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SACRARIO DEGLI ARGEI

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ESEDRA DELLE TERME DI TRAIANO EX SACRARIO DEGLI ARGEI

IL SACRARIO 

 Nel 1987 a Roma, in un'area sul Colle Oppio, tra viale del Monte Oppio e via delle Terme di Traiano, si effettuarono importantissime scoperte archeologiche, purtroppo ancor oggi ignorate dal pubblico. Nel corso di quello scavo, infatti, a parte i resti di una fullonica (lavanderia) di età medio-imperiale, si rinvennero:

- A) una grande struttura circolare, in uso dal tardo periodo repubblicano fino ad età tardo-antica (o alto-medioevale), rappresentata in un frammento della Forma Urbis;
- B) Il deposito votivo interno alla struttura circolare
- C) un'area sacra, di età tardo-repubblicana, con più fasi di vita, ma definitivamente abbandonata nel II sec. d.c.
- D) un altare
- E) Un altro deposito votivo presso l'altare.



 LA STRUTTURA CIRCOLARE 

-  A) Nell'area di cui sopra, già appartenente ai giardini Brancaccio, sovrapposto alla recinzione circolare del diametro di m 16, c'era una fila di blocchi di tufo litoide giallo, alti 55 - 58 cm, con successivi rifacimenti in travertino e tufo grigio, e in opus spicatum.

La grande rotonda, nella parte finora scavata, appare fortemente danneggiata dalle numerose spoliazioni del passato, con l’asportazione di gran parte dei blocchi del muro perimetrale, nonché la distruzione, quasi completa, dei piani pavimentali interni. Insomma una recinzione importante e soprattutto molto arcaica, di molto antecedente alle terme traianee, che di certo doveva contenere qualcosa di molto importante e sacro.

 L’edificio presenta almeno due fasi, la prima delle quali va dal III e il I secolo a.c., ma per altri che va dal IV al VI sec. a.c., il che ci trova concordi. La costruzione in blocchi di cappellaccio e in opera quadrata di tufo granulare, in epoca di molto posteriore, in seguito ad un innalzamento del terreno, venne sostituita da una struttura in blocchi di travertino e di tufo litoide, databile alla metà del I sec. d.c.

 La Forma Urbis indica in zona grandi residenze signorili, riconoscibili dai vasti cortili colonnati, ma pure più modesti caseggiati, preceduti da tabernae e portici prospicienti le strade, che documentano l’eterogeneità di questo quartiere, posto tra il fronte nord delle Terme di Traiano e il limite meridionale della Porticus Liviae. In uno dei frammenti è raffigurato anche un imponente edificio circolare, riportato appunto alla luce nel corso dei recenti scavi. La grande struttura circolare doveva essere molto importante se venne mantenuta per secoli, forse legata a un'antichissima tradizione.



IL DEPOSITO VOTIVO 

- B)  Di fine VII-VI sec. a.c., contenente sette rocchetti da telaio.



 AREA SACRA 

ROCCHETTI DA TELAIO
- C) Era costituita da un altare e un deposito votivo a 1,5 m dal recinto, a est della grande struttura circolare, tra questa e una strada che correva sull’asse dell’ingresso secondario dei giardini Brancaccio, è stata rinvenuta una piccola area sacra, costituita da un altare in tufo litoide, già danneggiato e semidistrutto in epoca antica, al quale era stato sovrapposto un pavimento di lastre dello stesso materiale.

L’altare, praticamente un cippo, era racchiuso in un recinto formato da grandi blocchi di tufo che formavano una struttura di forma rettangolare della quale è attualmente difficile ricostruire la pianta e le dimensioni. Dallo scavo, risultò che la struttura circolare, coeva dell'area sacra, fosse stata in rapporto con l'area sacra, tanto più che il deposito votivo era stato trovato all'interno della zona dove sarebbe stata costruita la struttura circolare (il deposito del IV-III sec. a.c. fu rinvenuto, invece, poco al di fuori).



DEPOSITO VOTIVO 

- D) Accanto all'altare vi era un deposito votivo. A sud ovest dell'edificio è stato reperito un un pavimento di tufo con un deposito votivo del IV sec. a.c., contenente una statuina bronzea di Kouros, tre tazze di bucchero in miniatura, tre focacce in miniatura e vari frammenti di bucchero.

Seguì poi un ulteriore rialzamento del suolo con nuova pavimentazione e creazione di un recinto in opera quadrata. Il tutto tra il III ed il II sec. a.c.



 L'USO DELL'EDIFICIO

STATUINA BRONZEA
DI KOUROS
I 27 "sacrari degli Argei", elencati da Varrone in modo incompleto, corrispondono ad un'antichissima divisione del territorio cittadino, precedente a quella delle 4 "regioni serviane" (da Servio Tullio) del VI sec. a.c. e si collegano con il Septimontium e con le curie.

