La battaglia di Lautulae fu combattuta nella zona dell'odierna Terracina, secondo alcuni sulla costa in una località dove sgorgano quattro sorgenti (da cui il nome); secondo altri sui monti nei pressi di Fondi, in località Acquaviva, anche questa munita di sorgenti, come indica il nome. Per altri ancora di trattava di una zona termale.
LA II GUERRA SANNITICA
Nel 315 a.c. i Romani stavano combattendo la II guerra Sannitica, riconquistando territori e sottomettendo tribù, desiderosi di cancellare l'onta di sei anni prima, ancora vivissima nei romani, quando avevano subito l'infamante sconfitta delle Forche Caudine con l'umiliante giogo a cui avevano dovuto sottoporsi.
La guerra fra Romani e Sanniti era accanita in Campania e nel Sannio ma non pendeva decisamente dalla parte di un contendente. Le legioni romane avevano riconquistato Saticola, che in seguito alle Forche Caudine si era consegnata ai Sanniti. Ma c'era un fatto nuovo e molto inquietante, i Sanniti non solo avevano espugnato Plistica, precedentemente presa dai Romani, ma avevano convinto gli abitanti di Sora a trucidare i coloni romani che vi vivevano. Per i romani era un'onta ulteriore.
I Sanniti intanto, bellicosi e fieri, arruolarono nell'esercito ogni uomo in età di combattere. Roma d'altronde fece quel che era suo costume in tempi pericolosi: nominò un dittatore. La scelta cadde su Quinto Fabio Massimo Rulliano, che si fece affiancare come maestro della cavalleria Quinto Aulio Cerretano. I consoli romani Lucio Papirio Cursore e Quinto Publilio Filone rimasero così a Roma, mentre la guerra era condotta da Fabio Massimo.
QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO
La scelta era stata molto particolare perchè è vero che nel 324 a.c. Fabio, Magister Equitum, aveva vinto nettamente contro i Sanniti a Imbrinium, ma aveva contravvenuto agli ordini del dittatore Lucio Papirio Cursore, che, partendo per Roma, gli aveva ordinato di non attaccare il nemico in sua assenza.
Il reato era gravissimo e punibile con la morte, così Fabio chiese la protezione dell'esercito, ma questi la negò. Data l'importanza della milizia a Roma, e dato l'obbligo di avere un cursum honorum per adire a una carica pubblica, unito al fatto che i generali romani consecutori di vittorie erano letteralmente adorati dal popolo, ogni legionario sognava di diventare un comandante dell'esercito e di guidare una battaglia conseguendo la vittoria e la gloria.
Questa è la ragione per cui Lucio Papirio si era raccomandato di non vincere rubandogli la vittoria. La stessa ragione per cui Quinto Fabio aveva fatto di testa sua conscio delle sue ottime qualità di condottiero.
A questo punto Fabio fuggì dall'accampamento e corse a Roma, per ottenere protezione dal Senato. Il dittatore ancor più adirato lo seguì a Roma, determinato ad ottenerne la condanna. Lucio Papirio chiese al Senato di punire Fabio, lo chiese poi davanti all'assemblea popolare, invocata dal padre di Fabio con la procedura della provocatio (possibilità del popolo di trasformare una pena capitale in altra pena o di graziare un condannato), si levò in piedi, quasi solo, contro il Senato, i tribuni ed il popolo, che erano invece dalla parte di Fabio.
Per di più vi fu anche l'appassionata perorazione, in favore del figlio, di Marco Fabio Ambusto (tre volte console e dittatore), ma il dilemma era gravissimo perchè minava l'autorità non solo del generale ma del Dictator. Alle brutte Fabio si gettò ai piedi del dittatore e ne chiese il perdono, appoggiato dai tribuni, dal Senato e dal popolo. Papirio non potè negare la grazia.
