DEA FIDES |
Iam Fides et Pax et Honor Pudorque
priscus et neglecta redire Virtus
audet apparetque beata pleno
cornu.
(Orazio - Carme secolare)
Il primo di ottobre si festeggiava Fides, Dea della lealtà e fedeltà, che aveva un tempio sul Campidoglio e il Dio Honor, dell'Onore in battaglia.
Nell'immagine: Denario dell'imperatore romano Eliogabalo (218-222), raffigurante al rovescio la Dea Fede tra due stendardi dell'esercito romano e la legenda FIDES EXERCITVS, "lealtà dell'esercito"
Conosciuta come Fides Publica e Fides Publica Populi Romani è la più antica virtù in veste di Dea onorata a Roma. Fides era la Dea romana della lealtà e della fedeltà, soprattutto del cittadino, civile o militare, verso Roma come suolo patrio e al suo ordinamento, sia gerarchico che legislativo. I giuramenti presi nel nome di questa Dea erano considerati i più inviolabili tra tutti.
Della Dea si hanno le prime notizie nel III secolo a.c. quando le viene dedicato un tempio sul Campidoglio dal console Aulo Atilio Calatino, un politico e generale romano che dopo il disastro della battaglia di Trapani venne eletto dittatore e guidò un esercito in Sicilia. Forse in questa occasione votò, e fece erigere un tempio alla Speranza nel Foro Olitorio e uno alla Fede sul Campidoglio.
Si suppone però che il tempio fosse ricostruito su un più antico santuario dedicato alla Dea medesima, e il fatto che fronteggiasse il tempio di Giove fa ritenere che il suo culto fosse più arcaico oltre che importantissimo.
Tra gli antichi la fedeltà veniva di solito rappresentata da due mani congiunte o da due figure umane che si tenevano l’un l’altra per la mano destra. Orazio dice che la Fedeltà incorruttibile è sorella di Giustizia, mentre per Cicerone i due concetti sono identici.
Secondo la tradizione il suo culto fu stabilito dal re Numa Pompilio, il secondo re di Roma.
Nel suo tempio sul Campidoglio venivano custoditi i trattati stipulati dal Senato romano con i regni stranieri in modo che la Dea potesse proteggerli, ma soprattutto dava un senso di sacralità ai contratti stipulati da Roma, nel rispettarli e nel farli rispettare.
I sacerdoti addetti al suo culto, erano due flamini, vi si recavano su di un carro coperto, tirato da due cavalli, con le mani coperte da un panno bianco che copriva anche le dita, come simbolo della custodia della fede. Era un momento di straordinaria unità del popolo romano e di esso con i suoi Dei: tutti erano assolutamente certi che ognuno stesse svolgendo la sua funzione nel miglior modo possibile.
"COLLEZIONE SANTACROCE. Girolamo Santacroce, marito di Ortensia Mattei, aveva in casa, secondo il racconto del Knibbio Berlin. A. 61, e. f. 20 « un centauro di mezzo rilievo, e questo simulacro della Fede col suo medius fidius (in fede mia)». Vi era pure l' iscriz. Kircheriana dell'Amor, Honor, Veritas, e un frammento di Cariatide di mezzo rilievo."
(R. LANCIANI - Storia degli scavi di Roma)
Il Dio Honos rappresentava soprattutto l'onore in battaglia, e per i romani era tutto. Il giovane romano quando andava in guerra per la prima volta sognava di battersi con onore per il prestigio della sua famiglia e della sua gens, cosicchè i suoi genitori e i suoi parenti tutti fossero fieri di lui.
Il nome della gens era tutto per il nobile romano, ma anche per gli audaci plebei, che potevano anch'essi distinguersi e fare carriera fino a diventare generali. Anche il nome della legione era importante, una legione che aveva acquisito benemerenze in battaglia era onorata da tutti.
Insomma chi si era distinto nell'onore a Roma veniva ringraziato e onorato da tutti. I negozianti gli facevano omaggi, la gente lo fermava per strada, lo favoriva negli inviti e nei regali. I suoi familiari venivano più rispettati grazie a lui. A Roma l'onore era tutto.
Pertanto la Fede era il buon comportamento nel mondo civile e l'Onore era il buon comportamento in battaglia. Pertanto questa festa raccoglieva in sè i principali doveri e virtù dei romani. La festa iniziava dai due templi dedicati a Fides e ad Honos, ambedue sul Campidoglio coi sacerdoti di ambedue le divinità che compivano sacrifici animali per Honos ed incruenti per Fides.
