusano
Parmenione
Theodosio e Andrea
Patrocle
Dionisidoro
Apollonio
--
--


HEMICYCLIUM

Grazie ai ritrovamenti archeologici del XVIII sec., si è potuto non solo chiarire la natura di questo strumento, ma di dimostrarne l’esatta descrizione fatta da Vitruvio, il funzionamento e la sua storia.

Il primo ritrovamento archeologico avvenne in Italia, ma per mano dell’astronomo Boscovich che arrivò fortunatamente in tempo sulle rovine in cui si scavava, per sottrarre all’incuria dell’uomo il primo orologio di questa specie e studiarlo nei minimi particolari.

L’orologio era stato trovato presso la villa "Rusinella" sulla collina del Tuscolo a Roma e grazie allo studio dell’astronomo fu resa finalmente chiara la frase di Vitruvio "Hemicyclium excavatum ex quadrato, ad enclimaque succisum".

Da allora gli emicicli furono scavati in gran quantità, e si scoprì che essi adornavano le strade di Pompei, di Ercolano e delle altre città dell’impero romano e persino il Papa, Benedetto XIV, ne utilizzò uno antico nella sede del Campidoglio, nel 1751, per il gusto di leggere le ore alla maniera degli antichi.

FRAMMENTO DI OROLOGIO ORIZZONTALE


DISCUM IN PLANITIE

Anche qui il lavoro degli interpreti non è stato facile, ma grazie all’eccezionale ritrovamento di una lastra marmorea con su inciso un orologio orizzontale, avvenuta per mano di Sante Amendola nel XVIII secolo sull’Appia antica, si è potuto meglio identificare questo orologio.

Si tratta di un normale orologio solare orizzontale con le linee orarie temporarie e le curve dei solstizi ed equinozi.

Qui a lato la foto di un frammento di un orologio orizzontale conservato a Roma nel Museo delle Terme di Diocleziano.

Generalmente il tracciato orario e le curve diurne venivano racchiuse in un cerchio lungo il quale venivano riportati i principali venti. Si dimostrarono esatte, quindi, le teorie degli gnomonisti rinascimentali sulla natura di questo strumento, basate peraltro solo sull’interpretazione del testo vitruviano.



PENSILIA

Altra categoria citata da Vitruvio è quella degli orologi detti "pensilia", orologi solari portatili, ovvero trasportabili e quindi "da viaggio", ma detti "pensili" perchè per il loro corretto uso è necessario sospenderli nell’aria e orientarli manualmente.

Di questi orologi ne sono stati trovati diversi esemplari e delle più svariate forme.
Ciò che sta a dimostrare quanto la gnomonica fosse giunta, a quei tempi, ad un livello tecnico ed artistico davvero ragguardevole e come si sia tramandata dalle scuole primarie elleniche a quelle romane.

OROLOGIO DI MORLUNGO
Sono stati ritrovati orologi pensili d’altezza del tipo ad anello astronomico, del tipo a cassa chiusa (orologio di P.A. Secchi), e uno tipo sestante. Ma soprattutto minuscoli orologi ad anello, addirittura di 3 cm di diametro.

Ma, quando l’11 giugno del 1755 fu trovato negli scavi archeologici di Ercolano un orologio solare che imitava perfettamente la coscia di un prosciutto, probabilmente gli studiosi pensarono che si trattasse di uno scherzo. Invece era proprio un orologio solare dell’antichità, e risalente circa al 28 a.c.

Tale orologio fu, per tutti gli anni a venire, denominato stranamente "prosciutto di Portici", mentre come è noto fu rinvenuto in Ercolano.

Questo orologio, che vedete qui a lato, di appena 6 cm, risale al primo decennio d.c. ed è l’orologio tascabile più antico al mondo ed è' conservato nel museo di Este alla sezione romana. E' un piccolo cilindro in osso-corno, e fu ritrovato nel 1884 durante la campagna di scavi in Morlungo, nel corredo della cosiddetta tomba del medico oculista. 

