TITUS LIVIUS |
Nome: Titus Livius
Nascita: Patavium, 59 a.c.
Morte: 17 d.c.
Professione: Storico
"Non ci si deve fidare troppo della buona sorte del momento perché non siamo tranquilli nemmeno su quello che ci può recare la sera". (Tito Livio, attribuita a Lucio Emilio Paolo Macedonico)
"Pochissimo deve fidarsi l'uomo quando è giunto al sommo di ogni fortuna."
Tito Livio, il cui cognomen è sconosciuto (Patavium, 59 a.c. – 17 d.c.), è stato uno storico romano, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII, dalla sua fondazione (per tradizione il 21 aprile 753 a.c.) fino alla morte di Druso, figliastro di Augusto nel 9 a.c..
Secondo Marziale, Quintiliano e San Girolamo nacque a Padova, per il santo nel 64 (coincidente alla nascita di Messalla Corvino), in realtà nel 59 a.c..
Quintiliano riferisce che Asinio Pollione rilevava in Livio una certa Patavinitas (padovanità): intesa come moralismo un po' provinciale. Ebbe una figlia ed un figlio, Tito, divenuto poi famoso geografo.
.Morì sempre a Padova nel 17 d.c. secondo Girolamo, o nel 12 d.c.,secondo Syme, anche se lo storico Ronald Syme anticipa le date di nascita e di morte di 5 anni..
Della famiglia di origine si hanno poche notizie benché probabilmente, a giudicare dall'ottima formazione culturale dello storico, era di condizioni agiate. Uno degli avvenimenti più importanti della sua vita fu il trasferimento a Roma per completare gli studi; fu qui che entrò in stretti rapporti con Augusto, il quale, secondo Tacito (che riporta un discorso dello storico Cremuzio Cordo) lo chiamava "pompeiano" per il suo filo-repubblicanesimo; questo fatto non nocque comunque alla loro amicizia, tanto che gli venne affidata dall'imperatore l'educazione del nipote e futuro imperatore Claudio.
Si dedicò quindi alla redazione degli Ab Urbe condita libri per celebrare Roma e il suo imperatore e si impose ben presto come uno dei più grandi storici del suo tempo. Fu anche autore di numerosi scritti di carattere filosofico e retorico andati perduti.
OPERE
Ab Urbe condita libri.
Iniziata nel 27 a.c., si componeva di 142 libri che narravano la storia di Roma dalle origini (nel 753 a.c.) fino alla morte di Druso (9 a.c.), per annali; è molto probabile che l'opera si dovesse concludere con altri 8 libri (per un totale di 150) che proseguissero fino alla morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.c.
TITO LIVIO |
Gli altri sono conosciuti solo tramite frammenti e riassunti ("Periochae").
I libri che si sono conservati descrivono la storia dei primi secoli di Roma dalla fondazione fino al 293 a.c., fine delle guerre sannitiche, la seconda guerra punica, la conquista della Gallia cisalpina, della Grecia, della Macedonia e di una parte dell'Asia Minore.
L'ultimo avvenimento importante è il trionfo di Lucio Emilio Paolo a Pidna. Livio alternò la cronologia storica alla narrazione, spesso interrompendo il racconto per annunciare l'elezione di un nuovo console, il sistema utilizzato dai Romani per tener conto degli anni.
Livio denuncia spesso la decadenza dei costumi esaltando i valori che hanno fatto la Roma eterna.
Delle fonti usò per l'età più antica, degli annalisti romani, particolarmente dei più recenti come Valerio Anziate, Licinio Macro, Elio Tuberone, dei quali tuttavia non gli sfuggiva la sostanziale mancanza di attendibilità; per l'età delle guerre puniche e in particolare di quelle macedoniche (libri XXI-XLV), soprattutto di Polibio.
Lo stesso Livio lamentò la mancanza di dati e fonti certe precedenti al sacco di Roma da parte dei Galli, nel 390 a.c., aggravato dal fatto che non poteva accedere, come privato cittadino, agli archivi e dovette accontentarsi di fonti secondarie (documenti e materiali già elaborati da altri storici). Molti storici moderni ritengono che, per la mancanza di fonti precise, Livio abbia presentato per le stesse vicende sia una versione mitica che una versione "storica", lasciandole alla discrezione del lettore.
Nella prefazione spiega «quanto agli eventi relativi alla fondazione di Roma o anteriori, non cerco né di darli per veri o mentirli: il loro fascino è dovuto più all'immaginazione dei poeti che alla serietà dell'informazione».
Di idee conservatrici, improntò la sua vita e la sua opera ad equilibrio morale e religioso e spirito patriottico. Il suo essere un convinto pompeiano, e quindi critico nei confronti di Cesare, non gli impedì di comprendere lo spirito nuovo dei tempi, di ammirare l'opera riformatrice imperiale e di celebrare la pace augustea e la figura stessa dell'imperatore.
Augusto del resto non fu disturbato dagli scritti di Livio, tanto che lo incaricò dell'educazione di suo nipote, il futuro imperatore Claudio. L'influenza di Tito Livio su Claudio fu evidente nel periodo finale del regno di quest'ultimo, quando l'oratoria dell'imperatore si rifece in maniera fedele alla storia di Roma raccontata dallo storico patavino.
Poco rilievo hanno per Livio i problemi sociali, economici, costituzionali; scarsa è la precisione negli avvenimenti militari, quando non abbia per guida l'esperto Polibio, e con scarso interesse per i popoli italici soggiogati dai Romani (Sabini, Volsci, Sanniti, Etruschi, ecc.), che pure avevano civiltà e forme di vita notevolissime.
Il suo talento non va tuttavia ricercato nell'attendibilità scientifica e storica del lavoro quanto nel suo valore letterario (il metodo con cui impiega le fonti è criticabile poiché non risale ai documenti originali, qualora ve ne siano, ma utilizza quasi esclusivamente fonti letterarie).
