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PUBLIO TERENZIO AFRO

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TERENZIO

Nome: Publius Terentius Afer
Nascita: 190-185 a.c., Cartagine
Morte: 159 a.c., Stinfalo
Professione: Commediografo



I DETTI DI TERENZIO

- "Pro captu lectoris habent sua fata libelli" 
(secondo le capacità del lettore i libri hanno il loro destino)
- "Homo sum, nihil humani a me alienum puto" (sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è alieno)
-"Pecuniam in loco negligere maximum est interdum lucrum“ (Rinunciare al denaro a tempo debito costituisce a volte il maggior guadagno)

- “Questo è essere saggi, volgere l'anima a seconda di ciò che è necessario.”
- “È da saggi provare tutte le vie prima di arrivare alle armi.”
- “Non c'è nulla che le male lingue non possano peggiorare.”
- “Le parole volano, gli scritti restano.” 
- “O dei immortali, non vi è di peggio che un ignorante, che non riconosce nulla giusto se non quello che piace a lui.”
- “Soprattutto quando le cose ci sono favorevoli, con cura dobbiamo meditare in cuor nostro, per tenerci pronti a sopportare le calamità.”
- “Una bugia caccia l'altra.”
- “Dei miei amici sono l'unico che mi è rimasto.”
- “L'adulazione procura gli amici, la sincerità i nemici.”
- “Quando due persone fanno la stessa cosa, la cosa non è la stessa.”
- “Il loro silenzio è una lode sufficiente.”
- “Impara dagli altri qual è il tuo bene!”
- “La carità inizia a casa propria.”
- “Impossibile dire qualche cosa che già non sia stata detta.”
- “Un male viene dall'altro.”
- “Tante teste, tanti pareri: ognuno ha il suo modo di vedere.”
- “Ora questo giorno porta una nuova vita, richiede nuovi costumi.”
- “Non c'è cosa tanto facile che, a farla controvoglia, non diventi difficile.”

Il grammatico Donato ci ha tramandato, come premessa ai commenti sulle commedie terenziane, la Vita Terentii redatta da Svetonio e da lui inserita nel suo De poetis. La data di nascita si ritiene sia poco dopo la morte di Plauto, che avvenne nel 184 a.c., e comunque tra il 195 e il 183 a.c.. 

Publius Terentius Afer,  un berbero, nacque a Stinfalo ( città greca dell’Arcadia a sud dell’odierno villaggio di Chionia, presso un lago paludoso, detto palude stinfalide, a cui era connessa la leggenda degli uccelli stinfalidi divoratori di uomini), nel 190 a.c. e fu un commediografo di lingua latina, che visse e produsse a Roma dal 166 a.c. al 160 a.c.. il nome Afer significava Africano, e fu condotto a Roma giovanissimo dal senatore Terenzio Lucano,

TERENZIO
Di bassa statura, gracile e di carnagione scura, era nato a Cartagine e giunse a Roma come schiavo del senatore Terenzio che lo educò nelle arti liberali, e in seguito lo affrancò (la biografia dice "ob ingenium et formam", per la sua intelligenza e la sua bellezza, il che fa sorgere qualche sospetto sulla natura dell'apprezzamento).

Comunque il liberto assunse il nome di Publio Terenzio Afro e ben presto, per il suo spirito colto e intelligente si pose in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo, e fu da loro incoraggiato a diventare autore di commedie, consci del suo valore poetico e drammaturgico.

Grazie a queste colte ed erudite frequentazioni Terenzio apprese meglio l'uso del latino e seguì le tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella sostiene che gli frequentasse anche i nobili Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. 

Fu uno dei primi autori latini a introdurre il concetto di humanitas, elemento caratterizzante del Circolo degli Scipioni. ricavano da una biografia scritta da Svetonio, riportata dal grammatico Elio Donato insieme a un prezioso commento alle sue commedie.



IL COMMEDIOGRAFO

Durante la sua carriera di commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria, al 160 a.c.), venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto (entrambi condividevano come lui le idee di Menandro) e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni.