Il cilindretto osseo fu classificato come “astuccio cilindrico” fino al 1984 quando Simonetta Bonomi vi riconobbe un orologio solare. 
La scoperta rimase però sconosciuta finchè l’astronomo Mario Arnaldi non arrivò a Este per visitare il museo e riconobbe il più antico orologio portatile del mondo. 

Sul cilindro è disegnata la rete delle linee orarie e dentro vi è un cappello di 38 mm, su cui sono inserite due verghette in bronzo che fungono da gnomoni.
Sopra il cappello c’è un anellino di bronzo per esporlo perpendicolare al sole. I mesi, indicati da dodici linee verticali, riportano le prime tre lettere del loro nome in corsivo latino.



PELECINUM o PELIGNUM

Ancora descritto da Vitruvio, e riprodotto nel mosaico di Treviri. Era l’orologio (orizzontale o verticale) che riporta il tracciato orario delimitato dalle due curve diurne dei solstizi e la cui forma ricorda appunto, nel suo insieme visivo, una scure bipenne. Un pelecinum venne trovato a Nemi

Da: La storia 

 - Pelecinum e Pelignum (estratto da Nicola Severino, Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1992)
Sul pelecinum c’è un discorso a parte, perchè probabilmente la sua storia si intreccia con quella di un altro strumento al quale non è stato ancora dato un nome. Nel Landesmuseum di Trier, è conservato un mosaico, proveniente da una antica villa romana di Treviri, in cui viene rappresentato un vecchio (si dice fosse Platone) che mostra uno strano tipo di orologio solare per il quale e per quel che si sa, la letteratura gnomonica non ha ancora trovato un nome.

PELECINUM
Secondo quanto scrive Vitruvio, Patrocle fu l’inventore del Pelecinum, un orologio composto, secondo le odierne ipotesi, da due tavole di marmo la cui forma assomiglia ad una scure bipenne, dal quale deriva anche il nome di bipennis. 

Durante gli scavi di Pompei furono ritrovati vari orologi solari: alcuni hemicyclium, degli orizzontali e un pezzo di pelecinum, ora conservato al Museo Nazionale di Napoli. 

Uno intero, invece, è situato sulla faccia superiore di un tronco di colonna, nel peristilio della casa detta dei capitelli figurati. 

Presenta dei difetti nel tracciamento delle curve del solstizio estivo e delle linee orarie. Sembra pure che questo orologio, ai suoi tempi, sia stato associato a un disco di bronzo il cui gong risparmiava allo schiavo la fatica di annunciare a voce il trascorrere delle ore. Un altro pelecinum proviene da Nemi.

Secondo me, gli orologi solari citati e chiamati pelecinum, possono identificarsi con gli "arachne". Infatti, sulla loro superficie piana sono incise le linee orarie e le curve di declinazione del sole, formando la famosa tela di ragno. Mentre è da considerare che la descrizione teorica data per il pelecinum non si adatta gran che alla forma degli arachne. 

Al più la scure bipenne potrebbe essere rappresentata, in questi, dal disegno delle linee orarie, ma non regge, perchè la teoria data oggi per il pelecinum, calza alla perfezione per l’orologio nel mosaico del Landesmuseum, per il quale ritengo che il nome giusto debba essere "pelignum" per l’epoca di Vitruvio, alterato in "pelecinum" attorno al II sec. d.c. 
Una prima prova di ciò è data da alcuni manoscritti antichi che descrivono un orologio solare come per il pelecinum, chiamandolo pelignum.
La descrizione di questo orologio l’ho trovata in una edizione del 1730 delle "Exercitationes vitruvianae primae. hoc est: Ioannis Poleni commentarius criticus de M. Vitruvii Pollionis...". in una parte intitolata: "Anonymus scriptor vetus de architectura compendiosissime tractans, quae vitruvius et ceteri locupletius quidem ac diffusius tradidere. cum annotationibus Ioannis Poleni". Si tratta del capitolo XXIX dell’Artis architectoniicae privatis usibus adbreviatus liber , detto anche Liber artis architectonicae, di M. Cetius Faventinus, scrittore vissuto nel III o IV sec. d.C.

