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LIBARNA (Liguria)

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LA CITTA'

Libarna divenne così una vera e propria città romana della odierna Liguria, posta sulla riva sinistra del fiume Scrivia, e sul tratto della via Postumia tra Genua e Dertona, presso l'odierna Serravalle Scrivia.

All'interno della divisione della penisola italica in undici regioni decisa da Augusto, Libarna venne compresa nella Regio IX — la Liguria — estesa, a sud del Po, dalle Alpi Marittime a quelle Apuane. Oggi il vicino centro abitato è una frazione di Serravalle Scrivia.

È citata in varie fonti letterarie latine e greche come Plinio, Claudio Tolemeo, il geografo Guido, nell'"Itinerarium Antonini" e nella "Tabula Peutingeriana", l'unica carta topografica dell'antichità romana pervenutaci e databile intorno al IV sec.d.c.

La tradizione manoscritta presenta alcune varianti del toponimo come Libarium, Libarnum, Lavarie e Levarnis. Il termine Libarna viene posto in relazione con i Liguri, per il radicale Lib derivato dal popolo dei Libui, anticamente stanziato nelle zone di Brescia e di Verona. Oppure il nome della città potrebbe alludere al termine "pianura", dove appunto sorse il villaggio originario.

L'attuale area archeologica di Libarna è solo una piccola parte dell'antica città, che occupava una superficie molto più vasta di quella attuale. Ne sono stati scavati:
- l'anfiteatro,
- il teatro,
- due quartieri di abitazioni
- alcune strade urbane,
Ne sono stati invece reinterrati:
-  le terme
- il foro

Il foro si trovava invece al di fuori dell'attuale perimetro dell'area archeologica, lungo il decumano massimo in direzione opposta all'anfiteatro.

ABITAZIONI E ANFITEATRO

LA STORIA

L'origine del popolamento della piana di Libarna risale al VI-V sec. a.c., quando la creazione di un emporio etrusco a Genova nella prima metà del VI sec. a.c. fece creare lungo la valle della Scrivia una via commerciale verso la pianura padana e le aree transalpine. A controllo del percorso, sulla collina del castello sorse un villaggio di Liguri, attivo ancora nel III-II sec. a.c., mentre l'area dei sepolcreti si estendeva in pianura lungo il rio della Pieve.

Il villaggio fu fondato dai Liguri Dectunini, forse uno dei quindici oppida che, secondo Livio, si arresero al console Q. Minucio Rufo nel 191 a.c. I Liguri, la più antica popolazione dell'Italia settentrionale, senza scrittura e con riti funebri che prevedevano l'incinerazione, erano quel popolo bellicoso e forte di cui parla Cicerone, dichiarando che le donne di quel popolo combattono insieme agli uomini con identico coraggio e valore.

Comunque Libarna menzionata per la prima volta nel II secolo a.c., come un capoluogo autonomo di un vasto territorio che confinava a Est con Velleia, a Sud con Genua, a Ovest con Aquae Statiellae e a Nord con Derthona.  

L'apertura della via Postumia nel 148 a.c. ne favorì senza dubbio la crescita, favorendone i commerci.
A seguito della concessione, nell'89 a.c., del diritto latino ai popoli della Transpadana e a quelli a sud del Po alleati ai Romani, anche Libarna divenne una colonia latina e al suo interno furono probabilmente riuniti diversi gruppi tribali.

Le antiche forme giuridiche sulle terre furono adattate al nuovo contesto latino e fu avviata anche la catastazione del territorio. Il centro cittadino era collegato a un fitto sistema di borghi e di villaggi rurali, con proprietà private e agro pubblico del popolo romano affidato alla comunità dietro pagamento di un tributo.

Anche alla giurisdizione di Libarna l'alleanza con Roma imponeva la fornitura di contingenti militari su richiesta del governo centrale, tanto più che nel I secolo d.c. fu eretta a colonia, raggiungendo ricchezza e bellezze architettoniche. 

RICOSTRUZIONE DELLE PORTE DELLA CITTA' ( by http://linelab.com/PROVE/libarna/ )

IL MUNICIPIUM

Il nome Libarna compare in diversi fonti antiche, quali Plinio, l'Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana che ne testimoniano l'origine preromana. In epoca romana mantiene la funzione di punto strategico lungo la via Postumia, con un movimenti di merci da Genova ad Aquileia.

