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BAMBOLE ROMANE

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Le bambine greche e romane potevano giocare con le bambole anche da adolescenti, del resto si sposavano piuttosto presto. Soprattutto le romane, che potevano essere impalmate anche all'età di dodici anni in quanto era l'età in cui si poteva esser certi che fossero vergini, per la fissa dei romani di non avere paragoni sulle loro prestazioni sessuali.

Precauzioni inutili, perchè in seguito, specie in età imperiale le donne si liberarono, divorziarono e fecero le loro esperienze. Però fintanto non si sposavano rimanevano un po' bambine e questo veniva incoraggiato, tanto è vero che potevano giocare, e le bambole era il loro passatempo preferito, finchè non si sposavano perchè allora con una cerimonia sacra offrivano al tempio i loro giocattoli ai Lari.

BAMBOLE DI TERRACOTTA
Più tardi erano le fanciulle a decidere in quale tempio portarli, offrendoli alla loro divinità preferita, come facevano le loro coetanee greche. Questa cerimonia segnava la fine dell'infanzia, e l'entrata nel ruolo di sposa e di madre.

Nella Roma Imperiale la bambola, detta pupa (diminutivo di pupilla), era un oggetto molto diffuso anche tra la plebe, per cui in tutto il mondo romano e nel resto del suo impero si rinvennero bambole nelle sepolture delle adulte. Non erano evidentemente state portate al tempio, o erano altre bambole oltre a quella votata, oppure veniva alla morte della romana ritirata dal tempio per accompagnare la defunta nel mondo dell'aldilà.

Sono state ritrovate bambole anche nell'antico Egitto, in genere generalmente modellati con l'argilla, ma ne esistono di più belli in osso o in avorio databili al periodo greco e romano. Le bambole dell'antichità avevano lineamenti e fisico da adulte, spesso con vestiti e gioielli, mai bambine.

In particolari santuari del mondo antico, dedicati a divinità legate al mondo femminile ed infantile, ma anche in sepolture di fanciulle, sono stati ritrovati oggetti dalle dimensioni estremamente ridotte: stoviglie, seggioline, lettini, sgabelli, che pur avendo valore religioso e rituale, sono pertanto giocattoli.

BAMBOLA DI TARRAGONA
III - IV SECOLO D.C.
La bambine greche dovevano accontentarsi delle piú economiche bambole in terracotta, che gli artigiani antichi vendevano a poco prezzo al mercato. I piú comuni esemplari hanno il tronco e la testa fissi, mentre gli arti superiori ed inferiori erano invece snoda bili, permettendo così di poter mimare, attraverso le diverse posizioni assunte da questi, i movimenti e i gesti degli adulti.

Se le gambe o le braccia si fossero rotte era possibile il ricambio e c'erano pure bambole in posizione fissa: sedute o nell'atto di compiere qualche azione particolare legata all'attività domestica.

A Roma invece le bambole furono una vera e propria arte, opera di artigiani specializzati, fortunatamente in parte giunte a noi proprio attraverso le sepolture. Si è pure individuato che la produzione delle bambole in due aree distinte di lavorazione, dell’osso e dell’avorio, fossero locate a Roma sulle pendici del Palatino e nei pressi dell’esedra della  Crypta Balbi.

Di bambole all'epoca ce ne erano molte e di molti tipi. A tutte però veniva dato un aspetto adulto, sia che fossero di pezza o riempite di stoppa, il cui unico vantaggio era quello di essere morbide. C’erano poi le bambole di creta, on genere dipinte, alcune ben fatte altre grossolanamente abbozzate, con braccia e gambe snodabili unite al corpo da lunghi perni.

Gli artigiani costruttori di bambole erano chiamati dai latini figuli, lavoratori in creta, ovvero chi fabbricava bambole d’argilla che vendevano al mercato.

La creta era un materiale frequentemente usato poiché poco costoso, facilmente reperibile, molto duttile che poteva essere decorato e dipinto in modo da rendere l’oggetto esteticamente più realistico e piacevole. 

