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PLAUTO

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Nome: Titus Maccius Plautus
Nascita: Sarsina, 250 a.c.
Morte: 184 a.c.












Da Alularia:
Non fate meraviglie:
in due parole vi dirò chi sono.
Sono il Lare domestico di quella
casa, da cui m'avete visto uscire.
Già da molt'anni l'abito e la guardo
per l'avo e per il padre
di quello che ora la possiede. Il nonno
in gran segreto e con grandi preghiere
un bel gruzzolo d'oro m'affidò
seppellendolo in mezzo al focolare
e pregando che ben lo custodissi.




LE ORIGINI

Questi versi sono di Plauto, un autore latino tra i più conosciuti per le opere ma più sconosciuto per la vita. Egli nasce A Sarsina, allora in Umbria, oggi in Emilia Romagna, nel 250.

La data di nascita si ricava indirettamente da una notizia di Cicerone (Cato maior 14,50), secondo cui Plauto scrisse da senex la sua commedia Pseudolus. Lo Pseudolus risulta rappresentato nel 191, e la senectus per i Romani cominciava a 60 anni. e sempre Cicerone ( Brutus, XV, 60 ) ci fa sapere che Plauto morì nel 184 a.c., le uniche notizie certe sulla vita di Plauto sono dunque la nascita e la morte. La data di morte, del 180- 184 a.c., è sicura; Per il resto si possono fare e si sono fatte solo supposizioni.

Plauto fu esponente arguto e prolifico del genere teatrale della Palliata (commedia latina con contenuto greco), ideato dall'innovatore della letteratura latina Livio Andronico, geniale poeta, drammaturgo e attore teatrale  romano.

Ci sono incertezze anche sul suo nome: Titus Maccius Plautus, in quanto il triplo nomen era prerogativa del cives romanus  mentre il poeta era del suolo italico. Gli antichi lo citarono come Plautus, romanizzazione di un cognome umbro Plotus. Fino all’Ottocento venne chiamato però Marcus Accius Plautus.

Un antichissimo codice di Plauto, il Palinsesto Ambrosiano, rinvenuto ai primi dell’800 dal cardinale Angelo Mai, riporta il nome completo come Titus Maccius Plautus; da Maccius, che per errore di divisione delle lettere, era uscito fuori il tradizionale M. Accius (che sembrava credibile per influsso di L. Accius, il nome del celebre tragediografo).

Tuttavia il nomen Maccius rimanda al nome di una maschera fissa del teatro italico, Maccus, lo sciocco che suscita ilarità per cui forse il poeta lo avrebbe scelto per se stesso, modificando Maccus in Maccius cioè “della gens Marcia”, giocando sulla sua nobiltà; oppure è un errore o un’invenzione dei biografi.  Ma il nomen Maccius "Maccio", il prototipo dello sciocco, deriverebbe dall'omonima maschera atellana; lo stesso termine "Plautus" può significare o "piedi piatti" oppure "orecchie lunghe e penzoloni". 

Molto probabilmente, quindi, si tratta di nomi d’arte che Plauto aveva usato durante l’attività di attore. Forse lo stesso Plauto aveva corretto burlescamente Maccus in Maccius cioè “della gens Marcia”: una sorta di gentilizio con cui il poeta si attribuiva scherzosamente dei nobili natali; La Gens Marcia era tra le cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio, ma Plauto era nato in Umbria, oppure è un’invenzione dei biografi che nel nomen Maccius indicavano la sua attività drammaturgica.

Altri dubbi rimangono su Plauto e la sua opera, sulla data di composizione, sulla prima rappresentazione delle singole commedie e sui rapporti con Nevio, che fu in un certo senso il suo predecessore, poichè dai frammenti delle sue opere a noi giunti si nota una colorita inventiva verbale che sembra anticipare Plauto.

Girolamo anticipa la sua data di morte al 200 a.c., ma un accenno della Càsina assicura che Plauto era vivo nel 186, quando avvenne lo “scandalo dei Baccanali”. 
Da un altro passo di Cicerone ( Cato maior , XIV, 50 ) si evince una data di nascita oscillante tra il 255 e il 251 a.c. Altre notizie su Plauto si ricavano da altre fonti, come da Aulo Gellio che attinse da Varrone. Nell’epitaffio del poeta citato da Gellio (pytdo da Varrone) si dice che, alla morte di Plauto.: "numeri innumeri simul omnes conlacrimarunt" ("scoppiarono in pianto tutti insieme ritmi innumerevoli").

Gli storici antichi derivarono notizie dalle sue opere sulla base di vaghissime allusioni autobiografiche. Gellio racconta che Plauto, avendo perduto, a causa di traffici sfortunati, il denaro guadagnato, e per questo indebitato, divenne schiavo del creditore che gli assegnò di girare la macina del mulino.

Durante la schiavitù Plauto avrebbe scritto tre commedie. Per altri anche se non in schiavitù, cominciò a comporre commedie trovandosi in ristrettezze, fra cui il "Saturio" (Il pancia piena) e l’ "Addictus" (schiavo per debiti), che già dai titoli richiamano rovesci finanziari; e una terza, dal titolo sconosciuto, che, rappresentate con successo, furono l’inizio di una fortunata attività teatrale durata oltre un quarantennio.

È ancora Gellio a riferirci che Plauto avrebbe passato la giovinezza in una compagnia di comici, da cui avrebbe appreso il mestiere di teatrante e che, dopo aver raggiunto la fama come autore, avrebbe continuato occasionalmente a vestire i panni dell’attore, ma anche questa è supposizione.

Ebbe fama anche perchè fu il primo autore latino a dedicarsi a un solo genere letterario. Fu alieno della politica, anche se non insensibile agli avvenimenti del tempo, la sua produzione si svolse, del resto, praticamente durante la II guerra punica, evitando così le pene che ebbe a soffrire Gneo Nevio che venne per questo imprigionato ed esiliato.

Visse interamente della sua arte, con instancabile fervore creativo e con molto successo. Se come dicono scriveva per vivere, dovette vivere piuttosto agiatamente.
"Allora, la comicità originale nasce proprio nel contatto fra la materia dell’intreccio e l’aprirsi di "occasioni" in cui l’azione si fa libero gioco creativo, diventa "lirismo comico" (Barchiesi)

Plauto fu autore di enorme successo, sia contemporaneo che postumo, e di grande prolificità. Sembra che durante il II sec. a.c. circolassero circa centotrenta commedie legate al nome di Plauto, anche se non sappiamo quante fossero autentiche. 

Nello stesso periodo, verso la metà del II secolo, cominciò un'attività editoriale che ebbe grande importanza per le opere di Plauto. Di Plauto furono condotte vere "edizioni" ispirate ai criteri della filologia alessandrina. Benefici effetti di questa attività si risentono nei manoscritti pervenuti sino a noi: le commedie furono dotate di didascalie, di sigle dei personaggi; i versi scenici di Plauto furono impaginati da competenti, in modo che ne fosse riconoscibile la natura; e questo in un periodo che ancora aveva dirette e buone informazioni in materia.

Per tradizione Plauto avrebbe scritto ben 140 commedie, un numero assurdo. Ma era così famoso che i capocomici avranno spacciato spesso commedie di altri autori come commedie di Plauto.

Per mettere ordine nel numeroso materiale tramandato nel nome di Plauto, nel I sec. a.c. l’erudito latino Varrone fissò un numero di commedie certe, basandosi su criteri di affinità linguistica e stilistica. Attribuì a Plauto con certezza 21 commedie, che sono poi quelle giunte a noi per intero.



LA PRODUZIONE LETTERARIA

Che noi sappiamo fece solo commedie, e di grande successo, visto che ancor oggi si trasmettono nei teatri. Certamente sono state alla base del teatro successivo non tragico. Perfino Shakespeare attinse da lui, anche se tutto lascia supporre che l'autore inglese fosse in realtà italiano e anzi siciliano, ma questo è un discorso a parte.
Alla sua morte, entrarono in circolazione tutta una serie di commedie a suo nome, molte delle quali rivelatesi in seguito dei falsi. Nel I sec. a.c., ne circolavano 130 titoli e la tradizione gliene attribuiva ben 140. Un erudito dell’epoca, Marco Terenzio Varrone, le studiò ("De comoedis Plautinis") e le suddivise in tre gruppi:

- 21 certamente plautine (dette appunto "Fabulae Varronianae");
- 19 di attribuzione incerta
- tutte le altre considerate spurie.

Probabilmente essendo nome di successo, dei capocomici rappresentavano commedie di altri autori dichiarandole di Plauto.

Per mettere ordine sul materiale tramandato nel nome di Plauto, nel I sec. a.c. l’erudito latino Varrone fissò un numero di commedie certe, basandosi sul linguaggio e sullo stile.

Egli considerò come sicuramente plautine 21 commedie e l’autorità di Varrone fu tale che si continuarono a ricopiare solo le 21 autentiche. 

Tuttavia, da varie testimonianze degli antichi, si è indotti a pensare che esistessero altre commedie sicuramente plautine, e oggi perdute: quali:
"Commorientes",
"Colax",
"Gemini lenones",
"Condalium",
"Anus",
"Agroecus",
"Faerenatrix",
"Acharistio",
"Parasitus piger",
"Artemo",
"Frivolaria",
"Sitellitergus",
"Astraba".

Fra quelle più rappresentate ricordiamo:
Anfitrione, Bacchides, Miles Gloriosus, Pseudolus e Menaechmi, pervenute per intero.

Attraverso le relative "didascalie" (le brevi notizie che i grammatici davano in base alle indicazioni trovate nei copioni delle compagnie drammatiche, intorno alla prima rappresentazione, alla sua esecuzione e al suo esito), sappiamo la data di composizione solo dello  "Stichus" (200 a.c.) e dello "Pseudulus" (191 a.c.): la cronologia delle altre si può stabilire ipotizzando un’evoluzione del suo teatro dalla "farsa" ad una specie di "opera buffa", ma senza certezze.

Provando comunque ad azzardare un ordine cronologico, questo potrebbe essere:
"Asinaria" (212),
PLAUTO
"Mercator" (212-10),
"Rudens" (211-205),
"Amphitruo" (206),
"Menaechmi" (206),
"Miles gloriosus" (206-5),
"Cistellaria" (204),
"Stichus" (200),
"Persa" (dopo il 196),
"Epidicus" (195-4),
"Aulularia" (194),
"Mostellaria" (inc.),
"Curculio" (200-191?),
"Pseudolus" (191),
"Captivi" (191-90),
"Bacchides" (189),
"Truculentus" (189),
"Poenulus" (189-8),
"Trinummus" (188),
"Casina" (186-5);
in più la "Vidularia" pervenuta in parte.