LIBARNA
Tra il II ed il I sec. a.c., l'apertura della via Postumia, che collegava il porto di Genova con la pianura padana, e la concessione della cittadinanza, prima latina e poi romana a municipium, dettero luogo ad una pianificazione urbanistica programmata, come l'attuale e ancora riconoscibile impianto urbano, che segue l'orientamento della via consolare. Le prime testimonianze archeologiche dell'urbe Libarna sono tra la metà e la fine del I sec. a.c.

Nel 49 a.c. la città divenne municipium e fu iscritta nella tribù Maecia. Il potere decisionale passò nelle mani del senato locale costituito dai decuriones, proprietari terrieri aristocratici, che dovevano un'età non inferiore ai 25 anni e un censo di almeno 100.000 sesterzi. I principali magistrati erano i quattuorviri, eletti annualmente e distinti in due coppie: i "duumviri iure dicundo" con poteri giurisdicenti, competenze amministrative, e giudizi in ambito penale; i "duumviri aediles", invece, si occupavano dell'approvvigionamento cittadino, al controllo dei commerci, manutenzione di strade ed edifici, e all'allestimento di giochi pubblici. Le attività finanziarie erano affidate ai quaestores. Ogni magistrato era coadiuvato da funzionari, segretari e scribi.

Nell'età romana imperiale  Libarna raggiunse il massimo splendore e la massima densità urbanistica.
Pur mancando notizie certe sugli edifici di culto nella città, e non avendo ancora scavato abbastanza nel sito, dalle iscrizioni votive ritrovate si desume che i cittadini di Libarna erano devoti a Giove, Diana, Ercole. Di certo a Libarna esistevano templi, altari e sacella dedicati a varie divinità, maggiori o minori, il cui culto si affiancava a quello imperiale che peraltro è attestato..

L'intenso scambio commerciale fa supporre la presenza in città di strutture ricettive come alberghi e locande provvisti di adeguati stallaggi. Non saranno mancate nemmeno officine per bardature e finimenti in metallo e altre di sellai e di carradori.

LA STRADA ACCANTO L'ABITATO

L'ECONOMIA

Situata in una zona molto fertile, la zona praticava la viticoltura e la produzione del vino, il taglio e il mantenimento dei boschi per lo sfruttamento del legno, e l'allevamento del bestiame. Tra le altre attività vi troviamo la produzione della ceramica e l'industria laterizia. 



 IL SISTEMA IDRAULICO 

L'approvvigionamento idrico della città derivò all'inizio da pozzi e fontane, come è emerso dagli scavi archeologici, anche se attualmente non sono tutti visibili. Con l'espansione della città e la costruzione di edifici pubblici, quali il teatro e l'anfiteatro, l'approvvigionamento non fu più sufficiente per cui si edificò un acquedotto che, dalla valle del rio Borlasca, seguendo la valle Scrivia, portava acqua in città.
 
I Romani avevano una grande, anche se empirica, conoscenza dei sistemi idraulici, Infatti l'acquedotto di Libarna presenta uno dei più lunghi tracciati in Piemonte, tanto più complesso per la morfologia del terreno e per l'ubicazione delle sorgenti. Il condotto sorgeva dalla vallata del rio Borlasca, in località Pietra Bissara, zona ricchissima di sorgenti, in un percorso discendente che costeggiava la parete montuosa sino al torrente Scrivia, da dove, seguendo la sponda sinistra del fiume, giungeva a Libarna.

L'utilizzo pubblico dell'acqua si riguardava principalmente le fontane pubbliche e gli impianti termali forniti dallo stato a disposizione dell'intera cittadinanza, che ne poteva fruire liberamente e a titolo del tutto gratuito.

In età repubblicana, solamente l'acqua in eccedenza sulle necessità pubbliche veniva destinata all'impiego da parte dei privati. Di solito soltanto le abitazioni appartenenti agli esponenti dei ceti più ricchi erano dotate di impianti di acqua corrente: i cittadini comuni si rifornivano invece presso le fontane pubbliche, in genere una in ogni piazza o angolo di via e pure da vari pozzi scavati nel cortile al centro di vari isolati.

