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BATTAGLIA DEL LAGO VADIMONE

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GLI ETRUSCHI
Questa fu la più grande battaglia che i romani nel 309 a.c. combatterono contro gli etruschi affermando la loro completa egemonia sull'Etruria.

311 a.c. - Essendo scaduti i 40 anni di tregua tra romani ed etruschi, furono questi ultimi a riprendere la guerra con Roma, per riconquistare finalmente il territorio veiente e la città di Sutrium (Sutri). Tutte le città stato settentrionali partecipano alla liberazione di Sutrium, comprese Volsinii, Perugia, e Cortona tranne Arezzo (controllata dalla potente famiglia dei Cilnii di cui fece parte poi Mecenate), mentre le città stato dell'Etruria meridionale Tarquinii, Vulci e Caere si astengono.

L'errore delle città etrusche fu di non formare mai un unico esercito che muovesse in soccorso di qualunque città etrusca venisse attaccata. Se così fosse stato forse non avremmo avuto l'egemonia di Roma nel mondo antico.

A Roma fu eletto console Quinto Emilio Barbula  nel 317 e di nuovo, avendo dato prova di essere un valido generale, per la seconda volta, nel 311 a.c., insieme al collega Gaio Giunio Bubulco Bruto. Il pericolo era grave, Roma si trovava attaccata su due fronti, così mentre a Giunio toccò in sorte la spedizione contro i Sanniti, ad Emilio toccò quella contro gli Etruschi. Spesso Roma si trovò in grave pericolo con i popoli vicini che miravano o alla conquista o alla ribellione se già conquistati.

Era importante che Roma fosse considerata invincibile perchè in caso di sconfitta c'era il rischio di diverse sollevazioni dei popoli già assoggettati.

« ormai tutti i popoli dell'Etruria - fatta eccezione per gli abitanti di Arezzo - erano corsi alle armi, scatenando, con l'assedio di Sutri, città alleata dei Romani e sorta di ingresso dell'Etruria, una guerra di grosse proporzioni »
(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX, 32.)

Lo scontro si svolse davanti alle mura di Sutri, e la battaglia fu lunga e violenta, ma come riporta Livio (ab Urbe condita), alla fine la vittoria toccò ai romani.

I ROMANI

QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO

310 a.c. - L'anno successivo fu la volta del console romano Quinto Fabio Massimo Rulliano, figlio di un altro eroe nazionale e dittatore Marco Fabio Ambusto, della generosa e sfortunata gens patrizia dei Fabii di Roma antica, che nel 477 nella battaglia del Cremera sarebbe stata distrutta totalmente, ad eccezione di un fanciullo, Q. Fabio Vibulano. 

Fabio massimo fu cinque volte console e un eroe delle guerre sannitiche, insomma un eroe nazionale. I romani adoravano e onoravano il coraggio di questa gens e i superstiti cercavano di essere all'altezza di tale considerazione.

A lui la storia addebitò un fatto gravissimo, quando era magister equitum del dictator Lucio Papirio Cursore , nel 324 a.c., disobbedendo agli ordini che l'obbligavano a non muoversi, ottenne una brillante vittoria contro i Sanniti a Imbrinium. Tuttavia aveva agito contro l'autorità del dittatore, che, partendo per Roma, gli aveva ordinato di non attaccare il nemico in sua assenza.

Il dittatore tornò e l'accusò, Fabio chiese la protezione dell'esercito ma non l'ottenne. La disobbedienza agli ordini era punibile con la morte, Fabio fuggì a Roma, chiedendo la protezione dal Senato. Sempre più adirato Papirio lo seguì e chiese di punire Fabio per disobbedienza agli ordini, sia al senato che davanti all'assemblea popolare, invocata dal padre di Fabio con la procedura della provocatio.

QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO
Suo padre, il valoroso Marco Fabio Ambusto (che era stato tre volte console e dittatore) perorò la causa del figlio con grande passione, ma il reato era gravissimo, e in passato già un paio di padri avevano fatto uccidere i propri figli per lo stesso motivo di disobbedienza.

Fabio fu costretto a gettarsi ai piedi del dittatore e chiedere il suo perdono, appoggiato dai tribuni, dal Senato e dal popolo. Papirio, avendo tutti dalla parte di Quinto, dovette accordare la grazia suo malgrado. Il popolo è sempre con Fabio, e così il senato, infatti diviene console nel 322 a.c., viene poi nominato dittatore nel 315 a.c. e sconfigge i Sanniti e ancora viene eletto console nel 310 a.c., con Gaio Marcio Rutilo Censorino. A Fabio tocca in sorte la campagna militare contro gli Etruschi, mentre a Gaio Marcio quella contro i Sanniti.

Mentre porta soccorso a Sutri, assediata dagli Etruschi, sulle pendici dei monti Cimini, Fabio si imbatte nell'esercito etrusco e lo distrugge. Le città Etrusche chiedono e ottengono una tregua trentennale. Intanto, la sconfitta in una battaglia campale contro i Sanniti, in cui era rimasto ferito il suo collega, spinge il Senato a volere la nomina a dittatore di Lucio Papirio Cursore, nemico giurato di Quinto Fabio, ma vogliono ottenere il consenso di Fabio.

