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IPOGEO DEGLI OTTAVI

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In via della Stazione di Ottavia n. 73, sotto il Villino Cardani, si conserva l’Ipogeo degli Ottavi, scoperto intorno al 1920, assieme ad altre tombe, durante la costruzione delle prime case della nuova zona residenziale. circa al km. 9 della via Trionfale.

Il nuovo quartiere fu chiamato Ottavia in memoria dei personaggi di cui erano state rinvenute le sepolture all’interno dell’Ipogeo e i cui nomi erano incisi sui rispettivi sarcofagi: Octavia Paolina, suo padre Octavius Felix, ed altre due congiunte.

L’ipogeo fu costruito intorno ai primi del III sec. d.c., asservito ad alcune ville rustiche del circondario, caratterizzato da una monumentalità che si addiceva alla posizione sociale del proprietario.

Entrando ci si accorge immediatamente della qualità del monumento, del perché fu edificato e a chi fu dedicato. Occorre risalire ai primi decenni del III secolo d.c, dove un padre, Octavius Felix, vir clarissimus, piange la morte della sua amatissima figlia di soli sei anni, Octavia Paulina. Prende quindi una dolorosa decisione, ma allo stesso tempo piena di speranza, di dedicarle appunto l'ipogeo situato nel suo foedus, posto fuori dal confine di Roma.

La stanza sepolcrale era preceduta da un vestibolo affrescato con motivi geometrici, a cui era collegato un lungo dromos (corridoio) d’accesso scavato nel tufo, di cui si conserva ancora il pavimento in mattoncini ad opus spicatum.

Il suo messaggio di amore, ma soprattutto di augurio di un futuro migliore nell'aldilà, che solo un padre auspica per una figlia perduta, guida il pennello dell'artista decoratore. 

Il tema pittorico infatti vede una presenza omogenea della rosa, legata ai Rosalia, antica festività in onore della fioritura delle rose, in onore dei defunti. Su entrambi i lati vi erano dei quadretti, ormai andati perduti, dove piccoli amorini giocavano tra di loro.


I Rosaria, o Rosalia, erano a Roma delle feste commemorative dedicate ai defunti ed erano legate alla stagionalità della fioritura delle rose, la data di celebrazione infatti variava localmente a seconda del tempo di fioritura. 

In tale occasione le famiglie si recavano in visita alle tombe, portando corone di rose e le sportulae, i panieri con il necessario per una merenda da consumare presso il cimitero. 

Così tra un uovo ed un bicchiere di vino si ricordavano i cari estinti con preghiere, ma anche aneddoti e qualche risata. Qui però il clima è dolce e drammatico insieme.

Sotto l'arcosolio di sinistra giacevano i due sepolcri appartenenti a donne di alto rango, forse familiari della bambina, finemente decorati con scene e figure marine, i quali a breve saranno ricollocati nel luogo d'origine, dopo aver sostato a lungo, uno nel Museo Nazionale Romano di palazzo Massimo, mentre l'altro presso un corridoio del Ministero della Pubblica Istruzione (chissà poi perchè). 

Al centro della stanza era collocato invece il sarcofago strigilato di Octavius Felix, una volontà di riconciliazione nel riposo eterno, l'unico oggi ancora presente in loco. Il posto d'onore, sotto l'arcosolio centrale ospitava il sarcofago della fanciulla, altamente decorato con scene di giochi agonistici fra bambini, oggi conservato in una collezione privata a Milano. 

Al di sopra dell'arcosolio centrale troviamo un affresco, dove a destra vi è la giovane Octavia che sta per essere consegnata da un amorino ad Ermes, il traghettatore di anime nei Campi Elisi, rappresentati a sinistra da giovani figure intente a cogliere le rose.


Contrariamente alle aspettative di Octavius, che sicuramente pensava di seppellire i familiari in ordine di anzianità, l’ipogeo accolse per prima la sua “dolcissima” e “carissima” figlioletta, tanto che la decorazione interna della tomba era un vero e proprio inno alla bimba, morta a soli sei anni.

Octavia Paolina fu deposta nella nicchia in asse con l’ingresso, in un sarcofago con la cassa decorata da scene di competizioni agonistiche fra bambini.

Al mondo infantile è ispirato anche l’affresco dell’arcosolio, conservato oggi al Museo Nazionale Romano, su cui campeggia uno scorcio dei Campi Elisi popolato da bimbi intenti a giocare e a cogliere rose gigantesche, al cospetto di Ermes (Dio dei morti).


