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I FIORI E I ROMANI

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LA FESTA FLORALIA


LA BASILICA FLOSCELLARIA

La Basilica Floscellaria, menzionata sia nei Cataloghi Regionari che in Polemius Silvius (545), era un edificio in cui si svolgeva il commercio dei fiori a Roma. Sembra che nella costruzione troneggiasse una statua della Dea Flora. (Dea dei fiori e precisamente colei che apre le corolle in primavera)

Sembra che nella basilica vi fossero pareti con ornamenti  e bassorilievi di pietra e di marmo, con pitture di fiori e tralci vari, e che vi fossero posti dei banchi in marmo dove si esponevano i fiori con cui i romani ornavano se stessi e le loro case.

La gente si recava nella basilica floscellaria per portarvi dei fiori o per acquistarli. Infatti i fiori giungevano dai campi extraurbani dove avevano colture intensive, portati sui carri per essere venduti ai grossisti di fiori che ne acquistavano in grande quantità smistandoli ai vari fiorai della città o sui banchi della basilica stessa.

Spesso vi si recavano gli schiavi per acquistare nuove piante o fiori per la casa, perchè gli antichi romani amavano, come oggi, e più di oggi, ornare la propria casa con vasi colmi di fiori.


OMAGGIO FLOREALE

ADONAEA

Non mancavano naturalmente le piante di fiori che servivano a ornare i giardini delle domus, o i balconi delle case romane, posti in genere al primo o al secondo piano. I romani pur avendo finestre piuttosto piccole avevano stanze molto luminose che si affacciavano direttamente sui giardini.

A metà estate le donne greche mettevano immagini di Adone sui tetti, poi piantavano semi a rapida germinazione come frumento, lattuga e orzo in contenitori di fortuna come vecchi vasi rotti o cestini rovinati, e lì coltivavano per otto giorni.

Dopodichè mettevano le giovani piantine germinate di fronte all'altarino e le lasciavano morire al sole e senza acqua, ricreando così il ciclo di nascita, vita e morte di Adone. Si pensa che fu la prima piantagione in vaso, almeno in occidente, perchè i giardini di Babilonia magari ne avevano ancor prima.


Ecco l'antesignano delle piantine nei barattoli di conserva sui davanzali delle case, i vasi di fortuna che divengono poi vasi di terracotta, di marmo e di pietra, sempre più elaborati e di dimensioni maggiorate, finchè a Roma, dove dominava il gusto dei giardini e del verde, nasce questo nuovo tipo di giardino, con piante in vaso, che prima coronano il giardino e poi ne diventano le protagoniste.

I vasi si diffondono e trionfano a Roma, dove coronano un ninfeo o sono al termine di un viale, o lo costeggiano, o ai lati di un portale, finemente scolpiti e issati su erme di marmo. Oppure ornano le balaustre su parallelepipedi con mensole in pietra, o sono al culmine di una fontana, o alternano sedili ricurvi in una specie di salotto da giardino, o sono portati da ninfe che li poggiano graziosamente sul capo o sulla spalla, o stanno ai lati di un minuscolo tempietto, o al suo centro.

Sul Palatino l'imperatore Domiziano ha una corte adornata di fiori che nascono in vasi disposti tutto intorno al tetto del cortile colonnato. I vasi vengono  ogni tanto calati e sostituiti con vasi colmi di fiori di colore diverso, perchè all'imperatore piace cambiare colore. Si troveranno usi simili anche a Pompei.

NEGOZIO ROMANO DI PIANTE E FIORI

USO DEI FIORI

L'uso dei fiori da parte dei romani era molto vario, il che giustifica ampiamente che vi fosse un mercato dei fiori a cui era dedicata un'intera basilica. I fiori venivano dalle campagne vicine ma pure dal sud del territorio italico. Il suolo campano ne forniva ampiamente.

I romani usavano molto i fiori in medicina, o per adornare se stessi, o per ornare la casa, con piante, tralci, corone o fiori a mazzi, per i funerali, per ornare i morti sui catafalchi.