Il Pelignum (inteso come l’orologio visibile nel mosaico di Treviri e lo strumento descritto da Faventino)
- è formato da due lastre di marmo a forma di ascia incernierate per un lato;
- le tavole sono più larghe sopra e più strette sotto;
- lo gnomone è installato nell’angolo alto della giuntura;
- le tavole sono di uguale dimensione e forma;
- il numero di linee orarie presenti per ogni lastra è cinque, per un totale di 10 in quanto la linea meridiana in questi orologi non c’è perchè corrisponde con la verticale del lato ove le due lastre sono incernierate -



LA MERIDIANA DI AUGUSTO

L'uso degli orologi solari cominciò a diffondersi in tutte le dimensioni dimensioni, minuscoli portatili, di non più di tre cm di diametro, ritrovati ad Horbach e ad Aquileia. all'enorme Horologium Augusti fatto installare a Roma.

Augusto fece costruire in Campo Marzio, fra l’Ara Pacis e i portici di Agrippa, nel bel mezzo di un grande parco, un grandioso orologio solare, il Solarium Augusti, il cui quadrante misurava 180 m x 80 e il cui gnomone era l'obelisco egiziano (ora a Piazza Montecitorio) prelevato ad Eliopolis nell’anno 12 a.c. e trasportato a Roma con enormi chiatte.

Opera grandiosa perchè era la più grande del mondo per dimensioni, misura 37 m, e perchè utilizzava per gnomone un obelisco sacro agli egiziani per l’adorazione del Dio Sole, eretto  dal re Psammetico II, nel VII sec. a.c.
Era talmente grande che le ore, in lettere romane e di bronzo, infisse sul travertino che pavimentava un'enorme piazza, erano lunghe ben tre m. ciascuna.

L’opera fu inaugurata il 9 d.c. e, stando a quanto riporta Plinio, fu realizzata da un personaggio detto "Fecondo Novo", cioè il grande Manilio che scrisse il "Poema Astronomicon", uno dei pochi astronomi romani di una certa importanza.

Fin dal XVI secolo, gli autori si sforzarono di interpretare e ricostruire la forma dell’orologio di cui l’obelisco era l’altissimo gnomone. Solo due uomini seppero giustamente interpretare, andando controcorrente, i segreti del tracciato orario dell’orologio sotto i lastricati di Campo Marzio. Questi furono il Masi e il grande Athanasius Kircher che addirittura ne diede un disegno completo, nel 1650, di tutto l’orologio e della sua estensione.

Fu l’unico a sostenere che non poteva trattarsi di un orologio composto della sola linea meridiana, ma di uno strumento completo di tutte le linee orarie e delle curve diurne. Il disegno che egli fece, pubblicato in Obeliscus Panphilius, è identico a quello ottenuto dall’archeologo tedesco Bruckner sulla scorta delle recenti scoperte archeologiche sull’antico lastricato dell’orologio.