Livio scrisse larga parte della sua opera durante l'impero di Augusto; nonostante ciò, la sua opera è stata spesso identificata come legata ai valori repubblicani e al desiderio di una restaurazione della repubblica.
In ogni modo, non vi sono certezze riguardo alle convinzioni politiche dell'autore, dal momento che i libri sulla fine della repubblica e sull'ascesa di Augusto sono andati perduti. Comunque questa visione ideale della romanità lo porta a narrare, più che ad interpretare, le vicende ed i valori civili e morali in esse contenuti che devono costituire esempio e norma di vita.
Nella Storia di Roma (libro 9, sezioni 17-19) Livio immagina le sorti del mondo se Alessandro il Grande fosse partito per la conquista dell'occidente anziché dell'oriente.
Livio fu sempre accusato di patavinitas (padovanità); ma di suddetta provincialità non si rilevano tracce negli scritti a noi pervenuti, mentre altri, come lo Syme, ritengono che il termine riguardi più la sfera morale e ideologica. Questa critica è stata mossa inizialmente da Asinio Pollione, politico e letterato romano.
A Livio interessa comporre un'opera dilettevole sulla storia di Roma, non facendolo scientificamente ma raccogliendo notizie. Ciò lo allontana dallo stile secco e chiuso tipico di Polibio e ne fa una narrazione drammatica", senza eccessi. La storia per lui è "Magistra Vitae" dal punto di vista morale, vivendo infatti in un periodo difficile per la società romana riteneva che il modello da seguire per tornare la grande potenza di un tempo sarebbe stato quello degli antichi romani, per primo quello di Romolo.
La visione che Tito Livio ha della storia è visione fondamentalmente religiosa: la storia è governata dagli dei. La legge superiore, il Fatum o Necessitas, che domina anche gli stessi dei, dirige il mondo e fissa l'ordine degli eventi umani. Da esso dipendono vita e morte, prosperità e miseria, vittoria e sconfitta, pace e disordine.
Il suo talento non va tuttavia ricercato nell'attendibilità scientifica e storica del lavoro quanto nel suo valore letterario (il metodo con cui impiega le fonti è criticabile poiché non risale ai documenti originali, qualora ve ne siano, ma utilizza quasi esclusivamente fonti letterarie).
Livio scrisse larga parte della sua opera durante l'impero di Augusto; nonostante ciò, la sua opera è stata spesso identificata come legata ai valori repubblicani e al desiderio di una restaurazione della repubblica.
In ogni modo, non vi sono certezze riguardo alle convinzioni politiche dell'autore, dal momento che i libri sulla fine della repubblica e sull'ascesa di Augusto sono andati perduti. Comunque questa visione ideale della romanità lo porta a narrare, più che ad interpretare, le vicende ed i valori civili e morali in esse contenuti che devono costituire esempio e norma di vita.
Nella Storia di Roma (libro 9, sezioni 17-19) Livio immagina le sorti del mondo se Alessandro il Grande fosse partito per la conquista dell'occidente anziché dell'oriente.
Livio fu sempre accusato di patavinitas (padovanità); ma di suddetta provincialità non si rilevano tracce negli scritti a noi pervenuti, mentre altri, come lo Syme, ritengono che il termine riguardi più la sfera morale e ideologica. Questa critica è stata mossa inizialmente da Asinio Pollione, politico e letterato romano.
A Livio interessa comporre un'opera dilettevole sulla storia di Roma, non facendolo scientificamente ma raccogliendo notizie. Ciò lo allontana dallo stile secco e chiuso tipico di Polibio e ne fa una narrazione drammatica", senza eccessi. La storia per lui è "Magistra Vitae" dal punto di vista morale, vivendo infatti in un periodo difficile per la società romana riteneva che il modello da seguire per tornare la grande potenza di un tempo sarebbe stato quello degli antichi romani, per primo quello di Romolo.
La visione che Tito Livio ha della storia è visione fondamentalmente religiosa: la storia è governata dagli dei. La legge superiore, il Fatum o Necessitas, che domina anche gli stessi dei, dirige il mondo e fissa l'ordine degli eventi umani. Da esso dipendono vita e morte, prosperità e miseria, vittoria e sconfitta, pace e disordine.
Livio seguì il modello ciceroniano con ricchezza e scioltezza di espressione (detta da Quintiliano lactea ubertas) che si vale dei coloriti poetici specialmente nei primi libri, e acquista poi maggior fascino dal senso drammatico che spira dalla sua narrazione.
Altro elemento tipico della drammatizzazione è quello di mettere in bocca ai personaggi dei discorsi, sia in forma diretta che indiretta, informazioni utili ai fini della narrazione, con discorsi costruiti in modo fantasioso, da prendere non tanto come verità storiche oggettive ma come esigenze narrative.Infatti Livio si ispira al fiabesco Erodoto e ad Isocrate, con eloquenza piacevolmente narrativa.
La romanità è il concetto dominante di Tito Livio nella sua concezione storica. Roma è tutto e i romani sono "il popolo principe della terra" dove l'età arcaica è narrata con nostalgia del passato, di quando Roma, forte di condottieri imbattibili, magistrati saggi e popolo disciplinato, fondava la sua storia gloriosa. Lo stesso impero, per Livio, è il fatale proseguimento eroico verso nuove conquiste militari e civili.
I critici non hanno gradito l'esaltazione "patriottica" spesso a sfavore dei popoli stranieri, ma ciò non toglie che Tito Livio rimane lo storico latino più grande dell'età augustea.
ABSTRACTA
LO STILE
Livio sa tenere continuamente il lettore col fiato sospeso, in modo da non annoiare il lettore, cosa molto facile trattando di una storia annalistica, una arida elencazione di magistrature e guerre, alternandole con fatti e prodigi, piacevoli interruzioni alla gravità del tema. Inoltre Livio sottopone l'opera di Polibio a un processo di elaborazione che mostra in pieno le diversità di storia, di civiltà e di cultura del mondo greco e di quello romano. Inoltre scandaglia psicologicamente i personaggi, sorvolando su comportamenti poco edificanti da parte dei Romani.