Libarna godeva inoltre di una vera rete fognaria basata su di un sistema di collettori interrati che raccoglievano le acque reflue per scaricarle nel torrente Scrivia: nei pavimenti di molte stanze si può osservare la canaletta che raccoglieva le acque di scarico per riversarle nella condotta fognaria.

Con la decadenza dell'impero romano, e soprattutto in seguito alle invasioni barbariche, i commerci decrebbero a partire dal III sec. d.c., e altrettanto la popolazione. Venne definitivamente abbandonata nel 452 del IV sec., quando gli abitanti lasciarono le case ormai insicure, rifugiandosi sulle colline circostanti, aggregandosi alle comunità esistenti o fondandone di nuove, quali Precipiano, Serravalle e Arquata.

Ne resta però un piccolo villaggio che perdura nell'alto medioevo nell'area del rio della Pieve come si evince da sepolture a inumazione del VII-VIII sec., ma forse era solo un cimitero, da resti di arredo liturgico della II metà VIII sec., provenienti dall'antica pieve, il che presuppone un centro, forse ricostituito, e da una fornace per ceramica del IX-X sec..

Ricordata ancora in alcuni documenti del Monastero di Precipiano e del catasto di Varinella del 1544, se ne perdette ogni memoria, divenendo incerto perfino il luogo della sua ubicazione. Venne peraltro identificata dal Settecento con varie località del bobbiese e del tortonese

Libarna venne riscoperta nel XIX secolo in occasione dei lavori per la costruzione della Strada Regia dei Giovi (1820-1823) e della ferrovia Torino-Genova (1846-1854). Le indagini archeologiche hanno in seguito riportato alla luce resti di edifici monumentali e quartieri di abitazioni, grazie ai quali è stato possibile ricostruire l'assetto urbano del sito.



GLI SCAVI

La scoperta dell'antica Libarna avvenne casualmente, durante i lavori della cosiddetta strada regia (odierna Strada statale 35 dei Giovi) destinata a collegare Genova, da poco entrata nel Regno di Sardegna, con la capitale Torino, a partire dal 1820, quando scavando emersero diversi reperti romani.

Sono stati riportati alla luce due quartieri in prossimità dell'anfiteatro, di 60x65m di lato, l'anfiteatro e il teatro. I reperti di scavo sono stati accolti nel Museo di Antichità di Torino, con pregevoli pavimenti musivi, marmi, bronzi e ambre figurate.

La città sorgeva su un terreno pianeggiante, ricco di sorgenti e circondato da colline. Oltre alla via Postumia, altro asse principale era il decumano che, orientato da Sud-Ovest a Nord-Est, conduceva all'anfiteatro. Le strade dividevano la città in tanti spazi quadrati, ma di dimensioni differenti. Esse erano lastricate, rettilinee con collettori di scarico convogliati verso l'odierno Rio della Pieve.

Nel punto di incontro tra le due principali vie, sorgeva il foro, grande piazza lastricata su cui sorgevano portici ed edifici, ed è stato, finora, solo parzialmente esplorato. Le terme erano situate nell'estremo settore Nord-Est e verso il limite settentrionale sorgeva il teatro.

Il cardine massimo della città aveva orientamento nord-sud e il decumano massimo ovviamente est-ovest, affiancati parallelamente da cardini e decumani minori. Il tracciato del cardine massimo coincideva con la via Postumia. L'ampiezza e la pavimentazione della carreggiata variavano conl'importanza della strada, così i due assi principali erano ampi circa 14 m il cardine massimo e 10 m il decumano massimo, mentre la larghezza delle vie secondarie era compresa tra 9 e 5 m.

Le strade principali, destinate anche al traffico pesante, erano selciate a larghi blocchi, o lastricate con blocchi di arenaria di Serravalle, le altre ad acciottolato di fiume; la sede stradale era lievemente convessa. Le strade principali erano fiancheggiate da canalette per far defluire l'acqua piovana.
Sulla carreggiata sono ancora visibili i solchi lasciati dai carri. Lungo le strade urbane erano disposti pozzi e fontane ad uso pubblico, latrine ed edicole votive, dei quali si sono trovate numerose tracce e resti.

Il decumano massimo, largo circa 10 m, collegava l'anfiteatro con il foro, nel punto di incontro con il cardine massimo. Il decumano era lastricato in basoli di pietra e dotato di marciapiedi. Lungo questo tratto del decumano, che traversava gli isolati del quartiere dell'anfiteatro, si apriva un quartiere con abitazioni e botteghe.