Ma la maggior parte erano in legno tornito e dipinto, ma ce n'erano anche in osso o in avorio, tutte vestite e pure ingioiellate.

Le bambole in avorio e in osso di età medio e tardo imperiale erano rappresentate nude, con la sola eccezione in molti casi dei piedi, su cui erano incise le calzature a forma di bassi stivaletti, ma si ritiene che indossassero originariamente vestiti in stoffa che sono andati perduti.

Infatti furono rinvenute tracce di tessuto con alcuni filamenti in oro sulla bambola in avorio rinvenuta a Roma presso la basilica di S. Sebastiano sulla Via Appia.

Si osserva che in genere la testa e il torso erano intagliati in un unico blocco, mentre gli arti erano lavorati a parte e fissati al corpo mediante perni o fili rigidi. 

Le bambole in avorio, più raffinate, nella parte inferiore del bacino avevano due tenoni forati che si inserivano in corrispondenti alloggiamenti cavi ricavati nella parte superiore delle gambe ed erano bloccati con piccoli perni.

Un sistema simile permetteva il fissaggio della parte inferiore della gamba al ginocchio e della parte inferiore del braccio al gomito; le spalle invece erano connesse mediante semplici perni infilati. Fra gli esemplari più noti la bambola di Crepereia Tryphaena.

In alcune bambole l’attacco delle gambe al torso avveniva mediante un unico tenone centrale, prolungamento del bacino, attraverso il quale passava un lungo perno che univa le due gambe; raramente le gambe e le braccia presentavano la doppia articolazione al gomito e al ginocchio. 

Fra le bambole di questo secondo tipo, alcune, in avorio, hanno una pregevole anatomia del corpo e una elevata raffinatezza esecutiva, come nel caso della bambola di Grottarossa.

In alcuni casi si predisponevano quattro, articolazioni: alle spalle, ai gomiti, alle anche e alle ginocchia; in altri casi veniva soppressa l’articolazione al gomito.

Tuttavia più frequentemente le articolazioni erano solo due, alle spalle e alle anche.

Naturalmente era la testa a cui gli artigiani dedicavano più tempo: dopo averla modellata nella creta la arricchivano con elaborate pettinature o copricapi, tutti molti riconducibili all’epoca a cui le
bambole in questione appartenevano.

Il corredo di queste bambole non si limitava, in ogni caso, unicamente al vestiario, ma erano munite anche di tutto il necessario per l’arredamento della propria casetta, una serie di oggetti in miniatura perfettamente consoni alle loro misure.



LA BAMBOLA DI LIPARI

In Sicilia, nell’isola di Lipari, è stata rinvenuta, custodita nella tomba di una bambina vissuta nel V secolo a.c., una piccola bambola di creta, oggi nel Museo Eoliano di Lipari.

Questa presenta un busto ben modellato, una piccola testa molto curata con sui capelli, sempre di creta, un copricapo cilindrico ampliato superiormente, le gambe e le braccia, praticamente informi, sono attaccate al corpo mediante perni.

I suoi vestiti, oggi ovviamente scomparsi, presumibilmente, dovevano coprire gambe e braccia per copiare l’abbigliamento di una giovane ragazza da marito.

La pupa, un tempo vivacemente dipinta, conserva ancora l’azzurro del copricapo, il nero dei capelli e il rosso delle labbra.

La bambola, anche se non era perfetta, era corredata da vasellame in miniatura i cui recipienti erano similari a quelli che venivano usati nelle abitazioni dell’epoca.



LA BAMBOLA SANTA

Narra una testimonianza anonima, che una bambola venne trovata nel 1485, in un sarcofago da qualche parte sulla via Appia. Della fanciulla si disse che era giovane, bellissima, e profumava di mirra e trementina. Aveva i capelli biondi, e fu esposta in Campidoglio. I romani andavano a farle visita mendicando una grazia.

Poi improvvisamente scomparve. Non c'è da meravigliarsi, una fanciulla non proclamata santa dalla Chiesa e che tanti venerano crea problemi, meglio eliminarla, come si fece per le ceneri di Giulio Cesare.