« Dove adesso si trova Roma c'era un tempo il Septimontium così chiamato per il numero di montes che in seguito la città incluse all'interno delle sue mura.» (Varrone, De lingua latina)

Le fonti antiche ci informano che sul colle Oppio vi erano quattro sacelli, uno dei quali (il quarto) situato in una zona denominata «in figlinis», cioè in un sito caratterizzato dalle botteghe dei vasai. Consistenti rinvenimenti di materiale ceramico di scarto avvenuti nella vicina via Merulana. Relativi senz’altro a fornaci attive nelle vicinanze, consentono di identificare il sacrario di viale del Monte Oppio con quello indicato dalle fonti. Sembra dunque che questo sacello sia uno dei quattro sacrari degli Argei che le fonti menzionano giusto sul Colle Oppio.

Erano luoghi di culto antichissimi che prendevano il nome dai fantocci di paglia (argei) che venivano gettati nel Tevere dalle vestali, nel corso di una cerimonia annuale, al cospetto del Pontefice Massimo.



LE INTERPRETAZIONI DEL RITO

- E' assolutamente da escludere l’ipotesi di una piscina menzionata dalle fonti storiche in rapporto ai vicini horti di Mecenate, la grande villa che si estendeva in questa parte del quartiere. Non lo giustificano nè le dimensioni, nè il contesto limitrofo nè l'epoca arcaica della costruzione.

-  Un’altra ipotesi collega il sacello e l’edificio circolare, interpretato come un grande sepolcro oggetto di un culto eroico (heroon), in cui sarebbe stata locata la tomba del re Servio Tullio, la cui memoria si sarebbe mantenuta ancora viva agli inizi del III secolo d.c., epoca della sua raffigurazione nella Forma Urbis.
 Che la memoria del VI re di Roma fosse ancora viva non è da escludere, ma che il popolo conservasse per lui questa grande venerazione non sembra probabile, dato che Servio Tullio, o Mastarna che dir si voglia, era un etrusco come i due Tarquini che l'hanno preceduto e seguito, e i Romani non avevano una grande opinione dei monarchi etruschi.
 A parte il culto di Romolo, antichissimo re divinizzato, i Romani non amavano la monarchia, al punto che se qualcuno facesse una qualche manovra per diventarlo veniva immediatamente punito con la morte e cancellato con la damnatio memoria.

-  Un’altra ipotesi istituisce uno stretto collegamento tra il sacello e l’edificio circolare, interpretato come un grande sepolcro oggetto di un culto eroico (heroon), in cui sarebbe da riconoscere la tomba del re Servio Tullio, la cui venerata memoria protrattasi attraverso i secoli e testimoniata dai progressivi rifacimenti del complesso, si sarebbe mantenuta ancora viva agli inizi del III secolo d.c., epoca della sua raffigurazione nella Forma Urbis.

POSIZIONE DELLA STRUTTURA
- Però Ovidio (Fasti) nelle diverse interpretazioni dei suoi tempi.narra del responso di Giove Fatidico che avrebbe ordinato ai primi abitanti del luogo, al tempo in cui quella terra era detta Saturnia, di offrire a tale Dio tanti corpi consacrati di vecchi quante erano le loro gentes. Questo rituale sarebbe stato pertanto il retaggio di remoti sacrifici umani che avevano come vittime prigionieri greci, considerati dai romani, in nome della loro leggendaria discendenza dai troiani, i nemici per antonomasia.
Però è poco credibile, perchè se così fosse stato, i Romani, che ritenevano i sacrifici umani usanze barbare, non avrebbero di certo mantenuto il culto, ma piuttosto avrebbero cercato di occultarne l'esistenza.

-  Altra interpretazione è quella che Ercole giunto coi suoi compagni nel Lazio ospite del re Evandro, sconfisse ed uccise il gigante Caco dedito alla rapina ed al saccheggio di quei luoghi. Rimasti i compagni di Ercole a vivere nel Lazio, quando questi giunsero a vecchiaia chiesero ai loro discendenti che i propri corpi dopo la morte fossero gettati nel Tevere per essere trasportati dalle sue onde nel mare e da qui giungere in Grecia ad Argo, loro città natale. Ma i loro discendenti non ritennero naturale la cosa per cui seppellirono in terra laziale i propri cari e gettarono nel Tevere in loro vece dei fantocci di giunchi affinchè raggiungessero via mare la patria greca.

- In un'altra interpretazione, i fantocci portati in processione, e poi o annegati, o almeno aspersi d'acqua, o uccisi, rappresentano lo spirito morto o morente della vegetazione dell'anno passato, che viene o ucciso per far posto al successore o ravvivato con l'acqua. Perciò questi fantocci sono in genere rappresentati come dei vecchi, e il nome di Argei si collegherebbe con la radice arg "bianco", e si riferiva quindi a questo rito il detto sexagenarios de ponte, cioè: si gettino i vecchi dal ponte. La processione del marzo avrebbe invece rappresentato l'entrata dello spirito della vegetazione al principio dell'anno. Questa sembrerebbe convincente, ma perchè 27 fantocci? E perchè 27 santuari? Ne sarebbe bastato uno, o massimo due, sia dei santuari che dei fantocci, uno per l'anno vecchio col fantoccio che veniva gettato a fiume e uno per l'anno nuovo col fantoccio preparato e benedetto per l'anno nuovo.

