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MAUSOLEO DI FIANO ROMANO

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BASSORILIEVI DEL MAUSOLEO AL MUSEO DI FIANO ROMANO
Marziale narra di un combattimento avvenuto il primo giorno dei giochi che Tito tenne nell’80 d.c. per l’inaugurazione del Colosseo tra due famosi gladiatori che ormai avevano raggiunto una notorietà e una popolarità enorme.
“Poiché sia Prisco che Vero prolungavano il combattimento, e l’esito della lotta restava per lungo tempo incerto per entrambi, venne chiesta la liberazione dei valorosi lottatori con potenti e frequenti grida. Ma Cesare rimase fedele alla legge del combattimento da lui stesso stabilita – essa imponeva che si combattesse finché uno dei due, deposto lo scudo, sollevasse il dito – fece però ciò che poté, mandò cioè varie volte piatti e doni. Tuttavia venne trovato un esito per l’incerto combattimento: parimenti combatterono e parimenti caddero. Ad entrambi Cesare donò la spada di legno e la palma della vittoria: questo fu il premio riportato dal coraggio e dalla bravura. Questo non era mai successo con nessun imperatore tranne te, o Cesare, che due uomini combattessero e due uomini vincessero entrambi.”



IL RINVENIMENTO

E di rappresentazioni scultoree di gladiatori si tratta infatti nel ritrovamento presso Fiano Romano, una piccola cittadina presso l’antico centro italico-etrusco e poi romano di Capena, una trentina di km a nord di Roma. Fiano, oggi come 2000 anni fa, vive sui prodotti dell’allevamento e della terra, con campi coltivati, fattorie e uliveti.

RICOSTRUZIONE DEL MAUSOLEO
Proprio all’interno di uno di questi appezzamenti a ulivi, all’inizio del 2007 gli uomini del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza intervengono, affiancati da addetti e funzionari della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria Meridionale, a rimuovere un cumulo di materiale inerte: terra, pietrame, tavole di legno, vecchi attrezzi per lavori agricoli, accumulati in un campo coltivato a ulivi.

In effetti l'indagine della procura di Roma, partita in modo fortuito da una serie di intercettazioni, andava avanti da tre anni. Secondo la soprintendente Annamaria Moretti, deve trattarsi di un importante monumento funebre a edicola, un genere allora molto diffuso e di cui già si conosceva un esempio anche nella zona di Capena.

L’attività di intelligence della GdF, teso a smantellare il commercio clandestino delle opere d’arte, ha prodotto una serie di informazioni, secondo cui fra gli ulivi di Fiano Romano si trovavano reperti di grande valore scientifico ed economico, scavati e trafugati dalla non lontana località Monte Bove, in attesa di essere venduti al meglio a qualche antiquario o col sensale di un museo estero. I beni italiani venduti illegalmente all'estero sono infiniti, e costituiscono spesso la base dei musei stranieri.

Secondo altri invece il rinvenimento invece sarebbe del tutto casuale, avvenuto durante gli scavi per costruire una villetta abusiva nelle campagne di Colle Forno, vicino a Fiano Romano ed è rimasto sottoterra per ben 16 anni mentre le trattative per trovare un compratore andavano per le lunghe.

Sono state denunciate due persone a piede libero ma gli investigatori hanno già individuato i due intermediari che avrebbero portato il monumento in Svizzera prima di fargli intraprendere il viaggio per la destinazione definitiva: Cina o Giappone dove i nuovi capitalisti fanno incetta di opere d' arte o reperti archeologici rubati. Il prezzo iniziale era di 10 miliardi tondi, una cifra che dovrebbe essersi abbassata col passare del tempo e chi indaga è assolutamente certo che il mausoleo sia stato visto ed esaminato da diversi esperti, debitamente compensati.

Le lastre erano nascoste in un maggese poco distante dal luogo dove, nel 1991, gli operai le avevano trovate durante gli scavi, non lontano dal "Lucus Feroniae", il bosco sacro della Dea Feronia, depredato da Annibale nel 211 a.c. e rimasto attivo fino al V secolo. Gli scavi della soprintendenza sono iniziati il 13 gennaio e si sono conclusi il giorno successivo con la scoperta di un dodicesimo "pezzo". 

Si è immediatamente compresa l'importanza del ritrovamento che restituisce ampie porzioni di un pregiatissimo fregio narrativo con scene di combattimenti gladiatori. Al momento sono stati recuperati dodici blocchi di marmo di circa m 0,60 x 1,00 x 0,30 che, in origine disposti su due assise, decoravano tre lati di un imponente monumento funerario, il cui basamento è stato rivenuto negli scavi del 2007.