LA BAMBOLA DI CREPEREIA


LA BAMBOLA DI CREPEREIA

Non scomparve invece la bambola appartenuta a Crepereia, una fanciulla vissuta nella metà del II secolo d.c. e morta alla vigilia delle nozze, e che era stata posata nella tomba accanto alla sua proprietaria.

Nel maggio del 1889 durante i lavori per la costruzione del Palazzo di Giustizia di Roma (si sa che a Roma i ritrovamenti, ieri come oggi) avvengono sempre per caso), affiorò dal terreno un sarcofago sul quale era inciso: Crepereia Tryphaena; dalla forma semplice ed elegante, lo stesso, presentava la superficie ornata di strigilature ondulate che sottintendevano le acque del fiume infernale che le anime dovevano oltrepassare per giungere nel regno dell’oltretomba.

Rodolfo Lanciani fu presente all' avvenimento: «Tolto il coperchio, e lanciato uno sguardo al cadavere attraverso il cristallo dell' acqua limpida e fresca, fummo stranamente sorpresi dall' aspetto del teschio, che ne appariva tuttora coperto dalla folta e lunga capigliatura ondeggiante sull' acqua». Dal suo sonno millenario, Crepereia Tryphaena si mostrò ai romani come una creatura fluviale, una naiade coi capelli sciolti e danzanti.

Infatti, tra lo stupore dei presenti, all’interno del sarcofago apparve un corpo intorno al quale fluttuavano le alghe che, in un primo momento, furono scambiate per una folta capigliatura corvina.

Si trattava di Crepereia Tryphaena (figlia di Crepereio) morta quando aveva 18-20 anni, la fanciulla, divenne una romantica figura dell’archeologia e con lei divenne famosa anche la sua bella bambola (oggi ai Musei Capitolini di Roma).
Poichè la defunta apparteneva ad una famiglia aristocratica fu sepolta ornata dei suoi gioielli, tra cui: orecchini, spille e alcuni anelli su uno dei quali vi era inciso il nome Filetus, forse lo sposo.

Sul capo vi erano tracce di una coroncina di mirto trattenuta da un fermaglio composto da piccoli fiori d’argento, mentre, una preziosa spilla d’oro con un ametista, tratteneva probabilmente la tunica con cui era abbigliata e che, nei secoli, si era dissolta insieme agli abiti.

La bambola, alta intorno ai 20 cm., coperta interamente, nei secoli, da uno strato melmoso, dopo un primo esame sommario, fece ipotizzare che era stata scolpita nel legno di quercia o di ebano.

Invece gli esami di laboratorio, a cui la bambolina fu sottoposta, rivelarono invece che il materiale utilizzato per la sua realizzazione fu l’avorio e che a causa della lunga permanenza in acqua si presentava indurito e scuro. Perfetta nell’esecuzione, testimonia una abilità artigianale che non trova confronto in altre bambole romane realizzate in quel periodo.

I capelli, probabilmente erano biondi, un colore che le Romane tanto amavano, erano acconciati con una pettinatura in voga ai tempi di Faustina Minore (II secolo d.c.). La bambola aveva le articolazioni snodate alla spalla, all'anca e persino al gomito ed al ginocchio, snodi che nemmeno oggi possiede la più famosa delle bambole.

Le mani avevano le unghie ben modellate, i piedi perfettamente delineati ed il volto, molto bello e delicato bello, è sovrastato da capelli disposti in un'acconciatura di sei trecce raccolte sul capo a corona, la pettinatura tradizionale delle spose romane dell'epoca.

Le gambe e le braccia erano unite al busto tramite perni di avorio che lasciavano liberi i movimenti , il suo viso e la sua figura ricopiavano l’aspetto di una giovane ragazza molto elegante e contornata dal lusso, naturalmente, non vi era più traccia dei vestiti che dovettero essere belli e numerosi.

La bambola era corredata da veri piccoli gioielli in miniatura, realizzati in d’oro: anellini, piccoli bracciali e i minuscoli orecchini, forse andati perduti, ma testimoniati dai lobi forati delle orecchie della pupae. 