Venne accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.c., all'età di circa 26 anni. Era partito per la Grecia in ricerca di altre opere di Menandro, per servirsene come modelli; per conoscere personalmente i luoghi in cui ambientava le proprie opere; e comporvi altre opere, dimostrando di non aver bisogno di supporti.

Le cause della morte sono incerte; Svetonio riporta alcune ipotesi, tra cui il naufragio e il dolore di aver perduto, con i bagagli, 108 commedie rimaneggiate dagli originali di Menandro reperiti in Grecia. Altri riferiscono di una morte per annegamento, ad imitazione di Menandro.

Alla sua morte) lasciò una figlia, andata poi in sposa ad un cavaliere romano; lasciò
anche un piccolo appezzamento di 20 iugeri, sito sulla via Appia, dalle parti della villa di
Marte, anche se Porcio Lìcino scrive:
« nulla gli valse (l'amicizia di) Publio Scipione, nulla (quella di) Lelio, nulla (quella di) Furio, 
i tre grandi che, a quel tempo, se la spassavano alla grande. 
Non si scomodarono neanche a fornirgli una casa a pigione, 
perché almeno ci fosse dove un servo riferisse la morte del padrone».



MENANDRO
MENANDRO


 Menandro ( 342 circa – 291 a.c. circa) sebbene autore di poco più di cento commedie (l'esatto numero non ci è pervenuto), ebbe poca fortuna in vita: vinse, infatti, solo otto volte gli agoni comici.

La sua produzione, priva di interesse politico, era piuttosto tesa ad un'indagine sull'uomo effettuata attraverso il quotidiano da cui traspaiono gli autentici motivi dell'essere umano.

Tanta leggerezza e profondità insieme non piacque molto agli ateniesi, per cui non ebbe gran fortuna ad Atene



LE OPERE

Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente. Non ebbe però il successo che meritava, perchè la sua relazione con i giovani aristocratici dette adito a maldicenze, screditandone la figura morale. Fu persino messa in dubbio la paternità delle sue commedie, a cui Scipione e Lelio avrebbero largamente collaborato; ma le smentite di Terenzio non furono molto decise, forse perché tali voci erano gradite ai suoi potenti protettori.

La cronologia delle opere, frutto del lavoro filologico e delle ricerche erudite dei grammatici antichi, è attestata con precisione nelle didascalie anteposte, nei manoscritti, alle singole commedie.
Terenzio si adattò in pratica alla commedia greca; in particolare seguì i modelli della Commedia Nuova attica e, soprattutto, di Menandro. Per questo forte legame artistico col commediografo greco fu definito da Cesare "Dimidiate Menander", ovvero "Menandro dimezzato".

L'ordine delle opere sarebbe:
- Andria, 166;
- primo tentativo di rappresentazione dell'Hecyra, 165;
- Heautontimorumenos, 163;
- Eunuchus, 161;
- Phormio, 160;
- Adelphoe e secondo tentativo di rappresentazione dell'Hecyra, ai ludi funebres di Paolo Emilio, 160;
- poi terza rappresentazione dell'Hecyra.
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione e riproposizione degli originali greci. Terenzio, infatti, praticava la contaminatio, ovvero introduceva all'interno di una stessa commedia personaggi ed episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca. Parte della fortuna delle sue commedie è da attribuire alle capacità del suo attore, Lucio Ambivio Turpione, uno dei migliori a quell'epoca.


Andria (La fanciulla di Andro)

Il vecchio Simone si è accordato con il vicino di casa Cremete perché i loro figli, Panfilo e Filùmena, si sposino. Panfilo ha però una relazione segreta con Glicerio, fanciulla da cui attende un figlio e che tutti credono sorella dell'etera Criside. Simone scopre la relazione del figlio solo in occasione del funerale di Criside; profondamente irritato da questa "ribellione", gli comunica l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante Cremete abbia annullato l'accordo.

Intanto Carìno, amico di Pànfilo, è innamorato di Filùmena. A risolvere l'intricata situazione giunge Critone, un parente di Crìside, il quale svela che non esiste alcun legame di parentela tra Glicerio e Crìside e che Glicerio è figlia di Crèmete. Così avviene un doppio matrimonio tra Pànfilo e Glicerio e Carìno e Filùmena. L' Andria è la prima opera di teatro latino in cui il prologo è dedicato non all'esposizione del contenuto, ma alla polemica letteraria. Nei primi versi, infatti, Terenzio si difende dall'accusa di plagio e contaminatio.