Marco Fabio Quintiliano di Tito Livio scrive che dei suoi dialoghi si possono annoverare tra le opere di filosofia così come tra quelle di storia, per Lucio Anneo Seneca è l'unico grande prosatore dell'età di Augusto, e l'unico letterato che faccia realmente degli ideali della romanità il centro della sua arte. Soprattutto a Livio si deve l'idealizzazione dell'antica storia di Roma e dei suoi personaggi come modelli delle virtù morali e politiche.
Per Publio Cornelio Tacito Livio guarda al passato per poter distoglier lo sguardo dai mali della sua epoca: le guerre civili, ma pure i remedia messi in atto dal nuovo regime. Tacito riferisce pure che Livio,
autore fra i più illustri per eloquenza e per attendibilità, esaltò con tanto entusiasmo Pompeo che Augusto lo chiamava Pompeiano.
Negli stessi anni in cui Virgilio compone il poema destinato ad esaltare i valori tradizionali del popolo romano.
Livio scrive il corrispondente in prosa dell'epopea virgiliana.
Con l'esaltazione della Roma antica: costumi, tradizioni ed istituzioni che furono il fondamento dell'impero e il presupposto per il suo sviluppo e sua sopravvivenza.
Plinio il Giovane: "Non vi è prova che egli considerasse la storia dei re più autentica di quanto la ritenesse Cicerone. Ma doveva narrarla. Abbandonando la leggenda, egli si tuffa nel romanzesco, senza avere la capacità di farne emergere i fatti certi. E sebbene nei libri seguenti Livio si muova su basi più sicure (e la guerra annibalica gli sia congeniale), egli è tradito dalla specifica ignoranza della politica e della vita militare, dalla mancanza di principi critici, e, soprattutto, dall'incapacità di dare forma e struttura al materiale. Forse il meglio è andato perso."
Marziale fa delle riserve sull'esattezza di quel che Livio riferisce, specie dove fa parlare i suoi personaggi interi discorsi che somigliano, egli dice, più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo.
Comunque la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario, conferendo ai fatti narrati una straordinaria vivacità espressiva, non solo nei primi libri, dove la natura leggendaria degli avvenimenti descritti stimola il talento letterario, ma anche nel resto dell'opera.
Altro elemento tipico della drammatizzazione è quello di mettere in bocca ai personaggi dei discorsi, sia in forma diretta che indiretta, informazioni utili ai fini della narrazione, con discorsi costruiti in modo fantasioso, da prendere non tanto come verità storiche oggettive ma come esigenze narrative.Infatti Livio si ispira al fiabesco Erodoto e ad Isocrate, con eloquenza piacevolmente narrativa.
La romanità è il concetto dominante di Tito Livio nella sua concezione storica. Roma è tutto e i romani sono "il popolo principe della terra" dove l'età arcaica è narrata con nostalgia del passato, di quando Roma, forte di condottieri imbattibili, magistrati saggi e popolo disciplinato, fondava la sua storia gloriosa. Lo stesso impero, per Livio, è il fatale proseguimento eroico verso nuove conquiste militari e civili.
I critici non hanno gradito l'esaltazione "patriottica" spesso a sfavore dei popoli stranieri, ma ciò non toglie che Tito Livio rimane lo storico latino più grande dell'età augustea.
RATTO DELLE SABINE |
ABSTRACTA
- Facturusne operae pretium sim si a primordio urbis res populi Romani perscripserim nec satis scio nec, si sciam, dicere ausim, quippe qui cum veterem tum volgatam esse rem videam, dum novi semper scriptores aut in rebus certius aliquid allaturos se aut scribendi arte rudem vetustatem superaturos credunt. Non so se vale davvero la pena raccontare tutte le vicende del popolo romano fin dai primordi di Roma. E quand'anche ne fossi convinto, non oserei affermarlo apertamente. Mi rendo ben conto infatti che questa è materia antica e già sfruttata; e poi, di continuo, si fanno avanti nuovi storici che presumono di apportare qualche dato più sicuro agli eventi narrati o di superare con il loro stile più raffinato il rozzo narrare degli antichi.
- Ab exiguis profecta initiis eo creverit ut iam magnitudine laboret sua. È la storia di Roma che, partita da modestissimi inizi, è tanto cresciuta da essere ormai oppressa dalla sua stessa grandezza.
- Nec vitia nostra nec remedia pati possumus. Non possiamo tollerare né i nostri vizi tradizionali né i loro rimedi.
- [F]oedum inceptu foedum exitu. A cattivo principio cattiva fine.
- Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea, interfectum. Patisca la stessa sorte chiunque abbia ad oltrepassare le mie mura.
- [V]anam sine viribus iram esse. A poco serve l'ira se non è sostenuta da adeguate forze.
- Proditori nihil usquam fidum. Nessuna lealtà è dovuta ad un traditore.
- In variis voluntatibus regnari tamen omnes volebant, libertatis dulcedine nondum experta. Tutti volevano che un re fosse scelto perché non avevano ancora gustato la dolcezza della libertà.
- Clauso eo cum omnium circa fini timorum societate ac foederibus iunxisset animos, positis externorum periculorum curis, ne luxuriarent otio animi quos metus hostium disciplinaque militaris continuerat, omnium primum, rem ad multitudinem imperitam et illis saeculis rudem efficacissimam, deorum metum iniciendum ratus est. [Numa Pompilio], poiché l'indole dei Romani (da sempre tenuta a freno dal timore dei nemici) una volta venuti meno essi, non si corrompesse nell'ozio, pensò bene di introdurre un grande timore verso gli Dei: era il metodo più efficace per gente ignorante e, dati i tempi, rozza.
- Roma interim crescit Albae ruinis. Roma intanto prospera sulle rovine di Alba.