Al pollice della mano destra aveva un anellino con una piccola chiave (oggi ai Musei Capitolini di Roma) che forse apriva il cofanetto di legno, ricoperto da piccole lastre di avorio, dove la sua padroncina riponeva i piccoli gioielli. Il cofanetto minuscolo ma raffinato conteneva al suo interno anche due pettinini in avorio e due piccolissimi specchi di argento.

Anche se era tradizione che la ragazza alla vigilia delle nozze donasse a una Dea i suoi giocattoli, la bambola e anche la presenza della coroncina di mirto (pianta dei defunti) ci fanno dedurre che Crepereia morì poco prima di sposarsi e fu proprio a causa di questa morte precoce che è giunta fino a noi la sua pupa favorita, sua compagna di sepoltura.



LA BAMBOLA DI COSSINIA

Nel 1929, lungo la sponda destra dell’Aniene, a Tivoli, dove correva la Via Faleria, venne rinvenuta un’altra bambola, di avorio, somigliante a quella di Crepereia. Fu trovata dentro la tomba di Cossinia, o almeno si ritenne essere il suo corpo.

Fanciulla di nobile famiglia tiburtina, quella dei Cossinii e vissuta tra la fine del II e gli inizi del III secolo, fu destinata, quasi bambina, al sacerdozio presso il tempio di Vesta a Tivoli.

Dalle fonti sappiamo che quando morì aveva circa settantacinque anni e il popolo tiburtino le rese i massimi onori accompagnandola nel suo ultimo viaggio fino al sepolcro, che le fu assegnato con decreto del Senato.

Il sepolcro di Cossinia è composto da due basamenti posti uno accanto all’altro, su quello di cinque gradini in travertino poggia il cippo funerario, databile intorno al I secolo, mentre sotto l’altro, di tre, si riteneva doveva essere stato inumato il corpo della vestale, anche se, gli scavi effettuati sotto il sepolcro non hanno rinvenuto nulla, mentre sotto il vicino basamento venne trovata una sepoltura.

Era il corpo di una giovane ragazza, di cui non si conosce l’identità ma probabilmente di famiglia aristocratica, deposto in una tomba scavata nella terra e rivestita da lastre di marmo, accanto le era stata posta una bellissima bambolina di avorio con tutto il suo corredo.

Il ritrovamento della tomba di una vestale è stato smentito dai nuovi esami antropometrici condotti sullo scheletro rinvenuto e che hanno rivelato appartenere ad un soggetto giovane e non ad una persona adulta di oltre settant’anni. A smentire che fosse il corpo di Cossinia c’è anche l’incongruenza tra la datazione del cippo e il periodo in cui visse Settimio Severo.

La "pupa", oggi al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, in Roma, è modellata come una fanciulla della sua epoca con i capelli pettinati e divisi in due pesanti bande che ricadevano sulle sue guance; fu scelta per lei la stessa acconciatura dettata da Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, durante i primi anni del suo impero (193-211 d.c.).

Abbigliata alla moda e con un vestiario molto considerevole, era provvista di tutto quel corredo necessario a rappresentare una bambola “ricca”: braccialetti d’oro per polsi e caviglie e pesante collana d’oro con maglia a catena. Anche questa pupae possedeva un piccolo scrigno di pasta vitrea rosa con cerniere di rame.

In ogni caso, oggi possiamo ammirare questa bambola perché venne sepolta insieme alla sua giovane padrona che qualcuno amava molto, tanto da metterle accanto la sua bambola preferita perchè le tenesse compagnia nell’aldilà.



LA BAMBOLA DI GROTTAROSSA

C'è un'altra pupa bellissima nel Museo Nazionale Romano, a Palazzo Massimo di Roma. 
Appartenne alla bambina di Grottarossa, ritrovata nel febbraio 1964 da un operaio che lavorava al cantiere di una villa. 