« Sta bene, o Quiriti: ha vinto la disciplina militare, ha vinto la maestà del comando supremo (imperium), che avevano rischiato di perire in questa odierna giornata. Quinto Fabio, che ha combattuto contro gli ordini del comandante in capo, non viene assolto dal suo reato ma condannato per il crimine commesso, viene graziato per riguardo al popolo romano e alla potestà tribunizia, che ha elevato suppliche in suo favore, e non per intercessione legale.
Vivi, Quinto Fabio, fortunato più per il consenso unanime della città nel proteggerti che per la vittoria di cui poco fa esultavi;
vivi, malgrado aver osato compiere un'azione che neppure il padre (quidem parens) ti avrebbe perdonata, se si fosse trovato al posto di Lucio Papirio. Con me potrai riconciliarti, se vorrai.
Al popolo romano cui devi la vita, miglior ringraziamento sarà che tu tragga chiaro insegnamento da questa giornata che, sia in guerra, sia in pace, tu devi sottometterti alla legittima autorità. »
(Livio, Ab urbe condita)
SETE DI VENDETTA
Così riprese la guerra in Campania: le legioni romane si recarono a Sora, rea di aver aperto le porte ai Sanniti. Al comando delle legioni il senato aveva posto, fatto stranissimo, proprio quel Q. Fabio Massimo Rulliano che aveva disobbedito al suo comandante e dictator Lucio Papirio Cursore.
Quest'ultimo, considerato il migliore generale romano all'epoca della II guerra sannitica, fu eletto di nuovo console nel 315 a.c. insieme al collega Quinto Publilio Filone. Però i due consoli rimasero a Roma, mentre la campagna contro i sanniti fu affidata al dittatore Quinto Fabio Massimo Rulliano, il ribelle perdonato.
Strano, ma c'erano due fattori da considerare: Quinto Fabio apparteneva alla gens Fabia, quella stessa che si era offerta di sostenere la battaglia di Cremera a proprie spese e con gli uomini della gens, tutti trucidati nel 477 a.c. per l'agguato teso loro dai Veienti. I romani non avevano mai dimenticato il sacrificio di quei trecento valorosi giovani, ed avevano amato anche i loro discendenti.
Il secondo fattore era che se il popolo amava un generale il senato non poteva ignorarlo, perchè la voce "Senatus Populusque Romanus" non era uno slogan ma una realtà. A quei tempi il popolo contava e se non veniva accontentato ci metteva poco a scendere in piazza, e diverse centinaia di migliaia di persone per strada facevano paura. Pertanto Quinto Fabio era stato eletto dittatore dal senato, ma in realtà dal popolo di Roma.
I Romani dovevano punire la città e gli abitanti per l'eccidio dei coloni romani, reato gravissimo che doveva essere ripagato 100 a uno, come monito per tutti i popoli, ma anche i Sanniti si diressero a Sora, e Fabio Massimo decise di attaccare i sanniti prima che si rifugiassero in città.
Gli eserciti si incontrarono a Lautulae, a sud delle paludi pontine, e durante lo scontro i soldati romani cominciarono a cedere al panico e a fuggire. Il Magister Equitum cercò di formare un'opposizione, ma venne colpito e morì nello scontro. Così almeno la racconta
Diodoro Siculo.
Tito Livio però ne dà una diversa versione:
« ...ad Lautulas ancipiti proelio dimicatum est. Non caedes, non fuga alterius partis sed nox incertos victi vicitoresne esse diremit. Invenio apud quosdam, adversam eam pugnam Romanis fuisse, atque in ea cecidisse Q. Aulium, magistrum equitum.»
« La battaglia si combatté a Lautula, ma con esito dubbio; non stragi, non fuga di una delle due parti, ma la notte li interruppe, incerti se fossero vinti o vincitori. Ho trovato tra alcuni che la battaglia fu contraria ai Romani, e che in essa fosse morto Q. Aulio.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 23)
Sempre secondo Livio i Romani, ripresisi e incoraggiati da Fabio Massimo, vinsero poco tempo dopo la battaglia a Lautulae appiccando il fuoco a parte del proprio accampamento per motivarsi a non perdere. Da considerare anche i rinforzi giunti da Roma con il nuovo maestro della cavalleria Gaio Fabio che si avventarono, freschi e riposati, sull'esercito sannita. Ma il fatto che da Roma sia arrivato un nuovo esercito con un nuovo Magister Equitum fa pensare ad una sconfitta con molti caduti nelle file dei Romani.