- Fere fit: malum malo aptissimum. Il malvagio finisce sempre col trovarsi con un altro malvagio.
- [U]nde consilium afuerit culpam abesse. Perché ci sia colpa, deve volerlo la mente, non il corpo.
- [M]entem peccare, non corpus. Se non c'è volontà non c'è colpa.
- In libero populo imperia legum potentiora sunt quam hominum. In un popolo libero hanno più potenza i comandi delle leggi che non quelli degli uomini.
- Per dolum ac proditionem prope libertas amissa est. La libertà corre gravi pericoli a causa di inganni e tradimenti.
- [L]eges rem surdam, inexorabilem esse, salubriorem melioremque inopi quam potenti; nihil laxamenti nec veniae habere, si modum excesseris. Le leggi non stanno ad ascoltare, non si lasciano commuovere dalle preghiere, recano al povero vantaggi maggiori che al ricco, e, se si sgarra, non concedono indulgenza o perdono.
- [P]ericulosum esse in tot humanis erroribus sola innocentia vivere. È pericoloso, data la facilità con cui si sbaglia, vivere puntando solo sull'onestà.
- Et facere et pati fortia Romanum est. (Caio Muzio Scevola) L'operare e il soffrire da forte è degno di un romano.
- Id cumulatum usuris. A debiti si aggiungono debiti per via dell'usura.
- Externus timor, maximum concordiae vinculum, quamvis suspectos infensosque inter se iungebat animos. La paura di una minaccia esterna, massima garanzia di concordia, teneva uniti gli animi, anche se non mancavano reciproci sospetti e ostilità.
- Adeo spreta in tempore gloria interdum cumulatior rediit. La gloria disdegnata ritorna talvolta, a tempo debito, accresciuta.
- Detur irae spatium. Saepe non vim tempus adimit, sed consilium viribus addit. Dà tempo all'ira. Spesso l'indugio non toglie la forza: ma alle forze aggiunge il ragionevole consiglio.
- Fit, fastidium copia. L'abbondanza genera fastidio.
- [S]erum auxilium post proelium. Portare aiuto dopo la battaglia è tardi.
- De bello Sabino eos referre, tamquam maius ullum populo Romano bellum sit. [Loro avevano messo all'ordine del giorno la guerra sabina: ma] il popolo romano aveva una guerra più importante di quella dichiarata.
- Graviora quae patiantur videri iam hominibus quam quae metuant. Gli uomini sentono più il peso delle loro sofferenze presenti che delle paure future.
- [E]x magno certamine magnas excitari ferme iras. Grandi rancori suscitano le grandi contese. (Gaio Claudio Crasso Inregillense Sabino)
- Natura hoc ita comparatum est, ut qui apud multitudinem sua causa loquitur gratior eo sit cuius mens nihil praeter publicum commodum videt. È inevitabile che chi parla alla folla tenendo conto del suo interesse particolare risulti più gradito di colui che ha in mente solo il vantaggio pubblico. (Tito Quinzio Capitolino Barbato)
- Nam famae quidem ac fidei damna maiora esse quam quae aestimari possent. Il danno arrecato alla nostra reputazione e al nostro credito è maggiore di quello che può essere eventualmente stimato.
- Potius sero quam nunquam. Meglio tardi che mai.
- Certamine factionum fuerunt eruntque pluribus populis magis exitio, quam bella externa, quam fames morbive. Le lotte fra le fazioni furono sempre e saranno per i popoli di maggior danno, che non le guerre esterne, che non la fame, le epidemie.
- Est humanus animus insatiabilis eo quod fortuna spondet. L'animo umano non si sazia nemmeno con le più belle promesse della sorte.
- Necessitas ultimum et maximum telum est. La necessità è l'arma ultima e maggiore. (Vettio Messio)
- Nihil non adgressuros homines si magna conatis magna praemia proponantur. Le grandi ambizioni rendono grandi gli animi.
- Magnos animos magnis honoribus fieri. Mai gli uomini indietreggiano davanti ad un ostacolo se saranno proposti grandi premi a chi tenta grandi imprese.
- [G]ratia atque honos opportuniora interdum non cupientibus essent. Fama e onore vanno talvolta più facilmente a chi non li ricerca.
- Labor voluptasque, dissimillima natura, societate quadam inter se naturali sunt iuncta. La fatica ed il piacere, diversi di natura, sono congiunti fra loro da un naturale legame. (Appio Claudio Crasso)
- [B]eatam urbem Romanam et invictam et aeternam illa concordia dicere. Roma, città fortunata, invincibile e eterna.
- Iam ludi Latinaeque instaurata erant, iam ex lacu Albano aqua emissa in agros, Veiosque fata adpetebant. Già i Giochi e le Ferie Latine erano stati rinnovati, già l'acqua del lago Albano era stata dispersa per i campi, già il destino incombeva su Veio.
- Sunt et belli, sicut pacis, iura. Esiste un diritto di guerra come esiste un diritto di pace. (Marco Furio Camillo)
- (Re Brenno) Vae victis! Guai ai vinti!
- Adversae deinde res admonuerunt religionum. Le avversità ricordano agli uomini i doveri religiosi. (Marco Furio Camillo)
- Signifer, statue signum; hic manebimus optime. Pianta l'insegna qui, alfiere; qui resteremo benissimo. (Marco Furio Camillo)
- Ostendite modo bellum; pacem habebitis. Dimostratevi pronti alla guerra e avrete la pace. (Lucio Quinzio Cincinnato Capitolino)
- A proximis quisque minime anteiri volt. Tutti hanno di dispiacersi quando sono superati in qualcosa dai parenti.
- Parva sunt haec; sed parva ista non contemnendo maiores vestri maximam hanc rem fecerunt. Queste sono piccole cose, ma è proprio non disprezzando queste piccolezze che i nostri antenati hanno reso così grande la Repubblica. (Appio Claudio Crasso Inregillense)
- [F]idem abrogari cum qua omnis humana societas tollitur? Abolire il dovere di pagare i debiti mina alla base le regole della convivenza umana. (Appio Claudio Crasso Inregillense)
- Ira et spes fallaces sunt auctores. L'ira e la speranza guidano ad errori. (Tito Quinzio Peno Capitolino Crispino)
- [I]nde rem ad triarios redisse. La situazione è giunta fino ai triarii.