L' avrebbe ignorata, come molti altri reperti la cui presenza, se dichiarata, poteva bloccare i lavori, ma nel vederla avvolta dal fango (il sarcofago era stato già distrutto (sig!) credette alla vittima recente di un delitto e avvisò la polizia.

La bambina di Grottarossa, scavata e ripulita, mostrò un volto dalla pelle morbida, quasi rosata. 

Le bende che le avvolgevano il corpo, emanavano un intenso profumo, che rimase per giorni sulle mani di chi osò toccarla, una mistura resinosa composta da mirra, aloe e trementina, con la quale il corpo era stato imbalsamato.

Fu così a nord di Roma, a Grottarossa sulla Via Cassia, che durante i lavori in un cantiere edile, fu rinvenuto per puro caso il sarcofago marmoreo decorato con scene di caccia, con l’episodio di Enea e Didone del IV libro dell’Eneide.

Dentro la tomba, piuttosto danneggiato durante i lavori di scavo, poichè evidentemente fecero prima gli operai del cantiere che quelli delle belle Arti, al suo interno fu trovata la mummia di una bambina del II secolo d.c., che si accertò poi morta di tubercolosi grosso modo dell’età di 8 anni.

Appartenente ad una famiglia romana benestante e agiata, di cui non si conosce il nome, il corpo della “Mummia di Grottarossa”, era stata mummificato senza stranamente asportarle parti interne, infatti, avvolte al corpo, sono state rinvenute solo bende di lino impregnate di sostanze odorose e resinose, secondo l'uso del periodo imperiale in Egitto e in Medio Oriente.

Forse la famiglia si era convertita al culto della Dea Iside e la bambina, fasciata in una pregiata tunica di seta cinese, era ornata di gioielli, tra cui una collana in oro e zaffiri, orecchini d’oro e smeraldi e un anello sempre in oro sul quale era incisa la figura di una vittoria alata.

Accanto al corpo era adagiata una bambola in avorio con braccia e gambe articolate insieme ad alcuni vasetti di ambra rossa e piccoli amuleti.

Attualmente, la “Mummia di Grottarossa,” è conservata, insieme al suo corredo, in un’apposita sala del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, dove è protetta da un’urna con temperatura ed umidità costantemente controllate, inoltre, con luci attenuate e filtrate.



LA BAMBOLA DI VALLERANO

Nel 1993 a Vallerano, lungo la Via Laurentina, a breve distanza del G.R.A. di Roma, è stata rinvenuta, all’interno di un sarcofago, un’altra ricca bambola, sempre in avorio, simile alle precedenti, sistemata accanto alla sua giovane proprietaria dell’età tra i 16 anni e i 18 anni che, anche se mancano le iscrizioni, è possibile collocare nella seconda metà del II sec. d.c..

Sicuramente la giovane fanciulla, considerato il ricco corredo funebre, doveva appartenere ad una classe sociale elevata, non sappiamo però chi fosse né il perché della sua precoce morte.

I preziosi reperti, rinvenuti nel sarcofago, hanno contribuito a collocare cronologicamente il periodo in cui visse la giovane, soprattutto, in base ai costumi e la moda dell’epoca che lo pongono al II secolo d.c.

Si è risaliti a questa datazione grazie ad una reticella di seta che doveva ornare i capelli ricamata con fili d’oro che doveva ornare la defunta e che ci riporta alle stesse reticelle raffigurate negli affreschi di Pompei.

Inoltre è stato rinvenuto un cammeo in ametista di raffinata fattura che richiama Palmira, la città della Siria, con cui Roma avviò rapporti di scambio sotto il periodo di Marco Aurelio, ci rivela più o meno lo stesso periodo.

Invece nulla sappiamo del misterioso specchio contenuto nel sarcofago di cui non si è potuto capire nè lo stile nè l'epoca. E' conservata a Roma nel museo di Palazzo Massimo..



LA BAMBOLA DI VOLOS

Oltre alla produzione di bambole articolate in osso e avorio, documentate a partire dal II sec. d.c. a Roma e per lo più nella parte occidentale dell’impero, nei territori orientali si registra la presenza di figure femminili in osso di tipo diverso, rappresentate vestite con gli abiti incisi sul corpo, articolate alle spalle e spesso con le braccia piegate ad angolo retto ai gomiti. 