Anche se le successive indagini archeologiche, condotte dalla Soprintendenza del Piemonte sotto la guida di Pietro Barocelli, hanno messo in luce buona parte dell’impianto urbano con edifici pubblici e privati, l’attuale area archeologica, protetta fin dal 1924 dal vincolo archeologico, coincide solo con una minima parte della città antica.

IL TEATRO

IL TEATRO

Nel settore nord-orientale di Libarna sorgeva il teatro, edificato fra il I e il II sec. d.c.. secondo le prescrizioni vitruviane, connesse al fenomeno della propagazione dei suoni, di cui si teneva massimamente conto nella scelta del sito, con una cavea che poteva ospitare sino 3.800 spettatori.

Il teatro venne costruito in parte su un terrapieno di riporto, con una muratura a sacco, rivestita da un paramento murario di tipologie differenti. L'elevato aveva sicuramente, come usava all'epoca, un duplice ordine architettonico, per un'altezza di circa 15 m.

RICOSTRUZIONE
L'ambulacro porticato esterno era costituito da 22 arcate con basi in arenaria su cui poggiavano i pilastri. All'interno si aprivano l'ingresso principale, in linea con l'orchestra, e 6 ingressi laterali. Quattro erano in corrispondenza dei corridoi di accesso che conducevano alle gradinate del secondo ordine di posti (vomitoria) e 2 ai lati dell'ingresso principale, che si allargava centralmente, creando uno spazio circolare.

Caratteristiche del teatro di Libarna sono la cavea e l'orchestra, che presentano dimensioni leggermente maggiori rispetto a quelle ordinarie, considerando le proporzioni posti a sedere e capacità ospitative. La cavea aveva infatti un diametro di 35 m. I corridoi d'ingresso laterali (parodoi), tendevano a restringersi verso l'interno.

Le fondazioni della scena, appaiono evidenti così come erano all'epoca. Si notano i fori di alloggiamento dei meccanismi di movimento del sipario e un sostegno, ancora in sito, di uno dei travi che sostenevano l'impalcato.

Il portico, che delineava una vasta area rettangolare che si sviluppava dietro la scena (porticus post-scaenam) era destinato al passeggio degli spettatori, ed è stato cancellato dall'ignoranza e dalla costruzione dei binari ferroviari. Sono visibili resti delle fondazioni nella parte sud dell'edificio.

La cavea, sormontata dal settore di galleria, era suddivisa in ventisei file di gradoni, ripartiti in due ordini di posti. La scena, di altezza pari a quella della cavea per ottenere una resa acustica ottimale, doveva essere costituita da vari ordini di colonne e decorata da marmi pregiati, rinvenuti in grande quantità nei pressi dell'edificio.

Il portico aveva un'ampiezza di 7 m ed era intervallato da esedre. Gli spazi colonnati adiacenti alla scena avevano la funzione di riparo per gli spettatori e il giardino centrale, decorato da piante ed alberi, aveva al centro uno spazio pavimentato a ciottoli, forse la base di una fontana, come si riscontra di frequente nei teatri romani.

Il teatro era destinato alla rappresentazione di tragedie, spettacoli di mimi e commedie. Nel corso degli scavi sono stati rinvenuti elementi architettonici decorativi, marmi preziosi di rivestimento e intonaci dipinti, che fanno supporre un elevato livello artistico dell'edificio, nonchè il lavoro di artigiani qualificati come maestranze e come manodopera. 


Il teatro fu purtroppo soggetto ad anni di spogliazioni e scavi incontrollati e l''attuale collocazione tra due linee ferroviarie (che l'hanno pure mutilata) impedisce di apprezzarne appieno la monumentalità. Della struttura originaria manca il portico post scenam, cancellato dalla sede dei binari ferroviari.

Sono visibili le fondazioni degli ingressi, uno centrale principale, affiancato da sei secondari. Davanti all’orchestra, dotata di tre ingressi, si notano ancora i resti delle fondazioni della scena, un avancorpo rettilineo con sei pozzetti quadrati in mattoni sesquipedali in cui alloggiavano i meccanismi per tendere il sipario.