Hecyra.

L'Hecyra ("La suocera") è ispirata da due commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra di Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165 a.C. in occasione dei Ludi Megalenses, ma non ebbe successo pur essendo recitata da Ambivio Turpione (l'attore più famoso di quel tempo). Fu ripresentata nel 160 a.C. in occasioni dei giochi funebri per Lucio Emilio Paolo con lo stesso risultato dato che gli spettatori abbandonarono il teatro preferendo assistere ad uno spettacolo di funamboli. Sempre nello stesso anno in occasioni dei ludi Romani fu rappresentata nuovamente e ottenne successo.


Heautontimoroumenos (Il punitore di sé stesso)

L'Heautontimorumenos è un'opera rielaborata dall'omonima commedia di Menandro. Fu rappresentata con buon esito nel 163 a.C. Il vecchio Menedèmo vive volontariamente una vita di rinunce, per punirsi di aver impedito al figlio Clinia l'amore per Antìfila, povera e senza dote. Clinia se n'è andato di casa e si è arruolato come mercenario. Nel frattempo Clinia, senza che il padre lo sappia, alloggia in casa di Clitifone, figlio di Cremète, amico di Menedemo che non vuole più ostacolare il figlio. La moglie di Cremète riconosce Antìfila come sua figlia e così Clinia può sposarla, ma Clìtifone, innamorato di Bàcchide, dovrà sposare una donna scelta dal padre. Compare nell'atto 1, scena 1 la famosa frase Sono uomo; e di quello che è umano nulla io trovo che mi sia estraneo.


Eunuchus (Eunuco)

L'Eunuchus (L'eunuco) è una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro. Fu rappresentata nel 161 a.c. e fu il maggior successo di Terenzio. Questa commedia parla di un ragazzo che si finge eunuco per stare con la donna amata. Il racconto particolareggiato ad un amico (Antifone) della violenza sessuale (atto ricorrente nella commedia antica), ai danni della ragazza di cui si è invaghito, rappresenta una delle pagine più sensuali della commedia antica. L'Eunuchus deriva dalla contaminazione dell'Eunuchus e del Colax di Menandro. Il pubblico gradì molto questa commedia grazie all'utilizzo dell'intreccio che l'accomunava con alcune commedie di Plauto.


Phormio (Formione)

Phormio è un'opera rappresentata con successo nel 161 a.c.; il suo modello greco è l'Epidikazòmenos (Il pretendente) di Apollodoro di Caristo. Il parassita Formione riesce con vari stratagemmi a combinare il matrimonio tra i due cugini Fédria e Antifòne e le ragazze di cui sono innamorati, rispettivamente una suonatrice di cetra e una ragazza povera. Alla fine però si viene a scoprire che quest'ultima, di nome Fanio, è cugina di Antifone, mentre la citarista viene riscattata.


Adelphoe (I fratelli)

Commedia di due fratelli e dei relativi padri, con differenti mentalità e metodi educativi; tratta dall'omonima opera di Menandro. Fu rappresentata nel 160 a.c. Differenze tra le commedie terenziane e quelle plautine Frontespizio miniato del codice medievale terenziano detto Térence des ducs, appartenuto al re Carlo VI di Francia, poi a suo figlio Luigi di Valois, duca di Guyenna, e quindi a Giovanni, duca di Berry. Rispetto all'opera di Plauto, tuttavia, quella di Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti. Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto: infatti, in alcune commedie si trovano alcuni argomenti socio-culturali del Circolo degli Scipioni, di cui faceva parte.