- Id firmissimum longe imperium est quo oboedientes gaudent. (Lucio Furio Camillo) E' solidissimo quel governo a cui tutti obbediscono con grande soddisfazione.
- Ferme fugiendo in media fata ruitur. Per lo più precipita nel suo destino chi fugge.
- [E]ventus docuit fortes fortunam iuvare. Il risultato mostra che la fortuna aiuta gli audaci.
- Etenim invidiam tamquam ignem summa petere. L'invidia, come il fuoco, si dirige sempre verso i posti più elevati. (Quinto Fabio Massimo Rulliano)
- Venia dignus est error humanus. Ogni errore umano merita venia.
- Iustum est bellum quibus necessarium, et pia arma, quibus nulla nisi in armis relinquitur spes. È giusta quella guerra che scaturisce da una scelta obbligata e sono sante le armi di coloro che solo nelle armi possono riporre qualche speranza. (Gaio Ponzio)
- Fortuna per omnia humana maxime in res bellicas potens. La fortuna molto può in tutte le umane cose, ma specialmente in guerra.
- Absit invidia verbo. Sia detto senza offesa.
- [H]orridum militem esse debere, non caelatum auro et argento sed ferro et animis fretum. Un soldato deve confidare sulla sua spada e sul suo coraggio, non perdere tempo ad adornarsi di oro e argento. (Lucio Papirio Cursore)
- [N]ihil concordi collegio firmius ad rem publicam tuendam esse. Per badare allo Stato niente è più sicuro di un collegio concorde. (Quinto Fabio Massimo Rulliano)
- Gallos primaque eorum proelia plus quam virorum, postrema minus quam feminarum esse. Lode al tuo valore e al tuo impegno.(Lucio Papirio Cursore) I Galli valgono più degli uomini all'inizio della loro battaglia, alla fine valgono meno delle donne.
- Has tantas viri virtutes ingentia vitia aequabant, inhumana crudelitas, perfidia plus quam Punica, nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nulla religio. [Su Annibale] Ma in un uomo di tali qualità e valore, la contropartita era data da vizi immensi: una crudeltà mai vista in altra persona, una slealtà che lo rendeva peggiore della sua stessa origine cartaginese, disprezzo per le cose più vere e più sacre, spregio assoluto per gli dèi, per i giuramenti, per i vincoli religiosi.
- Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur. Mentre a Roma si discute, Sagunto è presa.
- [Q]uo timoris minus sit, eo minus ferme periculi esse. Tanto minore è il pericolo, quanto minore è la paura.
- Pugna inquit magna victi sumus. Siamo stati sconfitti in una grande battaglia. (Marco Pomponio)
- Sciant homines bono imperatore haud magni fortunam momenti esse, mentem rationemque dominari. Tutti sanno che, sotto un buon condottiero, non ha grande valore la fortuna, ma sono a prevalere l'intelligenza e la razionalità.
- Consilia magis res dent hominibus quam homines rebus. Le decisioni sono le situazioni ad imporle agli uomini piuttosto che gli uomini alle situazioni. (Lucio Emilio Paolo)
- Nec eventus modo hoc docet – stultorum iste magister est – sed eadem ratio. E non è solo il successo che insegna – il successo è il maestro degli stolti – ma anche la strategia razionale.(Quinto Fabio Massimo)
- Veritatem laborare nimis saepe aiunt, exstingui nunquam. Si dice che la verità è destinata a soffrire, ma non si estingue mai.(Quinto Fabio Massimo)
- Vanam gloriam qui spreverit, veram habeit. (Quinto Fabio Massimo) Chi disprezzerà la gloria vana, riceverà la gloria autentica.
- Omnia non properanti clara certaque erunt; festinatio improvida est et caeca. (Quinto Fabio Massimo) A chi opera con calma, ogni cosa è chiara e sicura; la fretta è sconsiderata e cieca.
- [N]otissimum quodque malum maxime tolerabile. Il male è tanto più tollerabile quanto più lo si conosce.
- [S]uam cuique fortunam in manu esse. Ognuno ha in mano la propria sorte.
- Deinde libertatis restitutae dulce auditu nomen Il nome della libertà riconquistata è dolce a sentirsi.
- Fama nihil [in talibus rebus] est celerius. Nulla corre più veloce della fama.
- Facile esse momento quo quis velit cedere possessione magnae fortunae; facere et parare eam difficile atque arduum esse. È facile rinunciare al possesso di una grande fortuna nel momento in cui lo si desideri, difficile e impegnativo è invece prepararla e costruirla. (Dionisio I di Siracusa)
- Ea natura multitudinis est: aut servit humiliter aut superbe dominatur; libertatem, quae media est, nec sibi parare modice, nec habere sciunt. La folla ha questa natura: o serve umilmente, o superbamente comanda; né sa allontanarsi modestamente dalla giusta libertà, né goderla nella sua pienezza.
- Qui prior strinxerit ferrum, eius victoria erit. Chi per primo impugnerà la spada, sua sarà la vittoria. (Lucio Pinario)
- Multa, quae impedita natura sunt, consilio expediuntur. Molti sono i problemi la cui soluzione trova ostacoli nella natura, ma che vengono risolti dall'intelligenza. (Annibale)
- In rebus asperis et tenui spe fortissima quaeque consilia tutissima sunt. (Lucio Marcio) Nelle cose difficili, come nelle cose lievi, i consigli rigorosi formano una sicurezza per chi li riceve.
