VILLA DELL'IMPERATORE VITELLIO |
« Non vi fu città, non vi fu nazione, che fra mille favole non involvesse la propria fondazione ed origine, per renderla più celebre e famosa. (...) Ha l'Ariccia anch'essa la sua fondazione favolosa ripetendola da Ippolito figliuolo di Teseo re d'Atene. (...) »
(Emanuele Lucidi, Memorie storiche dell'antichissimo municipio ora terra dell'Ariccia )
Si deve al poeta latino Publio Ovidio Nasone la diffusione della leggenda secondo cui Aricia sarebbe stata fondata da Ippolito, figlio del mitico re di Atene Teseo, accolto dalla Dea Diana nel suo bosco sacro tradizionalmente identificato sui Colli Albani attorno all'attuale lago di Nemi: la città avrebbe preso il nome dalla moglie di Ippolito.
Un erudito del Seicento, Filippo Cluverio, fece risalire la fondazione della città fino al 2752 a.c. basandosi sulla cronologia del mito; oggi si tende a collocare la prima urbanizzazione del sito di Aricia intorno al X o IX sec. a.c..
Il periodo di massima importanza della città fu quello tra la fine dell'età regia di Roma (509 a.c.) e la battaglia del lago Regillo (499 o 496 a.c.): è probabile che venisse insediato in questi anni nel territorio di Aricia il celebre santuario di Diana Aricina. Nel 504 a.c. la città si oppose ad un assedio da parte degli Etruschi guidati da Porsenna, che furono sconfitti con l'aiuto di Cuma nella battaglia di Aricia.
RUDERI DELLA VILLA DI VITELLIO |
La leggenda racconta dunque che l'antica città latina di Aricia venisse fondata dal figlio del fondatore di Atene Teseo, Ippolito. Questi, vittima dell'amore incestuoso della madre Fedra, dovette allontanarsi da Atene per sfuggire all'ira del padre, e la Dea Artemide lo condusse, secondo Ovidio, nella selva ariccina, cambiandogli nome in Virbio. Virbio avrebbe sposato in seguito una donna chiamata Aricia che diede il nome alla città appena fondata.
Gaio Giulio Solino, storico romano del III secolo, nei suoi Collectanea rerum memorabilium, anche noti come Polyhistor, afferma che Aricia venne fondata dal comandante siculo Archiloco, dal cui nome sarebbe venuto il toponimo della città.
MURA DI ARICIA |
- il geografo greco Strabone la pone a 160 stadi da Roma; uno stadio era pari a 625 piedi, pari a 185 metri (29.600 m cioè circa 3 km). Sembrerebbe poco credibile.
- l'Itinerarium Antonini la pone al miglio XVI della via Appia;
- l'Itinerario Gerosolimitano al miglio 14;
- la Tabula Peutingeriana al miglio 13;
- Dionigi d'Alicarnasso dopo miglio 15;
- infine Emanuele Lucidi afferma che la moderna Ariccia sia sita al miglio 12 della via Appia.
L'abitato di Aricia si estendeva nella parte sottostante l'attuale Ariccia, lungo l'antico tracciato della via Appia in Vallericcia, fino alle propaggini di Monte Gentile in prossimità dell'odierno cimitero di Ariccia. Il Lucidi, citando altri studiosi, ipotizza che l'abitato antico si estendesse tra il miglio 14 ed il 16, ai lati della via Appia, e che al miglio 16 fosse ubicato il nemus Dianae, ovvero il santuario di Diana Aricina con l'attiguo bosco sacro, davanti al quale si trova un lago assai profondo, luogo di culto rinomato e di una lega di Latini.
Aricia faceva parte della Lega Latina. Si narra che al tempo di Tarquinio il Superbo, il delegato aricino all'assemblea della Lega, Turno Erdonio, osò opporsi al volere del re di Roma e per questo venne fatto affogare in un fosso nel 510 a.c.
VILLA DI VITELLIO |
L'esercito aricino alleato con l'esercito greco di Cuma vinse la battaglia di Aricia contro l'esercito etrusco del figlio del lucumone di Chiusi Porsenna, Arunte; nel 338 a.c., infine, disciolta definitivamente la Lega Latina, Aricia ottenne la piena cittadinanza romana.