I titoli delle 21 commedie attribuite a Plauto sono: Anfitrione, La commedia degli asini, La commedia della pentola, Le Bacchidi, I prigionieri, La ragazza dal profumo di cannella, La commedia della cesta, Gorgoglione, Epidico, I Menecmi, Il mercante, Il soldato spaccone, La commedia del fantasma, Il cartaginese, Pseudolo, La gomena, Stilo, Le tre monete, Lo zoticone, La commedia del baule,

Tutte queste commedie sono state oggetto di studio e catalogate in sei gruppi:

- dei Simillini (o dei Sosia): riguarda lo scambio di persona, dello specchio e del doppio;
- dell'Agnizione: alla fine di questo tipo di commedie avviene un riconoscimento improvviso ed imprevedibile dell'identità di un personaggio;
- della beffa: in questo tipo sono organizzati scherzi e beffe, bonari o meno;
- del romanzesco: dove compaiono i temi dell' avventura e del viaggio;
- della caricatura (o dei Caratteri): contenenti una rappresentazione iperbolica, esagerata di un personaggio;
- composita: che racchiude al suo interno uno o più elementi delle sopraccitate tipologie.



MODELLI GRECI

Sulla scena del teatro plautino non compaiono cittadini romani; i personaggi non indossano la toga ma il pallium. Plauto, infatti, come tutti i poeti comici latini, traduce testi greci per la scena romana, tuttavia, rinnovandoli e trasformandoli con grande originalità.
Lo stesso stesso poeta usa l’espressione "vortit barbare", “traduce in una lingua straniera”, cioè in latino.

Il termine vertere in latino non indica la tradizione letterale – per la quale esisteva il termine exprimere – ma la traduzione artistica; in effetti Plauto non si limita a proporre in latino i contenuti dei testi greci, ma li rielabora e li adatta alla lingua e alle esigenze culturali dei romani.



LA COMICITA' 

Sulla scena del teatro plautino non compaiono romani perchè i personaggi non indossano la toga ma il pallium. Plauto, infatti, ma il discorso vale per tutti i poeti comici latini, traduce testi greci per la scena romana. Tuttavia, pur rifacendosi ai modelli della commedia greca, vi ha trasposto aspetti e personaggi della società romana con freschezza e brio.

Per indicare il modo con cui propone al pubblico i modelli greci, usa l’espressione vortit barbare, “traduce in una lingua straniera”, cioè in latino. Il termine vertere sta per volgere, infatti Plauto non si limita a proporre in latino i testi greci, ma li rielabora adattandoli alla lingua e ai costumi dei romani. Non ci sono pervenuti gli originali greci da cui derivano le commedie plautine, per cui non possiamo valutare l’indipendenza e l’originalità  rispetto ai modelli greci. Conosciamo però il Menandro.

Una delle differenze fondamentali con la commedia di Menandro, è che, mentre quello cerca la coerenza e l’organicità degli intrecci, Plauto sacrifica verosimiglianza e logica a favore degli effetti comici. Altra differenza è che il teatro di Menandro è un teatro personalistico e psicologico, mentre Plauto accentua i tratti caricaturali dei personaggi per ricavarne maschere grottesche. C'è un rovesciamento e un paradosso della realtà, in cui sono i giovani a trionfare sui vecchi, le mogli sui mariti; ma con ciò Plauto non mette in discussione la società romana, perchè vuole solamente far divertire. Plauto è un'anima leggera, anche se arguta, così la sua opera è leggera e arguta.

Ed ecco alcuni espedienti:

  1. inserimento di parti cantate,  come avverrà poi per l’operetta, come nella Cistellaria: il giovane Alcesimarco, tenuto lontano dalla sua Selenio perché il padre vuole costringerlo a sposare una ragazza di buona famiglia, sfoga nel canto tutta la sua infelicità,
  2. - contaminatio: mescolanza di parti di commedie diverse,
  3. giochi di parole, 
  4. metafore, 
  5. accostamento di termini raffinati e rozzi
  6. scambi di personaggi e colpi di scena
  7. la parodia,  un’imitazione caricaturale, uno scritto o una scenetta che mette in ridicolo ciò che tutti conoscono: quanto più una cosa è nota, tanto più efficace è la caricatura.
  8. il metateatro, con coinvolgimento diretto del pubblico tramite un personaggio che gli si rivolge direttamente, la cosiddetta rottura dell’illusione scenica, che si ha quando il pubblico che assiste a uno spettacolo cessa di immedesimarsi nella vicenda rappresentata, perché viene invitato dai personaggi stessi a prendere atto del carattere fittizio dello spettacolo. Ciò accade per esempio quando uno dei personaggi, nel bel mezzo della rappresentazione, si mette a dialogare con il pubblico. Frequenti i casi in cui nella commedia, ambientata in Grecia, i personaggi fanno riferimento alla cultura e alla società romana: il personaggio parla da romano rivolgendosi a un pubblico romano. In una scena del Curculio, il parassita esprime un giudizio indignato su tutti quegli stranieri, in prevalenza di origine greca – i Romani li chiamavano con disprezzo graeculi – che si affollano in città, facendosi così portavoce dell’ostilità verso i Greci immigrati che all’epoca di Plauto era avvertita soprattutto dai ceti popolari, i frequentatori più affezionati delle commedie plautine.
  9. mescolanza dei linguaggi e dei registri linguistici (quotidiano, rustico, letterario, raffinato; linguaggio giuridico, sacrale, carmina).
  10. l’accentuazione caricaturale e macchiettistica dei difetti dei protagonisti;
  11. battute volgari ed esasperazione di sentimenti naturali.
  12. l'uso frequente di espressioni greche o grecizzanti, parole mezzo latine e mezzo greche, inusitate e ridicole (ad es. "pultifagus" = "mangiapolenta"), grecismi con terminazione latina ("atticissare" = "parlare greco"), parole formate da più radici ("turpilucricupidus" = "desideroso di turpi guadagni"), oltre a neologismi veri e propri ("dentifrangibula", riferito ai pugni che "rompono i denti"; "emissicius", che si manda alla scoperta di qualcosa e perciò, riferito agli occhi, curioso, da spia); superlativi iperbolici e ridicoli ("ipsissimus", stessissimo; "occisissimus", uccisissimo).
  13. I giochi di parole, identificazioni scherzose (ad es. "Ma è forse fumo questa ragazza che stai abbracciando?" "Perché mai?" "Perché ti stanno lacrimando gli occhi!" Asin.619).
  14. i doppi sensi, soprattutto a sfondo sessuale. 
  15. I nomi dei personaggi alludono al carattere del personaggio sulla scena:
    Artotrogo: mangia pane;
    Palestrione: da palaistra, palaioo, “combatto”;
    Periplectomeno: periplekomai; “generosità e cordialità”;
    Sceledro: da scelus e dran, “artefice di delitti.
    Filocomasio: “che ama brigate e bagordi”;
    Pleusicle: da pleo, allude al suo navigare da Atene a Efeso per riprendersi l’amata;
    Lucrione: è il vice di Sxceledro e impersona lo schiavo avido di denaro;
    da lurcio o lurco, significa “ghiottone”;
    Acroteleuto: da akron (cima) e teleutè, “colei che sta in cima”, cioè ne sa una più del diavolo: si spaccia per la moglie di Periplecomeno, invaghitasi del miles;
    Carione: il cuoco del senex, allude all’abbondanza di schiavi dalla Caria.
  16. I "numeri innumeri", gli "infiniti metri", la predilezione per le forme "cantate". Ne deriva uno stile è vario e polifonico. P. non dipende esclusivamente dallo stile di alcun modello e anzi, come già detto, dà sfoggio di ampia originalità: ristrutturazione metrica, cancellazione della divisione in atti, completa trasformazione del sistema onomastico.
Malgrado ciò, la lingua di Plauto ha una certa raffinatezza, come quella che si udiva nelle discussioni del Senato, nelle assemblee del popolo e dei tribunali, più fine della parlata popolare, ma schietta e diretta. Non dimentichiamo che gli spettatori romani parlavano il latino piuttosto bene e pure il greco, visto che l'alfabetizzazione del popolo era equivalente a quella odierna. Poi col cristianesimo le scuole chiusero e la gente dimenticò non solo il greco ma pure il latino, dando luogo a un guazzabuglio di lingue volgari diverse.

Plauto dà spazio a musica e canto, due terzi dei versi erano accompagnati dal suono del flauto, mentre nelle commedie di Menandro sono scarse le parti in metri lunghi o in metri lirici. In Plauto troviamo i "cantica", metri lirici cantati e parti in metri lunghi recitati e accompagnati dal flauto.

Nella metrica, Plauto è un maestro: mescola metri nelle due forme del "deverbium" (parti recitate senza accompagnamento) e del "canticum" (recitativo accompagnato), liberamente alternate, riscrivendo parti che in Menandro erano destinate solo alla recitazione. Le parti liriche e polimetriche, dai ritmi assai variati, mossi e vivaci occupano circa 3000 versi, per esprimere concitazione ed emotività, come si è fatto e si fa ancora nei films.



GLI INTRECCI

Gl'intrecci delle commedie plautine derivano da originali greci, complicati ma ripetitivi. 16 su 20 presentano la stessa situazione di base: l'amore ostacolato di un adulescens per una giovane cortigiana: l’ostacolo è la mancanza di denaro (l’adulescens dipende economicamente dal padre) per ottenerne i favori o per "riscattarla". Può essere innamorato anche di una fanciulla onesta ma senza dote, e, in questo caso, gli ostacoli sono gli impedimenti sociali che ne derivano. L’adulescens lotta per far trionfare l’amore contro un antagonista, padre, lenone, miles gloriosus, o mercenario che sia.

Come aiuto ha un amico, un vecchio comprensivo o un parassita, ma, più di ogni altro, il "servus callidus" (scaltro). Spesso la commedia si risolve per gli inganni organizzati di quest'ultimo per ingannare il padrone e carpirgli il denaro necessario all’adulescens. Ogni commedia è a lieto fine: i giovani vengono perdonati dai padri, che si riconciliano anche con i servi; i danni e le beffe restano insomma ai personaggi esterni alla famiglia, quali il miles e il lenone. Spesso si sposano in seguito all'"agnizione" o "riconoscimento", tipo la ragazza era nata libera da genitori benestanti, ma esposta o rapita dai pirati. In questo modo vivono l'amore e la speranza giovanile di un mondo migliore, ma non si intaccano i valori indiscutibili della famiglia e delle classi sociali.

Le commedie plautine hanno personaggi più o meno fissi:
- il servus callidus,
- il senex,
- l’adulescens,
- il lenone,
- il parassita,

I ruoli ruotano attorno a determinate categorie di persone:
- il senex avaro e immorale;
- il giovane innamorato e senza soldi;
- il servo astuto e fedele al padroncino, che egli aiuta con i suoi intrighi a realizzare il desiderio d’amore; - il lenone è una persona avida e sfrontata;
- la meretrix, ossia l’etera, costituisce l’oggetto del desiderio: è superficiale, calcolatrice, una bellona formosa con poco sale;
- il parasitus, uno spiantato disposto a tutto pur di ottenere un pasto gratuito;
- il miles, smargiasso e vanesio.

Il vero protagonista della commedia è il servus: da lui dipende sempre la soluzione dell’intreccio, grazie ai suoi colpi di genio, con cui sbroglia le situazioni più ingarbugliate. Il servo, per tutta la durata della commedia, è il padrone assoluto della scena: il destino dei personaggi dipende da lui, persino quello del dominus, che nonostante le terribili minacce rivolte all’indirizzo delle schiavo, è da questo costantemente tenuto sotto scacco.