Il motivo delle rose ricorre anche sulla parte alta delle pareti, a cui si contrappongono, inferiormente, la zoccolatura dipinta a finto marmo ed il mosaico pavimentale bianco, circoscritto da una doppia banda nera.

 Altre due spoglie femminili furono accolte nelle nicchie laterali, entro raffinati sarcofagi decorati con scene marine: un’allusione al viaggio verso l’aldilà. Octavius Felix fu sepolto al centro della stanza ipogea, in un semplice sarcofago strigliato con tabella che riporta il suo nome e quello del liberto che pietosamente si occupò dell’inumazione.

Si tratta dell’unico sarcofago ancora conservato nell’ipogeo; quello di Paolina si trova oggi a Milano, in una collezione privata; uno dei due sarcofagi con scene marine è al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, mentre l’altro si trova in un corridoio presso il Ministero della Pubblica Istruzione.

Lo scorso venerdì 20 maggio 2016, alle ore 17 e 30, è avvenuta la restituzione al pubblico dell'Ipogeo degli Ottavi, dopo un lungo restauro voluto dall'Assessore alla Cultura del Municipio XIV,Marco Della Porta, e dal funzionario responsabile della Soprintendenza, la Dott.ssa Daniela Rossi.


Dott. Silvia Ripà:

"Attualmente il sito risulta interamente visitabile in via della Stazione d’Ottavia 73, sotto il villino Cardani, ma un’unica sepoltura è ancora presente al suo interno, quella di Octavius Felix, situata in posizione centrale per enfatizzare il ruolo di paterfamilias rivestito dal defunto. 

La stanza sepolcrale era originariamente preceduta da un vestibolo affrescato da rigidi motivi geometrici ellenizzanti, a cui era collegato un corridoio d’accesso, di cui resta tuttora visibile il pavimento in mattoncini disposti a spiga di grano. 

Nell’Ipogeo, nonostante l’autorità emanata dall’elevato status sociale del defunto, la paternità e l’umanità dei sentimenti assumono un ruolo fondamentale, contrastante con la formalità dell’apparato architettonico, tipico nei contesti funerari degli alti esponenti dell’aristocrazia romana del III d.c. 

Nonostante la disposizione delle tombe, la sepoltura che emerge per l’intensità e l’accortezza delle decorazioni, è quella di Octavia Paolina, una bimba di sei anni definita dall’epigrafe “dolcissima e carissima”. 



 La piccola, fu presumibilmente la prima ad essere sepolta nell’Ipogeo di famiglia, in quanto anche le strutture funerarie attribuibili ad altre due donne , situate originariamente nelle nicchie laterali, sono da ritenersi successive.

Il sarcofago di Paolina, oggi a Milano, presenta l’intera cassa decorata con scene di competizioni agonistiche tra bambini.

Anche l’affresco dell’arcosolio evoca il mondo infantile, raffigurando uno scorcio dei Campi Elisi popolato da ragazzi privi di caratterizzazione sessuale, intenti in attività gioiose, in un ambientazione dagli echi bucolici virgiliani.

Questi elementi decorativi, non devono richiamare l’attenzione dello spettatore unicamente allo scopo di godere di un estatico piacere artistico, poiché possono fornire importanti notizie sulla concezione dell’arte romana, da secoli avvolta dai pregiudizi che la declassavano a mera imitazione dell’arte greca.

La mancanza di perizia artistica, nel senso più moderno del termine, viene qui compensata dal ricorso ad espedienti pratici, come la sfumatura con il bianco degli elementi posti in secondo piano, o il tentativo di rendere la prospettiva giocando con le dimensioni degli oggetti. 

L’astrazione del paesaggio suggerisce temi paradisiaci in un ottica non ancora cristiana. In realtà non sembrerebbero troppo distanti da un’esatta interpretazione alcune associazioni iconografiche, ad esempio tra i bambini e i putti o nelle scene marine, la presenza del pesce in corrispondenza di ancore, rispettivamente simbolo cristologico e richiamo alla salvezza.

Queste considerazioni potrebbero indurci a ritenere Octavius, un uomo dalla mentalità sincretista, aperta a nuovi stimoli e mode, oppure semplicemente un’amante dell’espressione artistica. In che misura poi egli s’inserisse o si discostasse dalla sua epoca, è un argomento ancora da indagare.