Oppure erano usati per fare un presente all'amata, o per cortesia verso gli ospiti che venivano cinti di corone, o per usi propiziatori, o  per le persone che volevano onorare, giungendo a infiorargli il cammino, con rami o petali di fiori.

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Ma usavano fiori pure per le immagini sacre dentro e fuori casa, nelle edicole, o per adornare una tavola imbandita, o addirittura per mangiarli.

I fiori venivano offerti alle divinità spesso insieme a una coppa di latte o ad erbe profumate, poste ai piedi della statua, artisticamente deposti in un piatto votivo.

Durante i matrimoni i fiori dominavano la cerimonia: sugli sposi, sugli addobbi, sugli invitati e sui triclini dove si svolgevano i banchetti. Anche gli schiavi venivano incoronati di fiori.

Con i fiori si producevano profumi e creme di bellezza, che gli innamorati donavano alle loro donne ponendoli in vasetti più o meno preziosi. A Roma gli amanti riempivano di fiori le case delle amate, queste a loro volta regalavano agli amanti corone di fiori intrecciate con le proprie mani.

L'arte di intrecciare fiori era molto sentita come la pittura, la musica, e il cucire le vesti. facente parte dell'educazione della fanciulle di buona famiglia.

Intrecciare fiori significava anzitutto conoscere la durata dei fiori e dei rami, non si potevano intrecciare insieme rami o fiori che non avessero la stessa durata. Poi c'era la composizione delle forme e dei colori, giungendo a creare delicate sfumature, oppure creando contrasti evidenti.

I romani, anzi le romane, conoscevano pure l'arte di porre i fiori nei vasi, con rami, tralci e fiori. Una matrona raffinata stupiva gli ospiti con l'addobbo floreale della sua casa, sia all'interno che all'esterno. Di solito si ponevano tralci tra una colonna e l'altra, e si usava anche ornare le statue con tralci o fiori.

Chi portava una buona notizia veniva sempre ricompensato con una coppa di vino e, se la notizia era molto buona, veniva incoronato di fiori. La verbena, invece, veniva raccolta al Campdoglio e se ne intrecciavano serti nell'incoronazione dei sacerdoti durante le feste.

Durante i banchetti spesso i padroni di casa regalavano agli ospiti delle corone di fiori con cui cingersi i capelli. Spesso i fiori scelti alludevano al carattere o ai bisogni del commensale. Per esempio un politico poteva ricevere  una corona di fiori di elicrisio, pianta simbolo del sole e del successo, o un militare una corona di alloro, per la gloria in battaglia,



FIORI MALOCCHIO E MAGIA

Secondo i romani alcuni fiori avevano proprietà magiche o apotropaiche (portavano fortuna o difendevano dal malocchio)

- Acetosella - Il suo nome deriva dal sapore "acido" e un po' aspro delle foglie della pianta, che anticamente venivano utilizzate proprio come condimento per le insalate. Era considerata protettiva dal malocchio.

- Acanto - Nella mitologia greca Acanto fu una ninfa desiderata da Apollo, ma che non voleva saperne. Un giorno Apollo fece per rapirla, l'altra fuggì e quando il Dio del Sole la raggiunse la bella ninfa il volto del bell'Apollo, il quale infastidito la trasformò in una pianta “amata dal sole”.
Plinio il Vecchio nei suoi trattati di botanica, nel 50 d.c invitava i romani ad ornare d’acanto gli splendidi giardini romani; ma l'acanto a Roma era ovunque, e le foglie di acanto stavano scolpite sui capitelli dello stile corinzio. Si pensava infatti che la pianta portasse la buona ventura e l'abbondanza.

Agrifoglio - Plinio il Vecchio, (I sec. a.c.)., consigliava di piantare l'agrifoglio vicino alla porta di casa, per proteggerla dalla perfidia dei malvagi.

- Amaranto - Nella mitologia greca si narra che le Dee amassero essere festeggiate con ghirlande di amaranto; che era sinonimo di protezione e benevolenza. I romani attribuivano all'amaranto il potere di tenere lontana l'invidia e la sventura.