L’adulescens poi inganna il padre impunemente, con un rovesciamento carnevalesco della realtà sociale: analogamente infatti a quanto avveniva nei baccanali, in cui tutto era lecito, in cui gli anelli più deboli della catena sociale, servi e giovani, diventano i trionfatori.

Pertanto il teatro plautino ha la funzione di operare un temporaneo scioglimento dagli obblighi e dalle gerarchie sociali, dando alle classi subalterne l’illusione di un riscatto sociale, di una liberazione dalle dure leggi della realtà sociale. Ma nel finale della commedia si assiste a un ritorno all’ordine originario e alla normalità: il senex rinuncia ai suoi propositi immorali, il giovane riconosce l’autorità del padre, il servus si sottomette nuovamente agli ordini del padrone.



I PERSONAGGI

"Musas plautino sermone locuturas fuisse, si latine loqui vellent." ("Se le Muse avessero voluto esprimersi in latino avrebbero parlato con la lingua di Plauto): così Quintiliano, nella sua "Instituto oratoria", ci tramanda il giudizio critico di Elio Stilone, filologo latino del II sec. a.c. .

I personaggi di Plauto come abbiamo detto non sono caratteri individuali ma maschere fisse,  per questo già noti al pubblico come si presentano sulla scena: anche i nomi propri ribadiscono il loro ruolo. tipo:
  • il servus callidus,  servo astuto e fedele al padroncino, che aiuta con gli intrighi a realizzare il desiderio d’amore; 
  • l’adulescens, o attor giovine, sempre innamorato e con poche risorse, economiche e intellettuali,
  • il senex avaro e immorale; 
  • il lenone, avido e senza cuore,
  • la meretrix, ossia l’etera oggetto del desiderio: in genere superficiale, calcolatrice, e con poco cervello
  • oppure la fanciulla innocente rapita e costretta
  • il parassita, uno spiantato disposto a tutto pur di ottenere un pasto gratuito
  • il miles, smargiasso e vanesio.
che insieme ripropongono i soliti schemi:

1. lo scontro fra il senex e l’adulescens per la conquista del denaro e della donna amata: il denaro per riscattare la ragazza, che nella maggior parte dei casi è alle dipendenze di un lenone che, insieme al senex, è l’oppositore del giovane; 
2. il giovane è spalleggiato dal servus;
3. il lieto fine con il coronamento del sogno d’amore del ragazzo.

Se la trama è vecchia gli inganni, le beffe, gli scambi di persona, gli equivoci e i riconoscimenti sono però nuovi e vari. Frequente l’agnizione o riconoscimento, che permette lo scioglimento dell’intreccio proprio quando le cose volgono al peggio: per esempio l’etera è una fanciulla di nobili origini e che appena nata era stata esposta con alcuni oggetti, che servono al suo riconoscimento.


Il vero protagonista della commedia però è il servus: da lui dipende la soluzione dell’intreccio, grazie ai suoi colpi di genio, padrone assoluto della scena: il destino dei personaggi dipende da lui, persino quello del dominus, che nonostante le terribili minacce rivolte all’indirizzo delle schiavo, è da questo tenuto sotto scacco.

Se a ciò si aggiunge che anche l’adulescens inganna il padre impunemente, allora in ogni commedia plautina si assiste a una sorta di rovesciamento carnevalesco della realtà sociale in cui i servi trionfano sui padroni, i padri insidiano le donne dei figli, persone libere sono trattate come schiave, i figli prevalgono sui genitori, insomma un vero e proprio mondo alla rovescia in cui gli anelli più deboli della catena sociale, servi e giovani, diventano i trionfatori. L'inconscio con le sue istanze libertarie trova così un modo di espressione in cui il popolo può lasciarsi andare: è la catarsi.

Frequenti i riferimenti ad usi e costumi romani: ad es., nelle similitudini e nelle metafore di tipo militare: il servo presenta spesso la sua lotta contro i suddetti "antagonisti" come una battaglia o una guerra in cui egli fa parte del generale vittorioso, senza però mai sfiorare i grandi avvenimenti dell’epoca: Canne, Zama, le guerre contro la Macedonia, la Siria, l’Etolia. Plauto lasciava fuori la realtà e il pubblico con lui.

Tutta l'arte teatrale successiva risentirà di Plauto, da Moliere a Goldoni, a Scarpetta, al Barbiere di Siviglia rossiniano, e un po' anche in Shakespeare, come nel Mercante di Venezia, dove l'amore trionfa grazie alle
astuzie del servo o del barbiere, o dell'amico, e i giovani si sposano ingannando il vecchio avaro e libidinoso.



LE PASSIONI

Sono la molla principale delle azioni; tutti i personaggi risultano dominati da un impulso che li spinge a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di ottenere ciò che desiderano. Fra tutti, spicca il desiderio amoroso del giovane, a causa del quale egli appare disposto a tutto, persino a sfidare la tremenda auctoritas del padre.
Qui la parodia è molto usata, per esempio, un personaggio di bassa estrazione sociale che si esprime come gli eroi di una tragedia; un giovane festaiolo e scapestrato che canta la sua passione per una ragazza, una passione fisica e poco romantica, nei toni languidi dell’elegia, cioè della poesia d’amore in cui la donna è fortemente idealizzata.
Curculio, è il soprannome del parassita protagonista, il termine significa “gorgoglione”, che è il verme parassita del grano. Qui il giovane Fedromo, in compagnia del servo Palinuro, giunto davanti alla casa del lenone dove dimora la bella Planesio, in attesa che si apra la porta della casa per avere un incontro d’amore clandestino con lei, intona una serenata ai chiavistelli della porta.

Nel Miles Gloriosus ad esempio le passioni sono quasi tutte rappresentate:

È la rappresentazione di un soldato tanto ottuso quanto vanitoso, in cui secondo alcuni studiosi è da cogliere un intento caricaturale nei confronti della figura non tanto del soldato romano quanto del soldato mercenario greco. Questi infatti era una figura sconosciuta a Roma, dove all’epoca di Plauto il servizio militare era dovere di ogni cittadino. Si presenta sempre nelle vesti del gloriosus, cioè del fanfarone, che si vanta di imprese mai compiute, spacciandosi per gran seduttore:: un conquistatore immaginario di nemici e di donne, ma sempre smentito dagli avvenimenti delle commedie. Ridendo di questi milites, i romani si sentivano orgogliosi del proprio valore militare.

Il primo atto ha lo scopo di presentare il personaggio: il miles viene ritratto mentre, davanti a un seguito di schiavi e di armigeri, si pavoneggia come un divo e si lascia lusingare dal parassita, che per guadagnarsi da vivere, lo copre di lodi, inventando gesta belliche e amorose che il protettore non ha mai intrapreso.

Nel brano seguente, a far le spese della vena comica di Plauto è il linguaggio degli elogia e dell’epica. In particolare, vi sono numerose espressioni che si possono considerare frutto di vera e propria deformazione parodica:
l’esagerazione: le improbabili imprese di Pirgopolinice – capace di sfondare la pelle di un loefante con un pugno – sono la parodia delle figure degli eroi che in Omero appaiono campioni di coraggio e di forza, oltre che terribili uccisori di nemici.
Inoltre, nel valore e nella bellezza di cui Pirgopolinice si fregia vi è un’allusione all’ideale della kalokagathia omerica.

In questo brano la parodia consiste nel meccanismo del rovesciamento / ribaltamento, ossia nel trasferire il modello epico da un contesto alto (di tono elevato e solenne) a uno basso e degradato. Il servo Crisalo, nel descrivere le modalità della propria impresa non trova niente di meglio che paragonarla all’impresa con cui i Greci sottomisero la città di Troia:
- a. gli Atridi hanno conquistato la città di Priamo dopo anni di assedio e con l’apporto di un immenso esercito?
Lui ha fatto di meglio perché è riuscito a impossessarsi dell’oro del vecchio tanghero senza l’aiuto di alcuno e in pochissimo tempo.
- b. Lo stratagemma che ha escogitato è paragonabile a quello escogitato da Ulisse, di cui Crisalo non esita a porsi sullo stesso piano.
- c. le donne troiane intonarono un triste compianto funebre su Pergamo un tempo superba e ora ridotta  a un cumulo di macerie?
Lui lo intonerà per il vecchio che sta per essere spogliato del suo oro.




LE OPERE


AMPHITRUO  (Anfitrione)

E' l’unica commedia a soggetto mitologico.Vi si narra le vicende di Anfitrione e del suo servo Sosia (da cui il termine usato oggi per indicare una straordinaria somiglianza tra due persone), i quali partono da Tebe per andare in guerra col re di Tebe che va a combattere contro i Teleboi.

Giove si è però invaghito della bella moglie di Anfitrione, Alcmena, così prende le sembianze di Anfitrione per giacere con lei, e fa trasformare Mercurio in Sosia.

Tornato Anfitrione,  manda il servo Sosia ad annunciare del suo arrivo, ma lo blocca Mercurio che lo pone in confusione, convincendolo di non essere Sosia. Questi comincia a dubitare sulla propria identità e si chiede: 

- chi è lui, lo schiavo arrivato dal porto alla casa di Anfitrione;
- dove sono morto? Se costui ha la mia imago, significa forse che è il mio fantasma e che io sono morto?
- dove sono stato trasformato? Pensa d'essere oggetto di una stregonera che ha mutato il suo aspetto
c’è un altro che ha preso il suo posto... ma
- ci sarà ancora un padrone che lo attende presso le navi?
- forse no, ma è meglio: non essere più Sosia potrebbe dire non essere più schiavo.
    Sosia ironizza sulla controfigura che indossa la sua maschera immaginando che gli venga tributato da vivo un onore che nessuno gli renderà da morto, perché schiavo e non nobile.

    Anfitrione, ascoltato lo strano discorso di Sosia si irrita e va dalla moglie, vittima dell'inganno, e fra i due nasce un diverbio che dura fino al ritorno di Giove. Il povero generale non sa che fare, quando  un'ancella di Alcmena gli racconta che la donna ha partorito miracolosamente due gemelli, uno dei quali tanto forte da uccidere due serpenti; La vicenda si conclude con il disvelamento finale ed il tipico deus ex machina: Giove infine appare nel suo vero aspetto, confessa l'adulterio e spiega come si sono svolti i fatti dicendo che dei gemelli uno, Ercole, è suo figlio, l'altro, Ificle, è figlio di Anfitrione, così, si fa per dire, sono tutti soddisfatti.

    Il tema greco dell’amore ricorre spesso nelle commedie plautine, una compulsione e una forza che non lascia scampo né agli uomini né agli Dei, perchè Cupido si sa, colpisce chi vuole. Ma anche questo a volte è comico, per il tono elegiaco dell'ignorante che piazza termini a sproposito, o il rozzo spasimante che parla della sua brama sessuale in termini ridicolmente romantici. Oppure per il marito cornuto che deve sottostare agli Dei come i seri ai padroni, però gli Dei pagani sanno essere riconoscenti dei sacrifici, ripagando direttamente in vita.