L'ANFITEATRO PRIMA DEI SCAVI SOTTERRANEI

L'ANFITEATRO

L'anfiteatro di Libarna è databile alla metà del I sec. d.c., e sarà in uso fino alla I metà del IV sec. d.c., quando il cristianesimo proibì gli spettacoli forieri di peccato. Stranamente non sorgeva in area extra-urbana, come nella maggior parte delle città romane, ma al limite orientale dell'urbe, in asse con il decumano massimo e con il foro. Di forma ellittica leggermente schiacciata venne costruito a terrapieno (accumulo di terreno e pietrame realizzato artificialmente) per questioni di economia.

L'anfiteatro, all’interno del perimetro cittadino, ma ai margini dell’abitato ed in posizione scenografica al termine del decumano massimo, occupava lo spazio di due interi isolati. Anche se è conservato al solo livello di fondazione, è percepibile la sua monumentalità dalle dimensioni dell’ellisse, in origine contenuta entro un recinto rettangolare delimitato da portici.

I SOTTERRANEI DELL'ANFITEATRO
Oltre alla porta monumentale di accesso, in corrispondenza del decumano massimo, un agevole accesso degli spettatori alle gradinate interne era consentito da dodici corridoi secondari. Si è ipotizzato che l’elevato comprendesse due ordini, uno ospitante le gradinate per i posti a sedere, l’altro un loggiato con posti in piedi. Nel restauro eseguito tra il 1968 ed il 1972, vennero messi in luce l’ambulacro e la sala ipogea, ambienti di servizio sotterranei all’arena.

Risalente all'età di Claudio (41-54), accoglieva i giochi pubblici: ludi gladiatori e  venationes (spettacoli di caccia piuttosto cruenti). L'anfiteatro doveva attirare molta gente dei territori vicini, dal momento che le gradinate dell'anfiteatro, oggi scomparse, potevano ospitare circa 8.000 spettatori.

Infatti all'epoca del suo massimo splendore, la città fu probabilmente popolata da un numero consistente di abitanti, che potrebbe oscillare dai quattro ai settemila, ma certamente non abbastanza per riempire almeno una congrua parte dell'anfiteatro.

La cavea, come già scritto, poggiava su un terrapieno di riporto, ottenuto dallo scavo dell'arena e sorretto da muri di contenimento radiali. Tutto materiale reperito sul posto e quindi di spesa limitata.
L'accesso ai vari ordini di posti avveniva tramite corridoi di accesso (vomitoria) e scale, oggetto di spoglio come quasi tutte le opere romane antiche, per cui ne restano solo le fondazioni.


L'arena (66,40 x 38,20 m) era delimitata da un podio, alto circa due m, che poggiava su uno zoccolo in arenaria ed era rivestito da lastre di marmo. L'accesso dall'esterno avveniva sul lato occidentale, in corrispondenza del decumano massimo, attraverso una porta monumentale probabilmente incorniciata da colonne corinzie.

I quattro accessi all'arena si aprivano in corrispondenza degli assi dell'ellisse, e di alcuni di essi sono ancora visibili i gradoni in pietra. Sotto l'arena erano stati ricavati gli ambulacri e i vani ipogei, coperti da volte a botte, mentre l'ambiente centrale era costituito da una grande sala con esedre.


L'anfiteatro occupava lo spazio di due isolati ed era inserito all'interno di una piazza recintata (platea), quasi tangente all'edificio sui lati lunghi; sembra che il lato settentrionale fosse aperto e porticato, per collegare la piazza con le terme.

La muratura perimetrale era ornata sul lato esterno da lesene, mentre il cornicione e le basi delle colonne erano in arenaria.  La facciata dell'edificio non aveva un ambulacro esterno porticato e si sviluppava in due ordini, per un'altezza di oltre 9 m.

La cavea era suddivisa in due ordini di posti, con undici gradinate in arenaria per posti a sedere e da un loggiato per i posti in piedi, coperto da un tetto a doppio spiovente. Il podio e il muro che delimitavano l'arena erano lastricati in marmo bianco, come dimostrano i frammenti di lastroni superstiti. In base ai rapporti dimensionali tra lo sviluppo dell'edificio e l'altezza dei gradoni, è stata ipotizzata una capienza di oltre 7.000-8000 spettatori.