I CONCETTI

Particolarmente importante in Terenzio è anche il messaggio morale sotteso a tutta la sua opera, volta a sottolineare la sua humanitas, cioè il rispetto che ha nei confronti di ogni altro essere umano, nella consapevolezza dei limiti di ciascuno, sintetizzato nella frase:
« Homo sum: humani nihil a me alienum puto »
 « Sono un uomo: nulla che sia umano mi è estraneo » (Heautontimorumenos, v. 77)

La tolleranza, la comprensione, l'approfondimento dei caratteri e dei rapporti umani, che i personaggi di Terenzio rivelano, sono in parte di modello menandreo, ma obbediscono soprattutto a quell'humanitas elaborata nell'ambiente patrizio ed ellenizzante, in cui era avvenuta la sua formazione. 

Questa humanitas si sintetizza nel celebre verso dell'Heantontimorumenos: "Homo sum; humani nihil a me alienum puto". "Io sono uomo; e nulla di ciò che è umano ritengo a me estraneo", che divenne il principio della sua vita. Terenzio creò personaggi in cui lo spettatore potesse identificarsi, perchè Terenzio stesso vi si era identificato, sottolineandone l'aspetto psicologico. Data la maggiore raffinatezza delle sue opere, dove i personaggi hanno una loro delicatezza, sensibilità e lealtà, si può dire che con Terenzio il pubblico semplice si allontana dal teatro, cosa che non era mai successa prima di allora.



LO STILE

II suo linguaggio è quello della conversazione ordinaria tra persone di buona educazione e cultura, molto diverso dallo stile di Plauto, in cui i personaggi erano stereotipati ed estremizzati mentre nel colloquio erano presenti neologismi e giochi di parole per far ridere lo spettatore.

Il teatro da semplice intrattenimento popolare con Terenzio diventa un teatro d'élite. Egli rinuncia ai doppi sensi, alle espressioni scurrili, ai lazzi volgari, ai bisticci di parole, alle facili rime. Egli si spinge invece sui sentimenti, sui timori e le speranze dei personaggi, molto simili al quotidiano della vita.
Altra differenza con Plauto è la cura per gli intrecci, più coerenti e semplici, e meno spettacolari, ma più coinvolgenti in quanto Terenzio, al contrario di Plauto, non utilizza un prologo espositivo che spiega antefatti e  trama. Così, mentre la commedia plautina viene chiamata motoria per la forte spettacolarizzazione, e la presenza di cantica, l'opera di Terenzio è chiamata stataria, perché più realistica, seria e senza cantica.

Il suo linguaggio fine e accurato, è semplice ma ispirato ai canoni della regolarità. Del resto la purezza del linguaggio e l'eleganza formale erano le doti che già gli riconoscevano gli scrittori antichi, da Cicerone a Cesare a Elio Donato: non è un caso che le sue commedie fossero lette nelle scuole.



I POSTERI SU DI LUI

Terenzio fu molto usato nelle scuole per il suo stile gradevole, pulito e ricco di sfumature. Tuttavia c'è una curiosità storica:

ROSVITA
Rosvita di Gandersheim, canonichessa della II metà del X secolo, scrisse i suoi dialoghi drammatici in un monastero nonostante l’intransigenza della chiesa verso lo spettacolo teatrale. Si tratta di versificazioni di leggende famose nel mondo cristiano,

Le sue composizioni sono giunte a noi per puro caso in un solo manoscritto pergamenaceo completo, risalente alla fine del X sec., il Monacensis Latinus Clm 14485, proveniente dalla Badia di S. Emmerano di Ratisbona.

Fu proprio la lettura dei testi di Terenzio, e la riflessione sul successo che quelle commedie ottenevano anche presso gli ecclesiastici, a indurre la monaca a scrivere altrettanti drammi, che sostituissero nella lettura quelli volgari e peccaminosi dell’autore romano.

Il timore di Rosvida è che molti cristiani, attratti dal fascino della lingua e dello stile di Terenzio, abbandonino la lettura dei testi sacri, per dedicarsi a quella dei testi profani, insomma che molti cristiani finiscano per interessarsi troppo a Terenzio. Desidera pertanto contrapporre ai "turpia lascivarum incesta feminarum delle commedie terenziane la laudabilis sacrarum castimonia virginum" dei suoi drammi.

Ella fa leva sulla superiorità del contenuto, ben sapendo di non essere in grado di competere con la bravura di Terenzio, ma la fede, lei pensa, è dalla sua parte e l'aiuterà a superare il diabolico berbero pagano.


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