- Si in occasionis momento cuius praetervolat opportunitas cunctatus paulum fueris, nequiquam mox omissam quaeras. Se nel breve momento utile a cogliere un'occasione, la cui opportunità passa e poi vola via, si esita, inutilmente si va poi alla ricerca della circostanza perduta. (Lucio Marcio)
- Ex parvis saepe magnarum momenta rerum pendent. Da piccole cose, spesso traggono origine grandi e gravi fatti.
- [U]t parentium saevitiam, sic patriae patiendo ac ferendo leniendam esse. Come il rigore dei genitori, così quello della patria veniva attenuato dalla pazienza e dalla sopportazione.
- Metus interpres semper in deteriora inclinatus. La paura è sempre inclinata a veder le cose più brutte di quel che sono.
- [B]arbaris, quibus ex fortuna pendet fides. Per i barbari la fedeltà gira al girare della fortuna.
- Libertas virorum fortium pectora acuit. La libertà anima i cuori degli uomini valorosi.
- Nunquam mihi defuturam orationem qua exercitum meum adloquerer credidi, non quo verba unquam potius quam res exercuerim, apud vos quemadmodum loquar nec consilium nec oratio suppeditat. Mi avvicino a questi interrogativi a malincuore, come fossero ferite, ma nessuna cura può essere effettuata senza sfiorarli e discuterli. (Scipione l'Africano)
- Multitudo omnis sicut natura maris per se immobilis est ventus et aurae cient. Tutte le plebi, per natura come il mare immobili, sono agitate dai venti e dalle aure. (Scipione l'Africano)
- Nullum scelus rationem habet. Nessun delitto può trovare un motivo scusante. (Scipione l'Africano)
- Non semper temeritas est felix. Non sempre la temerità ha buon esito. (Quinto Fabio Massimo)
- Fraus fidem in parvis sibi praestruit ut, cum operae pretium sit. Il fraudolento sa guadagnarsi per tempo la fiducia nelle piccole cose, per tradire poi con grande profitto. (Quinto Fabio Massimo: XXVIII, 42; 1997)
- Plus animi est inferenti periculum quam propulsanti. Possiede maggior determinazione colui che porta il suo attacco di chi lo subisce. (Scipione l'Africano).
- Maior ignotarum rerum est terror. Il terrore delle cose ignote è maggiore. (Scipione l'Africano)
- Non est, non tantum ab hostibus armatis aetati nostrae periculi, quantum ab circumfusis undique voluptatibus. Nei tempi nostri non vi è tanto pericolo dai nemici in armi, quanto dai piaceri che da ogni parte sono sparsi. (Scipione l'Africano)
- Segnius homines bona quam mala sentiunt. Gli uomini sentono più lentamente il bene, che non il male.
- Praeterita magis reprehendi possunt quam corrigi. Possiamo più biasimare il passato, che non correggerlo.(Annibale)
- Non temere incerta casuum reputat quem fortuna nunquam decepit. È difficile che rifletta sulle incertezze del caso, colui che mai è stato abbandonato dalla fortuna.(Annibale)
- Potest victoriam malle quam pacem animus. L'animo preferisce la vittoria alla pace. (Annibale)
- Melior tutiorque est certa pax quam sperata victoria. È migliore e più sicura una pace certa che non una vittoria soltanto sperata.(Annibale)
- Maximae cuique fortunae minime credendum est. (Annibale) È proprio quando la fortuna si trova al suo apice che bisogna fidarsene meno!
- [I]mpudenter certa negantibus difficilior venia. Chi sfacciatamente nega cose certe, merita meno perdono.
- [R]aro simul hominibus bonam fortunam bonamque mentem dari. È raro che agli uomini vengano concessi, nello stesso momento, successo e lungimiranza.
- [E]o invictum esse quod in secundis rebus sapere et consulere meminerit. Non sarà mai vinto colui che saprà essere saggio e valutare a fondo le cose anche nei momenti di euforia.
- Sed tantum nimirum ex publicis malis sentimus quantum ad privatas res pertinet, nec in iis quicquam acrius quam pecuniae damnum stimulat. Delle sventure pubbliche ci accorgiamo solo quando coinvolgono gli interessi privati: nulla in esse ci tocca più profondamente che la perdita del nostro denaro. (Annibale)
- Nihil tam incertum nec tam inaestimabile est quam animi multitudinis. Nulla è tanto imprevedibile come le reazioni della massa. (Filippo V di Macedonia)
- Par honos in dispari merito esse non debet. L'onore deve essere pari al merito.
- Unam tollendo legem ceteras infirmetis. Sopprimere una legge equivale a far vacillare tutte le altre. (Marco Porcio Catone)
- Nulla lex satis commoda omnibus est: id modo quaeritur, si maiori parti et in summam prodest. Nessuna legge è ugualmente vantaggiosa per tutti: bisogna piuttosto chiedersi se fa gli interessi della maggioranza e da un punto di vista generale. (Marco Porcio Catone)
- [D]iversisque duobus vitiis, avaritia et luxuria, civitatem laborare, quae pestes omnia magna imperia everterunt. (Marco Porcio Catone) La città è afflitta da due vizi tra loro opposti, l'avarizia e il lusso, rovinosi malanni che hanno fatto crollare tutti i grandi imperi.
- Et hominem improbum non accusari tutius est quam absolvi, et luxuria non mota tolerabilior esset quam erit nunc, ipsis vinculis sicut ferae bestiae inritata, deinde emissa. Come, un uomo malvagio è più sicuro imputarlo che assolverlo, così, il lusso sarebbe più tollerabile trattenerlo piuttosto che lasciarlo libero, come succede ad un animale indomabile, eccitato proprio dai vincoli, lasciato libero. (Marco Porcio Catone)
- Munditiae et ornatus et cultus, haec feminarum insignia sunt, his gaudent et gloriantur. L'eleganza, i monili, le acconciature sono i simboli peculiari delle donne, di questi gioiscono e si vantano. (Lucio Valerio)
- Bellum inquit se ipsum alet. La guerra si nutre da sola. (Marco Porcio Catone)
- [S]aepe vana pro veris, maxime in bello, valuisse et credentem se aliquid auxilii habere, perinde atque haberet, ipsa fiducia et sperando atque audendo servatum. Spesso, e soprattutto in guerra, le cose fittizie valgono quanto le cose reali e chi crede di poter far affidamento su qualche aiuto, proprio come se davvero ne disponesse, si salva grazie al morale che ricava dalla speranza e dalla voglia di osare.