    ASINARIA  (La commedia degli asini)

    Il giovane Argirippo è innamorato della cortigiana Filenio, figlia dell’avara Cleareta che pretende in giornata la somma di venti mine, altrimenti darà la figlia al rivale Diabolo. Filenio però è anche desiderata dal padre di Argirippo, che incorre così nelle ire di sua moglie.
    Sarà lo stesso padre a venire in soccorso di Argirippo, incaricando due servi di casa di procurarsi il denaro a danno della sua ricca e avara moglie. Uno dei servi fingerà di essere l’amministratore della padrona e riuscirà a riscuotere le venti mine che un mercante deve a quella per l’acquisto di certi asini. La commedia [dall' "Onagos" di Demofilo] è giunta assai mutila e con un certo numero di contraddizioni interne.



    ALULARIA  (La commedia della pentola)

    Un ricco ed avaro signore, Euclione, ha nascosto in una pentola il tesoro di casa, da lui improvvisamente ritrovato, e per avarizia vive comunque nella più squallida povertà. Per timore che gliela possano rubare, egli la nasconde nel tempio della Buona Fede e successivamente nel bosco di Silvano.

    Ma Strobilo, servo del giovane Liconide, lo spia e se ne impadronisce. Euclione ha una figlia che vuole sposare con il ricco e anziano Megadoro, ma il giovane Liconide ne è innamorato e ricambiato.

     Il vecchio è fuori di sé dalla disperazione, tanto più che Liconide confessa di aver messo incinta Fedria, sua figlia.

    Qui la commedia si interrompe, ma la conclusione è scontata: in cambio dell’oro, Euclione concede la mano della figlia a Liconide, che a sua volta darà la libertà al servo Strobilo.

    L’originale greco è ignoto, ma è probabile che fosse una commedia di Menandro in cui l’avaro aveva nome Smicrine.



    BACCHIDES (Le Bacchidi)

    Deriva dalle "Evantides" di Filemone o da "Il doppio inganno" di Menandro. Due sorelle gemelle sono cortigiane, entrambe chiamate Bacchide, vivono l’una a Samo, l’altra ad Atene. Il giovane Mnesiloco, di passaggio a Samo, s’innamora della prima Bacchide, di cui si impadronisce tuttavia un ricco miles, che la conduce con sé ad Atene. 

    Mnesiloco dà incarico di recuperarla all’amico Pistoclero, che dopo averla trovata si fa sedurre dalla seconda Bacchide. Mnesiloco, che crede di essere stato tradito dall’amico, dà al servo Crisalo l’incarico di trovare il denaro per riscattare l’amata. 
    Mnesiloco e il suo amico Pistoclero per avere il denaro con cui riscattare una delle sorelle da un prestito che la tiene legata al soldato Cleomaco, si servono dunque dell'astuto servo di Mnesiloco, Crisalo, che raggira per ben due volte il padre del giovane per ottenere la somma. Alla fine i severi padri dei giovani, Nicobulo e Filosseno, accondiscendono agli amori dei loro figli e anzi paiono cedere essi stessi alle grazie delle due avvenenti cortigiane.

    Il servo Crisalo, ingegnoso e scaltro, si rende comico nella glorificazione di se stesso. Ad esempio nel descrivere le modalità della propria impresa la paragona all’impresa con cui i Greci sottomisero la città di Troia:
    a. gli Atridi hanno conquistato la città di Priamo dopo anni di assedio e con un immenso esercito? Lui ha fatto di meglio perché è riuscito a impossessarsi dell’oro del vecchio senza l’aiuto di alcuno e in pochissimo tempo.
    b. Lo stratagemma che ha escogitato è paragonabile a quello escogitato da Ulisse, quindi Crisalo si pone sullo stesso piano.
    c. le donne troiane intonarono un triste compianto funebre su Pergamo un tempo superba e ora ridotta  a un  cumulo di macerie? Lui lo intonerà per il vecchio che sta per essere spogliato del suo oro.



    CAPTIVI  (I prigionieri)

    E' l'unica commedia senza vicende amorose. Durante la guerra tra Elide ed Etolia, un ricco proprietario terriero dell'Etolia, Egione, scopre che il figlio è stato fatto prigioniero. Compra così molti Elei per uno scambio, tra i quali anche Filocrate, figlio di un latifondista Eleo, con il servo Tindaro, che hanno tuttavia deciso di scambiare le parti. Egione decide di mandare il servo per chiedere del figlio, ma credendo di inviare in Elide il servo, manda invece il padrone. Scoperto l’inganno, getta in catene il povero Tindaro. Ma Filocrate ritorna con il figlio di Egione ormai libero; in aggiunta, si scopre che anche Tindaro è figlio di Egione, rapito in tenera età e venduto come schiavo in Elide. "Captivi" è una commedia diversa, priva di vicende amorose e fondata sul tema dell’amicizia e della lealtà e non vi compare alcuna donna.



    CASINA  (La ragazza dal profumo di cannella)

    Il tema è il contrasto tra un giovane e un vecchio (Lisidamo, padre del giovane, un senex libertino) che s'innamorano della stessa ragazza, Casina, una trovatella raccolta in casa da Lisidamo e da sua moglie Cleostrata.


    Essi hanno indotto, l’uno il proprio fattore, l’altro il proprio scudiero, a chiedere la mano della fanciulla, per poterne poi essi stessi disporre. Lisidamo, vistasi intralciare la strada dal figlio, lo spedisce all’estero, ma la moglie del vecchio, che ha capito, prende le parti del figlio assente.

    Poiché Lisidamo e sua moglie non riescono ad accordarsi, decidono di ricorrere alla sorte che favorisce il fattore. Si preparano le nozze, ma in luogo di Casina viene presentato come sposa Calino, lo scudiero, travestito da donna, che, approfittando dell’oscurità della stanza in cui viene condotto, bastona il fattore e Lisidamo.

    Naturalmente il conflitto si risolve al favore del giovane, a causa anche della ingegnosa opposizione di Cleostrata, che in questa commedia incarna la figura della uxor morosa ("moglie scorbutica, intrattabile").
    Casina è tra le commedie più "libere", più comiche e più riuscite commedie. Deriva da una commedia di Difilo, "Clerumenoe", cioè "I sorteggianti".



    CISTELLARIA  (La commedia della cesta): 

    Il giovane Alcesimarco ama Selenio, trovatella allevata da una cortigiana; ma il padre gli impone di sposare un’altra ragazza, figlia del vicino Demifone, a sua volta alla ricerca di un’altra figlia avuta molti anni prima da una donna e abbandonata in una cassetta con dei contrassegni. Selenio rivolgendosi alla compagna e cortigiana Ginnasio, le confida la sua pena d’amore, che le consuma il cuore come un morbo dal quale dispera di poter guarire, perché non esiste medico che possa curare un simile male. 
    Alcesimarco intanto, tenuto lontano dalla sua Selenio perché il padre vuole costringerlo a sposare una ragazza di buona famiglia, sfoga nel canto tutta la sua infelicità. Infine si scopre che la ragazza abbandonata è Selenio, che ora Alcesimarco può sposare con l’assenso del padre. Nonostante una lunga lacuna (più di seicento versi) l’intreccio di questa commedia è abbastanza chiaro. L’originale greco sembra di Menandro.



    CURCULIO  (Gorgoglione, propriamente verme roditore del grano)

    Curculio (tradotto anche in Pidocchio) è un parassita che aiuta il suo protettore, il giovane Fedromo, innamorato della cortigiana Planesio, a coronare il suo sogno d'amore, cercando di riscattarla dal lenone Cappadoce. Il parassita, che veste anche la parte del "servus currens", scopre che un miles ha già comprato la ragazza, depositando presso un banchiere la somma, che verrà pagata a chi presenterà una lettera sigillata con l’anello del soldato. Curculio, travestito da soldato, si impadronisce ai dadi dell’anello, confeziona una falsa lettera e riscatta la ragazza.

    Nel frattempo, sul palcoscenico sale l’impresario della compagnia recitante, timoroso di non rivedere più il vestito che ha prestato a Curculio. Sopraggiunge furibondo il soldato, ma Planesio identifica nell’anello del miles quello che era solito portare il padre, dal quale era stata un giorno rapita: il soldato viene riconosciuto come suo fratello, e Fedromo può felicemente sposare la donna.

    La commedia prende il titolo dal parassita protagonista Gorgoglione, d’insaziabile voracità: il "curculio" è, infatti, il verme roditore del frumento. Il "Curculio" contiene, inoltre, la famosa "serenata dei chiavistelli " (atto I, scena III), che il giovane Fedromo rivolge alla porta dell’amata, perché dischiuda i suoi battenti.

    La serenata ai chiavistelli è una variante di un tipo di componimento noto alla lirica greca, il paraklausithuron, una composizione assai ricorrente nella letteratura greca e latina e consiste in un lamento che un personaggio rivolge alla porta chiusa dell’amata.

    Un’altra celebre variazione sul tema è quella proposta da Properzio: a prendere la parola è addirittura la porta, che si lamenta dei turpi costumi della nuova padrona di casa, che la costringono ad assistere all’indegno spettacolo di giovani che litigano, schiamazzano o piangono rivolgendosi a lei, la porta, costretta a sopportare tutto questo senza poter battere ciglio, lei che un tempo era appartenuta alla dimora di un illustre condottiero carico di trionfi.

    Nel "Curculio" poi, l'omonimo protagonista, egli stesso greco, sta attraversando una via e gli danno fastidio questi Greci che hanno invaso le vie della città e vanno in giro col capo coperto, carichi di libri, confabulando fra loro e affollando le osterie in cerca di chi possa offrire loro in bicchiere di vino.

    Plauto sfrutta a fini comici una certa ostilità nei confronti dei Greci, tipica di una parte della società romana e che aveva trovato portavoce in Catone. Plauto conia addirittura un verbo, "pergraecari", che significa più o meno "gozzovigliare alla greca", vivere in modo dissoluto, proprio come farebbero i Greci.



    EPIDICUS  (Epidico)

    Epidico è un servo che, con la sua scaltrezza, permette al suo padroncino Stratippocle di sposare una suonatrice di cetra. Non manca nella commedia il riconoscimento di una sorella di Stratippocle, una prigioniera conosciuta dal giovane in guerra.
    Il giovane Stratippocle s'innamora in due tempi diversi di due cortigiane, affidando al "servus" Epidico l’incombenza di trovare ogni volta il denaro necessario a riscattarle. Epidico riesce ripetutamente ad ingannare il vecchio Perifane, padre di Stratippocle, carpendogli il denaro di cui ha bisogno. Ma quando i suoi raggiri stanno per essere scoperti, una delle due ragazze viene riconosciuta figlia di Perifane e sorella di Stratippocle, che ripiega dunque sull’altra cortigiana mentre Epidico viene affrancato per meriti d’ingegno.
    L’intreccio è più complicato del solito. Ma l’interesse della commedia sta soprattutto nella figura d’Epidico: il più abile, astuto, diabolicamente scaltro dei servi che il teatro abbia mai dato.



    MENAECHMI  (I Menecmi)

    Si racconta di due fratelli gemelli (Menecmo e Sosicle), nativi si Siracusa, che hanno vissuto in famiglie separate e casualmente s'incontrano, tipica commedia degli equivoci dovuti a scambio di persona.  Uno dei due, in occasione di una solennità, viene condotto a Taranto dal padre, l’altro rimane a casa con il nonno. Nella confusione della festa, il ragazzo si smarrisce, e il padre, dopo averlo cercato per giorni, non sopravvive al dolore della perdita.