Come nelle altre città romane, a Libarna nell'anfiteatro si svolgevano ludi gladiatori, raffigurati anche su una lastra decorata di piombo ritrovata nella vicina Arquata Scrivia, che attiravano spettatori dalle campagne e dalle valli circostanti.

RICOSTRUZIONE DELLA VIA CHE PORTAVA ALL'ANFITEATRO CON LE ABITAZIONI

LE ABITAZIONI

Gli isolati del quartiere dell'anfiteatro vanno dalla fine del I sec. a.c. e gli inizi del IV sec. d.c., con diversi interventi che in parte modificano la planimetria e l'articolazione interna degli ambienti.

All'impianto originario (fine I sec. a.c.) degli isolati libarnesi, dopo la costruzione dell'anfiteatro, a partire dalla II metà del I sec. d.c., seguono diverse fasi di ristrutturazione durante le quali le abitazioni (domus) di maggiori dimensioni sono frazionate in più unità abitative e vengono arricchite da nuovi mosaici di notevole livello estetico ed esecutivo.

In molte case si aprono delle botteghe (tabernae), indizio di un nuovo impulso commerciale e produttivo di questo quartiere della città.  Le abitazioni, separate dal passaggio del decumano massimo, documentano differenti tipologie di domus: ad atrio, ad atrio e peristilio e a cortile.

Le abitazioni private (domus), sono costruite a partire dalla fine del I secolo a.c., in genere costituite da diversi ambienti disposti attorno ad un cortile porticato (peristilio) centrale, su cui si affacciano la sala da banchetto (triclinium), l’atrio e le stanze da letto (cubicula). E’ stato ipotizzato che questi isolati facessero parte di un quartiere periferico e popolare, molto vivace in quanto legato alla vita dell’anfiteatro. Una conferma giunge dalle molte botteghe poste lungo la strada e anche da una locanda (taberna o coupona).

Alcune domus, invece, hanno una grande planimetria e ricchezza degli apparati decorativi. Si sono rinvenuti frammenti di pavimenti in lastre di marmo (opus sectile), oltre ad un mosaico di grandi dimensioni rappresentante il mito di Licurgo e Ambrosia. I più significativi tra i materiali archeologi recuperati sono attualmente esposti presso l’Area Museale di Libarna, ospitata nel Palazzo comunale di Serravalle Scrivia.

Dei 40 isolati (insulae), di cui si componeva il tessuto urbanistico, attualmente sono visibili solo i resti di due, all’angolo nord- orientale ai lati del decumano massimo. Il percorso del decumano si conclude in corrispondenza del più imponente degli edifici pubblici messi in luce, l’anfiteatro. Anche il teatro occupa una posizione periferica rispetto al centro abitato come spesso accade nelle città romane dove gli edifici per spettacoli, fonte di rumore e disturbo, erano spesso collocati ai margini del perimetro cittadino.

Nell’isolato a Nord esistevano presumibilmente due abitazioni piuttosto grandi, a pianta pressoché quadrata (61 x 59,20 metri), che hanno subito diversi rimaneggiamenti, compresa la trasformazione del lato nord in ambienti termali.

Tuttavia si è potuta ricostruire la posizione del triclinium (la stanza da pranzo) e riposizionarvi il bellissimo pavimento decorato: tra due fasce di mosaici a disegno geometrico in bianco e nero campeggia un mosaico del II secolo d.c. di grandi dimensioni che rappresenta Ambrosia aggredita dal re Licurgo e trasformata in vite da Dioniso che la vuole porre in salvo.

MOSAICO DEL TRICLINIUM

Mosaico del triclinio

Un esempio dell'elevato livello di finitura delle abitazioni edificate a Libarna è fornito dal mosaico del triclinium (seconda metà del II sec. d.c.), presente nel primo isolato, oggi riposizionato nella sua sede originaria dopo un complesso intervento di restauro.

Incorniciato da due fasce a tessere di colore nero, è composto da una scena figurata compresa tra due tappeti a decorazione geometrica, una a spigoli, inferiore e una a tondi, nella parte superiore. La scena centrale, policroma, rappresenta il mito di Licurgo e Ambrosia, chiaro riferimento simbolico alla funzione del triclinio: la ninfa, aggredita da Licurgo, viene salvata da Dioniso che la trasforma in vite, i cui tralci soffocheranno il re.