Alla luce sono venute anche trabeazioni, sezioni scultoree, cornici policrome, steli epigrafate, colonne e capitelli pertinenti alla sepoltura del magistrato. All' inchiesta si sono "affacciati" anche i carabinieri del comando tutela patrimonio artistico che avevano scoperto, in passato, un' altra trattativa, poi andata a monte, con un collezionista canadese. «Se chi ha trovato quest' opera le avesse consegnate alla soprintendenza - sottolinea il pm Paolo Giorgio Ferri - avrebbe guadagnato un quarto del suo valore commerciale. Invece dovrà accontentarsi di un processo».



LA PROMESSA DI RICOSTRUZIONE DEL MAUSOLEO

Comunque sono stati recuperati dodici grandi blocchi di marmo lunense decorati a rilievo, la parte inferiore di una statua di togato, resti di un'iscrizione e numerosi elementi di cornici e decorazioni architettoniche, ma molti frammenti mancano all'appello, il fregio ritrovato è solo una parte di quello che originariamente decorava il monumento funebre.

A differenza della maggior parte dei pezzi che, frammisti a terra e a massi di travertino, risultavano disposti senz'ordine a formare un grande cumulo, gli elementi decorati, occultati sotto un basso strato di vegetazione, si presentavano ben protetti e ordinati, gli uni accanto agli altri.

«Un ritrovamento straordinario - sottolineò all'epoca il ministro dei beni culturali Francesco Rutelli - è un monumento sepolcrale di grande bellezza che l' arte italiana riconquista. Ora sarà oggetto di studio e di restauro e, in futuro, verrà esposto nell' area in cui è stato ritrovato. Oggi - ha aggiunto il ministro - è molto difficile smerciare all' estero reperti archeologici "clandestini". Il cerchio si sta stringendo attorno ai trafficanti d' arte».

Magari fosse vero che sia diventato difficile smerciare i beni culturali italiani, molti musei non hanno neppure un catalogo dei beni ospitati, e i direttori dei musei spesso sono nominati dai politici, il che non tranquillizza. Comunque a tutt'oggi il monumento non è stato ricostruito, come volevasi dimostrare.

Gli archeologi della soprintendenza sono riusciti intanto a identificare l’area su cui sorgeva l’antico monumento funerario, un sepolcro a torre di cui è stato rinvenuto in loco il basamento della struttura, eretto sul ciglio di una strada, come consuetudine presso i romani. 

All' appello mancano ancora alcune sezioni del monumento e, probabilmente, anche un' ara funebre. I reperti potrebbero trovarsi ancora in mano ad alcuni complici dell' organizzazione o, presumibilmente, essere stati già venduti "a pezzi" per clienti meno esigenti o meno facoltosi.



I GLADIATORI

In genere i gladiatori venivano reclutati verso i 17-18 anni, come i soldati, e difficilmente vivevano oltre i 30 anni, che era comunque anche la speranza di vita media di un Romano in età imperiale.
Una volta reclutato, il gladiatore si sottometteva al lanista e gli prestava giuramento; a quel punto il lanista, per il periodo della durata del contratto, acquisiva potere di vita e morte sul gladiatore, anche se nato libero.

Il valore di un combattente veniva misurato dal numero di incontri sostenuti: da un minimo di tre ad un massimo di quaranta. Al gladiatore che riusciva a sopravvivere a più gare veniva consegnata la rudis, una spada di legno che era utilizzata per gli addestramenti e significava per il gladiatore il ritorno alla libertà e il congedo dalle arene. C’è da dire comunque che i veterani in genere, una volta congedati, preferivano continuare a fare il mestiere che ormai conoscevano divenendo a loro volta istruttori o arbitri durante i combattimenti.



IL COMMITTENTE

Secondo gli esperti della soprintendenza per l' Etruria meridionale, il committente doveva essere un ricco esponente della magistratura dell' Età repubblicana che aveva organizzato i giochi e ordinato il sepolcro per celebrare degnamente i suoi funerali.

Il mausoleo sarebbe dunque appartenuto ad un magistrato capenate, come informano i resti dell'iscrizione i cui frammenti sono stati recuperati in diverse occasioni tra 2006 e il 2007, che sicuramente era un grande appassionato di ludi gladiatori, tanto da preferire la loro rappresentazione a scene che invece magnificassero il padrone del mausoleo e la sua famiglia, come spesso è accaduto nei mausolei più importanti, come ad esempio nel Sepolcro di Eurisace a Roma, anch'esso della fine del I sec, a.c.