Il territorio aricino fu attraversato a partire dal 312 a.c. dalla via Appia Antica, la "regina viarum", voluta dal censore Appio Claudio Cieco come collegamento diretto tra Roma e Capua, porta della Campania.
In seguito la strada fu migliorata (il tratto di una ventina di chilometri tra Roma e Bovillae fu pavimentato in "saxum quadratum" nel 293) e prolungata fino a Benevento e poi a Brindisi, porta della Grecia.
In età imperiale venne costituendosi, lungo la Via Appia, la grande città di Aricia, ricca di templi, terme, fori ed edifici pubblici, il cui territorio, esteso fino al Tempio di Diana Aricina Nemorense, sulle rive del Lago di Nemi, si riempì di sontuose ville, delle quali ancora oggi esistono numerosi resti.
Ricordiamo la villa dell'Imperatore Vitellio (69 d.c.) di cui, oltre ai resti di un ninfeo, sopravvivono ancora le vestigia di alcuni cisternoni che alimentavano la villa, la cui estensione doveva abbracciare un territorio di molti ettari, come documentano ritrovamenti effettuati nelle zone vicine.
La decadenza della città è probabilmente da collocare dopo il sacco di Roma del 410 da parte dei Visigoti di Alarico, anche se la vita cittadina continuò fino alla metà del V sec.: il colpo definitivo alla città fu rappresentato dalle incursioni dei Saraceni, iniziate nell'846 e terminate solo nel 916.
SIMON MAGO
Lo scrittore cristiano Egesippo (II sec.) è stato il primo ad affermare che ad Aricia morì Simon Mago, considerato "il primo degli gnostici":
« E subito, inceppato il remare delle ali, che aveva preso, crollò alla voce di Pietro: e non morì, ma con la gamba fratturata, e debilitata si allontanò verso Aricia, e li morì. »
(Egesippo, Storia degli atti ecclesiastici)
La Gnosi era una forma speciale di conoscenza religiosa, che non procede dall'esperienza né da principi o postulati, ma si realizza come dono divino, rivelata agli adepti mediante una sorta di illuminazione interiore, al termine di un percorso, spesso misterico, che garantisce il raggiungimento della salvezza spirituale solo a pochi iniziati.
Questo personaggio, menzionato negli Atti degli Apostoli (8, 9-25), secondo la tradizione affrontò san Pietro in una gara di levitazione a Roma, cadendo tuttavia miseramente al suolo; gravemente ferito, pare che i suoi seguaci lo portassero ad Aricia, prima statio lungo la via Appia, dove morì e venne sepolto.
(Egesippo, Storia degli atti ecclesiastici)
RESTI DELLA VILLA DI VITELLIO |
La sepoltura di Simon Mago ad Ariccia, è attestata dall'arciprete Mattia Sorentini nella sua Storia manoscritta di Ariccia:
« Conservo presso di me una parte, o un frammento marmoreo del sepolcro, nel quale fu sepolto Simon [Mago], nell'orticello alberato attiguo alla casa, che possiedo in Ariccia. »
(Mattia Sorentini, Storia dell'Ariccia, in Emanuele Lucidi, Memorie storiche dell'illustrissimo municipio ora terra dell'Ariccia, e delle sue colonie di Genzano e Nemi, parte II cap. I, p. 319.)
IL NINFEO (Fonte)
" Ci si passa davanti una, due, tre, quattro, infinite volte, ma sempre invisibili rimangono; poi in un giorno di luglio i raggi di sole filtrano tra la vegetazione squarciata dalla storia e d’amble’ l’opus reticolatum spicca dalla curva lasciando a vista quello che gli studiosi hanno identificato come il ninfeo della villa di Vitellio.
Siamo ad Ariccia, in via Damiano Marinelli, sulla strada, quindi che collega via delle Cerquette a via del Bosco a due passi dal Palaghiaccio e a pochi metri di distanza dal liceo James Joyce. Il sentiero asfaltato, costruito intorno agli anni ’80, taglia in due una delle tante ricche aree archeologiche dei Castelli Romani e mostra timidamente alcune preesistenze.
A stabilire che quei ruderi appartengono alla villa e’ la grande estensione dei fabbricati identificati alla metà dell’Ottocento dall’architetto Pietro Rosa. Un concatenarsi di murature realizzate in opera reticolata che si articolavano anche su via del Bosco Antico e che oggi, purtroppo, sono state sostituite dal cemento.