La raffigurazione superiore a cerchi è incorniciata da un motivo a treccia che prosegue la parte superiore del mosaico, in tessere policrome, con una decorazione geometrica intorno a un tondo centrale, collegato ad esagoni a lati curvilinei e a stelle a quattro punte ogivali.

La parte inferiore del mosaico, a tessere bianche e nere, è costituita da motivi a quadrati e triangoli posti in fasce verticali alternate e intersecantesi. Il mosaico è realizzato con tessere molto piccole che permettono precisi particolari e sfumature di colore. Un pavimento pregiato per il triclinium di una grande domus ad atrio e peristilio.




LE TERME

Ubicate tra il quartiere dell'anfiteatro e il teatro sono stati rinvenuti i resti di una costruzione identificata con le terme. che occupavano la superficie di quattro isolati.
Nello stesso quartiere vi era una fullonica dove si tinteggiavano le stoffe.



EPIGRAFIA

La maggior parte delle iscrizioni di Libarna si colloca fra il I e il II secolo.

- Nell'iscrizione (CIL V 7427) è ricordato tale Caius Atilius Bradua, appartenente alla famiglia degli Atilii, una delle più influenti a Libarna, che a proprie spese, "pecunia sua", finanziò la lastricatura del foro e fece costruire un edificio, forse il teatro.
 - Alla medesima famiglia apparteneva anche Cnaeus Atilius Serranus, che fu flamine augustale e forse anche patrono della colonia.
- Considerato il suo cognome greco, era probabilmente un liberto della stessa gens il Marcus Atilius Eros, che rivestì la carica sacerdotale di sèviro augustale a Dertona e a Libarna. Per essere ammessi nel collegio dei seviri occorreva versare una tassa, il che sarebbe indizio del possesso da parte di Marco Atilio Eros di capacità economiche non trascurabili.
- L'eques Quintus Attius Priscus (CIL V 7425), esponente dell'aristocrazia locale che ricoprì svariate magistrature e cariche religiose di prestigio. Appartenente alla tribù Maecia, egli fu edile, duumviro quinquennale, flàmine augustale, pontefice e prefetto dei fabbri, ossia comandante del genio. Fu inoltre prefetto di coorti ausiliarie di leva locale: la I Hispanoum, la I Montanorum e la I Lusitanorum.
In seguito al Bellum Suebicum ("guerra contro gli Svevi") del 97 voluto da Nerva, cui prese parte in qualità di tribunus militum della Legio I Adiutrix, l'imperatore gli conferì prestigiosi dona militaria: corona aurea, hasta pura, vexillum. La sua notevole carriera equestre culminò nel comando, in veste di prefetto, dell'Ala I Augusta Thracum, un reggimento di cavalleria ausiliaria.
- Materiale epigrafico relativo a Libarna è stato rinvenuto anche in val Borbera: in una lapide tombale ritrovata nel 1850 a Borghetto (CIL V 7432) è attestata la presenza in città della gens Iulia e della gens Livia.
- Un'ara rinvenuta a Roccaforte Ligure nel 1822 (CIL V 7423) testimonia invece il culto delle Matrone, divinità di origine gallica venerate ancora in età romana, alle quali l'altare fu dedicato libens merito: oggi si direbbe "per grazia ricevuta".



NUMISMATICA

Vari reperti numismatici che documentano una continuità vitale della città in epoca imperiale, monete emesse col nome di personaggi diversi dall'imperatore, in base alla consuetudine del princeps, iniziata con Augusto, di celebrare i propri familiari. Oltre a molti nominali di Augusto (fra il 23 a.c. e il 17 d.c.), molte monete dell'età giulio-claudia (14-54) attesterebbe un periodo di intensi scambi commerciali per il centro urbano, mentre scarsi sono gli esemplari di epoca repubblicana.