 Nessuna di queste leggende convince, non convince Dionigi quando racconta che i Romani gettavano gli uomini dal ponte come poi si fece coi fantocci. Per giunta Festo, nel Sexagenarius, nega il sacrificio umano dei sessuagenari, la vecchiaia all'epoca era sinonimo di saggezza, tanto più che il Senato si chiamò tale proprio perchè costituito da Seniores, cioè da anziani. Erano i padri che semmai ammazzavano i figli esponendoli, cioè abbandonandoli al freddo, alla fame e alla sete, perchè la legge lo consentiva, ma non era consentito il patricidio peraltro condannato a pene severissime e letali.



MA CHI ERANO GLI ARGEI?

Gli Argei sono figure legate storia delle origini di Roma, che secondo Varrone erano i principi giunti nella penisola italiana al seguito di Ercole e si erano stabiliti nel villaggio fondato dal Dio Saturno sul Campidoglio.

ERCOLE
"Gli Argivi da quando abitano nella loro città sono in guerra con i confinanti, come gli Spartani, ma con la differenza che questi combattono contro avversari più deboli, quelli con avversari più potenti, e questo, come è noto, è il peggiore dei mali" Robert Graves li vede come un gruppo di mercanti che viaggiano tra le varie coste per scambiare i prodotti, e questo confermerebbe la loro natura avventurosa e combattente. All'epoca i mercanti erano avventurieri che dovevano combattere con pirati e

Viene da pensare che se si chiamavano Argei venivano da Argo o almeno dalla regione greca dell'Argolide. Oppure che provenissero dalla nave Argo e fossero parte degli Argonauti partiti con Giasone per la conquista del Vello d'Oro. Il che spiegherebbe il ruolo di condottiero di Eracle che prosegue il suo viaggio lasciando lì parte dei suoi compagni di viaggio. E' possibile che i 27 o 30 Argei passassero per favolosi eroi semidei, e che in seguito avessero governato con poca giustizia fino a inimicarsi i romani.

Da un ruolo di eroi divinizzati con tanto di sacrari sarebbero passati a un ruolo di tiranni invasori, per cui la gente si sarebbe ribellata e l'avrebbe gettati nel fiume. Forse la paura della ritorsione divina avrebbe spinto i romani a creare un rito di scongiuro. Ciò sarebbe confermato dal fatto che la cerimonia fosse effettivamente di scongiuro, nata dalla colpa di Romolo che doveva tacitare il fratello assassinato.

Agli Atgei erano collegate due feste religiose: il 16 e 17 marzo, quando una processione percorreva i 27 sacraria (dalla regio suburana a quella Esquilina, Collina e Palatina). La seconda festa, detta dei Lemuria, del 14 maggio era ugualmente una processione, che si concludeva però, presso il ponte Sublicio, con il lancio nel Tevere da parte delle Vestali, di fantocci in giunco (scirpea), rappresentanti gli stessi Argei. A queste cerimonie partecipava anche la Flaminica Dialis in abbigliamento di lutto. Il che conferma il rito mortuario.

Le Lemuria o Lemuralia erano delle feste dell'antica Roma, che venivano celebrate il 9, l'11 e il 15 maggio, per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri. La tradizione voleva che ad istituire queste festività fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso. I Lemuri in effetti

Il rituale prevedeva che il pater familias gettasse alle sue spalle alcune fave nere per il numero simbolico di nove volte, recitando formule propiziatorie. Invece per gli Argei non si buttavano le fave ma i fantocci, e non in terra ma nel fiume.

La versione più concreta è che gli Argei, che in epoca antichissima conquistarono Roma, ovvero gli abitanti della futura Roma, furono cacciati dagli stessi Romani e i loro capi gettati nel Tevere, usanza riservata ai tiranni dell'Urbe, tanto è vero che i Romani in epoca monarchica, non potendo gettare a Tevere Taquinio, ci gettarono dei covoni di grano dei suoi campi. I romani erano tosti, facili alla ribellione, facili ad aggregarsi e organizzarsi tra loro per cacciare qualsiasi tiranno. Prova ne sia che gli Argei se ne andarono e non tornarono più.

Ancora un elemento di prova: I Lemuri (in latino "lemures", cioè "spiriti della notte) erano gli spiriti dei morti diventati vampiri, ossia anime che non riescono a trovare riposo a causa della loro morte violenta. Secondo il mito tornavano sulla terra a tormentare i vivi, perseguitando le persone fino a portarle alla pazzia.
Il che dimostra che gli Argea, prima venerati, erano poi deceduti per morte violenta, in quanto i romani li avevano legati come salami e gettati nel Tevere. Da qui le Lemuria per impedire che potessero tornare dai vivi e vendicarsi.


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