    Il fanciullo sperduto incontra un mercante di Epidamno che lo adotta e lo conduce con sé. Il nonno, addolorato per la perdita del figlio e nipote, dà al gemello sopravvissuto il nome del fratellino scomparso, Menecmo. 

    L’altro intanto si è fatto uomo e ha sposato una ragazza di buona famiglia, ricca ma gelosissima; ha intrecciato una relazione con la cortigiana Erotio, alla quale ha regalato un manto sottratto al guardaroba della moglie.

    La vicenda si svolge ad Epidammo, dove in casa di Erotio si sta preparando un banchetto cui la donna intende invitare Menecmo e il suo parassita. Il cuoco della ragazza, uscito per fare spesa, incontra Menecmo II, il quale non ha mai interrotto le ricerche del fratello scomparso ed è giunto occasionalmente a Epidamno. Il cuoco, scambiandolo per Menecmo I, gli rivolge la parola. Di tutto il discorso però comprende assai poco, al punto da convincersi che il solo scopo dello sconosciuto è di attirarlo in casa di una cortigiana.

    Si decide a seguirlo in casa di Erotio, e poiché la donna lo accoglie con affettuosa confidenza, crede di aver fatto colpo su di lei e lo invita a pranzo.

    Gli equivoci vanno a ripetizione, a pranzo Erotio chiede a Menecmo II di far apportare modifiche al manto e quello acconsente, pensando sia il compenso che chiede da lui e si reca a farlo aggiustare. Uscito di casa, con il capo ancora incoronato dalla corona conviviale, Menecmo II viene scorto da Poeniculus, che crede di trovarsi di fronte Menecmo I, colpevole di essersi goduto il pranzo senza invitarlo. 

    Deciso a vendicarsi, rivela alla moglie e al suocero la tresca di Menecmo I; questi, inconsapevole di ciò che lo attende, viene assalito dalla moglie, che pretende la restituzione del manto.
    Menecmo I, sperando di riportare la pace in famiglia, si reca da Erotio per farselo restituire; la cortigiana, convinta che voglia prenderla in giro, lo caccia in malo modo, affermando di avergli consegnato il mantello poco prima.

    Torna Menecmo II che, fatto aggiustare il manto, torna da Erotio, ma viene assalito dalla moglie di Menecmo e dal padre di questa. Alle disperate proteste di Menecmo II, che cerca di dimostrare la propria identità, nel suocero comincia a farsi strada il pensiero che il genero sia impazzito. Quando Menecmo II si accorge che nessuno gli crede e che il suocero minaccia di farlo legare, simula un attacco di pazzia furiosa e, fingendo di sentire delle voci divine che gli impongono di cavare gli occhi alla moglie e di fare a pezzi il suocero con l’ascia, mette in fuga entrambi.

    Le rocambolesche situazioni si succedono in un’irresistibile tensione comica. Quando già i due Menecmi sono ritenuti pazzi e ci si rivolge ormai ai medici, essi si trovano l’uno dinanzi all’altro davanti alla casa di Erozio e tutto si chiarisce. La lunga serie di peripezie rende questa commedia tra le più animate del teatro classico: un susseguirsi ininterrotto di saporose battute, di botte e risposte, di capovolgimenti di situazioni, senza un solo attimo di stasi. 
    Benché non si conosca l’originale greco da cui essa sia derivata, si sa che una non piccola schiera di commediografi greci Menandro, Antifane, Posidippo, s’ispirò a questo motivo dell’identità di due persone. Del resto, il motivo non è nuovo neppure in Plauto: si pensi solo al Mercurio-Sosia e al Giove-Anfitrione dello stesso Amphitruo. Ma in tempi passati vi si è ispirato più volte il cinema americano.



    MERCATOR  (Il mercante): 

    Stesso tema di Casina con uguale epilogo. Un giovane (Carino) e il padre del giovane (Demifone) si invaghiscono della stessa ragazza, una bella schiava, Pasicompsa, che Carino ha condotto da Rodi dove si era recato per commercio.

    Demifone, che ha avuto un sogno premonitore, fa comprare al porto la fanciulla dall’amico Lisimaco, che la dovrà custodire in casa sua per un giorno, profittando dell’assenza della moglie Dorippa.

    Ma questa ritorna, l’equivoco deve essere per forza spiegato e il vecchio Demifone cede il posto al figlio. Alla fine le cose si mettono a posto e si suggerisce una scherzosa legge per i vecchi, imponendo a coloro che hanno compiuto 60 anni, siano sposati o scapoli, di non impelagarsi in avventure amorose.
    Deriva dall’ "Emporos" di Filemone. 



    MILES GLORIOSUS  (Il soldato spaccone)

    Il soldato Pirgopolinice, millantatore e spaccone, nonchè grande libertino, viene beffato da un suo servo, l'ingegnoso Palestrione, che riesce a far ricongiungere il suo ex padroncino (Pleusicle) con la ragazza amata (Filocomasio).  Il primo atto ha lo scopo di presentare il personaggio: il miles si pavoneggia come un divo e si lascia lusingare dal parassita, che per guadagnarsi da vivere, lo copre di lodi, inventando gesta belliche e amorose che il protettore non ha mai intrapreso. Secondo lui  Pirgopolinice sarebbe capace di sfondare la pelle di un elefante con un pugno.

    Il giovane Pleusicle ama la bella Filocomasio, una giovane etera in possesso di Pirgopolinice, che vive in un appartamento del soldato fatto sorvegliare a Sceledro.

    Durante un’assenza del giovane, la ragazza era stata rapita dal "miles" Pirgopolinice, soldato smargiasso e fanfarone, a cui il parassita Artotrogo fa credere di essere irresistibile con le donne.

    Palestrione, servo di Pleusicle, parte per avvertire il padrone di ciò che è accaduto, ma viene rapito dai pirati e finisce per essere donato proprio al miles.

    Pleusicle, avvertito di nascosto da Palestrione, si fa ospitare da Pericleptomeno, un amico del padre, in una casa contigua a quella stessa del miles.
    Palestrione pratica una breccia nel muro di confine tra le due case, consentendo agli amanti di incontrarsi. Ma Sceledro, servo del miles, li scorge mentre si baciano, e costringe Palestrione a escogitare una serie di inganni per salvare i due amanti, fingendo che esista una gemella di Filocomasio.
    Sceledro, vedendo che Filocomasio non lo riconosce, teme di aver perduto il possesso di sé, e Palestrione rincara la dose: e se qualcuno li avesse immutati, cioè trasformati a sua insaputa, così da non essere più riconoscibili alle persone note?
    Palestrione, poi, organizza una feroce beffa ai danni di Pirgopolinice: gli fa credere che la moglie di Periplectomeno sia pazzamente innamorata di lui; il miles, così, licenzia in un sol colpo Filocomasio e Palestrione, dando loro la libertà, ma, entrato nella casa di Periplectomeno per un appuntamento galante, trova un marito furibondo e i servi pronti a fustigarlo ignominiosamente come adultero.

    Gran parte della trama proviene dalla commedia greca "Alazon" ("Il vanaglorioso"), ma è probabile che P. abbia largamente applicato la "contaminatio", assumendo da un altro dramma il motivo del foro nel muro e della sorella gemella.
    Secondo alcuni studiosi è la caricatura non tanto del soldato romano quanto del soldato mercenario greco. Questi infatti era una figura sconosciuta a Roma, dove all’epoca di Plauto il servizio militare era dovere di ogni cittadino. Il miles è gloriosus, cioè fanfarone, che si vanta di imprese mai compiute, spacciandosi per gran seduttore: un conquistatore immaginario di nemici e di donne, ma sempre smentito dai fatti. Ridendo di questi milites, i romani si sentivano orgogliosi del proprio valore militare..



    MOSTELLARIA  (La commedia del fantasma)

    Mentre il padre Teopropide, un ricco mercante di Atene, è assente da lungo tempo per affari, il giovane Filolachete si dà alla pazza gioia con l’amico Callidamate, assistito dal servus Tranione, che ha anche dovuto procurarsi un prestito per riscattare la bella Filemazio, una cortigiana amata dal padroncino.

    Torna inaspettatamente il padre, mentre è in corso un gran banchetto. Tranione spranga la porta, e per impedire a Teopropide di entrare inventa che la casa è abitata da un fantasma. Giunge nel frattempo un usuraio per riscuotere un credito, e Tranione è costretto ancora a mentire, affermando che il denaro è servito a comprare un’altra abitazione. Teopropide chiede di vederla, e il servo escogita nuovi geniali trucchi per mostrargliela, ingannando anche il vero proprietario. Infine la verità viene a galla, e solo l’intervento di Callidamate che promette di soddisfare personalmente a ogni debito, salva Tranione dall’irosa furia di Teopropide.
    Si pensa che la "Mostellaria" derivi dal "Phasma" di Filemone o di un autore minore, Teogneto.



    PERSA (Il persiano)

    E' la storia di un astuto servo (Sagaristione), che, travestito da persiano, libera una ragazza (Lemniselenide) dal lenone Dordalo, per favorire i desideri di un amico, anch'egli servo (Tossilo). La caratteristica più importante di questa commedia è che i protagonisti sono eccezionalmente solo dei servi (oltre al lenone infine beffato).


    Dunque il servo Tossilo riscatta dal lenone Dordalo una ragazza che ama. Poi traveste da orientale la figlia di un parassita e finge di venderla allo stesso Dordalo, che cade nel tranello. La somma ricavata serve a cancellare il debito iniziale. Il parassita trascina in tribunale il lenone, reo di aver comprato una ragazza libera.

    La commedia si conclude con una grande festa, durante la quale Dordalo viene beffato e bastonato per la sua insipienza e Tossilo può giustamente trionfare. E', per definizione, la "commedia degli schiavi", dei quali Plauto ha saputo ritrarre linguaggio, licenziosità e malizie.



    POENULUS  (Il cartaginese)

    Agorastocle, un giovane cartaginese rapito all'età di sette anni, vive in Etolia, adottato da un ricco signore. Accanto a lui abitano due sorelle, anch'esse rapite da piccole e ancora sfruttate dal loro padrone. Il giovane si innamora di una delle due sorelle, Adelfasio, ma se il giovinetto, innamorato di Adelfasio, è ricco, le due fanciulle conducono invece una vita misera, in potere dello sfruttatore Lico. Una ben architettata trappola, ordita da Milfione, servo di Agorastocle, e recitata dal villico Collibisco, offre il modo di citare lo sfruttatore in tribunale. Giunge frattanto da Cartagine, in cerca delle figlie scomparse, il padre Annone: egli si incontra con Agorastocle ed è condotto da questi in casa di Lico, dove può riconoscere e riabbracciare le figliole. Alla fine interviene il cartaginese Annone che riconosce in Agorastocle suo nipote e nelle sorelle le sue due figlie rapite. Agorastocle si sposa così con la cugina Adelfasio.
    Modello della commedia è stato il "Carchedonios" di Menandro. Una prima redazione del Poenulus doveva aver titolo "Patruos" (Lo zio). E' interessante l'uso della lingua punica da parte del giovane protagonista.