« Conservo presso di me una parte, o un frammento marmoreo del sepolcro, nel quale fu sepolto Simon [Mago], nell'orticello alberato attiguo alla casa, che possiedo in Ariccia. »
(Mattia Sorentini, Storia dell'Ariccia, in Emanuele Lucidi, Memorie storiche dell'illustrissimo municipio ora terra dell'Ariccia, e delle sue colonie di Genzano e Nemi, parte II cap. I, p. 319.)
Difficile credere che uno gnostico si esibisse in una gara di bravura come un imbonitore da piazza. Anche in India i cosiddetti maestri levitano o si arrampicano su una fune che è sospesa in cielo. Ciò non ha a che vedere ovviamente con alcuna forma di spiritualità.
Il sarcofago marmoreo attribuito a Simon Mago era dunque esposto nella recinzione dell'orto dell'abitazione dell'arciprete, quando il duca Bernardino Savelli vi fece apporre sopra la seguente lapide:
Tuttavia, per lo storico e canonico ariccino Emanuele Lucidi il sepolcro, "di ottima scultura", sarebbe in realtà opera posteriore al I sec.
LA CITTA'
Aricia si sviluppava sia sul colle dell'Ariccia moderna che immediatamente ai piedi del colle, nella pianura vulcanica di Vallericcia.
(LA) « FRAGMENTUM LAPIDIS SEPULCRALIS IN QUO SEPULTUS OLIM AD ARICIAM SIMON MAGUS POSTAQUAM ROMAE DECIDIT SANCTI PETRI VOCE PRECIBUSQUE DEIECTUS BERNARDINUS SABELLUS ALBANI PRINCEPS ARICIAE DUC S.R.E. PERPETUUS MARESCIALLUS CONCLAVIQUE CUSTOS AD ILLUSTRANDUM PRINCIPIS APOSTOLORUM VICTORIAM DE MAGICO VOLATU MONUMENTUM AFFFIGENDUM CURAVIT » | (IT) « Frammento della pietra sepolcrale nella quale fu sepolto un tempo Simon Mago ad Ariccia dopo che morì a Roma atterrato dalla voce e dalle preghiere di san Pietro Bernardino Savelli principe di Albano e duca di Ariccia maresciallo perpetuo di Santa Romana Chiesa e custode del Conclave per glorificare la vittoria sul volo del Mago del principe degli Apostoli curò di far affiggere un ricordo. » |
(Iscrizione collocata nel portico della locanda Martorelli in piazza di Corte ad Ariccia.) |
LA CITTA'
Aricia si sviluppava sia sul colle dell'Ariccia moderna che immediatamente ai piedi del colle, nella pianura vulcanica di Vallericcia.
L'Acropoli sorgeva sulla sommità dell'altura di Ariccia, e vi restano brandelli di agger (scoperti nel 1892), lo spesso muro (11,30 metri) che rafforzava la già naturalmente forte posizione del colle.
Le due vie principali della città, il cardo e il decumano, erano la Via Appia Antica, che allora come oggi passava a valle e che è ancora in uso seppur asfaltata, e una via che corrispondeva all'attuale Corso di Ariccia, e che scendeva a Vallericcia incontrandosi con l'Appia (attualmente questa arteria è denominata Via della Costa) e proseguendo poi verso Ardea.
Le due vie principali della città, il cardo e il decumano, erano la Via Appia Antica, che allora come oggi passava a valle e che è ancora in uso seppur asfaltata, e una via che corrispondeva all'attuale Corso di Ariccia, e che scendeva a Vallericcia incontrandosi con l'Appia (attualmente questa arteria è denominata Via della Costa) e proseguendo poi verso Ardea.
Sull'asse della Via Appia Antica, che scendeva da Albano passando davanti alle catacombe di San Senatore e al monumento degli Orazi e dei Curiazi, prima che Pio IX facesse costruire il ponte di Ariccia, sorge una struttura integra, detta l'Osteriaccia. Forse questa struttura occupa l'area dell'antica stazione di posta romana, poiché vi si intravedono parti romane e medioevali che testimoniano una continuità d'uso.
Attorno all'Osteriaccia, gli scavi hanno portato in luce resti di terme, di un tempio e di un edificio in laterizio, e di una porta.