Nonostante l’indubbia eccezionalità di un rinvenimento simile, occorre spendere qualche parola per tutte le altre sepolture coeve portate alla luce dai medesimi scavi, nonché quei i reperti che nella migliore delle ipotesi si trovano completamente decontestualizzati, quando non ancora sotto la ferrovia che ha assunto il nome dell’Ipogeo, quasi a suggerire sarcasticamente un’ipocrita amore per la ricerca archeologica, che poi ha trovato ben poco riscontro nei fatti.

Nel descrivere la grandiosità dei resti dell’Ipogeo degli Ottavi, la tenerezza dell’affetto paterno espressa dall’epigrafe di Paolina, non possiamo evitare di pensare anche alle mancanze, a tutto quel potenziale informativo che stava per essere espresso dagli altri rinvenimenti, a cui uno studio stratigrafico avrebbe potuto restituire dignità: di tutte le altre vite e dei frammenti di quotidianità che giacciono sotto i nostri piedi, sotto le strade che percorriamo abitudinariamente, abbiamo deciso volontariamente di non sapere più nulla.

"Se il pubblico della cultura è scarso, il messaggio è chiarissimo per la politica, che, infatti in cultura investe poco sapendo di non dover pagare nessun prezzo in termini di consenso elettorale. Insomma il nostro problema è il pubblico della cultura: crearlo, allargarlo, arricchirlo, renderlo più consapevole ed esigente". 

(Marino Sinibaldi)


"Il solo fatto di essere decentrati da tutte le grandi bellezze presenti nelle aree centrali, come nel caso di Roma con il Colosseo ed altri monumenti ed aree archeologiche rilevanti, ha collocato i beni culturali periferici in una posizione di svantaggio. Il quadro finale è quello di una casa la quale possiede un fantastico giardino ed un bellissimo salone, mentre le altre stanze risultano essere poco gradevoli. 

Muovendoci su fatti concreti, possiamo prendere in considerazione il progetto di rivalutazione e fruizione delle due aree archeologiche del quartiere Ottavia, il quale ha portato particolari attenzioni, non solo da parte dei media, ma soprattutto dei cittadini locali, ignari di tali presenze. 

Bisogna tuttavia sottolineare come, l'Ipogeo degli Ottavi ed il Ninfeo della Lucchina, non sono in grado di ottenere proficui profitti sul piano economico, come molti altri beni archeologici fuori dal centro città, viste le loro capacità limitate, ma possono far crescere nei locali la sensibilità e l'appartenenza a quel territorio. 

La carta d'identità delle periferie quindi sarà così ricca di nuove caratteristiche, le quali non dovranno essere separate, onde evitare decontestualizzazioni, ma unite in modo tale da comprendere quella stratificazione, così complessa ma così affascinante, creatasi nei territori circostanti la città nel corso della storia e renderla fruibile ai cittadini in modo chiaro e diretto.

Di fronte ad una riforma delle Soprintendenze in atto, si dovrebbe cercare quindi di prendere in considerazione l’opportunità di sviluppare una vera e propria “archeologia delle periferie”, cercando di convogliare fondi ed iniziative nelle zone circostanti, allontanandoci da una posizione privilegiata dei monumenti centrali.

L’Ipogeo degli Ottavi, o altri monumenti decentrati, non possono forse apparire agli occhi dei cittadini come un loro Colosseo da difendere e far conoscere al mondo?
"

(Andrea Ricchioni)

L'ESTERNO

OTTAVIA UN PATRIMONIO DI REPERTI SOMMERSO DAL CEMENTO
Il pungolo
Gabriele Cantarella

- "Se fosse ancora in vita, stenterebbe a credere a tutto ciò sta capitando intorno al suo Ipogeo (sepolcro), ma senza dubbio si starà rivoltando nella tomba, in questo caso sarcofago, nella tediosità della solitudine a cui è stato condannato. Stiamo parlando di Octavius Felix, e del suo Ipogeo risalente al III secolo d.c., scoperto intorno agli anni venti del secolo scorso, che cedette il nome alla zona residenziale che successivamente vi nacque.

Pater Familias di un’ importante stirpe romana, decise molti anni or sono, di edificare la sua tomba proprio al centro di quella che oggi è diventata una delle aree più densamente popolate della periferia romana. Il primo di una lunga serie di ritrovamenti archeologici nell’area, che avrebbe potuto trasformare Ottavia in uno dei quartieri romani (ad esclusione delle zone centrali) tra i più ricchi di patrimoni artistici.

Esso presentava quattro sarcofagi, quello di Octavius Felix che contrariamente alla tradizione era il più povero e semplice di tutti, quello di due congiunte con stupendi affreschi di scene marine e infine quello della figlia Paolina di soli sei anni, il più sfarzoso di tutti.