- [Q]uod pulcherrimum, idem tutissimum: in virtute spem positam habere. La cosa più onorevole, così come la cosa più sicura, è quella di affidarsi interamente al valore. (Marco Porcio Catone)
- Factis, non ex dictis amicos pensent. Si riconosce dai fatti e non dalle chiacchiere chi è davvero un amico. (Tito Quinzio Flaminino)
- Libertate modice utantur: temperatam eam salubrem et singulis et civitatibus esse, nimiam et aliis gravem et ipsis qui habeant praecipitem et effrenatam esse. La libertà impiegata con senso di misura reca giovamento ai singoli cittadini e alle intere cittadinanze; quando invece è eccessiva reca disagio agli altri ed è rovinosa per chi la possiede perché non conosce limiti. (Tito Quinzio Flaminino)
- Adversus consentientes nec regem quemquam satis validum nec tyrannum fore: discordiam et seditionem omnia opportuna insidiantibus faciunt. Contro individui concordi, anche la potenza dei re s'infrange: ma la discordia e la sedizione offrono infiniti vantaggi agli avversari. (Tito Quinzio Flaminino)
- In oculis hominum fuerat, quae res minus verendos magnos homines ipsa satietate facit. I grandi uomini al centro dell'attenzione generale sono meno temuti a causa di un certo senso di saturazione.
- Ea autem in libertate posita est quae suis stat viribus, non ex alieno arbitrio pendet. Lo Stato da solo è libero di poggiare sulle sue forze, e non dipende dalla volontà arbitraria di un altro. (Menippo)
- [C]onsilia calida et audacia prima specie laeta, tractatu dura, eventu tristia esse. Le decisioni impetuose e audaci in un primo momento riempiono di entusiasmo, ma poi sono difficili a seguirsi e disastrose nei risultati.
- [C]ommunis utilitas, quae societatis maximum vinculum est. Consuetudine levior est labor. Il bene comune è la grande catena che lega insieme gli uomini nella società. (Annibale)
- Generosius, in sua quidquid sede gignitur; insitum alienae terrae in id, quo alitur, natura vertente se, degenerat. Tutto ciò che nasce nella sua sede originaria è più genuino: trapiantato su un terreno che non gli è proprio, è costretto a degenerare perché la sua natura deve diventare simile a ciò da cui trae nutrimento.
- Caeca invidia est nec quicquam aliud scit quam detractare virtutes, corrumpere honores ac praemia earum. L'invidia è cieca, né altro sa fare che sminuire il valore altrui, corrompendo gli onori ed i meriti che uno si merita. (Gneo Manlio Vulsone)
- Clarirum virorum senectus, inviolata et tuta sit.La vecchiaia degli uomini celebri sia inviolata e sicura. (Tiberio Sempronio Gracco)
- (Spurio Postumio Albino) Nihil enim in speciem fallacius est quam prava religio. Ubi deorum numen praetenditur sceleribus. Non c'è nulla di più ingannevole di una religione falsa che è spesso celata sotto un abito attraente.
- Elatus deinde ira adiecit nondum omnium dierum solem occidisse. [Filippo V, Re di Macedonia] in un empito di furore, aggiunse che ancora non era calato il sole di tutti i giorni.
- In hoc viro tanta vis animi ingeniique fuit, ut quocumque loco natus esset, fortunam sibi ipse facturus fuisse videretur. In Catone tanto più forti erano l'animo e l'indole che appariva chiaro come, qualunque fosse stato il suo rango sociale, si sarebbe costruito da solo la sua fortuna.
- Vulgatum illud, quia verum erat, in proverbium venit, amicitias immortales,
inimicitias debere esse. Le amicizie devono essere immortali, e mortali le inimicizie. (Quinto Cecilio Metello)
- Ipsam se fraudem, etiamsi initio cautior fuerit. L'inganno viene alla luce da solo nonostante tutte le cautele adottate agli inizi.
- Non sum is, Quirites, qui non existumem admonendos duces esse: immo eum, qui de sua unius sententia omnia gerat, superbum iudico magis quam sapientem. Quiriti, io non sono di quelli che pensano che ai comandanti non si debbano rivolgere dei consigli: anzi, quello che agisce soltanto sulla base della sua opinione, lo giudico arrogante e non certo avveduto. (Lucio Emilio Paolo Macedonico)
- Ideo in secundis rebus nihil in quemquam superbe ac violenter consulere decet. Quando la situazione è a noi favorevole, non si deve agire contro qualcuno con arroganza o violenza.(Lucio Emilio Paolo Macedonico)
- [N]ec praesenti credere fortunae, cum, quid vesper ferat, incertum sit. Non ci si deve fidare troppo della buona sorte del momento perché non siamo tranquilli nemmeno su quello che ci può recare la sera. (Lucio Emilio Paolo Macedonico)
- Is demum vir erit, cuius animum neque prosperae
flatu suo efferent nec adversae infringent. Uomo sarà colui che non si lascerà né trasportare dal soffio della buona fortuna né schiantare da quello della avversa. (Lucio Emilio Paolo Macedonico)
- Superbiam, verborum praesertim. L'arroganza si limita solo alle parole. (Astimede)
- Superbiam iracundi oderunt, prudentes inrident. Riguardo all'arroganza, i violenti la soffrono, ma i saggi la deridono. (Astimede)
- Legum corrector usus. L'uso corregge nelle loro mancanze le leggi scritte.
- Intacta invidia media sunt: ad summa ferme tendit. I mediocri non sono mai fatti oggetto di odio perché l'odio mira in alto.