A questo tipo si riferisce questa bambola snodata rinvenuta a Volos, in provincia di Grosseto, con gonna corta pieghettata e smerlata, corsetto a vita alta sostenuto da due cinghie incrociate sul seno e una corona sui capelli. Sul corpetto c'è una collana con pendaglio.



BAMBOLA DI VIA DI CERVARA

La bambola, del III sec. d.c. è scolpita in avorio ed è stata rinvenuta via di Cervara a Roma.

La bambola è estremamente ricca e raffinata, con una preziosa pettinatura a onde e boccoli, e una treccia avvolta sulla sommità del capo, che la denota come una pettinatura patrizia.

La Pupa ha braccia e gambe snodate, sguardo intenso e volto orientaleggiante.

Sembra più la statua di una giovane Dea che non una pupa, l'antica bambola romana, che accompagnò per giunta una bambina, dell'età incerta tra i sei e i nove anni, nel suo ultimo viaggio, compagna eterna, o quasi, nel sarcofago di morte della piccola prematuramente morta.


B. TARANTINA GRECA (sinistra)
B. TARANTINA ROMANA (destra)

LA BAMBOLA TARANTINA

Le bambole tarantine sono di solito incise anche nelle vesti, bambole fittili con arti snodabili, utili a rendere il movimento nonché facilmente sostituibili in caso di rottura.

Un esemplare notevole di questo tipo di oggetti, realizzato però in osso, proviene da Taranto ed è esposto al Metropolitan Museum of Art di New York. 

Essa è particolarmente importante poiché costituisce il più antico esempio finora noto di una figurina greca con membra mobili ricavata utilizzando tale materiale (inizi del III secolo a.c.).

Tale arte si trasmise poi ai romani che la tradussero con grande raffinatezza..



LA BAMBOLA DELLA COLLEZIONE SAMBON

La bambola è ricavata in osso, lavorato a incisione, la cui superficie è molto deteriorata e segnata da solchi.

La mano destra manca quasi completamente.

La bambola è composta da  un elemento unico per il torso e la testa, due elementi per le braccia, quattro elementi per le gambe, articolate al ginocchio. 

La giovane donna, molto appiattita nella visione di profilo, ha la zona del bacino con il triangolo inguinale e l’ombelico, il seno piccolo, orecchie pronunciate; sul retro sono evidenziate le scapole, la colonna vertebrale e le natiche. 

Sulla mano è incisa la suddivisione delle dita, i piedi sono calzati da bassi stivaletti.

I capelli, suddivisi da una scriminatura centrale,  scendono fino al collo con due bande di ciocche ondulate; dietro sono pettinati verticalmente nella parte superiore, mentre le ciocche provenienti dal lato anteriore sono raccolte sopra la nuca in una bassa crocchia di chiome disposte in senso orizzontale. 

L'epoca si riferisce a quella di Iulia Domna, datando la bambola all’età tardo-severiana, prima metà III secolo d.c.



LA BAMBOLA DELLA DEFUNTA CRISTIANA

L'uso della bambola sepolta accanto alla giovanissima defunta continuò anche in epoca del tardo impero ormai cristiano.

Infatti nelle catacombe paleocristiane usava murare le bambole nei loculi dove venivano deposte le fanciulle.

Tra gli esempi si possono ricordare alcune bambole dalle seguenti catacombe di Roma: 

- catacombe di Priscilla sulla Via Salaria; 
- catacombe di Novaziano sulla Via Tiburtina; 
- catacombe di S. Ippolito sulla Via Tiburtina; 
- catacombe di S. Agnese sulla Via Nomentana
- catacombe dei Giordani sulla Via Salaria Nova.

Poi la chiesa decise che nella tomba non ci fosse posto per cose futili come le bambole, e che fossero ammesse solo cose più serie e utili, come le immagini religiose cristiane.

Così la tenera usanza finì.


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