"Tra i monumenti poi che occupavano la parte media del Campo Maggiore doveva principalmente figurare l'obelisco alto centosedici piedi colla base che serviva di gnomone ad un grande Orologio solare fatto eseguire da Augusto con sommo ingegno con l'opera di Manilio matematico, il quale vi aveva aggiunta pure una palla indorata sulla sommità. Era in tale Orologio determinata la lunghezza dei giorni e delle notti mediante alcune linee di bronzo incastrate in un grande strato di pietra, le quali segnavano ancora le ore sino alla sesta, ed il crescere e decrescere dei giorni.
Quest'Orologio era degno di ammirazione non tanto per l'obelisco fatto trasportare sino da Gerapoli (secondo altri da Eliopoli) città dell'Egitto, insieme coll'altro che stava nel circo Massimo, quanto per il grande lastricato di pietra, il quale, affinchè avesse potuto contenere la indicazione delle prime ed ultime ore del giorno, era di necessità che avesse molta estensione. Per cui essendosi ultimamente rinvenuti diversi pezzi di lastre di travertino nel fare le fondamenta della casa posta nel lato minore della piazza di S. Lorenzo in Lucina, sembra potersi stabilire essere giunto almeno sino a tale luogo.
Il piedestallo che reggeva quest'obelisco fu riconosciuto essere stato situato dove è ora la cappella maggiore posta nel lato occidentale della Chiesa di S. Lorenzo in Lucina, e fu ritrovato intorno esservi stati sette gradi con un suolo di lastre di marmo, nel quale stavano incastrate diverse linee di metallo, come pure negli angoli del medesimo vi erano le figure dei quattro venti principali. L'obelisco poi fu trovato alquanto discosto da tale luogo al disotto di una casa posta verso l'Impresa, come lo dimostra la iscrizione ivi collocata, per essere stato nel cadere evidentemente trasportato. Ora stà innalzato sulla piazza del Citorio."

I rilevamenti archeologici l'hanno portata alla luce, per ahimè seppellirla subito dopo, in quanto la meridiana sconfina di molto sotto vari palazzi d'epoca. Nei sotterranei ben puntellati, a una decina di metri sotto il manto stradale, l'orologio solare c'è ancora, ma nessuno può goderne la vista.



LA MERIDIANA PORTATILE

A Pompei, nel 1912, è stata riportata alla luce, nella bottega di Verus, forse un fabbro, un orologio "portatile", una piccola meridiana incisa su di una scatoletta di avorio, un orologio da taschino ante-litteram.

Purtroppo ne rimangono pochi frammenti dei lati e della parte superiore, dove erano incise le linee della meridiana e dove era fissato lo gnomone, sicuramente smontabile e rimontabile all'occorrenza.
Un congegno multi uso, perchè in uno dei due lati lunghi della scatola era incisa una scala graduata di riduzione, sicuramente utilizzata per prendere misure lineari.

Ad Aquileia è stato ritrovato un altro orologio solare portatile, forse più usuale, un piccolo disco di bronzo che veniva appeso e ruotato in modo che i raggi solari vi battessero sopra. Sul disco ci sono due quadranti solari, delle latitudini di Ravenna e di Roma, con le sigle RA e RO. Insomma tenevano conto del fuso orario.

Ad Oxford è invece conservata una meridiana portatile romana, sempre in bronzo e del III secolo d.c., formata da due dischi sovrapposti, uno più piccolo con gnomone girevole dotato di scala oraria graduata, e uno più grande con una scala delle latitudini. Sul retro del disco più grande sono incise le latitudini corrispondenti a ben trenta province romane. Ruotando il disco piccolo in corrispondenza delle latitudini era possibile sapere l'ora nelle varie province. Doveva essere un tipo che viaggiava molto.



MERIDIANA DEL PASTORE

Straordinaria scoperta, ad opera dello gnomonista Mario Arnaldi di Ravenna, e pubblicata nell’articolo A roman cylinder dial: witness to a forgotten tradition", comparso su Journal for the History of Astronomy, Cambridge, 1997: un orologio cilindrico verticale, della categoria "meridiana del pastore", di epoca romana!
Indietreggia quindi di circa un millennio l’invenzione di questo strumento, fino ad oggi attribuito prima agli Arabi (IX sec.) e successivamente divulgato nell’Europa cristiana dal monaco Ermanno Contratto nella prima metà dell’anno Mille. L’orologio ri-scoperto da Arnaldi era conservato nel Museo d’Este, e nessuno prima di lui aveva fatto caso alla sua importanza storica! E’ l’unico esemplare che si conosca al mondo. E’ probabile, quindi, che tale orologio sia da aggiungere alla lista fornita da Vitruvio. L’esemplare del museo d’Este risale al II secolo d.c.