- [C]um ex summo retro volui fortuna consuesset. La buona sorte è abituata a volgersi indietro una volta raggiunto il suo apice. (Lucio Emilio Paolo Macedonico)
- [I]maginum specie, non sumptibus nobilitari magnorum virorum funera solere. I funerali dei grandi uomini erano resi splendidi, non dalle spese sostenute, ma dalla esibizione delle immagini degli antenati.
- [R]eliquos, qui in Africa militarent, umbras volitare, Scipionem vigere. Tutti quelli che prestavano servizio in Africa erano fantasmi svolazzanti e solo Scipione era fatto di carne ed ossa.
- Masinissa adeo etiam Veneris usu in senecta viguit, ut post sextum et octogesimum annum filium genuerit. [Masinissa, re di Numidia] dimostrò di esser così vigoroso nella pratica amorosa che generò un figlio a ottantasei anni compiuti.
- Scipio Africanus obsedit exercitum ad severissimam militiae disciplinan, duo milia scortorum a castris eiecit. Publio Cornelio Scipione Emiliano ridiede all'esercito una rigorossima disciplina militare, scacciando dal campo 2000 prostitute.
- Cum gladio te vallare scieris, vallum ferre desinito. Quando avrai imparato a fare della tua spada un vallo, allora smetterai di portarti dietro il vallo! (Publio Cornelio Scipione Emiliano)
- O urbem venalem et cito perituram, si emptorem invenerit. Città in vendita, andrai presto in rovina, se si troverà uno in grado di comperarti! (Giugurta)
- Ni Pyrrhus unicus pugnandi artifex magisque in proelio quam bello bonus. Cicerone denuncia Catilina Pirro, irripetibile stratega, fu più bravo a vincere una battaglia che la guerra. (Servio)
- Vicit, felicitatem tuam mea fortuna. Sulla tua Fortuna ha avuto la meglio la mia malasorte. (Cornelia)
- Cuius gloriae neque profuit quisquam laudando nec vituperando nocuit. [Riferendosi a Catone] Alla sua gloria nessuno portò giovamento con le sue lodi, né nocumento con le sue accuse.
- Moriar in patria saepe servata. Che io muoia nella patria che tante volte ho salvato! (Cicerone)
- [Riferendosi a Cicerone] Ita relatum caput ad Antonium ubi ille, ubi eo ipso anno adversus Antonium. Il capo reciso fu posto da Antonio proprio in quel luogo [i Rostri] dove aveva parlato in quello stesso anno contro di lui.
- [Q]uanta nulla umquam umana vox, cum admiratione eloquentiae auditus fuerat. [Riferendosi a Cicerone] La sua eloquenza era stata tanto degna di ammirazione quanto mai era accaduto a voce umana!
- [Riferendosi a Cicerone] Ingenium et operibus et praemiis operum felix. Il suo ingegno gli propiziò abbondanza di opere e di riconoscimenti.
LO STILE
Livio sa tenere continuamente il lettore col fiato sospeso, in modo da non annoiare il lettore, cosa molto facile trattando di una storia annalistica, una arida elencazione di magistrature e guerre, alternandole con fatti e prodigi, piacevoli interruzioni alla gravità del tema. Inoltre Livio sottopone l'opera di Polibio a un processo di elaborazione che mostra in pieno le diversità di storia, di civiltà e di cultura del mondo greco e di quello romano. Inoltre scandaglia psicologicamente i personaggi, sorvolando su comportamenti poco edificanti da parte dei Romani.
Marco Fabio Quintiliano di Tito Livio scrive che dei suoi dialoghi si possono annoverare tra le opere di filosofia così come tra quelle di storia, per Lucio Anneo Seneca è l'unico grande prosatore dell'età di Augusto, e l'unico letterato che faccia realmente degli ideali della romanità il centro della sua arte. Soprattutto a Livio si deve l'idealizzazione dell'antica storia di Roma e dei suoi personaggi come modelli delle virtù morali e politiche.
Per Publio Cornelio Tacito Livio guarda al passato per poter distoglier lo sguardo dai mali della sua epoca: le guerre civili, ma pure i remedia messi in atto dal nuovo regime. Tacito riferisce pure che Livio,
autore fra i più illustri per eloquenza e per attendibilità, esaltò con tanto entusiasmo Pompeo che Augusto lo chiamava Pompeiano.
Negli stessi anni in cui Virgilio compone il poema destinato ad esaltare i valori tradizionali del popolo romano.
Livio scrive il corrispondente in prosa dell'epopea virgiliana.
Con l'esaltazione della Roma antica: costumi, tradizioni ed istituzioni che furono il fondamento dell'impero e il presupposto per il suo sviluppo e sua sopravvivenza.
Plinio il Giovane: "Non vi è prova che egli considerasse la storia dei re più autentica di quanto la ritenesse Cicerone. Ma doveva narrarla. Abbandonando la leggenda, egli si tuffa nel romanzesco, senza avere la capacità di farne emergere i fatti certi. E sebbene nei libri seguenti Livio si muova su basi più sicure (e la guerra annibalica gli sia congeniale), egli è tradito dalla specifica ignoranza della politica e della vita militare, dalla mancanza di principi critici, e, soprattutto, dall'incapacità di dare forma e struttura al materiale. Forse il meglio è andato perso."
Marziale fa delle riserve sull'esattezza di quel che Livio riferisce, specie dove fa parlare i suoi personaggi interi discorsi che somigliano, egli dice, più a Livio che a loro. La sua è una storia di eroi, un immenso affresco a episodi, e serve più a esaltare il lettore che a informarlo.
Comunque la storia di Livio, costata cinquant'anni di fatiche a un autore che si dedicò soltanto ad essa, resti un gran monumento letterario, conferendo ai fatti narrati una straordinaria vivacità espressiva, non solo nei primi libri, dove la natura leggendaria degli avvenimenti descritti stimola il talento letterario, ma anche nel resto dell'opera.