    Tutto inizia nel disordine e nell'equivoco, ma gli eventi non sono così brutti come appaiono, perchè c'è una sorte nascosta e benevola che rimette in sesto le cose. E' importante quindi ricordare che niente riuscirebbe al servo, o alla sua astuzia, senza l'ausilio determinante della "fortuna" (Tyche), che ne contempera il merito del successo, contribuendo  a "rimettere le cose a posto". Tutto si sana dunque senza violare i costumi o il sistema cui la società è avvezza.



    PSEUDOLUS  (Pseudolo)

    Pseudolo è il nome dello schiavo protagonista, assieme al lenone Ballione, della commedia. Quest'ultimo ha pattuito di cedere ad un soldato macedone per venti mine la cortigiana Fenicia, di cui è innamorato Calidoro, padroncino di Pseudolo. Lo scaltrissimo servo riesce con i suoi raggiri a beffare il lenone e a consegnare la ragazza amata al suo padrone.


    Dunque Calidoro ama Fenicia, che il lenone Ballione ha già venduto ad un miles per venti mine: quindici anticipate, più cinque che un messo del soldato sborserà entro la sera.

    Pseudolo si mette all’opera, dopo aver elaborato il piano d’attacco con cui espugnare la casa del lenone, assiste all’arrivo di un personaggio incaricato dal miles di ritirare la ragazza, costringendolo a rivedere i suoi piani.

    Infatti, il servo plautino, vero deus ex machina dell’intreccio, è anche una figura sovversiva, perché i suoi stratagemmi determinano una sovversione di tutto ciò che è considerato normale: i servi infatti dominano sui padroni e i giovani sui vecchi genitori: tutto il contrario di ciò che accade nella realtà quotidiana, in cui:
    1. i figli scapoli corteggiano le donne
    2. i vecchi lasciano in pace le donne desiderate dai figli;
    3. i figli accettano l’autorità paterna senza drammi, per quanto severa essa sia.
    Pseudolus, riconoscendo il fallimento del suo progetto, si abbandona a una considerazione filosofica sul ruolo preponderante della Fortuna sulle vicende umane, con una riflessione sul linguaggio filosofico, al motivo del contrasto fra sapere umano e sapere divino: l’uomo, finché il suo destino non si compie – ha una grande stima di sé e nutre vane speranze: il povero nella ricchezza, il malato è convinto di guarire, e così via. Con tutto ciò Pseudolo sgomina ogni ostacolo e vince addirittura un’impossibile scommessa con Simia, padre di Calidoro. Ballione perde la ragazza, è costretto a restituire il denaro al messo del miles e a sborsare per giunta altre venti mine a Simia per un'altra scommessa perduta.



    RUDENS  (La gomena)

    in questa palliata di ambientazione marinaresca due cortigiane del lenone Labrace, naufragano durante una tempesta di mare e si rifugiano in un tempio, inseguite dal lenone. Un pescatore di nome Gripo, servo di Damone, che poi risulterà essere padre di una delle due ragazze, trascina con una gomena (rudens) un baule, preso nella rete in mare. Le ragazze scoprono, dai segni nel baule, che sono libere, quindi non di proprietà del lenone.
    Questi infatti, dopo aver promesso la bella fanciulla ad un giovane innamorato di lei, da cui aveva ricevuto un lauto anticipo, era fuggito durante la notte per sfruttare altrove la ragazza. Ma la tempesta ributtò sulla riva i partenti. La ragazza si rifugia con la propria ancella nel tempio di Venere, a poca distanza dal quale vive un uomo a cui un tempo è stata rapita la propria figlia. Segue naturalmente il riconoscimento: la ragazza che, sottratta all’avido lenone, può finalmente riabbracciare il padre e sposare il suo innamorato.

    Derivata da una commedia di Difilo, quest'opera ha una scena diversa, anziché la solita piazzetta su cui s’affacciano le case dei personaggi, ha una spiaggia battuta dal mare in tempesta, e un ambiente di pescatori che vivono di stenti, com’è detto nel coro ch'è al principio del II atto, l’unico coro della Commedia latina. Quanto all’atmosfera, il comico è quasi del tutto assente nel "Rudens", in cui predomina al contrario un tono tra il patetico e il solenne, che sfiora in qualche punto la tragedia.



    STICHUS  (Stico)

    E' una commedia sulla fedeltà coniugale, o almeno passava per tale.

    Due spose, Panegiride e Panfila, che hanno i mariti (Epignomo e Panfilippo, tra di loro fratelli) in viaggio oltremare per ricostituire un patrimonio in rovina, da tre anni non hanno più notizie di loro.
    Il padre vorrebbe farle risposare, ma esse, novelle Penelopi, resistono alle tentazioni, e c'è pure un parassita, Gelasimo, che da tre anni patisce la fame.

    Loro non cedono e alla fine giunge in porto la nave dei due uomini, carichi di merci e di ricchezze. Assieme a loro c’è anche il servo Stico, che organizza grandi festeggiamenti. I due mariti si rappacificano con il vecchio suocero, soddisfatto del successo dei loro affari. Solo il parassita non riesce a farsi invitare da nessuno, e comicamente continua a restare deluso nella sua ormai annosa brama di cibo. "Stichus" deriverebbe dall’ "Adelphoe" di Menandro.



    TRINUMMUS  (Le tre monete)

    Mentre il vecchio Carmide è in viaggio d’affari, suo figlio, un ragazzo scialacquatore (Lesbonico) sperpera il patrimonio paterno e venderebbe anche la casa, ad un altro senex, Callicle, che per fortuna è un leale amico di Carmide, e decide di salvaguardare per il ritorno dell’amico un tesoro segreto sepolto nella casa dal padre del giovane. Nel frattempo un altro giovane, Lisitele, ama la sorella di Callicle, e chiede di poterla sposare pur senza dote: Lesbonico, che è in fondo un giovane di nobili costumi, non può accettare, e decide di affidare in dote alla sorella l’ultima cosa che gli è rimasta, un podere fuori città. Allora Callicle assolda un messo a cui, appunto per tre dracme (onde il titolo della commedia), dà l’incarico di giungere in città fingendo di portare per conto di Carmide una somma, che in realtà Callicle ha prelevato dal tesoro.

    Carmide è inaspettatamente tornato, ed è proprio lui a ricevere il finto messo. Gli equivoci e gli ingiusti sospetti sono dissipati dal commovente incontro fra i due vecchi. La commedia si conclude con due matrimoni: di Lisitele con la figlia di Carmide e di Lesbonico con quella di Callicle. L’originale di Filemone prendeva titolo dal "tesoro" nascosto in casa.



    TRUCULENTUS  (Lo zoticone)

    La commedia, molto lacunosa, prende titolo dal nome del rustico e brutale schiavo Truculento di Strabace, un giovane fattore che è vittima, insieme all’ateniese Diniarco e al soldato Stratofane, della sfrontata cupidigia della cortigiana Fronesio.la protagonista della commedia, che inganna tre amanti, dipinta da Plauto come prostituta rapace e insaziabile, capace però di rendersi conto, in un bellissimo monologo, delle miserie della sua vita. Secondo Cicerone (De senectute 50) Plauto si compiaceva molto, da vecchio, di questa sua commedia, che ricava il titolo da un personaggio secondario, il servo rude e zotico di Strabace, uno degli innamorati della cortigiana.
    L’intreccio si lascia intravedere appena. Fronesio vuol gabellare a Stratofane, come fosse suo figlio, un bambino abbandonato, ma si scopre che quello è invece figlio di Diniarco e di una libera cittadina ateniese.



    VIDULARIA  (La commedia del baule)

    i pochi frammenti della commedia (poco più di 100 versi) parlano di un baule (in latino vidulus), scomparso in mare durante un naufragio e poi ritrovato da un pescatore, che contiene oggetti atti a far riconoscere
    (agnitio) il giovane Nicodemo. Non mancano punti di contatto con la trama della Rudens.





    I PERSONAGGI CLASSICI


    L'ADULESCENS

    giovane innamorato languido e dolente ma incapace di superare gli ostacoli. Il suo linguaggio tocca molto spesso i registri "alti" e patetici della tragedia, naturalmente con effetti comici e parodistici,. Plauto non prende mai sul serio la sua storia né i suoi lamenti d’amore: lo guarda divertito, costringendolo spesso a subire i lazzi spiritosi del servus.



    IL SENEX

    Padre severo e perennemente beffato, che cerca inutilmente di impedire i costosi amori dei figli, (come nella "Mostellaria"); ma talvolta è anche un ridicolo e grottesco concorrente dei figli per la conquista della donna desiderata (come nell’ "Asinaria" o nella "Casina"). Nelle vesti dell’amico o del vicino, può essere alleato dei giovani (come nel "Miles gloriosus") oppure fornire un burlesco doppio del senex innamorato (come nel "Mercator").

    Sovente ha l’ossessione del denaro. Euclione, dopo aver trovato una pentola d’oro, è ossessionato dal timore di perderla, al punto che, quando Megadoro gli chiede la mano della figlia, egli crede che questi in realtà miri solo alla sua pentola d’oro. Rimanda molto all'Avaro di Moliere.



    LA MERETRIX

    di minore importanza i ruoli femminili, anche perché non è infrequente che la ragazza desiderata non compaia mai in scena (come nella "Casina") o svolga una particina marginale. Il ruolo femminile più importante è quello della "cortigiana", figura sconosciuta in Roma prima che nascesse la palliata (La commedia greca riedita alla romana), e che era invece consueta nel mondo greco. Nella "palliata" plautina possono essere sia libere che schiave, e allora appartenere ad avidi e crudeli lenoni, che le mettono in vendita al miglior offerente. In questo caso il loro più grande desiderio è quello di essere riscattate dall’amante. Naturalmente, l’espediente dell’ "agnizione" può consentire loro il felice passaggio dalla condizione di amanti a quella di spose. Alcune di loro, poi, sono abilissime e sfrontate (come nel "Truculentus"), altre dolci e sensibili (ed è questo il caso più frequente).



    LA MATRONA

    accanto alla figura dell’etera, quella della matrona, madre dell’adulescens e sposa del senex, quasi sempre autoritaria e dispotica, soprattutto se provvista di dote. La donna quando accampa diritti è a dir poco noiosa. Accade che spesso il senex sia vittima delle sue ire furibonde (come nell’ "Asinaria"). Non manca qualche eccezione: la nobile figura di Alcmena nell’ "Amphitruo" o le due spose fedeli nello "Stichus".



    IL PARASITUS

    presente in ben nove commedie di P., il parassita è uno dei tipi più buffi e curiosi della "palliata", caratterizzato dalla fame insaziabile e dalla rapacità distruttiva, spesso fonte di rovina economica per il disgraziato che ha deciso di mantenerlo a sue spese. Esuberante e vitale, il parassita non lesina lodi iperboliche e servizi di ogni genere nei confronti dei suoi benefattori, che naturalmente sono anche vittime delle sue sfavillanti battute, come accade nella famosa scena d’esordio del "Miles gloriosus".