Il popolo partecipava ma soprattutto i legionari che pregavano per le onorificenze da mostrare alla famiglia e al pubblico, infatti insieme ai sacerdoti, in file successive, sfilavano i militi con le falere e le onorificenze ottenute sul campo di battaglia. Dietro le famiglie di cotanti eroi che agitavano rami di alloro per i vivi e di mirto per i soldati caduti.
La festa terminava con un lauto banchetto intorno ai due templi dove si cucinavano le carni arrostite degli animali sacrificati, innaffiati come al solito di abbondante vino.
Nel suo tempio sul Campidoglio venivano custoditi i trattati stipulati dal Senato romano con i regni stranieri in modo che la Dea potesse proteggerli, ma soprattutto dava un senso di sacralità ai contratti stipulati da Roma, nel rispettarli e nel farli rispettare.
Nel tempio, eretto in area Capitolina, sulla sommità del colle, c'era la statua di culto della Dea, in piedi, un colosso di sei metri circa di altezza, Fides era la Dea della mano destra, e di tutto ciò che era connesso alla gestualità e le azioni di questa mano.
Honos era un Dio particolarmente adorato dai soldati, considerato il Dio dell'onore militare e della moralità. Spesso era accompagnato alla Dea Virtus, identificata con lealtà e coraggio e in genere era raffigurato come un giovane guerriero, nudo o togato, che porta una lancia o un ramo d'ulivo ed una cornucopia. Il culto fiorì particolarmente nella Roma repubblicana, dove erano presenti almeno due tempi dedicati ad Honos; il primo sulla via Appia, subito dopo porta Capena, il secondo accanto a quello di Fides.
Per la Dea Fides non venivano compiuti sacrifici di animali, e nessun sangue era versato. I sacerdoti celebranti erano vestiti in bianco, e venivano condotti in pompa magna, su carri, al luogo del sacrificio, con l’intero corpo e le mani avvolte negli ampi mantelli.ELIOGABALO E SUL RETRO LA DEA FIDES |
I sacerdoti addetti al suo culto, erano due flamini, vi si recavano su di un carro coperto, tirato da due cavalli, con le mani coperte da un panno bianco che copriva anche le dita, come simbolo della custodia della fede. Era un momento di straordinaria unità del popolo romano e di esso con i suoi Dei: tutti erano assolutamente certi che ognuno stesse svolgendo la sua funzione nel miglior modo possibile.
DIO HONOS NEL NUMMO DI MARCO AURELIO |
(R. LANCIANI - Storia degli scavi di Roma)
Il Dio Honos rappresentava soprattutto l'onore in battaglia, e per i romani era tutto. Il giovane romano quando andava in guerra per la prima volta sognava di battersi con onore per il prestigio della sua famiglia e della sua gens, cosicchè i suoi genitori e i suoi parenti tutti fossero fieri di lui.
Il nome della gens era tutto per il nobile romano, ma anche per gli audaci plebei, che potevano anch'essi distinguersi e fare carriera fino a diventare generali. Anche il nome della legione era importante, una legione che aveva acquisito benemerenze in battaglia era onorata da tutti.
Insomma chi si era distinto nell'onore a Roma veniva ringraziato e onorato da tutti. I negozianti gli facevano omaggi, la gente lo fermava per strada, lo favoriva negli inviti e nei regali. I suoi familiari venivano più rispettati grazie a lui. A Roma l'onore era tutto.
Pertanto la Fede era il buon comportamento nel mondo civile e l'Onore era il buon comportamento in battaglia. Pertanto questa festa raccoglieva in sè i principali doveri e virtù dei romani. La festa iniziava dai due templi dedicati a Fides e ad Honos, ambedue sul Campidoglio coi sacerdoti di ambedue le divinità che compivano sacrifici animali per Honos ed incruenti per Fides.
Il popolo partecipava ma soprattutto i legionari che pregavano per le onorificenze da mostrare alla famiglia e al pubblico, infatti insieme ai sacerdoti, in file successive, sfilavano i militi con le falere e le onorificenze ottenute sul campo di battaglia. Dietro le famiglie di cotanti eroi che agitavano rami di alloro per i vivi e di mirto per i soldati caduti.
La festa terminava con un lauto banchetto intorno ai due templi dove si cucinavano le carni arrostite degli animali sacrificati, innaffiati come al solito di abbondante vino.