DESCRIZIONE

Sulla base dei caratteri stilistici e dei dati antiquari il rilievo sembra potersi collocare verso la fine del I sec. a.c., in un'epoca densa di colpi di scena, poco prima del principato di Augusto.

La scena figurata ha un andamento continuo, su modello della colonna Traiana, e propone, secondo modelli ormai consueti, episodi successivi di un combattimento tra gladiatori, con ben sei coppie di combattenti. A queste si alternano, sul fondo, figure di suonatori dei quali si conserva un suonatore di tromba ricurva (cornicen) all'estremità del lato destro e due suonatori di lunghe trombe (tubicines) all'estremità destra del quadro centrale.

Anche nelle parti più rovinate emergono alcuni personaggi, con resti di figure in tunica corta poste in secondo piano, in corrispondenza della coppia di gladiatori posta al centro del lato principale del fregio e di quella impegnata in combattimento al centro del lato sinistro.

Le ampie lacune che interessano il lato sinistro e quasi per intero quello centrale impediscono, tuttavia, una completa lettura delle scene, anche se il soggetto è il medesimo, come confermano resti delle vesti e delle armi da offesa e da difesa.

Fortunatamente si è conservato in buona parte il rilievo all'estremità del lato centrale del fregio, il più ricco di drammaticità narrativa e di minuziosi particolari, nel quale è rappresentata una coppia di gladiatori in combattimento.

Uno dei gladiatori, ormai caduto a terra, è sopraffatto dall'avversario il quale calca il piede sopra la mano del nemico che ancora stringe una corta spada ricurva, con l'evidente intenzione di fargli abbandonare l'arma. comunque quest'ultimo, che ha già abbandonato lo scudo, alza il braccio sinistro nel gesto della missio, cioè della domanda di grazia. Normalmente, nelle scene gladiatorie, il gladiatore vincente preme il piede su quello dell'avversario vinto, mentre in questo caso ne calca la mano.


Nell'immagine posta sul lato destro del mausoleo arrende anche il gladiatore della prima coppia di combattenti  con un ginocchio a terra egli abbassa lo scudo stringendo ancora la spada nella mano destra arretrata, mentre l'avversario lo blocca e rivolge lo sguardo in attesa del verdetto finale dell'editor.

Nell'ultima scena posta all'estremità del lato destro, è rappresentato un gladiatore morente, caduto a terra e con lo scudo oblungo ormai definitivamente abbandonato. E' rappresentato con grande maestria, lo sguardo obnubilato e le labbra leggermente piegate all'ingiù, che esala ansimando gli ultimi respiri.

Si tratta di una rappresentazione caratterizzata da un intenso dinamismo, sebbene le figure dei gladiatori appaiano saldamente impostate e siano rese con notevole plasticismo.

Un gusto quasi calligrafico manifestano, invece, le figure dei suonatori nei quali l'accurata resa dei panneggi concorre ad esaltare i delicati lineamenti dei volti incorniciati da una corta capigliatura, che nel caso dei tubicines appare resa a ciocche sottili, una vera e propria anticipazione dei modelli di gusto classicistico.

 Il fregio narrativo nel suo complesso si rivela di altissima qualità, prodotto forse da una bottega di primo piano, capace di impegnarsi in una narrazione densa di contenuti, ma anche attenta ai dettagli minori. Questa testimonianza proveniente dal territorio capenate non costituisce un episodio isolato: sono note, infatti, altre attestazioni dell'importanza artistica dell'antica Capena.

I monumenti funerario del tipo a edicola, molto diffuso in quest'epoca e ben attestato anche in area capenate, d'altronde i resti dell'iscrizione, la parte inferiore di una statua di togato, come pure i numerosi blocchi di cornici e altri elementi architettonici confermano la qualità e l'importanza del monumento.

I mausolei più antichi del tipo a edicola prevedono del resto una notevole ricchezza e fantasia di schemi. Frequentemente come nella ricostruzione proposta per il nostro monumento è presente sull'attico un tempietto o un'edicola porticata.

Avvalora l'ipotesi ricostruttiva il rinvenimento, tra gli altri elementi architettonici, di una colonna liscia di marmo lunense. Il monumento è esposto con allestimento temporaneo nel Museo di Lucus Feroniae.


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