Una struttura veramente imponente è invece la sostruzione della Via Appia Antica, che risale il crinale del colle di Galloro verso Genzano. Nella prima metà dell'Ottocento la sostruzione era visibile per 231,25 metri per un'altezza di 13,20 metri; oggi ne restano visibili solo 198 metri per un'altezza di 11,56. Un'epigrafe ci informa che venne costruito sotto un tale Tiberius Latinus Pandusa, quatuorvir viarum curandarum, mentre in età augustea venne aggiunto un arco trionfale all'imbocco della salita.
Attorno all'Osteriaccia, gli scavi hanno portato in luce resti di terme, di un tempio e di un edificio in laterizio, e di una porta.
Una struttura veramente imponente è invece la sostruzione della Via Appia Antica, che risale il crinale del colle di Galloro verso Genzano. Nella prima metà dell'Ottocento la sostruzione era visibile per 231,25 metri per un'altezza di 13,20 metri; oggi ne restano visibili solo 198 metri per un'altezza di 11,56. Un'epigrafe ci informa che venne costruito sotto un tale Tiberius Latinus Pandusa, quatuorvir viarum curandarum, mentre in età augustea venne aggiunto un arco trionfale all'imbocco della salita.
SEPOLCRO ROMANO |
IL NINFEO (Fonte)
" Ci si passa davanti una, due, tre, quattro, infinite volte, ma sempre invisibili rimangono; poi in un giorno di luglio i raggi di sole filtrano tra la vegetazione squarciata dalla storia e d’amble’ l’opus reticolatum spicca dalla curva lasciando a vista quello che gli studiosi hanno identificato come il ninfeo della villa di Vitellio.
Siamo ad Ariccia, in via Damiano Marinelli, sulla strada, quindi che collega via delle Cerquette a via del Bosco a due passi dal Palaghiaccio e a pochi metri di distanza dal liceo James Joyce. Il sentiero asfaltato, costruito intorno agli anni ’80, taglia in due una delle tante ricche aree archeologiche dei Castelli Romani e mostra timidamente alcune preesistenze.
A stabilire che quei ruderi appartengono alla villa e’ la grande estensione dei fabbricati identificati alla metà dell’Ottocento dall’architetto Pietro Rosa. Un concatenarsi di murature realizzate in opera reticolata che si articolavano anche su via del Bosco Antico e che oggi, purtroppo, sono state sostituite dal cemento.
L’area di proprietà privata, infatti, adiacente alla zona in cui si erge il ninfeo che, invece, appartiene al comune, negli anni Settanta lasciava vedere ancora il concatenamento dei tufelli di epoca romana mentre attualmente sono le villette a schiera ad alternarsi.
Seppur segnata dal tempo, la struttura ancora esistente presenta i tipici connotati di un ninfeo di edilizia domestica. Una piccola esedra, la cui concavità e’ rivolta verso nord-ovest, delimita la vasca antistante, il cui perimetro nonostante sia parziale e’ ancora rimasto intatto. La parete dell’esedra inoltre si slancia verso l’alto con i suoi cubilia a tratti coperti o spolverati di stucco che si articolano in tre nicchie di dimensioni diversi. Ai lati della struttura centrale sono ancora percepibili i condotti per l’acqua e altre vasche.
Seppur segnata dal tempo, la struttura ancora esistente presenta i tipici connotati di un ninfeo di edilizia domestica. Una piccola esedra, la cui concavità e’ rivolta verso nord-ovest, delimita la vasca antistante, il cui perimetro nonostante sia parziale e’ ancora rimasto intatto. La parete dell’esedra inoltre si slancia verso l’alto con i suoi cubilia a tratti coperti o spolverati di stucco che si articolano in tre nicchie di dimensioni diversi. Ai lati della struttura centrale sono ancora percepibili i condotti per l’acqua e altre vasche.
Che il rudere possa dunque identificarsi con un ninfeo ci sono poco incertezze. Quanto all’attribuzione del proprietario, Vitellio, e’ Tacito a parlarne, dichiarando che l’imperatore era solito trascorrere il suo “otium” nel bosco ariccino. Nulla di nuovo, infondo, caratteristica precipua della campagna romana e’ quella di essere da sempre meta di villeggiatura dei romani, dall’imperatore augusto che in lettiga impegnava più di una giornata per raggiungere la sua villa di campagna ai capitolini di oggi che per riprendere fiato dall’afa estiva non rinuncerebbero mai alla ‘gita fuori porta’. "