- Biancospino - era molto apprezzato in quanto utile per scacciare il malocchio e la sfortuna, e per questo motivo veniva scelto durante la celebrazione di matrimoni e come simbolo di protezione per i neonati.. Per questo solitamente non mancava mai nei giardini o almeno accanto al compluvio come pianta utile oltre che ornamentale.

Ciclamino - ritenuti ottimi contro i morsi dei serpenti più velenosi; e forse per questo si sono attribuiti a questi fiori dei poteri magici, come allontanare i malefici, di portare fortuna e di alimentare l'amore in chi si desidera ci ami.



Corbezzolo - Il suo nome botanico, Arbutus unedo (= ne mangio uno solo), gli fu assegnato da Plinio il Vecchio, in quanto non avendo un buon sapore chi ne mangiava uno non ne mangiava un secondo.  I romani gli attribuivano poteri magici. Virgilio, nell’Eneide, dice che sulle tombe i parenti del defunto si usava poggiare dei rami di corbezzolo.

- Croco - Il suo nome deriva dal greco kroke, infatti il fiore era già conosciuto dai greci. Omero descrive il talamo nuziale di Giove e Giunone ricoperto di fiori di croco. I romani ponevano il croco sulle tombe, come simbolo di speranza per la vita ultraterrena. Probabilmente, gli antichi conoscevano soltanto il croco da cui si ricava lo zafferano, con il quale preparavano anche filtri d'amore.
Sembra che ai romani fosse vietata l’importazione dello zafferano, che però veniva importato di soppiatto come polvere dalla Grecia e come unguenti e profumi dalle regioni orientali. La proibizione doveva dipendere dal fatto che questa spezia era estremamente cara (per ottenerne 125 g servono oltre 20.000 stimmi di fiori che devono essere raccolti a mano per non essere rovinati) e il senato cercava di impedire le spese pazze dei romani per non aumentare il debito erariale.
Plinio però lo indicava come cura in caso di ulcere, tosse e dolori al torace, il che significa che almeno ai suoi tempi non c'erano più divieti. .

MANDRAGORA
Iperico - che veniva colto nella notte del Solstizio d'Estate e che veniva indossato come un amuleto contro malocchio e incidenti.

- Malva - Le foglie di malva, e pure i fiori, poste sotto l’addome delle partorienti, facilitavano magicamente, secondo i romani, l’espulsione del feto. Era così efficace che dopo il parto si doveva togliere tutto per impedire che venisse espulso anche l’utero.

Mandragora - solo la radice, che era già considerata magica al tempo degli egizi. Si riteneva capace di procurare sogni rivelatori.

.- Lavanda - Plinio il Vecchio esalta le qualità curative della lavanda, del resto già conosciuta e usata dagli etruschi, che i romani amavano porre nelle vasche dei bagni come profumo e cura per il corpo per le sue qualità rinfrescanti, infatti è proprio dal verbo lavare che il fiore prende il suo nome. Si riteneva salvasse dalla magia negativa.

- Ninfee - Non mancavano le ninfee, almeno in epoca imperiale, già conosciute dagli egizi e fai greci, che ne ornavano gli stagni dei giardini, in genere accompagnate da pesci rossi che tenevano pulite le acque da zanzare e affini. Si riteneva purificassero le acque e i giardini da influenze negative.

Oleandro - Plinio il Vecchio scrisse a proposito dell'oleandro che da esso si otteneva un miele non commerciabile, velenoso, in quanto prodotto dalle api con il nettare dei fiori ritenuti velenosi.. Naturalmente era una falsa credenza perchè il nettare di fiori velenosi non è velenoso. Sembra che per questo entrasse in alcuni rituali di magia.
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- Papavero da oppio - Ippocrate (460 - 377 a.c) lo dava come rimedio per varie malattie, anche se Ma già da allora, alcuni studiosi iniziavano a capire come funzionava infatti Erasistrato di Chio (nato nel 330 a.c.), avvertì dei pericoli dell'uso. A Roma si diffuse dopo la conquista della Grecia (146 a.c.), visto che i greci ne facevano uso. Si riteneva allontanasse gli influssi maligni. Si narra facesse parte della famosissima Teriaca, un rimedio polifunzionale usato da 18 secoli come rimedio per ogni male. Si disse inventato da Mitridate, re di Ponto(132–63 a.c.) e fu Pompeo a scoprirlo dopo aver sconfitto Mitridate, per cui venne chiamato Elettuario di Mitridate (l'elettuario è un preparato semidenso di vari farmaci impastati con miele e sciroppi).