    MONUMENTO ALLA COMMEDIA DI PLAUTO (Sarsina)
    Anche il parassita, come il miles, allude a una figura assai familiare al pubblico romano: il cliens, o cliente. In questo brano il parassita Gelasimo si incarica di spiegare il significato del suo nome: ridiculus homo, che rappresenta con precisione il suo carattere e lo scopo della sua vita: fare il buffone in cambio di cibo.

    Anche in questo brano si possono cogliere alcuni meccanismi tipici della parodia; uno di questi è l’iperbole: Gelasimo esagera a tal punto la fame da dichiarare di essere figlio della Fame in persona; nessuno d’altra parte potrà mai uguagliare il suo amore filiale, perché se è vero che una madre tiene nel proprio grembo il nascituro per dieci mesi, lui sono più di 10 anni che la porta nel suo ventre. Il brano inoltre offre un esempio di parodia tragica: allude a una situazione tipica della tragedia, in cui l’eroe, oppresso e perseguitato dal destino avverso, innalza un lamento accorato sulla propria sventura.

    Interessante è anche la metafora in cui Gelasimo afferma di essere in vendita con tutti i finimenti: come un cavallo addestrato a ubbidire agli ordini del cavaliere e nutrito per questo con abbondante foraggio.



    IL MILES GLORIOSUS

    come la cortigiana, anche il miles, soldato mercenario al servizio di chi lo paga meglio, era una figura consueta nei regni ellenistici ma sconosciuta in Roma, dove all’epoca di Plauto il servizio militare era dovere di ogni cittadino. Il miles si presenta quasi sempre nelle vesti del "gloriosus", cioè del millantatore, del fanfarone che si vanta di grandi imprese mai compiute, spacciandosi per giunta per gran seduttore: è insomma un conquistatore immaginario di nemici e di donne, prontamente smentito dagli avvenimenti. E’ probabile che i Romani, ridendo di questi milites ellenistici, si sentissero invece orgogliosi del proprio valore militare.



    IL LENO

    anche il lenone, commerciante di schiave e sfruttatore di prostitute, era una figura sconosciuta presso i Romani. Plauto ne fa la figura più odiosa, anche perché costituisce il maggior ostacolo ai desideri del giovane innamorato. Ma nel teatro plautino non esistono personaggi buoni o cattivi, perché non esiste una partecipazione e un coinvolgimento emotivo nelle vicende, già scontate fin dall’inizio: l’odiosità, come l’avidità, sono solo i caratteri fissi che definiscono la maschera del lenone, irrevocabilmente destinato alla sconfitta e alla beffa.

    Colpisce molto di più, invece, la sua formidabile vitalità, la sua capacità di esser superiore a ogni giudizio morale, come rivela la bellissima gara di insulti che adulescens e servus ingaggiano contro di lui dello "Pseudolus". Ma nonostante i personaggi plautini siano spesso aldifuori della morale, non lo sono gli spettatori, che nonostante le trame siano un deja vu, s'immedesimano nella commedia parteggiando e intervenendo.
    Faranno altrettanto, su questa falsariga, l'avanspettacolo italiano col suo colloquio col pubblico, dove si prendeva di tutto, dai fischi, alle parolacce, agli apprezzamenti a volte pesanti e ai fiori. E sulla falsariga ancor più farà la Sceneggiata napoletana, che soesso aleggia i personaggi e i colpi di scena plautini.



    IL SERVUS CALLIDUS

    la figura più grandiosa, il protagonista, personaggio sfrontato e geniale, spavaldo orditore di incredibili inganni a favore dell’adulescens e contro l’arcigna taccagneria dei senes o l’avidità dei formidabili lenoni. Senza di lui, non ci sarebbe storia; il deus ex machina in effetti è lui. Plauto lo definisce in vari luoghi come un "architetto" (Palestrione, nel "Miles Gloriosus"), un "poeta" (Pseudolo, nello "Pseudolus"), un "generale" (ancora in riferimento a Pseudolo e Palestrione), finendo palesemente per identificarsi nella sua figura. A noi ricorda un po' Arlecchino e Pulcinella, sempre spiantati ma con una lucida visione degli eventi e da un’ironia dissacrante, che non risparmia niente e nessuno, nemmeno l’amato padroncino per il quale il servo rischia ogni volta le ire del vecchio padrone.

    La sua forza è la giocosità creativa delle sue invenzioni, la gratuità un po’ folle e anarchica delle sue scommesse, naturalmente sempre vinte; su di lui incombe perennemente la minaccia delle sferze e delle catene, a cui il servo plautino risponde coi suoi geniali raggiri. Fiero e orgoglioso delle proprie mosse, si autoglorifica spesso, rivolgendosi al pubblico nella posa plateale di chi ambisce a un applauso.

    Plauto ce ne dà un ritratto fisico, una maschera: "rosso di pelo, panciuto, gambe grosse, pelle nerastra, una grande testa, occhi vivaci, rubicondo in faccia, piedi enormi" ("Pseudolus", 1218-1220). Brutto ma intelligente e atuto, di quell'intelligenza e astuzia che nasce dall'esigenza di dover dtrappare la vita brano a brano per sopravvivere, ma con uno spirito e un brio da eroe. Aristotele aveva scritto che gli schiavi sono più vicini agli animali che agli uomini. Il servo plautino, mostruoso nel corpo, dirompente nel linguaggio (spesso osceno e volgare), spudorato negli atteggiamenti, animalesco nei suoi istinti, dimostra di essere anche il più intelligente, e pure anche il più simpatico, quello per il quale il pubblico "tifa" fin dall’inizio.


    Questi due brani ci permettono di trarre alcune conseguenze:


    Pseudolo parla degli inganni che si prepara a macchinare paragonandoli alle menzogne della poesia; in particolare, per descrivere le difficoltà incontrate nella costruzione del’intrigo, usa espressioni che lo portano a identificarsi col poeta stesso.

    nel secondo monologo, il poeta chiarisce attraverso il personaggio la sua concezione del teatro, che si basa sul dinamismo scenico, ossia sullo svolgimento rapidissimo dell’azione, basata su colpi di scena e trovate fantastiche che sconfinano nell’assurdo e nel surreale.
    sempre attraverso il servo Plauto ci dice che alla base dell’intreccio delle sue commedie c’è un inganno;
    - che il servo è l’artefice principale della beffa;
    - che il servo è il rappresentante autorizzato del poeta (la figura che Plauto autorizza a rappresentarlo sulla scena), l’alter ego del poeta: come infatti il servo architetta l’inganno organizzandolo nei minimi dettagli e istruendo i suoi complici su di essi, così il poeta mette in scena la commedia, delineandone l’intreccio e istruendo gli attori.
    - la capacità vantata dal servo di trovare soluzioni a vicende ingarbugliate è metafora (traduzione scenica) della capacità inventiva del poeta.
    gli inserti meta teatrali hanno la funzione di chiarire al pubblico la sua concezione del teatro e della poesia: si tratta di una concezione non realistica ma fantastica.

    Il servo plautino – che è il vero deus ex machina dell’intreccio – è anche una figura sovversiva, perché i suoi stratagemmi determinano una sovversione di tutto ciò che è considerato normale: i servi infatti dominano sui padroni e i giovani sui vecchi genitori: esattamente tutto il contrario di ciò che accade nella realtà quotidiana, in cui:
    i figli scapoli corteggiano le donne
    i vecchi lasciano in pace le donne desiderate dai figli;
    i figli accettano l’autorità paterna senza drammi, per quanto severa essa sia.

    Un altro esempio di meditatio del servo, impegnato a escogitare una delle sue ennesime trovate, ce lo offre Palestrione nel Miles gloriosus. Nel brano seguente, egli appare alle prese con la necessità di far credere a Sceledro, servo di Pirgopolinice, di non aver visto ciò che invece è convinto di aver vsto: Filocomasio, la donna del soldato, abbracciata col padroncino Pleusicle. Nella figura di Palestrione, intento a scovare una trovata delle sue in un atteggiamento improntato alla massima concentrazione, è facile veder raffigurato il “travaglio dell’artista insoddisfatto della propria creazione”, quando è alla ricerca dell’ispirazione e questa tarda a venire.

    Ma come rappresentare sulla scena un atto mentale come quello della creazione artistica? Attraverso la mimica e la presenza di un personaggio – Periplectomeno – che senza esser visto dal servo, commenta per il pubblico la mimica del servo- poeta. Questi, infatti:

    si batte il petto con le dita, quasi a tirarsi fuori il cuore;
    ha la mano sinistra appoggiata sulla coscia sinistra e con la destra fa i conti con le dita;
    gli mancano le idee, è in affanno, quelle che ha appena escogitato le respinge e scuote il capo: è evidente che, qualunque sarà la sua trovata, la servirà ben cotta;
    assume l’atteggiamento che la tradizione attribuiva al poeta latino Nevio, incarcerato per aver criticato i potenti, con la mano a far da puntello (sostegno) al mento, mentre due soldati mantenevano la guardia ai suoi fianchi. Ma è questione di un attimo: al servo non è gradita la poesia politicamente impegnata, perché predilige … la commedia plautina: vistoso riferimento meta teatrale alla natura disimpegnata, indifferente alla politica e alla protesta sociale propria del teatro plautino.

    Infatti, destato dalle esortazioni del vecchio, il servo si convince ad assumere un atteggiamento non meditabondo ma combattivo: farà come un generale che non lascia tregua al nemico, cingendo d’assedio, tagliando i viveri e innalzando bastioni.

    Tuttavia, gli inserti meta teatrali in Plauto sono sempre limitati, occupano uno spazio esiguo e sono di breve durata: dopo aver parlato di poesia e di poeti, il servo si cala nuovamente nei panni del personaggio e l’illusione scenica viene ristabilita.




    IL DOPPIO

    Un espediente di cui spesso Plauto si serve per rendere meno monotona la trama delle sue commedie è l’equivoco, soprattutto quello legato allo scambio di persona. A questa tematica si ricollegano alcune commedie, come l’Amphitruo e il Miles.

    Nell’Amphitruo – l’unica commedia di soggetto mitologico – Zeus, essendosi innamorato di una donna mortale, Alcmena, moglie di Anfitrione re di Tebe, per realizzare il suo desiderio, prende le sembianze del marito di Alcmena, assente momentaneamente dalla città perché impegnato in una spedizione militare; Mercurio, intanto, per favorire gli amori di Zeus e Alcmena, si è travestito da Sosia, il servo di Anfitrione.

    A un certo punto, i veri Anfitrione e Sosia ritornano dalla guerra e in questo brano Sosia, mandato dal padrone come araldo ad annunciare il suo arrivo alla regina, giunto dinnanzi ala palazzo, non crede ai propri occhi, quando vede sulla porta del palazzo un individuo identico a se stesso. Sosia si avvicina, cerca di entrare, ma quello gli impedisce di accostarsi alla porta di casa.

    Quando sosia dice di essere Sosia, quello lo aggredisce e dice che il vero Sosia è lui, che sta facendo la guardia alla porta. Il vero Sosia osserva bene l’uomo che sostiene di essere Sosia e si rende conto che è in tutto uguale a lui. È come se vedesse allo specchio la sua immagine riflessa che lo guarda male e lo prende a pugni.

    Sosia comincia a dubitare del proprio essere e si chiede:
    - 1. chi è lui, lo schiavo arrivato dal porto alla casa di Anfitrione;
    - 2. dove sono morto? Questa domanda è giustificata dal fatto che i Romani ammettevano l’esistenza di simulacra, “fantasmi”, soprattutto dei defunti. L’incontro di Sosia con qualcuno che ha la sua stessa parvenza esteriore (aspetto) gli suggerisce il pensiero della sua morte: se costui ha la mia imago, significa forse che è il mio fantasma e che io sono morto?
    - 3. dove sono stato trasformato? (immutatus). Questa domanda si lega alla convinzione che esistessero delle persone capaci di prendere possesso dell’identità di un’altra persona, che vede così mutato il proprio aspetto senza essere più riconoscibile agli altri.

    Sosia dunque si trova ad affrontare un problema della massima importanza e assai inquietante, di natura psicologica:
    - non è più se stesso
    - gli altri non lo riconoscono più come Sosia
    - c’è un altro che ha preso il suo posto.

    Siamo però in una commedia e il pubblico si deve divertire, per cui Sosia approfitta del suo dramma esistenziale per trarne spunti di sapore comico:

    - ci sarà ancora un padrone che lo attende presso le navi?
    - forse no, ma se così, pazienza, anzi meglio: non essere più Sosia potrebbe voler dire non essere più uno schiavo.

    Sosia gioca anche sul doppio senso di imago:
    - 1. maschera cera;
    - 2. immagine portata da una persona somigliante al defunto.
    Egli ironizza dunque sulla controfigura che indossa la sua maschera immaginando che gli venga tributato da vivo un onore che nessuno gli renderà da morto, perché schiavo e non nobile.



    IL FATO O TICHE

    Come nell'opera omerica il fato o Ananke o Tiche o Fortuna, ha sempre l'ultima parola.
    Nel brano seguente, Pseudolus, riconoscendo il fallimento del suo progetto, si abbandona a una considerazione filosofica sul ruolo preponderante della Fortuna sulle vicende umane, con una serie di riflessione di sapore parodistico nei confronti del linguaggio filosofico.

    Vi si può riconoscere un’allusione alla sapientia greca, in particolare al motivo del contrasto fra sapere umano e sapere divino: l’uomo, finché il suo destino non si compie – ha una grande stima di sé e nutre vane speranze: il povero nella ricchezza, il malato è convinto di guarire, e tutti cercano… (v.d Solone)



    IL METATEATRO

    Caratteristica del teatro plautino è la cosiddetta rottura dell’illusione scenica, che si ha quando il pubblico che assiste a uno spettacolo cessa di immedesimarsi nella vicenda rappresentata, perché viene invitato dai personaggi stessi a prendere atto del carattere fittizio dello spettacolo. Ciò accade per esempio quando uno dei personaggi, nel bel mezzo della rappresentazione, si mette a dialogare con il pubblico.

    In genere, infatti, quando assistiamo a un film drammatico, lo spettatore è portato a lasciarsi coinvolgere dalla tensione e dalla forza drammatica della vicenda, a soffrire con i personaggi. Ciò non è altro che il risultato dell’illusione scenica. Per tutta la durata della rappresentazione accettiamo di credere alla veridicità della scena. Questa illusione è legata alla presenza di una quarta parete, cioè di una barriera invisibile che separa il palcoscenico dalla platea. Tutte le volte in cui questa illusione viene meno, come nell’esempio di prima, è come se la parete venisse abbattuta: il pubblico diviene un personaggio del dramma, anche se a un livello diverso da quello in cui si trovano gli altri personaggi: il pubblico è invitato dall’autore, attraverso uno o più dei personaggi del dramma, a riflettere su alcune questioni che non hanno nessuna relazione con la vicenda rappresentata.

    La commedia che più di ogni altra esalta la figura del servus e in cui maggiore è l’identificazione fra servo e poeta è Pseudolo, un nome parlante, che significa ingannatore, e che allude non solo alle sue ingegnose trovate ma anche alla finzione poetica, rendendo palese la sua identificazione con il poeta. In questo modo il poeta, rappresentando il servo, fornisce al pubblico una rappresentazione ideale di sé e chiarisce i principi fondamentale della sua poetica, svelando i meccanismi su cui si fonda la rappresentazione teatrale.

    In rapporto al metateatro sono soprattutto i seguenti elementi presenti nel testo:
     - il fatto che Pseudolo si rivolga direttamente agli spettatori;
     - il riferimento esplicito alla commedia e al suo svolgersi nel tempo;
     - il riferimento alla creatività e alle innovazioni necessarie sulla scena;
     - il riferimento all’incapacità o abilità di chi è in scena.

    Inoltre l’espressione novo modo novom aliquid inventum adferre può essere considerata la legge fondamentale della drammaturgia plautina, il segreto del suo ritmo scenico e verbale che non dà tregua allo spettatore e al lettore.
    L’attore recita due parti: una per il pubblico, come portavoce dell’autore, una per gli altri personaggi che sono sulla scena. A questa situazione viene dato il nome di metateatro.

    Elementi meta teatrali sono assai frequenti in Plauto. Frequenti cioè sono i casi in cui nella commedia, che è ambientata in Grecia, i personaggi fanno esplicito riferimento a elementi della cultura e della società romana: il personaggio parla da romano rivolgendosi a un pubblico romano. 
    Un clamoroso di metateatro nel senso che abbiamo appena indicato, cioè di teatro che medita su se stesso, ci viene offerto dallo Pseudolus.
    Pseudolus ha appena promesso a Calidoro di procurargli il denaro che gli è stato richiesto dal lenone Ballione per il riscatto dell’amata Fenicio. Egli, in realtà, non sa ancora come fare a mantenere la promessa e,rimasto solo, si abbandona a una riflessione che si sviluppa in due monologhi.
    Come il poeta, quando si pone di fronte al foglio bianco, cerca ciò che non esiste in nessun luogo eppure lo trova, trasformando la finzione in verità, così lui diventerà poeta e le 20 mine – che non esistono in nessun luogo al mondo – le farà balzar fuori.

    Ma su che cosa si basa la sua sicurezza? Egli sa solo che ciò che ha promesso accadrà: è infatti legge che il personaggio che si presenta sulla scena rechi in forma nuova una qualche invenzione: se non è capace di farlo, ceda il posto a chi possiede questa facoltà.

    “Ho il sospetto che ora voi sospettiate che io vi prometto simili imprese per divertirvi, fino a portare a termine questa commedia, e che non sia capace di fare quel che v’avevo promesso. Non mi ritratterò. Per altro, che io sappia, quanto al modo in cui io possa riuscirvi, non so ancor nulla di preciso; so soltanto che la cosa mi riuscirà. Chi si presenta sulla scena deve portare, in modo nuovo, qualche nuova trovata; se non ne è capace, lasci il posto a chi ne è capace”.

    Ricorda un po' i Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello, neanche lì l'autore sa cosa accadrà, non gli resta che seguire i suoi personaggi, perchè sarà il loro carattere a determinare gli eventi. Ma in realtà sarà il carattere e l'estro di Pirandello a determinarli sulla scena. Così ora Il servo che deve portare a termine l'opera senza sapere come è Plauto stesso, la cui inventiva escogita situazioni che portano a situazioni successive. Il servo Plauto svela così che alla base dell’intreccio delle sue commedie c’è un inganno, e che il servo è l’artefice principale della beffa; come infatti il servo architetta l’inganno organizzandolo nei minimi dettagli e istruendo i suoi complici su di essi, così il poeta mette in scena la commedia, delineandone l’intreccio e istruendo gli attori. E così la capacità vantata dal servo di trovare soluzioni a vicende ingarbugliate è metafora (traduzione scenica) della capacità inventiva del poeta.

    Un esempio clamoroso di metateatro nel senso che abbiamo appena indicato, cioè di teatro che medita su se stesso, ci viene offerto dallo Pseudolus.

    Pseudolus ha appena promesso a Calidoro di procurargli il denaro che gli è stato richiesto dal lenone Ballione per il riscatto dell’amata Fenicio. Egli, in realtà, non sa ancora come fare a mantenere la promessa e, rimasto solo, si abbandona a una riflessione che si sviluppa in due monologhi.

    Come il poeta, quando si pone di fronte al foglio bianco, cerca ciò che non esiste in nessun luogo eppure lo trova, trasformando la finzione in verità, così lui diventerà poeta e le 20 mine – che non esistono in nessun luogo al mondo – le farà balzar fuori.

    Ma su che cosa si basa la sua sicurezza? Egli sa solo che ciò che ha promesso accadrà: è infatti legge che il personaggio che si presenta sulla scena rechi in forma nuova una qualche invenzione: se non è capace di farlo, ceda il posto a chi possiede questa facoltà.

    “Ho il sospetto che ora voi sospettiate che io vi prometto simili imprese per divertirvi, fino a portare a termine questa commedia, e che non sia capace di fare quel che v’avevo promesso. Non mi ritratterò. Per altro, che io sappia, quanto al modo in cui io possa riuscirvi, non so ancor nulla di preciso; so soltanto che la cosa mi riuscirà. Chi si presenta sulla scena deve portare, in modo nuovo, qualche nuova trovata; se non ne è capace, lasci il posto a chi ne è capace”.

     Degni di nota in rapporto al tema del metateatro sono soprattutto i seguenti elementi presenti nel testo:
    il fatto che Pseudolo si rivolga direttamente agli spettatori;
    il riferimento esplicito alla commedia e al suo svolgersi nel tempo;
    il riferimento alla creatività e alle innovazioni necessarie sulla scena;
    il riferimento all’incapacità o abilità di chi è in scena.

    Inoltre l’espressione novo modo novom aliquid inventum adferre può essere considerata la legge fondamentale della drammaturgia plautina, il segreto del suo ritmo scenico e verbale che non dà tregua allo spettatore e al lettore.



    I DETTI DI PLAUTO

    - Una mente paziente è il migliore rimedio contro le avversità.
    - Dove sono gli amici, là sono le ricchezze.
    - (sulle donne) Pensa a quanto è saggio un topolino: non affida mai la sua vita a un solo buco.
    - La povertà insegna tutte le arti.
    - La merce buona trova facilmente un compratore.




    L'ISCRIZIONE SEPOLCRALE

    L’iscrizione sepolcrale, riportata da Gellio ( III, 3, 14 ), testimonia il vuoto lasciato dalla morte di Plauto sulla scena teatrale romana:
    "Postquam est mortem aptus Plautus, Comoedia luget,
    Scaena est deserta, dein Risus, Ludus Iocusque 
    et Numeri innumeri simul omnes conlacrimarunt"
    "Dopo la morte di Plauto, la Commedia piange, la Scena è deserta, il Riso, lo Scherzo e il Divertimento, i Ritmi innumerevoli si sono messi tutti insieme a piangere”.
    A parte il rilievo dato alla gioiosità della commedia plautina, si sottolinea la straordinaria abilità in campo metrico (numeri innumeri) dell’arte plautina.


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