Contrariamente a quanto sarebbe lecito pensare, praticamente nulla di questo patrimonio artistico è rimasto alla fruizione della cittadinanza del luogo: uno dei due sarcofagi con scene marine si trova in un corridoio del Ministero della Pubblica Istruzione, mentre l’altro al Museo Nazionale di Palazzo Massimo, infine Paolina si trova a Milano in una collezione privata.

L’unico rimasto nella sua sede originale è il Pater Familias, il meno pregiato dal punto di vista artistico. Il primo di una lunga serie di reperti ritrovati nella zona di Ottavia e puntualmente oscurati da una colata di cemento, oppure immediatamente trasferiti in musei o collezioni private.

Non fanno eccezione le venti tombe etrusche ritrovate a Poggio Verde, e immediatamente prelevate e trasportate via dal luogo. Oppure, la strada romana scoperta pochi mesi fa nel consorzio Palmarolina, o quella vicino la stazione Ottavia, o il Ninfeo della Lucchina situato vicino l’area di servizio Selva Candida Interna.

Non c’è un progetto per un museo, non c’è un piano per la rivalutazione della zona in funzione dell’importanza artistica che essa ricopre, senza considerare il potenziale inespresso che ancora giace nel sottosuolo.

Ora la sovraintendenza sta scavando nei pressi dell’area interessata dal nuovo complesso abitativo “monumentale” (75.000 mq - oltre 2000 abitanti), derivante dalla compensazione di diritti edificatori provenienti da Tor Marancia e Tor Cervara, e nonostante sia trascorso poco tempo dall’inizio degli scavi, già sono venuti alla luce nuovi reperti di interesse storico.

Il rischio che anche questi nuovi ritrovamenti finiscano sommersi dai “polveroni” dei cantieri è molto alto, sopratutto perché risiedono in un area che dovrà diventare la fonte di un grande arricchimento economico per le ditte appaltatrici, le quali oltretutto hanno già subito rallentamenti dovuti a precedenti problemi riscontrati ad edificare a Tor Marancia e Tor Cervara.

Ogni nuovo intralcio all’avanzamento dei lavori comporterà una perdita di tempo, che oggi significa denaro. Quale costruttore vuole perdere del denaro? Con la Deliberazione N. 3 del 2012 del Municipio XIX, il Consiglio ha mosso i primi passi verso una retta via, e ha autorizzato il presidente del Municipio a chiedere alla Sovraintendenza di prevedere l’apertura al pubblico e l’affidamento della gestione del Ninfeo ad una O.N.L.U.S. che si occuperà della pulizia e dell’organizzazione di
visite guidate al suo interno.

Ci auguriamo tutti che questa goccia di speranza in un oceano di anni di non curanza, sia la prima di una lunga serie. Per far capire appieno quanto stiamo tralasciando nel sottosuolo, mi sembra lecito concludere con le parole della Dott.ssa Silvia Ripà, esperta in storia e conservazione del patrimonio artistico e archeologico:

Nel descrivere la grandiosità dei resti dell’Ipogeo degli Ottavi, la tenerezza dell’affetto paterno espressa dall’epigrafe di Paolina, non possiamo evitare di pensare anche alle mancanze, a tutto quel potenziale informativo che stava per essere espresso dagli altri rinvenimenti, a cui uno studio stratigrafico avrebbe potuto restituire dignità: di tutte le altre vite e dei frammenti di quotidianità che giacciono sotto i nostri piedi, sotto le strade che percorriamo abitudinariamente, abbiamo deciso volontariamente di non sapere più nulla.” -


Commento

Viene da pensare alla ferrovia, che ha assunto ipocritamente il nome dell'Ipogeo, un ipogeo spoliato e poi seppellito, perchè della ricerca archeologica se ne sono totalmente lavati le mani, fino ad alienare un bene pubblico nelle mani dei privati, il che è un reato, ma un reato che non denuncia nessuno. Perchè se io non denuncio te tu non denunci me, un'omertà di stampo molto oscuro.

- Aggiungiamo noi che la più grande ricchezza di una nazione è la cultura. Da essa discende tutto ciò che di buono può avere un popolo: civiltà, sensibilità, arte, invenzione, curiosità, ricerca, rispetto per la legge, rispetto per gli altri, rispetto per la natura, rispetto per i diversi, protezione dei deboli e amore per il lavoro.

La cultura rende la gente più piacevole e dà lavoro a tutti. -




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