Fu Andromaco il Vecchio, medico di Nerone (37 – 68 d.c.), che perfezionò la ricetta aggiungendovi varie sostanze tra cui l'oppio. Galeno (131 – 201 d.c.), lo usò per avvelenamento, cefalee, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra e con questo farmaco curò Marco Aurelio (121 – 180 d.c.) facendone un oppiomane, come testimoniano i resoconti clinici di Galeno.
Dopo la caduta dell'impero romano la chiesa ne proibì l'uso anche come prodotto farmaceutico.
Le varietà spontanee in suolo italico sono principalmente il Papaver somniferum var. setigerum e il Papaver rhoeas (rosolaccio) con basse percentuali di alcaloidi.

Pervinca - Lucio Apuleio (o Apuleio da Madaura, 125-170 ca.) suggerì una precisa prassi di raccolta dei fiori pervinche per proteggersi da possessi demoniaci, attacchi di serpenti e animali feroci, veleni, invidie, paure e per prosperare in salute.

L'INNAMORATO

FIORI PIANTE E DEI

Piante e relativi fiori erano consacrati a Dei o a Ninfe, spesso con significati precisi anche se non ne sappiamo più di tanto. Erano consacrati tanto agli Dei che alle Dee:

- Adone - divinità greca e poi romana, gli era sacro il fiore anemone.

Apollo - Gli era sacro l'alloro, con i suoi frutti e suoi fiori, che era prima dedicato alla ninfa Dafne. Egli tentò di afferrarla per calmare il suo desiderio ma ella invocò gli Dei che per salvarla la trasformarono in pianta. Il Dio trovandosi tra le mani l'albero odoroso ne staccò un rametto e se ne cinse la fronte, usanza seguita poi da tutti gli eroi, imperatori compresi.

- Bacco - gli erano sacri l'uva coi suoi frutti, il pino e le pigne, l'edera e i suoi fiori.

- Cibele - A Roma in onore di Cibele, Magna Mater, si tagliavano delle canne fresche tagliate presso le rive dei fiumi, poi venivano ornate di numerosi fiori fissati con nastri colorati, ma pure con rami di bacche e frutti e portate in processione. Venivano regalate ai ragazzi che le avrebbero portate poi verso proprie case innalzandole festosamente, nella processione dei Cannophori, festeggiata il 15 di marzo e nelle Megalesiae del 12 aprile.

- Demetra - le fu dedicato il papavero in quanto calmò il dolore della perdita di sua figlia con una tisana di papavero, però era sacro anche alla figlia Persefone poichè quando venne rapita da Ade stava raccogliendo papaveri.

- Diana - garofano, in cui si trasformò un suo amato poi da lei abbandonato nella disperazione. Commossa se ne adornò.

- Dioniso - gli era sacro il melograno ma era sacro anche a Proserpina che se ne cibò nell'Ade.


- Ecate - gli erano sacri il papavero e il ramo d'ulivo (quest'ultimo da prima che venisse importato il culto di Atena-Minerva.

- Flora - il fiordaliso poichè il suo amato Cyanus morì in un campo pieno di fiordalisi.

- Giove - I rami di quercia, sacra a Giove, ornavano spesso l'impluvio, come offerta al re degli Dei, ma pure perchè i rami di quercia mantengono intatte molto a lungo le loro foglie, si che venivano cambiate da un anno all'altro.

- Giunone - il giglio. le fu sacro perchè nato da una goccia di latte caduta mentre la dea allattava Ercole per fare un favore a Giove.  Ma le furono sacri anche il croco, l'asfodelo, la verbena, l'iris, la lattuga e la menta, ma anche il melograno, il cotogno e il fico.