« Quando gli ambasciatori arrivati al cospetto di Fabio gli ebbero comunicato la decisione del senato, descrivendola con parole all'altezza dell'incarico ricevuto, il console abbassò gli occhi a terra e si allontanò silenzioso dai delegati, che non avevano idea di che decisione avrebbe potuto prendere. Poi, nel silenzio della notte (come tradizione vuole), nominò dittatore Lucio Papirio. Quando gli inviati lo ringraziarono per aver piegato al meglio la propria disposizione d'animo, Fabio rimase ostinatamente in silenzio, e senza fornire risposta o commenti al suo gesto, licenziò gli inviati, perché fosse chiaro che grande dolore il suo animo stesse soffocando. »
(Tito Livio, Ab urbe condita libri, IX, 38.)

Questo è Quinto Massimo, che ha nel cuore tanta rabbia per le umiliazioni sofferte da Papirio che lo ha sempre odiato proprio per quanto il popolo lo amava. Ma soprattutto nel cuore aveva il benessere di Roma, che fu grande finchè ebbe uomini del genere, ma ora Fabio ha gli occhi solo per la sua battaglia, dietro di lui ha 300 antenati che chiedono di essere ricordati tramite il suo valore, e Fabio non li delude; col suo esercito valica la Selva Cimina, invade il territorio al di là dei monti Cimini e attacca gli etruschi sconfiggendoli in campo aperto.

Ora l'Etruria si sente in pericolo e ritrova la sua unità politica, decide di unire tutte le sue forze e le manda di nuovo contro Roma. Le forze romane ed etrusche si scontrano ancora una volta sotto la città di Sutri, dove i romani ottengono una schiacciante vittoria. Perugia e Cortona chiedono ed ottengono da Roma una pace separata, i restanti combattenti etruschi si ritirano.



LA BATTAGLIA

La battaglia si svolge nel 309 a.c., presso il lago di Vadimone, un laghetto di acqua sulfurea nella campagna di Bassano in Teverina, nella valle del Tevere vicino a Horta (Orte), nel territorio della città stato di Volsinii, durante la dittatura di Lucio Papirio Cursore.

Gli Etruschi invocano la lex sacrata. Tutti gli uomini abili devono arruolarsi per salvare la patria, chi viola questa lex si espone alla vendetta degli Dei, diventa sacer (maledetto) ed è passibile della pena di morte.

Questo sistema di arruolamento prevede che il comandante scelga i soldati più valorosi, obbligandoli con giuramento all'adempimento del dovere fino al sacrificio della vita. Ognuno di essi poi si sceglie un compagno di pari valore, questi un altro e così via fino a che si raggiunge il numero richiesto. Si avrà un corpo di combattenti eccezionale per valore e per abilità.

Così avrà luogo la più grande battaglia della storia mai avvenuta tra Etruschi e Romani. Qui si determina la storia dell'Etruria e di Roma, uno dei due dovrà essere distrutto. Tutti combattono per vincere o morire.

« Anche gli Etruschi, arruolato con una legge sacrata un esercito, nel quale ogni uomo si sceglieva un altro uomo, si scontrarono presso il lago di Vadimone, con uno spiegamento di forze e un accanimento mai visti in passato. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX, 39.)

IL LAGO VADIMONE

IL LAGO

Il lago è sacro per gli etruschi che vi immergono ritualmente le loro armi, sacro a Giano e forse anche Marte, che ebbe qui un suo tempio, poiché una località prossima al lago è ancora oggi chiamata Mavorrano (da Mavor, nome antico di Marte).
Ancora Livio narra che gli Etruschi celebravano qui, riti, feste e sacrifici in periodi particolari dell’anno.


LA POSIZIONE
Nel ‘500, il poeta Orfeo Marchese:
…Sopra di quelle chiare, e limpid’onde
giurar solean gli antichi soldati
lì fuord’intorno vicino alle sponde,
vi stavan quattro Tempij edificati,
ornati di colonne alte e profonde
di molti vasi nobili adornati
ove solean drendo i vasi lisci
sacrificare i populi fallisci.
Era dei quattro tempij un di Nettunno l’altro di Giove, il terzo di Marte, il quarto delle Ninfe che lì funno e già vergate di ciò son più carte…

Alla fine del ‘700 il Bussi, nella Storia di Viterbo, scrive: 
«…Vedendosi circa questo lago gli vestigi di molti antichi edifici, fra gli altri di alcuni Templi, ritrovandosi altresì quivi molte antichitate».
Come al solito saranno state depredati e distrutti.



LA VITTORIA

LO STATO DI ABBANDONO DEL SITO
La battaglia è incerta per moltissimo tempo, entrambi valorosi e determinati cadono da entrambe le parti, poi i Romani prendono il sopravvento, anche grazie all'intervento diretto nello scontro dei loro cavalieri, e infliggono ai nemici una disfatta.

"La battaglia fu così cruenta che le acque del Tevere si tinsero di rosso, per il tanto sangue versato".

« Quel giorno venne spezzata per la prima volta la potenza etrusca, in auge dai tempi antichi. Il fiore delle loro truppe venne massacrato sul campo, e con quello stesso attacco i Romani ne catturarono l'accampamento saccheggiandolo.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita, IX, 39.)

Fabio fu nominato princeps senatus, ma anche i suoi tre trionfi, i suoi cinque consolati, il passaggio della Selva Ciminia, le vittorie di Perugia e di Sentino, mostrano che fu uno dei più eminenti uomini di guerra dell'età in cui Roma unificò l'Italia peninsulare e uno di quelli che si resero più benemeriti di tale unificazione. Ebbe una stretta amicizia col plebeo Decio Mure, anche lui di una famiglia che era pronta a sacrificare la sua vita per la patria. Di certo si sentirono simili.


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