SCULTURA

- Frammentari esempi di statuaria di piccole dimensioni destinati alla decorazione, soprattutto di carattere privato,
- Alcuni bronzetti ritraenti figure sacre.
- Molti gli oggetti ornamentali in ambra, agata e diaspro, con significati religiosi e apotropaici per i loro poteri magici, protettivi e curativi,
- Svariato il vasellame in ceramica, vetro e bronzo,
- Molte lucerne per l'illuminazione domestica e dei luoghi di culto, ma anche come corredo funebre.
- Chiavi in ferro,
- Vari tintinnabula (campanelli metallici legati a credenze magico-apotropaiche),
- Ami e arpioni da pesca.
- Orcioli,
- Piatti,
- Pentole da cucina,
- Parti di anfore d'importazione ispanica da vino,
- Turibula, bracieri o incensieri per cerimonie propiziatorie.
- Vari tipi di sonde, spatole atte a mescolare unguenti,
- Aghi per la sutura e pinze di attrezzatura chirurgica,
- Una trottola di legno con inserti in bronzo, pedine e dadi,
- Fusi in legno e in osso per la filatura e frammenti di telaio,
- Decorazioni in pasta vitrea e in perle; spilloni in argento, osso o bronzo usati per trattenere i capelli; - Piccoli contenitori in vetro,
- Alcuni specchi,
- Fibulae in bronzo, fibbie per lo più del tipo a cerniera d'epoca augustea e tiberiana.



SALA ESPOSITIVA DI SERRAVALLE SCRIVIA

I reperti archeologici provenienti dagli scavi di Libarna sono in parte conservati in collezioni private ed in parte custoditi presso il Museo di Antichità di Torino e il Museo di Archeologia Ligure di Genova Pegli.

Soltanto alcuni reperti sono rimasti a Serravalle Scrivia e sono oggi esposti nella Sala Espositiva che ha sede al piano terreno del Palazzo Municipale, in via Berthoud 49.

Una visita a questo spazio espositivo, allestito nel 2006 e corredato da precise didascalie, si rivela di grande interesse per chi abbia visitato la zona archeologica e voglia arricchire la sua conoscenza della vita quotidiana nell'antica città romana.

I frammenti architettonici consentono infatti di figurarsi gli edifici di cui si sono conservati i resti completi del loro apparato decorativo. Del resto la fontana fa riflettere sul ruolo fondamentale che l'acqua doveva avere nel II secolo d.c. Gli oggetti d'uso quali vasellame da mensa e lucerne permettono di immaginare come doveva essere la vita di ogni giorno in quel tempo lontano.

Le vetrine della prima parte della sala contengono i circa 60 pezzi della collezione raccolta dal canonico novese Giovanni Francesco Capurro e oggi proprietà dell'Accademia Filarmonica Artistico Letteraria di Novi Ligure, concessi in comodato d'uso al Comune di Serravalle Scrivia, il quale dopo averli restaurati ne ha curato l'allestimento.

La Collezione raccoglie materiali di pregio, databili ai primi secoli dell’Impero, testimoni della ricchezza della città romana di Libarna.

Di notevole interesse, tra i reperti proposti al visitatore, si segnalano la grande epigrafe dello scrivano Catius Martialis, datata al II secolo d.c., e la parte centrale di un pinax: il termine, che deriva dal greco πίναξ, che significa tavoletta dipinta, appesa come ex voto alle statue delle divinità, alle pareti dei santuari o agli alberi sacri, indica una lastra di ma rmo decorata su un lato con la testa di Pan e sull'altro con quella della Gorgone.

Insieme ai numerosi frammenti lapidei e fittili di capitelli, fregi decorativi, cornici e partiture architettoniche sono esposte anche due anfore integre e un'ansa contrassegnata da un bollo ancora non identificato.v

Nella seconda parte della sala trovano posto i reperti di proprietà Statale, concessi in deposito temporaneo, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, al Comune di Serravalle Scrivia. Nelle vetrine sono esposti alcuni esempi di vasellame da mensa in ceramica, lucerne fittili, una fontana decorata con motivi marini e due piccole erme.

Notevole è poi il frammento di pavimentazione in opus sectile realizzato nel II secolo d.c., con pregiati materiali marmorei: l'emblema costituiva certamente la decorazione della parte centrale di una raffinata sala.

Nella visita allo spazio espositivo, l'ospite è accompagnato da una serie di pannelli informativi e tavole illustrate, relative alla descrizione dei reperti esposti ed alla vita quotidiana degli antichi abitanti di Libarna. Un viaggio reso ancora più coinvolgente da una suggestiva illuminazione delle sale e delle teche, e dalla audio diffusione dei "suoni" senza tempo dell'antica città.


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