- Iride - la messaggera degli Dei aveva come fiore a lei dedicato l'iris, che da lei prendeva il nome.

- Latona - madre di Apollo e Diana, Plinio il vecchio ne fa la pianta del dio Peone, medico degli Dei a cui dovrebbe il nome, che venne tramutato nel fiore della peonia, per aver liberato Latona dai dolori del parto.

- Marte - gli erano sacri l'aglio e l'agrifoglio.

- Venere - In onore di Venere si ornavano la statua con rami di mirto, ma stranamente il mirto era pure la pianta dei morti, segno che anticamente la Dea era anche infera. Gli antichi Greci ritenevano che chi coglieva o coltivava mirto, e chi lo usava per abbellire la casa e gli abiti aumentasse vigore e potenza. Ad Atene, i vincenti, atleti o guerrieri si cingevano il capo con una corona di mirto.

Fiori dei Morti - A parte la pianta del mirto, sia per i greci che per i romani erano consacrati ai morti i fiori di asfodelo.

FIORI SUI CAPELLI

LA MODA ROMANA

Ad Atene e a Roma c'erano le modiste che applicavano fiori veri o artificiali sui cappelli.
Ma le raffinate romane usavano anche porne direttamente nei capelli, e i graziosi ombrellini parasole servivano non solo a proteggere la pelle che doveva essere rigorosamente bianca ma anche i fiori freschi che ornavano le loro chiome. Plinio sostiene che brave modiste si trovavano a Chiarenza in morea (Peloponneso).

Ma le belle romane ponevano fiori anche sugli abiti o sul corpo. A volte attorcigliavano fiori freschi attorno agli orecchini formati da semplici cerchi d'argento o d'oro. oppure ne ponevano sulle cavigliere anch'esse d'oro e d'argento che mettevano ai piedi, sovente con ciondoli tintinnanti, sia per gli orecchini che per le cavigliere. Tale uso però era in genere riservato alle ragazze, più raro per le matrone in quanto ritenuto un po' sfrontato.

IL CORTEGGIAMENTO

FIORI EDULI

I romani si nutrivano di vari fiori, alcuni come quelli che usiamo ancora oggi, altri in disuso nella nostra cucina, altri mai usati. Conoscevano così svariati fiori eduli (commestibili).

Avevano del resto una cucina molto raffinata, anche perchè avevano colto il meglio da occidente ed oriente, visto che potevano importare tutto e il meglio di tutto. Inoltre amavano sperimentare piatti e ingredienti sempre nuovi, per cui l'uso dei fiori in cucina erano una prelibatezza sia per il sapore leggerissimo che conferivano ai piatti, sia perchè ornavano con grazia e fantasia la tavola imbandita.

I fiori venivano cucinati o passati nel miele, o conservati col ghiaccio, o sparsi freschi sulle pietanze per dare un leggero aroma ma pure per donare un colore particolare alla pietanza.


Eccone alcuni:

Acetosella - i suoi fiori hanno un sapore acidulo, ma meno delle foglie. Si mescolavano all'insalata proprio per questo delicato sapore d'aceto.

Allium -  facevano uso dei fiori dell’allium (porri, erba cipollina, aglio…) il porro era usatissimo dai Romani,

Asparagiselvatici - bolliti o conditi in salsa agrodolce.

Basilico - usavano i fiori anche in vari colori, dal bianco al rosa al blu. Il sapore è simile alle foglie, ma più delicato, ma li usavano soprattutto per decorare le pietanze.

Borragine – Di una bella tonalità blu, il fiore sa di cetriolo. Plinio: «Un decotto di borragine allontana la tristezza e dà gioia di vivere»

GELSOMINO
Calendula – Di gusto piccante, ha un colore dorato che porta un raggio di sole i qualsiasi piatto. Il nome deriva dal latino Calendae, ovvero il primo giorno del mese, dato che fiorisce una volta al mese durante tutta l'estate. I romani insaporivano carni e insalate con un’originale “vinaigrette” preparata con fiori di calendula e aceto. In alcune cerimonie sacre i sacerdoti officiavano con al collo ghirlande di fiori di Calendula.