D'altra parte, l'esercito di rincalzo poteva essere stato inviato già da tempo. Ricordiamo infatti che solo nel paragrafo precedente Livio racconta della morte di Quinto Aulio Cerretano in uno scontro di cavalleria sotto le mura di Saticola.
Se Quinto Aulio era caduto in quella battaglia sarebbe stato logico supporre che Roma avesse già inviato i rinforzi comandati da Gaio Fabio, indipendentemente dal risultato della battaglia di Lautulae e questa ci sembra la versione più verosimile.
Il fatto che il nuovo magister equitum, anziché presentarsi al campo del dittatore, mandò un messaggero chiedendo istruzioni, potrebbe far supporre però che la situazione non fosse pericolosa o che Gaio Fabio conoscesse solo in parte le difficoltà dell'esercito romano..
Nel racconto Tito Livio dice:
« Dictator cum per aliquot dies post pugnam continuisset suos intra vallos obsessi magis quam obsidentis modo.. »
« Dopo la battaglia il dittatore trattenne i suoi dentro la linea fortificata dell'accampamento per alcuni giorni, quasi fosse assediato e non assediante. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)
Quinto Fabio, dopo il primo scontro di Lautulae è assediato. Quando qualche giorno dopo, per incitare all'eroismo i soldati, non li informa che un altro esercito è sopraggiunto e li arringa insistendo che la loro sola speranza consiste nella loro volontà di combattere. Anche in questo caso il racconto di Livio, potrebbe nascondere il fatto che i Romani si trovassero effettivamente sotto l'assedio dei Sanniti.
Gaetano De Sanctis giudica la vittoria di Fabio Rulliano "inventata di sana pianta, come mostra il silenzio eloquente delle fonti migliori".. E che Livio avesse l'abitudine di indorare la pillola della sconfitta romana è risaputo..
Con la sconfitta di Lautulae la Campania venne tagliata momentaneamente dal Lazio, e gli Ausoni e Capua cominciarono una rivolta contro Roma, mentre i Sanniti si spinsero a compiere incursioni fino ad Ardea. I Romani si ripresero solo pochi mesi dopo, rimettendo in piedi un esercito ed inviandolo nel sud a recuperare Luceria e Terracina occupate dai Sanniti. Ma la battaglia non era finita.
Sulle altre popolazioni la sconfitta romana portò ad alcune rivolte:
« Mota namque omnia adventum Sannitium cum apud Lautulas dimicatum est fuerant, coniuratonesque circa Campaniam passim factae nec Capua ipsa crimine caruit.»
« Quando avvennero i combattimenti presso Lautula, l'avvicinarsi dei Sanniti aveva provocato un fermento generale, si erano formate congiure in vari punti della Campania, ed anche a Capua non andò esente dall'accusa. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)
DOPO LA BATTAGLIA
SANNITA |
Fu Lucio Papirio che stavolta fronteggiò i Sanniti, a Longula e vinse gli antichi nemici:
« Aveva di nuovo levato il grido di battaglia prendendo ad avanzare, i Sanniti cominciarono a fuggire. Le campagne già erano ingombre di cumuli di cadaveri e armi luccicanti. In un primo momento i Sanniti, terrorizzati, si andarono a rifugiare nell'accampamento; poi però non riuscirono a tenere nemmeno questo, che prima del calar della notte venne conquistato, saccheggiato e dato alle fiamme.
Su decreto del senato il dittatore ottenne il trionfo, il cui più splendido ornamento furono le armi strappate ai Sanniti.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita)