VICUS IUGARIUS A SINISTRA DEL TEMPIO DI SATURNO |
E’interessante notare che al momento della colmata le strutture dei castra erano state spogliate da ogni decorazione, ma non erano crollate, ne tanto meno erano state bruciate: questo potrebbe suonare conferma di quel che si diceva all'inizio a proposito del sacco di Alarico. Ad una parziale rioccupazione del sito dei castra sembrerebbe riferirsi l'interessante, ma mal documentata e tutt'altro che chiara fase edilizia che Ceschi.
Le rozze strutture in questione, che si fondavano nella colmata di cui s'è detto e avevano un livello di spiccato fino a 2 m. più alto di quelle di età classica, occuparono solo il settore Sud-Ovest della futura chiesa; erano realizzate in tufelli o in una curiosa tecnica a blocchetti di conglomerato.
Ceschi le interpreta ipoteticamente come un primo riutilizzo dell'area in funzione religiosa (le ex caserme passerebbero dai beni imperiali alla chiesa: è da notare che le nuove murature mantengono approssimativamente lo stesso orientamento dei castra). Tutto ciò, evidentemente, non può essere avvenuto che attorno alla prima metà del V sec. Quel che è certo è che queste strane strutture, se pure erano ancora in piedi, furono distrutte all'atto della fondazione della basilica nel 468-483.
Il terzo, e il maggiore, sito di scavo cui accennerò è quello dell'Ospedale Militare, nel quale sono in corso ininterrottamente dal 1987 indagini che precedono e accompagnano i lavori di ristrutturazione edilizia del nosocomio di età umbertina.
I dati di scavo delineano un quadro di decadenza tutto sommato rapida dell'area (fino al IV sec. intensamente urbanizzata): un quadro tuttavia articolato, con tempi di abbandono differenziati per i singoli complessi. Molti di questi appaiono già del tutto fuori uso e interrati nel corso del V secolo, o al massimo a partire dalla seconda metà o dalla fine di questo. E’ il caso dell'edificio commerciale nel settore Nord-Est, dell'edificio con cisterne nel saggio fra i padiglioni 17 e 19, della fullonica e della grande domus nel settore centrale dell'Ospedale.
Nell'attuate giardino (in parte corrispondente all'originario anello esterno della chiesa) sono stati effettuati tré approfondimenti di scavo in punti diversi. All'interno del monumento sono state invece svuotate alcune fosse nella cappella dei SS. Primo e Feliciano, nel corso della documentazione dei pavimenti marmorei di V o VI secolo dovuta al prof. H. Brandenburg e a S. Storz; sui contesti ceramici, v. MARTIN 1989.
MOSAICO DELLA BASILICA HILARIANA |
Sui precedenti rinvenimenti nell'area
Essa risale ad età antonina, ma ebbe nel IV secolo una fase di fioritura decorativa (pavimenti in opus sectile) tale da autorizzare l'ipotesi di un'identificazione con la domus Symmachorum, situata in questa zona. Per alcuni altri complessi, invece, il V secolo corrisponde alla fase in cui non vi è ancora totale abbandono, ma le strutture subiscono un mutamento d'uso: vengono sì conservate, ma a prezzo di una riduzione degli spazi e di un netto degrado delle modalità di occupazione.
TEGOLA DELLA DOMUS DI GAUDENZIO CON IL BOLLO "GAUDENTIUS" |
Sorge in questo settore la Basilica Hilariana, santuario di Cibele e Attis e sede collegiale dei
dendrophori, risalente all'età antonina; era sopravvissuta almeno fino al IV, forse anche grazie alla
protezione accordata al culto dalle famiglie dell'aristocrazia pagana che sappiamo insediate nella zona, prima fra tutte quella dei Simmaci.
Nel V secolo, in concomitanza con i provvedimenti imperiali che confiscano i beni dei dendrophori, la basilica cessa di funzionare come tale e viene poveramente riadattata: la quota di calpestio è rialzata con strati di terra, alcuni spazi fra gli originari pilastri del portico sono tamponati, la scala diretta al primo piano viene chiusa. I vani ancora occupati sono ora utilizzati per una piccola fullonica.
Non lontana dalla Basilica Hilariana è la Domus di Gaudentius, di medie dimensioni ma riccamente ornata, che era sorta, sembra già in età antonina, dalla fusione di due insulae e della via che le divideva, e aveva poi subito interventi nel III e nel IV secolo. L'edificio non è più utilizzato come residenza di lusso a partire dalla metà circa del V secolo; non c'è distruzione violenta, ma la quasi totalità dei vani della parte signorile sono interrati; i quartieri servili continuano invece ad essere abitati.
Gaudenzio, Vicarius Africae, ovvero Gaudentius (398-409 – ...) è stato un senatore e governatore romano amico dell'influente Quinto Aurelio Simmaco, che lo raccomandò presso Minervio e Cecina Decio Albino (due alti funzionari della corte imperiale) nel 398/399.
ANTINOO CASALI |
Il proprietario della Domus Gaudentii è stato dunque identificato con il Gaudentius che possedette una villa sul Celio, eretta tra la Basilica Hilariana e la domus dei Simmaci, dove si suppone venne rinvenuto anche l'Antinoo Casali.
Ma pur sopravvivendo qualche attività dalla calata barbarica dei Visigoti e forse dai Vandali, nel VI secolo termina l'urbanizzazione ed anche la Basilica Hilariana e la Domus di Gaudentius risultano definitivamente
abbandonate e interrate.
Il successivo crollo delle strutture che ancora si elevavano sopra il livello del suolo fu forse
determinato, almeno in parte e in alcuni settori, da terremoti: qualche indizio stratigrafico farebbe
propendere per il sisma del 618.
Alla vicenda della progressiva destrutturazione dell'abitato nell'area dell'Ospedale Militare si
intreccia il fenomeno dell'utilizzo della stessa area come necropoli. Le tombe, almeno 13 di
cui almeno 3 infantili, sono locate nell'ex edificio commerciale del settore Nord-Est e in una delle insulae prospicienti, tagliano in genere interri del V o VI secolo.
II nome latino, che non ci è stato tramandato dalle fonti, risale ad un'ipotesi di Colini (COLINI 1944, p. 75 ss.), tuttavia verosimile, poiché questa strada, che percorreva la spianata sommitale del colle, può essere stata considerata in antico la più importante del Celio. Per una sintesi su quanto è noto finora (la Basilica, già scoperta alla fine dell'800, è stata più estesamente scavata fra il 1987 e il 1989, ma non scoperta per intero), v. PAVOLINI 1990.
In uno strato di abbandono della basilica si è rinvenuto un frammento di vaso vitreo con iscrizioni nella tecnica a sfoglia d'oro, in cui è chiaramente leggibile il nome SYMMACHVS. Cod. Theod., XVI, 10, 20, 2. II nome del proprietario ci è conservato da una tabella a mosaico databile nel IV secolo: probabilmente il Gaudentius amico di Simmaco e vicarius Africae nel 409.
Ma importante soprattutto un mattone bollato SYM[MACHI] forse dovuto a fasi tarde di restauro della residenza eseguite utilizzando anche laterizi usciti da fornaci di proprietà della potente famiglia con la quale i Gaudentii avevano rapporti di vicinato e di amicizia."
(PACETTI-SFRECOLA 1989)
VICUS IUGARIUS |
La quasi totalità delle tombe si inserisce all'interno di complessi abbandonati disposti lungo tre direttrici viarie. Una di queste è una parallela della “via Caelemontana”, le altre due sono l'arteria che attraversa il saggio nel settore Nord-Est e la strada che delimita a Ovest il saggio nel settore centrale. Sembra che, mentre la rete stradale "minore" cadeva in abbandono contemporaneamente al tessuto delle insulae, qualche percorso più importante restava in uso, almeno per il momento. In tal senso, alle vie citate vanno aggiunte senza dubbio la “Caelemontana” stessa (conservatasi fino ad oggi come Via di S. Stefano Rotondo) e il vicus Capitis Africae, come già sappiamo.
Con l'andar del tempo questo processo di selezione viaria si fece più drastico. Infatti, dal momento in cui cessano le attestazioni della fase di necropoli sopra descritta, i settori interni del quartiere, con le vie destinate a servirli, non sembrano più in alcun modo frequentati, neanche a scopi di seppellimento. All'interno della cinta dell'Ospedale Militare l'unica eccezione è la strada che attraversa il saggio nel settore Nord-Est: della sua possibile funzione urbanistica in età alto-medievale diremo fra poco; dal punto di vista archeologico constatiamo intanto che la via venne ciclicamente rialzata, con interventi di rifacimento che segnano il trapasso dalla tecnica basolata (ancora in uso nella fase databile al IV-V secolo) a quella degli acciottolati (impiegata per la prima volta nella ristrutturazione dell'VIII secolo.
Anche dai settori attigui alla carreggiata stradale vengono alcune conferme della continuità di frequentazione di questa parte del quartiere: rimpianto di una calcara e le tracce di precarie attrezzature forse per il ricovero del bestiame, che tagliano gli strati di VI-VII secolo. In effetti è probabile che una limitata attività pastorale fosse, nei secoli dell'alto Medioevo, fra i pochi segni di vita avvertibili in quest'area che faceva ormai parte dell'immediato suburbio di Roma, non diversamente dal vicino sito di Piazza Celimontana, del cui stato di totale abbandono abbiamo già detto.
Si può immaginare che la zona ricadesse, in forme che rimangono però tutte da indagare, nella sfera d'influenza degli enti ecclesiastici, i soli attivi e in crescita in questa parte del "disabitato" in tal caso la persistenza di frequentazione della località corrispondente al settore Nord-Est dell'Ospedale potrebbe essere ipoteticamente spiegata con la vicinanza di un polo come quello rappresentato dai SS. Quattro.
Si può immaginare che la zona ricadesse, in forme che rimangono però tutte da indagare, nella sfera d'influenza degli enti ecclesiastici, i soli attivi e in crescita in questa parte del "disabitato" in tal caso la persistenza di frequentazione della località corrispondente al settore Nord-Est dell'Ospedale potrebbe essere ipoteticamente spiegata con la vicinanza di un polo come quello rappresentato dai SS. Quattro.
Se ora, dalle aree di recente indagine, allarghiamo il discorso al più vasto contesto celimontano, ci accorgiamo che lo stesso processo di "riduzione" del tessuto viario che abbiamo riscontrato trattando dei settori di scavo dell'Ospedale Militare può valere per l'insieme del paesaggio urbanistico del colle in età alto-medievale. Del resto, ciò che abbiamo appena detto circa le condizioni del Celio in quest'epoca spiega come mai la sua rete stradale, assai ramificata nella fase di massima urbanizzazione in età romana, si presentasse ora ristretta a pochi camminamenti, peraltro tutti di origine classica.
Quella fra la fontana d'ingresso della grande domus nel settore centrale e il muro esterno del sottoscala dello stesso edificio, verso la strada.
La durata d'uso delle pavimentazioni romane in basolato nelle città tardo-antiche sembra essere stata considerevolmente diversa da luogo a luogo. Vi sono esempi (Luni, Ravenna, ecc.) di una loro sostituzione con battuti di terra già nei secoli IV-VI (PAVOLINI c.s. b). Secondo B. Ward-Perkins, tuttavia, a Milano e a Verona nel'VIII sec. vi erano ancora strade selciate in blocchi, benché in cattivo stato (WARD-PERKINS 1984, p. 185 s.), e ciò potrebbe essere in accordo con la documentazione proveniente dai siti di scavo del Celio, che indicherebbe l'VIII-IX sec. come l'epoca in cui per la prima volta si sostituiscono i basolati con pavimenti in tecniche diverse: si veda, oltre al dato del saggio nel settore Nord-Est dell'Ospedale Militare, anche quello menzionato sopra e riguardante la prima fase di massicciata del vicus Capitis Africae post-classico.
Impossibile riassumere qui le complesse problematiche e la ricca bibliografia concernenti ciascuna delle grandi fondazioni paleocristiane che citeremo, necessariamente di sfuggita, negli ultimi paragrafi di questo contributo. Dei SS. Quattro sarà sufficiente dire che il luogo di culto è noto, come titulus Aemilianae, fin dalla fine del V secolo, e che un momento centrale della sua vicenda fu la costruzione o ricostruzione della basilica da parte di Onorio I nel 625-638 (v., per la più recente sintesi sulla storia del complesso, BARBERINI 1989). planimetria ricostruttiva relativa ad un'epoca molto più tarda di quella in esame, cioè agli anni attorno al 1300: non si tratta di una forzatura, poiché una serie di dati di fatto e di indizi sembra mostrare che, nei suoi elementi di fondo, la situazione stabilizzatasi attorno all'VIII secolo non subì sostanziali mutamenti per tutto il corso del Medioevo.
I tracciati superstiti appaiono ora finalizzati ad assicurare le connessioni fra le principali strutture ecclesiastiche. Il nome di via Maior indica chiaramente che la priorità era accordata all'asse stradale di fondovalle che collegava il centro della città e il Vaticano al nuovo polo urbanistico rappresentato dai palazzi lateranensi; esso venne valorizzato anche con la costruzione della basilica inferiore di S. Clemente. Da tale località la Strada Maggiore si biforcava, dando luogo, a destra, alla via, un tratto della Tusculana romana, diretta ai SS. Quattro, e di qui a S. Giovanni.
Per la ricostruzione della rimanente viabilità ci sono in parte di aiuto le attestazioni archeologiche, ormai disponibili in più punti e sopra elencate. Al centro della pendice Nord del colle individuiamo ipoteticamente un incrocio fra il vicus Capitis Africae e una strada Est-Ovest, forse destinata a collegare la Basilica dei SS. Giovanni e Paolo con l'area dei SS. Quattro: non è altro, infatti, che la prosecuzione ideale della via documentata nel settore Nord-Est dell'Ospedale Militare.
Un indubbio centro di interesse urbanistico sopravviveva sulla sommità del Celio, dove il nodo stradale romano della Navicella manteneva la sua funzione. Qui, il vicus Capitis Africae confluiva nell'antica arteria, più volte menzionata, costituita dalla “ via Caelìmontana ” e dalla sua prosecuzione denominata clivus Scauri, che collegava il Laterano con i complessi dei SS. Giovanni e Paolo dei SS. Andrea e Gregorio. Questo percorso potè essere conservato anche perché coincideva in parte con quello dell'Acquedotto Claudio-Neroniano, ancora funzionante e a lungo restaurato nel Medioevo.
La creazione di S. Stefano Rotondo alla fine del V secolo era stato un momento importante
nell'opera di potenziamento di questo asse viario. E’ carica di suggestioni la proposta di Krautheimer, che la fondazione di questa chiesa facesse parte di un programma volto a rafforzare il fulcro del
Laterano quale nuovo cuore del governo cittadino: il programma si sarebbe articolato nell'istituzione ex novo, entro un miglio di distanza dai palazzi pontifici, di una corona di grandi basiliche nelle quali il papa compiva periodicamente solenni funzioni liturgiche, per richiamarvi il popolo.
Questa, secondo il recentissimo e dettagliato riesame di F. Guidobaldi, è databile preferibilmente nei primi due decenni del V secolo, anche se una cronologia attorno all'ultimo decennio del IV non può essere del tutto esclusa (GUIDOBALDI 1992, p. 156). L'importanza attribuita alla basilica traspare dal fatto che nelle fasi cronologiche immediatamente successive, e anche in periodi, come il VI sec., molto difficili per la vita cittadina, i pontefici non cessarono di dotare la chiesa e i suoi annessi di nuovi e preziosi arredi e decorazioni, in ispecie pavimentali: cfr. ibid., p. 159 ss., per la basilica propriamente detta, e p. 261 ss. per il pavimento in opus sectile di VI secolo recentemente rinvenuto in una delle attuali cantine del convento (vano attribuito da Guidobaldi a un possibile secretarium, utilizzato dal papa allorché si recava in processione liturgica a S. Clemente).
Che il toponimo si fosse conservato almeno fino all'VIII-IX secolo è attestato dalla menzione dell'Anonimo di Einsiedeln (VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, II, p. 196 s.), il quale annovera il Caput Affricae fra le realtà urbane poste a destra del percorso dall'Arco di Severo al Laterano.
In quest'epoca il toponimo doveva indicare, più che la zona in generale, soprattutto la via: sulle prove archeologiche della persistenza di quest'ultima dopo l'età romana, v. supra.
L'esistenza di tale incrocio è un elemento importante della ricostruzione che della topografia dell'area fa G. Gatti nell'articolo già citato (GATTI 1882), con una complessa argomentazione che non può essere qui ripresa, anche perché relativa ad un'epoca più tarda (la fine del sec. XIII). Ma mentre il ragionamento dello studioso della fine dell'800, basato sulle sole fonti d'archivio, era totalmente ipotetico, ora un primo possibile indizio della sua veridicità è emerso dagli scavi dell'Ospedale Militare: appunto il tratto di strada del settore Nord-Est. La pianta, in sostanza, é quella delineata da Gatti (GATTI 1882, Tav. d'agg. X); la rielaborazione tiene conto di questo e di altri dati provenienti dalle recenti indagini, e dell'insieme delle informazioni di varia fonte che si sono rese disponibili nel frattempo.
II "problema critico" costituito da questo monumento è dibattutissimo: sulla fase di fondazione v. comunque, fra l'altro, KRAUTHEIMER et al. 1937-1975, IV, p. 199 ss.; CESCHI 1982, p. 18 ss., e, con una diversa interpretazione, DAVIS-WEYER 1989. KRAUTHEIMER 1980, p. 56 ss.; KRAUTHEIMER 1987, p. 184 ss.Ma, se mai ebbe davvero luogo, il tentativo di suscitare attorno alla sede lateranense un "borgo ecclesiastico" in grado di competere con quello vaticano non riuscì. Per quel che riguarda il Celio, a partire dal VI-VII secolo, come l'archeologia documenta ormai largamente, e lo si è visto, il nostro colle è ormai separato sia dalla città propriamente detta, sia dal Laterano, ridotto ad un piccolo nucleo di case stretto attorno al palazzo pontificio.
Il paesaggio è dominato da poche emergenze, monumentali ma isolate (a prescindere, forse, da qualche altro limitato gruppo di abitazioni nelle adiacenze delle chiese o dei conventi, come nel caso di S. Erasmo: v. nota 34). Al massimo, col tempo, nuove strutture ecclesiastiche si aggiungono a quelle già esistenti. Si data nel VII o tutt'al più nell'VIII secolo la fondazione dell'unica diaconia nota sul Celio, quella di S. Maria in Domnica, che non a caso sceglie per il proprio insediamento il sito della Navicella, dove fra l'altro può utilizzare l'acqua Claudia.
Farei l'ipotesi che i servizi assistenziali costituenti il fine precipuo delle diaconie fossero in questo caso rivolti non tanto ai poveri della zona (per la verità scarsa di abitanti), quanto ai pellegrini, che, provenendo da S.Giovanni o da fuori Roma, potevano convergere per vie diverse nella zona della Navicella, per poi dirigersi in città attraverso il clivus Scauri.
Le chiese, di origine ormai antica o di nuova fondazione, sono insomma i soli organismi vivi e operanti nel nostro territorio, ma non senza momenti di grave difficoltà, uno dei quali va certamente posto attorno all'VIII secolo: solo una situazione di generale deterioramento può infatti spiegare la campagna di restauri cui gran parte delle chiese del Celio viene sottoposta su impulso dei papi della cosiddetta "rinascita carolingia", fra la fine dell'VIII e la prima metà del IX secolo (da San Clemente ai SS. Quattro, da S. Stefano Rotondo a S. Maria in Domnica e ai SS. Giovanni e Paolo).
Anche durante o subito dopo l'età carolingia nuove strutture ecclesiastiche si vengono insediando nella parte del Celio sulla quale abbiamo concentrato la nostra attenzione. In alcuni casi si tratta di piccoli edifici, successivamente scomparsi e di incerta ubicazione e identificazione, quali un oratorio sanctae Agathae martyris qui ponitur in Capud Africi, citato una sola volta in relazione al pontificato di Leone III, o l'enigmatico oratorio affrescato di Papa Formoso, per il quale ho proposto un'ubicazione sulla pendice digradante dalla terrazza del Templum Divi Claudii verso l'Anfiteatro, all'interno della struttura romana nota come “ rudero dell'Orto Botanico ”.
Dimensioni ben maggiori ha fin dall'inizio, o assumerà col tempo, l'ultima fondazione religiosa
probabilmente alto-medievale sul Celio, che è poi, in assoluto, anche l'ultima istituzione ecclesiastica
importante ad insediarsi sul colle o ai suoi margini: il monastero di S. Tommaso in Formis. Non
fortuitamente si installa anch'esso in quel sito centrale nel corso di tutta la storia del Celio che coincide con il nodo orografico e viario della Navicella.
L'ipotesi che questo organismo ecclesiastico esistesse già nel VII sec. si trova fra l'altro in COLINI 1944, p. 231 s. Comunque S. Maria in Domnica è citata dall'Anonimo di Einsiedeln e certamente attestata all'epoca di Leone III: v. anche KRAUTHEIMER et al. 1937-1975, II, p. 311 ss. .
Poiché di questo oratorio non si ha più notizia dopo l'alto Medioevo, mentre dal 1050 si comincia a parlare di un S. Stephanus in Capite Africae, ha forse ragione il Duchesne (in Lib. Pont, /oc. cit.) allorché suppone che possa esservi stato un cambio di nome, o che la seconda struttura possa essersi sostituita alla prima. Quanto alla ipotetica ubicazione di S. Stephanus in Capite Africae, chiesetta anch'essa scomparsa, (si sarebbe trovata all'incrocio, già citato, fra il vicus omonimo e la traversa in direzione dei SS. Quattro: v. GATTI 1882, e la rielaborazione di tutta la problematica in PAVOLINI c.s.a).
Scoperto nel 1689 dal Ciampini, ma in seguito non più rinvenuto, e oggetto, da parte di molti studiosi, di erronee localizzazioni, delle quali fa giustizia in parte COLINI 1944, p. 141 s. Per i motivi, v. PAVOLINI c.s.a, e una comunicazione da me tenuta nella sede dei Seminari di Archeologia Cristiana nell'aprile 1992, il cui riassunto è in corso di stampa nella “Rivista di Archeologia Cristiana”.
COLINI 1944, p. 155 ss.vantaggioso in primo luogo per la possibilità di approvvigionarsi di acqua: un problema cruciale nel Medioevo. Il nome stesso del nuovo luogo di culto significa “ presso l'acquedotto ” (Forma Claudio o Claudiana nell'Età di Mezzo, mentre formae, al plurale, sono le arcate dell'acquedotto stesso, incorporate nei fabbricati del convento). Ed è indubbio che tale vicinanza fu una delle premesse della crescita di S. Tommaso, come era già avvenuto per le chiese attigue di S. Stefano Rotondo e di S. Maria in Domnica.
Quanto alla cronologia delle origini del monastero, è vero che una menzione esplicita di quest'ultimo si ha solo alla fine dell'XI secolo, ma un documento del 1050 nomina già un Abbas Sancii Thomae, che non può venir riferito a nessun'altra abbazia romana: e che vi fosse qui un abate è indizio di un organismo già strutturato e di una certa importanza anche economica, il che ha autorizzato alcuni studiosi a formulare l'ipotesi di un'origine del convento nella prima metà dell'XI secolo, se non addirittura nel X
La sua nascita, in un momento oscuro, per il quale abbiamo scarse notizie sulle altre chiese del Celio, o ne abbiamo di negative, può comunque essere interpretata, in "controtendenza", come un segnale di vitalità. Anche per la posizione tipicamente dominante di S. Tommaso nel contesto celimontano, l'esistenza dell'abbazia (poi convento- ospedale dei Trinitari) dovette riflettersi positivamente fin dall'inizio, e con sicurezza si riflette nei secoli successivi, sulla vita economica del colle nel suo insieme.
La creazione di S. Stefano Rotondo alla fine del V secolo era stato un momento importante
nell'opera di potenziamento di questo asse viario. E’ carica di suggestioni la proposta di Krautheimer, che la fondazione di questa chiesa facesse parte di un programma volto a rafforzare il fulcro del
Laterano quale nuovo cuore del governo cittadino: il programma si sarebbe articolato nell'istituzione ex novo, entro un miglio di distanza dai palazzi pontifici, di una corona di grandi basiliche nelle quali il papa compiva periodicamente solenni funzioni liturgiche, per richiamarvi il popolo.
Questa, secondo il recentissimo e dettagliato riesame di F. Guidobaldi, è databile preferibilmente nei primi due decenni del V secolo, anche se una cronologia attorno all'ultimo decennio del IV non può essere del tutto esclusa (GUIDOBALDI 1992, p. 156). L'importanza attribuita alla basilica traspare dal fatto che nelle fasi cronologiche immediatamente successive, e anche in periodi, come il VI sec., molto difficili per la vita cittadina, i pontefici non cessarono di dotare la chiesa e i suoi annessi di nuovi e preziosi arredi e decorazioni, in ispecie pavimentali: cfr. ibid., p. 159 ss., per la basilica propriamente detta, e p. 261 ss. per il pavimento in opus sectile di VI secolo recentemente rinvenuto in una delle attuali cantine del convento (vano attribuito da Guidobaldi a un possibile secretarium, utilizzato dal papa allorché si recava in processione liturgica a S. Clemente).
Che il toponimo si fosse conservato almeno fino all'VIII-IX secolo è attestato dalla menzione dell'Anonimo di Einsiedeln (VALENTINI-ZUCCHETTI 1940-1953, II, p. 196 s.), il quale annovera il Caput Affricae fra le realtà urbane poste a destra del percorso dall'Arco di Severo al Laterano.
In quest'epoca il toponimo doveva indicare, più che la zona in generale, soprattutto la via: sulle prove archeologiche della persistenza di quest'ultima dopo l'età romana, v. supra.
L'esistenza di tale incrocio è un elemento importante della ricostruzione che della topografia dell'area fa G. Gatti nell'articolo già citato (GATTI 1882), con una complessa argomentazione che non può essere qui ripresa, anche perché relativa ad un'epoca più tarda (la fine del sec. XIII). Ma mentre il ragionamento dello studioso della fine dell'800, basato sulle sole fonti d'archivio, era totalmente ipotetico, ora un primo possibile indizio della sua veridicità è emerso dagli scavi dell'Ospedale Militare: appunto il tratto di strada del settore Nord-Est. La pianta, in sostanza, é quella delineata da Gatti (GATTI 1882, Tav. d'agg. X); la rielaborazione tiene conto di questo e di altri dati provenienti dalle recenti indagini, e dell'insieme delle informazioni di varia fonte che si sono rese disponibili nel frattempo.
VICUS IUGARIUS |
Il paesaggio è dominato da poche emergenze, monumentali ma isolate (a prescindere, forse, da qualche altro limitato gruppo di abitazioni nelle adiacenze delle chiese o dei conventi, come nel caso di S. Erasmo: v. nota 34). Al massimo, col tempo, nuove strutture ecclesiastiche si aggiungono a quelle già esistenti. Si data nel VII o tutt'al più nell'VIII secolo la fondazione dell'unica diaconia nota sul Celio, quella di S. Maria in Domnica, che non a caso sceglie per il proprio insediamento il sito della Navicella, dove fra l'altro può utilizzare l'acqua Claudia.
Farei l'ipotesi che i servizi assistenziali costituenti il fine precipuo delle diaconie fossero in questo caso rivolti non tanto ai poveri della zona (per la verità scarsa di abitanti), quanto ai pellegrini, che, provenendo da S.Giovanni o da fuori Roma, potevano convergere per vie diverse nella zona della Navicella, per poi dirigersi in città attraverso il clivus Scauri.
Le chiese, di origine ormai antica o di nuova fondazione, sono insomma i soli organismi vivi e operanti nel nostro territorio, ma non senza momenti di grave difficoltà, uno dei quali va certamente posto attorno all'VIII secolo: solo una situazione di generale deterioramento può infatti spiegare la campagna di restauri cui gran parte delle chiese del Celio viene sottoposta su impulso dei papi della cosiddetta "rinascita carolingia", fra la fine dell'VIII e la prima metà del IX secolo (da San Clemente ai SS. Quattro, da S. Stefano Rotondo a S. Maria in Domnica e ai SS. Giovanni e Paolo).
Anche durante o subito dopo l'età carolingia nuove strutture ecclesiastiche si vengono insediando nella parte del Celio sulla quale abbiamo concentrato la nostra attenzione. In alcuni casi si tratta di piccoli edifici, successivamente scomparsi e di incerta ubicazione e identificazione, quali un oratorio sanctae Agathae martyris qui ponitur in Capud Africi, citato una sola volta in relazione al pontificato di Leone III, o l'enigmatico oratorio affrescato di Papa Formoso, per il quale ho proposto un'ubicazione sulla pendice digradante dalla terrazza del Templum Divi Claudii verso l'Anfiteatro, all'interno della struttura romana nota come “ rudero dell'Orto Botanico ”.
Dimensioni ben maggiori ha fin dall'inizio, o assumerà col tempo, l'ultima fondazione religiosa
probabilmente alto-medievale sul Celio, che è poi, in assoluto, anche l'ultima istituzione ecclesiastica
importante ad insediarsi sul colle o ai suoi margini: il monastero di S. Tommaso in Formis. Non
fortuitamente si installa anch'esso in quel sito centrale nel corso di tutta la storia del Celio che coincide con il nodo orografico e viario della Navicella.
L'ipotesi che questo organismo ecclesiastico esistesse già nel VII sec. si trova fra l'altro in COLINI 1944, p. 231 s. Comunque S. Maria in Domnica è citata dall'Anonimo di Einsiedeln e certamente attestata all'epoca di Leone III: v. anche KRAUTHEIMER et al. 1937-1975, II, p. 311 ss. .
Poiché di questo oratorio non si ha più notizia dopo l'alto Medioevo, mentre dal 1050 si comincia a parlare di un S. Stephanus in Capite Africae, ha forse ragione il Duchesne (in Lib. Pont, /oc. cit.) allorché suppone che possa esservi stato un cambio di nome, o che la seconda struttura possa essersi sostituita alla prima. Quanto alla ipotetica ubicazione di S. Stephanus in Capite Africae, chiesetta anch'essa scomparsa, (si sarebbe trovata all'incrocio, già citato, fra il vicus omonimo e la traversa in direzione dei SS. Quattro: v. GATTI 1882, e la rielaborazione di tutta la problematica in PAVOLINI c.s.a).
Scoperto nel 1689 dal Ciampini, ma in seguito non più rinvenuto, e oggetto, da parte di molti studiosi, di erronee localizzazioni, delle quali fa giustizia in parte COLINI 1944, p. 141 s. Per i motivi, v. PAVOLINI c.s.a, e una comunicazione da me tenuta nella sede dei Seminari di Archeologia Cristiana nell'aprile 1992, il cui riassunto è in corso di stampa nella “Rivista di Archeologia Cristiana”.
COLINI 1944, p. 155 ss.vantaggioso in primo luogo per la possibilità di approvvigionarsi di acqua: un problema cruciale nel Medioevo. Il nome stesso del nuovo luogo di culto significa “ presso l'acquedotto ” (Forma Claudio o Claudiana nell'Età di Mezzo, mentre formae, al plurale, sono le arcate dell'acquedotto stesso, incorporate nei fabbricati del convento). Ed è indubbio che tale vicinanza fu una delle premesse della crescita di S. Tommaso, come era già avvenuto per le chiese attigue di S. Stefano Rotondo e di S. Maria in Domnica.
Quanto alla cronologia delle origini del monastero, è vero che una menzione esplicita di quest'ultimo si ha solo alla fine dell'XI secolo, ma un documento del 1050 nomina già un Abbas Sancii Thomae, che non può venir riferito a nessun'altra abbazia romana: e che vi fosse qui un abate è indizio di un organismo già strutturato e di una certa importanza anche economica, il che ha autorizzato alcuni studiosi a formulare l'ipotesi di un'origine del convento nella prima metà dell'XI secolo, se non addirittura nel X
La sua nascita, in un momento oscuro, per il quale abbiamo scarse notizie sulle altre chiese del Celio, o ne abbiamo di negative, può comunque essere interpretata, in "controtendenza", come un segnale di vitalità. Anche per la posizione tipicamente dominante di S. Tommaso nel contesto celimontano, l'esistenza dell'abbazia (poi convento- ospedale dei Trinitari) dovette riflettersi positivamente fin dall'inizio, e con sicurezza si riflette nei secoli successivi, sulla vita economica del colle nel suo insieme.
( CARLO PAVOLINI)