Carciofi - che sono fiori, carciofi selvatici e dal I secolo d.c. anche coltivati e provenienti dalla Sicilia.

Cardo - gustoso il suo fiore, Plinio nella sua “Storia Naturale” lo annovera fra gli ortaggi pregiati. Molto usata fin dall'antichità a scopo medicinale per i problemi biliari, il cardo ha splendidi fiori violetti circondati da un'aureola bianca e pungente.

CerfoglioI fiori sanno di anice,  pianta annuale importata in Europa dai Romani dalla Russia meridionale, dal Caucaso o dal Medio Oriente;

LAVANDA
Coriandolo –  il fiore ha un'aroma leggermente speziato che ricorda il limone. Secondo Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XX, 82), mettendo alcuni semi di coriandolo sotto il cuscino al levar del sole si poteva far sparire il mal di testa e prevenire la febbre. Comunque i romani lo spargevano fresco nel sugo di carne perchè acquistava sapore.

Dente di leone (tarassaco) – I romani ne usavano sia le fogli che i fiori. Questi ultimi venivano fritti in pastella. La salsa di fiori di tarassaco era a base di aceto di vino.

Finocchio selvatico – I fiori gialli venivano fritti aggiungendo sale o miele secondo i gusti. Anticamente si adorava una ninfa detta "la Dea del Finocchio Selvatico", le cui sacerdotesse si cingevano la fronte con i rami profumati della finocchiella.

Gelsomino – Questi fiori super fragranti venivano usati nei dolci e nei biscotti.

Issopo  – Sia il fiore che le foglie hanno un sottile gusto di anice e di menta ma un po' amaro. Usato dai romani per condire carni e focacce.

ROSMARINO
Lavanda – Veniva usata per i dolci, per il sapore speziato e profumato dei suoi fiori.  Plinio il Vecchio ne esalta le qualità curative, già usata dagli etruschi, che i romani amavano porre nelle vasche dei bagni come profumo e cura per il corpo per le sue qualità rinfrescanti, infatti è proprio dal verbo lavare che il fiore prende il suo nome.

Lilla (Sirynga) – Odore pungente, aroma agrumato, ci si preparavano profumi e si ricavava anche l'olio da massaggio  per  reumatismi e dolori. I fiori freschi potevano servire ad allontanare gli spiriti malvagi. Si usavano nelle creme dolci miste a miele e tuorli d'uovo, con cui talvolta si spalmavano le focacce.

Limone -ha  fiori dolci e molto profumati. Non si usava il limone se non come medicina, però se ne usavano i fiori spargendoli freschi sui cibi caldi.

Menta - Usata anche nelle bibite fresche con cannella e miele.


Monarda – I suoi fiori rossi hanno il sapore di menta.

Nasturzio – Uno dei fiori commestibili più usati. Di colori brillanti e di  sapore dolce, spesso uniti ai semi di calendula.

ROSA
Ravanello – Di diversi colori, i fiori hanno un distinto sapore pepato.

Rosa – I petali hanno un sapore profumato ideale in bevande, dolci e marmellate. I romani utilizzavano violette e petali di rosa per decorare le pietanze.

Rosmarino – I fiori sono di sapore più leggero rispetto alle foglie; molto usato anche come guarnizione delle portate.

Rucola – I suoi fiori hanno un piacevole sapore pepato molto più forte delle foglie. Veniva usato nelle insalate ma pure per le carni.

Salvia – Sapore simile a quello delle foglie, ma più delicato.

Verbena odorosa –I fiori bianchi hanno sentore di limone. Ottimo il te e nei dolci

Viola – Con un sapore delicato di menta. I romani vi decoravano le pietanze, ma le univano anche nei dolci.

Zafferano - Veniva usato nelle salse che acquistavano così oltre al sapore un colore dorato intenso. Ma usavano ricoprire le strade di zafferano per onorare il passaggio di un principe, o generale o imperatore.


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