LE CLESSIDRE


C'erano poi le clessidre ad acqua, citate da Vitruvio e da Cesare nel De Bello Gallico, quindi di uso anche militare.

Servivano a misurare intervalli di tempo, come quello a disposizione degli oratori nelle cause in tribunale. Di solito misuravano una mezz'ora, e al massimo non più di due ore.



GLI OROLOGI IDRAULICI

Dal tempo di Augusto clepsydrarii e organarii fanno a gara per soddisfare le esigenze di ricchi clienti che vogliano ornare le loro case di horologia ex aqua sempre più perfezionati o ricchi di accessori come quelli descritti da Vitruvio che ad ogni nuova ora segnata lanciavano in aria sassi, uova o addirittura fischiavano.

OROLOGIO AD ACQUA
Nel recipiente dove l'acqua si accumulava, scendendo attraverso un foro dal diametro ben calcolato, venivano indicate le ore con le tacche regolate in base a un orologio solare. Sembra servissero soprattutto per la notte, in particolare durante le ronde.

Ma gli  orologi ad acqua nella II metà del I e nel II sec. andò di moda. Era oltremodo raffinato mostrare ai propri ospiti di possedere un orologio ad acqua.

Nel Satiricon di Petronio, Trimalcione ostenta: « un orologio nella sala da pranzo e un suonatore di corno assunto apposta perché udendolo si sappia ad ogni ora quale porzione della vita è stata perduta».

Trimalcione addirittura fa scrivere nel suo testamento prescrive che venga collocato un "horologium ex acqua" sulla sua tomba « in modo che chiunque guardi l'ora debba leggere anche il mio nome, voglia o non voglia »

Solo da Pompei ne provengono dozzine e varietà. in terracotta, di tufo, di marmo, due sono orizzontali e il terzo, poggiato su di essi, è la metà di un pelecinum, oggi esposto nella sezione tecnologica del Museo nazionale di Napoli.


LA PRECISIONE

Poteva accadere che lo gnomone non fosse stato ben tarato alla latitudine del luogo o che l'orario segnato dall'orologio ad acqua non tenesse conto delle diverse misurazioni a seconda dei giorni dei diversi mesi.

« Non ti posso dare un'ora precisa, è più facile mettere d'accordo filosofi che orologi» commenta Seneca.

D'altronde era possibile accordare il quadrante solare con l'orologio ad acqua durante il giorno, ma non per la notte. Inoltre mentre oggi le ore sono tutte di sessanta minuti, nelle ore romane ogni ora era diversa dall'altra a seconda fosse diurna o notturna e in quali giorni dell'anno fosse stata misurata.

D'altronde la vita quotidiana dei romani, era piuttosto flessibile, durando di meno la luce solare in inverno ci si dava da fare di più rispetto all'estate quando la luce durava di più.

Comunque i Romani si alzavano molto presto per profittare delle ore di luce, dato che l'illuminazione serale era piuttosto scarsa, e dopo una veloce toeletta si affrettavano ad uscire di casa per sbrigare i loro impegni.


OROLOGI A CIFRE ROMANE

Ancora oggi spesso nel quadrante degli orologi le ore sono a cifre romane. Ma il 4 non è rappresentato con un IV, ma con la variante IIII.

È una versione meno usuale ma corretta: i romani non avevano istituzionalizzato il loro sistema di numerazione. Solo che allora, per coerenza, il 9 dovrebbe essere scritto VIIII, e invece in tutti gli orologi è sempre IX.

Quando gli orologi erano solo sui campanili, i fabbri avevano trovato il modo per fabbricare tutti i numeri con un solo stampo: VIIIIIX. Infornando quattro volte questo stampo si ottenevano tutte le ore: il primo diventava V, IIII, IX; il secondo VI, II, IIX, il terzo VII, III, IX e il quarto VIII, I, IX.

Poi, una volta uscite le cifre di ferro, bastava rigirare il IIX per avere il XII e uno dei due IX per avere l’XI.


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